Ivicaridicristo 430

I VICARI DI CRISTO - Il lato oscuro del papato

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Prezzo di vendita18,94 €
Descrizione
 Autore:  PETER DE ROSA
 Formato:  15 X 24
 Pagine:  495
 Anno:  1999
 Editore:  ARMENIA

 

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L'Autore 
Peter de Rosa, ex sacerdote, oggi marito e padre, laureato all'Università Gregoriana di Roma, è stato per sei anni professore di etica e metafisica presso il seminario di Westminster e di teologia presso il Corpus Cristi College.


RETROCOPERTINA
 

Da quasi duemila anni la Chiesa di Roma è una delle istituzioni più poten­ti della Terra, la cui influenza si estende ben oltre i confini del suo magi­stero spirituale. Ma sempre più alte sono le voci che si levano a critica delle sue posizioni, che paiono inadeguate a un mondo ormai sovrappo­polato e in continua crescita. Sempre più spesso si affacciano dubbi e domande sulla storia del papato e sulla morale da esso propugnata:
- Come e con quali mezzi il papato ha stabilito nei secoli il proprio ster­minato potere?
- Come ha imposto la propria dottrina  e la propria legge a eretici e dis­senzienti? 
- Perché continua a sostenere una morale sessuale considerata repres­siva e mortificante dalla maggior parte degli   stessi cattolici?
- Come si giustifica l'atteggiamento di chiusura nei confronti del sacer­dozio femminile e la rigidità nell'imporre il celibato a preti e suore?
- Che cosa si intende per «infallibilità papale»?
- Quale destino attende la Chiesa alle soglie del nuovo millennio?

La nuova edizione di un classico di successo, un testo sempre attuale su uno degli argomenti più scottanti di questo scorcio di secolo.

Prologo
LA GRANDE COPERTURA

LA SI POTREBBE FACILMENTE DEFINIRE LA PIÙ GRANDE COPERTURA DELLA STORIA. Dura ormai da secoli, ed ha provocato dapprima migliaia, poi milioni di vittime, ma nonostante sia evidente, nessuno sembra essersene accorto. Molti artisti più o meno grandi vi hanno contribuito, ma a prima vista non è nulla di allarmante: si tratta soltanto di un pezzetto di stoffa, quello che copre i lombi di Gesù crocifisso.
      All'inizio la croce non fu mai rappresentata, né nella pittura né nella scultura. Mentre Gesù veniva adorato per il suo estremo sacrificio e la croce costituiva il fulcro della fede, nessuno osava ritrarre il figlio di Dio nella sua ultima umiliazione.
      Si dice che gli eserciti di Costantino recassero la croce sulle loro insegne, ma non è così. Sui loro scudi e sui loro stendardi erano effigiate le prime lettere del nome greco di Cristo fuse in modo da formare il simbolo X,.
       Soltanto quando si affievolì il ricordo delle migliaia di morti crocifissi in tutto il mondo romano, i Cristiani si sentirono liberi di raffigurare la croce come simbolo dell' amore sofferente di Cristo, ma si trattava di una croce vuota. Chi avrebbe osato crocifiggere Gesù un' altra volta?
       In seguito però questo nudo simbolo della vittoria sulle forze del male sembrò troppo austero e gli artisti del quinto secolo presero a dipingere la croce con accanto un agnello, visto che Gesù era «l'Agnello di Dio», sacrificato per togliere i peccati del mondo. Quindi, con audacia sempre maggiore si iniziò a ritrarre accanto alla croce Gesù in persona, candido come un agnello. Con due sole eccezioni note, egli non fu rappresentato sulla croce fino alla fine del sesto secolo, ma nemmeno allora gli artisti osarono raffigurarne il dolore e l'umiliazione. Lo ritrassero infatti vestito di una lunga tunica che lasciava scoperti soltanto le mani ed i piedi, per mostrare in forma stilizzata i chiodi che lo avevano sospeso al legno. Era un'immagine di trionfo, non di tormento e agonia; Gesù, con gli occhi aperti e a volte con una corona in capo, regnava dal trono della croce. La prima rappresentazione greca di Cristo crocifisso sofferente, risalente al decimo secolo, fu condannata da Roma come empia, ma ben presto la stessa Chiesa di Roma cedette al fascino di quell'immagine.
       Man mano che il ricordo si allontanava nel tempo e la teologia medievale diventava più arida e scolastica, la devozione richiedeva un Cristo più umano, un uomo che si potesse vedere e quasi toccare, un uomo che recasse il segno delle prove e delle tribolazioni che la gente del tempo doveva sopportare ogni giorno della propria vita breve e tormentata. Ora gli artisti ritraevano liberamente Gesù in agonia sulla croce: sangue e profonde ferite, spasimo in tutte le membra, disperazione negli occhi. Gli indumenti che lo coprivano divennero sempre più ridotti, per dare ai fedeli l'idea della sua estrema umiliazione.
      Ci si fermò però ad un perizoma. Se l'artista si fosse spinto oltre, chi avrebbe avuto il coraggio di alzare gli occhi su un Cristo nudo come uno schiavo?
Non fu però il decoro a fermare la mano dell' artista, ma la teologia, quindi gli artisti non si possono biasimare. Dopotutto, come avrebbero potuto sapere che il dolore del Cristo nuovamente crocifisso, senza la verità assoluta della completa nudità, avrebbe provocato una catastrofe? Quel perizoma concedeva a Gesù un ultimo brandello di decenza, ma lo privava nel contempo della sua natura di Ebreo. Coprendone letteralmente l'orgoglio, lo trasformava in un Gentile onorario, in quanto non nascondeva soltanto il suo sesso ma anche il segno del coltello nelle sue carni, la circoncisione che testimoniava la sua appartenenza al popolo ebraico. Ed è questo che i Cristiani temevano di vedere.
       Nelle crocifissioni di Raffaello e Rubens, e persino in quelle di Bosch e Gruenewald, il perizoma si trasforma in elemento ornamentale con le pieghe che pendono decorativamente. Nella crocifissione di Colmar di Gruenewald, dice Hussmans, Gesù si piega come un arco; il suo corpo tormentato, punteggiato da gocce di sangue e cosparso di spine come il riccio di una castagna d'India, emana una pallida luminosità. Queste, sembra dire l'artista, sono le conseguenze del peccato su ... chi?
       Su Dio, è la risposta della teologia. Si tratta della morte di Dio, e più intensa è l'agonia, tanto da velare il fulgore della Sua gloria, più risulta terrificante. «Dio morì sul Calvario». L'affermazione sembra in perfetto accordo con la teologia, e avrebbe potuto esserlo davvero, se non fosse stato per quel pezzetto di tessuto. Perché, sembra dire l'artista, qualcuno è responsabile di aver fatto tutto ciò a Dio. Ma chi?
      Una lettura superficiale del Vangelo di Matteo fornisce la risposta: gli Ebrei. Essi gridarono a Pilato: «Sia crocifisso! Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». La parola di Dio sembra incolpare gli Ebrei, sia i contemporanei di Gesù che i loro discendenti, della Morte di Dio. Quindi essi sono deicidi. Una goccia di quel Sangue avrebbe salvato migliaia di mondi e gli Ebrei lo sparsero tutto; per loro, quel sangue non significò la salvezza, ma un'eterna maledizione. Con la loro miscredenza essi continuano a uccidere Dio e, dopo aver assassinato Cristo, rendendosi così colpevoli del massimo crimine immaginabile, di certo sono capaci di tutto.
       È questa la calunnia. È questa la