Test. Extrabib. Di Gesu 430

TESTIMONIANZE EXTRABIBLICHE SU GESÙ - Da Giuseppe Flavio al Corano

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Descrizione
Autore: FREDERICK F. BRUCE
Formato:  15 X 21
Pagine: 240
Anno: 2003
Editore: CLAUDIANA

FF BruceL'Autore Frederick Fyvie Bruce, nato a Elgin, in Scozia, nel 1910, dal 1935 ha insegnato alle Università di Edimburgo, di Leeds e di Sheffield; dal 1959 al 1978 è stato «Rylands Professor of Biblical Criticism and Exegesis» all'Università di Manchester. In varie occasioni è stato invitato da Università estere per corsi o conferenze, in Olanda, nel Canada, negli U .S.A., in Australia e in Nuova Zelanda. Ha pubblicato oltre 40 titoli, in particolare commentari biblici, libri su Gesù, sulla storia del Nuovo Testamento e sull'ambiente. È stato il «General Editor» del «New Intemational Commentary on the New Testament».
In italiano, oltre al presente libro, è stato pubblicato: L'Epistola di Paolo ai Romani (G.B.U./Claudiana,
1979) e Rotoli e pergamene: così nacque la Bibbia. Tutte le grandi scoperte sui codici e le lingue dei libri di Dio, Casale Monferrato, Piemme, 1994.

TESTIMONIANZE EXTRABIBLICHE SU GESÙ - Da Giuseppe Flavio al Corano


RETROCOPERTINA

Se i racconti biblici sull'attività di Gesù sono fedeli alla realtà dei fatti, nei resoconti storici del tempo se ne dovrebbe trovare traccia.Nei documenti non cristiani o non canonici, quali prove vi sono dell'esistenza storica - ormai indiscussa - dell'uomo Gesù di Nazareth vissuto in Giudea e Galilea nel primo trentennio della nostra era? Come venne visto dai contemporanei ebrei, romani e paganiBruce approfondisce le nostre conoscenze su Gesù e sulla sua influenza sugli uomini e le donne del suo tempo studiandone le tracce nelle fonti più diverse: ebraiche, pagane, apocrife e anche islamiche, con particolare riferimento a Giuseppe Flavio, ai manoscritti del Mar Morto, al Vangelo di Tommaso e al CoranoGrande attenzione è dedicata inoltre ai detti di Gesù non inclusi nei Vangeli canonici e alle prove legate alle scoperte archeologiche.


INTRODUZIONE di DOMENICO TOMASETIO

Se il Nuovo Testamento fosse un libro dettato direttamente da Dio o ricopiato da un originale celeste, quindi possedesse una forma di autorità tale da travalicare l'ambito storico e fosse rivolto soltanto ai credenti, il lavoro di esegeti, teologi e storici delle origini cristiane sarebbe grandemente facilitato. Ma sarebbe anche asfittico, in quanto mancante del confronto critico continuo che persone non credenti, o comunque mossi da curiosità scientifica, possono stimolare. L'incontro con l'indagine storica sarebbe infatti precluso per definizione e ciascuno rimarrebbe con le proprie certezze, non toccato dalle domande, dagli interrogativi e dalle problematiche che una normale indagine storico-critica rivolge a fenomeni che vengono presentati come accaduti in un ambito storico, geografico, sociale e culturale ben definito. Eppure il Nuovo Testamento non ha mai preteso una simile autorità staccata dall'ambito storico e da riferimenti ben precisi e concreti, ponendo così il problema del rapporto fra storia e fede.

FRA STORIA E FEDE

Il dibattito sul Gesù della storia, che si era assopito dopo Albert Schweitzer e che è stato ripreso, come è noto, da un saggio di Ernst Kasemann nel 1951, e poi continuato nell'ambito della scuola bultmanniana e post-bultmanniana, ha messo in evidenza da una parte l'esigenza e quindi l'esistenza di un radicamento storico dei dati essenziali del N.T., e dall'altra la necessità che la scienza storica non debordi dalla valutazione dei dati analizzati, sovrapponendovi una visione ideologica di uno o di un altro colore. I dati della fede si espongono al vaglio dello storico, ma lo storico deve vigilare sul suo strumento di analisi.
In questo campo, infatti, è emersa la necessità di rispettare il "taglio" delle informazioni storiche riportate in chiave teologica, di salvaguardare il contesto di significati veicolato dalle informazioni storiche presenti nel N.T. Le chiavi di lettura della scienza storica non possono essere direttamente traslate in altro settore scientifico. Viene anche ricordato che un dato storico, estrapolato per l'analisi scientifica dal suo contesto, dissociato dagli altri elementi con i quali è intrecciato, non è più lo stesso dato iniziale.
In questo campo gli errori del passato sono stati troppo negativi per l'una e per l'altra parte, tanto che ancora oggi se ne pagano prezzi altissimi, in quanto i due interlocutori o hanno talmente radicalizzato le proprie posizioni così da rendere impossibile il dialogo che, seppur critico, è sempre comunque costruttivo; oppure hanno finito con l'ignorarsi a vicenda, ciascuno persuaso della sua verità e sempre più infastidito, quando non intollerante, dell'altrui domanda critica. Questo periodo, ce lo auguriamo, è ormai definitivamente tramontato.
Non è quindi un caso che oggi si ritorni a quel genere letterario dell'antichità classica che va sotto il nome di apologetica. Si riscopre il gusto del dialogo, ma non quello ad un solo interlocutore, segnato dalla polemica ad oltranza e dall'intolleranza, in cui ciascuno si sente sicuro delle proprie certezze non soggette a scrutinio; ma dal dialogo a due, in cui ciascuno è pronto a presentare se stesso con argomenti che l'altro può comprendere, analizzare e dibattere con piena onestà morale e intellettuale. Il dialogo nasce dalla disponibilità all'ascolto delle ragioni dell'altro in piena reciprocità. Finito il tempo delle polemiche astiose, delle trincee da difendere a tutti i costi, ci si apre allo scrutinio: è la sfida che il nostro tempo rivolge a tutti noi.
È in questo quadro che si situa la rinascita dell'apologetica cristiana che non disdegna di immergersi nella realtà storica contrassegnata dalla frammentarietà e dalle contraddizioni. È anche in questo contesto che nasce il libro di F.F. Bruce, professore, ora emerito, di scienze neotestamentarie nell'Università di Manchester, uno dei frutti che osiamo dire più classici, un segno dei tempi nuovi.

MOLTI TESTIMONI

La domanda sottesa a tutto il libro, e che in fondo ne costituisce il motivo ispiratore, è molto semplice: esiste altra documentazione storica sulle origini cristiane al di fuori di quella incorporata nel Nuovo Testamento? La domanda si pone sul piano della legittimità storica che nasce dal dubbio che i documenti e i dati storici rintracciabili nel N.T., poiché sono funzionali ad una elaborazione teologica, nascano nel contesto della fede e rispondano più a problematiche prevalentemente teologiche interne alla comunità cristiana primitiva e abbiano perciò subìto un processo di "manipolazione", così da renderli non affidabili per lo storico odierno. Ci sono testimonianze storiche dei dati neo-testamentari e delle origini cristiane esterne al N.T. e al mondo ecclesiastico in genere?
La domanda, s'è detto, ha una sua legittimità e dignità scientifica; merita quindi una risposta allo stesso livello di serietà. Ma ad una condizione: che i dati esterni al N.T. non diventino il metro di misura di tutti i dati neotestamentari. Che cioè non si considerino i dati di questa indagine storiografica del Bruce (si tratta di un repertorio di testimonianze diverse con breve commento) come unico criterio di giudizio su cui valutare l' attendibilità dei dati biblici. L'attestazione documentale esterna al N.T. non può diventare il metro dei dati che si evincono dall' attestazione documentale interna. Ciascuna delle due scienze ha i suoi criteri che vanno rispettati per evitare sempre nuovi conflitti di interpretazioni, forieri di nuovi sospetti e nuove chiusure.
Qual è dunque la documentazione storica su Gesù di Nazareth e sulle origini cristiane esterna al N.T.? La formulazione stessa della domanda comporta un' osservazione previa. Per documentazione «esterna» al N.T. si intende tutta quella documentazione che non è compresa fra i libri che formano il N.T. Per usare il vocabolario delle scienze bibliche: da una parte abbiamo i testi canonici, dall'altra quelli extra-canonici; l'indagine è centrata su questi ultimi, ma non limitata ad essi. Il processo storico che ha portato alla determinazione del canone è abbastanza complesso: ne ripercorreremo velocemente e sommariamente le tappe principali.

VERSO IL CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO

Iniziamo con la letteratura che nasce nell' ambito ecclesiastico ortodosso, eterodosso o eretico che sia. Inizialmente l'avvenimento di Gesù di Nazareth, il suo ministero, la sua morte e risurrezione, era ricordato, narrato e predicato dai primi testimoni del fatto. Con il passare del tempo però, estendendosi l'area interessata alla predicazione cristiana, aumentando il numero delle chiese e venendo piano piano a mancare i primi testimoni apostolici, si rischiava di perdere la memoria storica degli avvenimenti originali. Inoltre, come sempre avviene in ogni fenomeno storico, l'interpretazione del dato originale dà luogo a diverse «scuole» di pensiero: nel nostro caso fra il settore della chiesa che si sentiva più vicino all'ambito e alle tradizioni giudaiche, e quello che, operando nel variegato mondo ellenistico, ne aveva anche assorbito cultura e costumi.
Accanto a queste "letture" di scuola, che si muovevano nel raggio dell' ortodossia o al massimo dell' eterodossia, c'era in agguato un altro fenomeno ben più grave: i movimenti religiosi e culturali del tempo si appropriavano dei dati cristiani e con una sintesi li organizzavano sui loro schemi, dando origine a testi di natura chiaramente eretica. Ma - e questo è il nostro problema - queste delimitazioni (ortodosso, eterodosso, eretico) sono tutte posteriori alla decisione sul canone, cioè alla lista di scritti che la chiesa cristiana considera autorevoli, quindi normativi per la fede. Questo significa che, nell'ambito della chiesa cristiana, esistevano molti scritti, spesso diversi quando non erano in contraddizione tra di loro, a cui le singole comunità facevano riferimento, correndo il rischio della divaricazione dottrinale. La diversità, pur evidente e favorita, poteva degenerare nella divisione e nella Babele teologica e pratica. E non si poteva permettere che questo accadesse.
L'ulteriore elemento da tenere presente è quello esterno: proponendo il progetto di una nuova umanità, la chiesa attirava contro di sé una serie di attacchi denigratori e perfino la persecuzione. Anche qui occorreva rispondere alle accuse infamanti, precisare il proprio sentire, respingere illazioni fuorvianti e presentare in termini positivi il contenuto della predicazione evangelica. È il tempo degli Apologisti. Ma per fare questo era necessario avere un punto di riferimento preciso, un metro di misura, cioè il canone. E questa non fu una decisione improvvisa, unanime o imposta da una autorità superiore; il consenso si trovò piano piano nel tempo e liberamente.
Anche qui ci sono varie fasi. Inizialmente ogni singolo scrittore cristiano, studioso della Bibbia o vescovo, impegnato nella predicazione, nella divulgazione teologica, nella traduzione o nella difesa dell'evangelo, indicava fra i tanti scritti che circolavano nelle chiese quelli ai quali si rifaceva, quelli che riteneva autorevoli, cioè quale fosse il proprio canone. Questa prima fase, dei canoni «personali», va avanti fino al IV secolo e ne abbiamo ampia testimonianza documentale sia per la chiesa d'Oriente che per quella d'Occidente.
Su questa fase, e in parallelo con essa, si innesta la fase dei canoni dei Sinodi provinciali. I Sinodi o Concili delle varie province dell'Impero romano, di fronte al pullulare di scritti nella chiesa e ai canoni personali diversi tra loro, decisero di formulare e di attenersi ad un canone neotestamentario comune. Questo doveva valere per tutte le chiese della provincia o per quelle che rientravano nella giurisdizione dei vescovi che lo riconoscevano come normativo. Anche per questa fase abbiamo ampia testimonianza documentale. È indubbio che inizialmente i canoni personali divergessero l'uno dall' altro e che anche i canoni dei Sinodi provinciali divergessero fra di loro e da quelli personali. Ma indubbiamente non si trattava di differenze enormi: il tutto si limitava ad avere qualche libro in meno delle epistole «cattoliche», l'Epistola agli Ebrei o l'Apocalisse; oppure qualche libro in più (di quei testi che più avanti saranno indicati con il nome di Padri apostolici). In questa fase della storia non ci fu mai una decisione vincolante per tutte le chiese cristiane né dell'Oriente, né dell'Occidente.
Ma il consenso si raggiunse piano piano. Il risultato fu che il primo documento che riporta la lista degli scritti del N.T., il canone così come l'abbiamo oggi nelle nostre Bibbie, è la lettera pasquale n. 39 di Atanasio del 367. Quel canone ha ottenuto un crescente consenso da parte di tutte le chiese, consenso del tutto spontaneo, senza che ci fosse un'imposizione dall'alto di un seggio patriarcale o da parte di un Concilio ecumenico. Parrà strano a molti, ma la decisione ecclesiastica ufficiale, che vale per tutta la chiesa universale (in questo caso cattolica), è stata presa soltanto al Concilio di Trento, nella IV sessione, l'8 aprile 1546. Le chiese che prendono origine dalla riforma protestante, senza aspettare quella decisione, hanno indicato il loro canone nelle proprie confessioni di fede, acquisendo di fatto il dato ormai assodato e condiviso dalla cristianità per più di un intero millennio.

IL CRITERIO DEL CANONE

Qual è stato il criterio in base al quale è stata operata una tale scelta fra i vari scritti che circolavano nelle diverse chiese o province ecclesiastiche? In verità fu utilizzato un criterio multiplo. Innanzi tutto l'apostolicità. Uno scritto, per poter essere ritenuto canonico, doveva avere un rapporto diretto con un apostolo o con il periodo apostolico (doveva quindi essere stato scritto da un apostolo, o da persone che stavano vicine a lui, oppure da persone autorevoli del periodo apostolico). Certo, oggi sappiamo che molti libri sono stati ascritti ad un apostolo per poter avere ascolto nelle chiese (il fenomeno della pseudoepigrafia o pseudonirnia), ma questo nulla toglie alla validità del criterio scelto.
Un secondo criterio fu di tipo sostanziale: la congruità con il kerygma, con la predicazione primitiva. Uno scritto poteva ritenersi autorevole per la chiesa a condizione che (positivamente) fosse congruo con la predicazione apostolica primitiva; veniva rifiutato se (negativamente) ne contraddiceva anche un solo elemento. Si tratta di un criterio di critica interna, ma ha la sua legittimità facilmente comprensibile in una situazione storica contraddistinta e caratterizzata dalla lotta contro le eresie sempre nuove.
C'è infine il terzo criterio: l'universalità; uno scritto poteva essere riconosciuto autorevole, quindi canonico, se era conosciuto e utilizzato da tutte le chiese cristiane antiche. Si tratta di un criterio che va utilizzato con un po' di elasticità, ma ha anch'esso la sua rilevanza.
Per riassumere: con il triplice criterio della apostolicità, della congruità con il kerygma e dell'universalità, la chiesa dei primi secoli precisò la lista degli scritti che dovevano ritenersi autorevoli e normativi per tutte le espressioni della sua fede (pensiero e azione). Cioè precisò il canone del N.T. che divenne la «norma normans», a cui tutto doveva riferirsi.

AL DI FUORI DEL CANONE

Fra gli scritti esclusi dal canone ci sono anche quelli che poi saranno conosciuti con il nome di «Padri apostolici»: Didaché, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Martirio di Policarpo, il Pastore di Erma, Epistola a Diogneto, Lettera di Barnaba (Papia?). Queste sono testimonianze accolte e onorate nella chiesa cristiana, ma non sono né canoniche né normative per la chiesa.
La maggior parte degli scritti non canonici, cioè di quelli non solo non accolti nel canone del N.T., ma rifiutati dalla chiesa, sono chiamati «apocrifi del N.T.». li loro numero è alto (sono più del doppio di quelli presenti nel N.T. stesso) e si possono suddividere per generi:

a) Vangeli dell'infanzia;
b) Vangeli;
c) Storie della passione;
d) Atti degli apostoli;
e) Apocalissi.

Mentre il carattere e la sostanza teologica dei Padri apostolici è fondamentalmente cristiana, la sostanza teologica degli Apocrifi è contrassegnata da forti venature di una o dell'altra eresia che aveva lambito alcuni settori della chiesa a partire dalla [me del primo secolo in avanti.
Riepilogando e precisando il tutto, ci troviamo di fronte ad una vasta letteratura che possiamo suddividere anch'essa in varie categorie:

1) Scritti canonici (il N.T. attuale);
2) Scritti cristiani, non canonici, ma ortodossi (p. es. i Padri apostolici e poi tutti i Padri della chiesa, gli Apologisti, i teologi e pensatori cristiani, ecc.);
3) Scritti apocrifi, nati nella chiesa, ma esclusi dal canone e rifiutati dalla chiesa, che li considera eretici.

Da un punto di vista storico, di colui che si pone come studioso critico delle origini cristiane, con o senza connotazione confessionale, si deve aggiungere anche una quarta categoria di scritti:

4) Testimonianze esterne, si tratta di dati rintracciabili nella documentazione storica del tempo, oppure in scrittori classici, o negli scritti di altri gruppi religiosi, che fanno da riscontro storico e critico ai dati presenti nel N.T.

UN AVVENIMENTO, PIÙ TESTIMONI DIVERSI

A questo punto si comprende il lavoro di F.F. Bruce; nella sua analisi egli prende in considerazione le ultime due categorie: le testimonianze presenti negli scritti apocrifi e in quelli, di vario genere, esterni al mondo cristiano. E così, dopo una lunga ma sommaria indagine storico-letteraria del complesso problema canonico, siamo tornati alla domanda iniziale che il nostro autore si pone: nella letteratura esterna al N.T. esistono testimonianze che riguardano o si riferiscono alle origini cristiane? Il libro di Bruce si sforza di far notare queste testimonianze, il cui valore è molto vario, da un punto di vista sia storico che teologico, commentandone l'apporto alle conoscenze storiche delle origini cristiane o ad un suo particolare aspetto e valutandone lo spessore e la portata testimoniale. Un libro apologetico, si diceva, ma di un genere positivo, com'è tradizione nel mondo inglese, senza per questo forzare i dati e far dire loro cose che non dicono. In questo caso si può ben dire che lo studioso prevale sull'apologeta a tutti i costi, il quale utilizza senza alcun riguardo metodologie o criteri di altre discipline pur di provare una sua tesi precostituita. Non sempre i dati analizzati corroborano i dati del N.T., spesso si apre una contraddizione problematica che porta ad esaminare i motivi ispiratori dei due testi documentali, le scelte interne o i riferimenti ideologici propri di ciascuno. Ma alla fine una conclusione si impone: ci sono elementi sufficienti per dire che anche altri, esterni al N.T., e anche al mondo cristiano, hanno detto qualcosa sulle origini cristiane e su Gesù di Nazareth che ne è l'ispiratore.
Di fronte alla polemica più feroce di tempi certo passati, ma non troppo lontani da noi, in cui a partire da presupposti diversi si negava addirittura l'esistenza di un uomo chiamato Gesù di Nazareth, adesso molta acqua è passata sotto i ponti. Questo dato oggi non è più in discussione. Il valore e il significato di quell'uomo, dell'esigenza di cui si fece portatore, del fatto che per i cristiani egli impersonificava e rendeva presente Dio stesso fra gli uomini, tutto questo non è più un dato da sottoporre ad indagine storica; è un dato di fede. E per quanto fra fede e storia ci sia un rapporto, è ancor più vero che il dato di fede non è riconducibile al semplice dato provato dall'indagine storica. Si tratterebbe di una riduzione inaccettabile.
Nell'ambito della fede esiste comunque uno «zoccolo duro» di dati, che fungono da suo supporto strutturale e che superano l'indagine storica. Ma anche il dato di fede più semplice, e perciò più basilare, che Gesù è il Signore, non è e non può essere oggetto di analisi storica. È una confessione di fede, non un'evidenza storica, e nell'ambito della fede ciascuno assume su di sé la responsabilità della propria confessione. Può esserci il conforto della consonanza con i testimoni cristiani di ieri e di oggi, ma il rischio della fede è del tutto personale e non può essere evitato o diminuito con il ricorso alla prova storica.
Così il testo di Bruce si pone a metà strada fra il credente cristiano e lo storico, serve ai due, ma non autorizza nessuno dei due ad impadronirsene. La cosa diventa un po' più problematica quando il cristiano e lo storico sono la stessa persona: un credente con interessi di conoscenza storica. In questo caso il lettore si ritrova con due risposte; l'informazione storica è certamente ampliata e convalidata da documenti testimoniali di prima mano, ma il rischio della fede rimane tale. Ha soltanto dei riscontri esterni che ne sostengono l'impalcatura strutturale, sulla quale egli edifica giorno dopo giorno la propria vita cristiana.

INDICE

Abbreviazioni
Introduzione all' edizione italiana (di Domenico Tomasetto)

1 - LA TESTIMONIANZA DEGLI SCRITTORI PAGANI

Svetonio e la cacciata degli ebrei
Tacito e l'incendio di Roma
Plinio e i cristiani della Bitinia
Tallo e il racconto della Passione
Mara bar Serapion

2 - LA TESTIMONIANZA DI GIUSEPPE FLAVIO

Giuseppe Flavio e Giovanni Battista
Giuseppe Flavio e Giacomo il Giusto
Giuseppe Flavio e Gesù

3 - LA VERSIONE SLAVA DI GIUSEPPE FLAVIO
Riferimenti a Gesù
Riferimento a Giovanni Battista
Altre interpolazioni

4 - GESÙ NELLA TRADIZIONE RABBINICA

5 - PREPARAZIONE PER IL MESSIA
Qurnran e il Maestro di giustizia
Attesa messianica a Qurnran
I Testamenti dei patriarchi
I Salmi di Salomone

6 - DETTI «NON SCRITTI» E VANGELI APOCRIFI
Agrapha
Papia e la tradizione orale
I Vangeli dell'infanzia
Il Vangelo di Pietro
Il Vangelo di Nicodemo
Il Vangelo secondo gli ebrei
Il Vangelo degli ebioniti
Il Vangelo di Bamaba

7 - IL VANGELO DI TOMMASO
Appendice al cap. 7

8 - ALTRI SCRITTI NON CANONICI
Un altro papiro di Ossirinco
Papiro Egerton 2
Una seconda edizione di Marco?

9 - GESÙ NEL CORANO

10 - GESÙ NELLA TRADIZIONE ISLAMICA

11 - LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE
Documenti su papiro
Censimento in Giudea
Monete
Iscrizioni su pietra
Disordini sotto Claudio
Altre testimonianze su iscrizioni

Epilogo

Nota Bibliografica
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Indice degli argomenti