IL PLURALISMO CONFESSIONALE NELLA ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE - Atti del convegno di studi: Roma 3 giugno 1986
Autore: | MASSIMO SAVERIO GIANNINI |
Formato: | 16,5 X 23,5 |
Pagine: | 220 |
Anno: | 1986 |
Editore: | JOVENE EDITORE |
L'Autore MASSIMO SEVERO GIANNINI - Ordinario di Diritto amministrativo dell'Università di Roma "La Sapienza" IL PLURALISMO ISTITUZIONALE
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IL PLURALISMO CONFESSIONALE NELLA ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE - Atti del convegno di studi: Roma 3 giugno 1986
Il tema che devo trattare è quello del pluralismo istituzionale: un tema di teoria "generale riferito alle confessioni religiose. Quindi viene immediatamente alla ribalta la questione delle confessioni religiose come ordinamenti giuridici.
È noto che la teoria delle confessioni religiose come ordinamenti giuridici autonomi risale ai giuristi tedeschi dell'ottocento, ma è stata teorizzata principalmente da Santi Romano. I giuristi tedeschi dell'ottocento si trovavano in Stati che erano passati dal regime di controllo delle confessioni religiose ad un regime di mero riconoscimento, confinante quasi con un regime di libertà assoluta. Dunque si posero i problemi di che cosa fossero le entità associative costituite dalle confessioni religiose, e vi è un filone di pensiero, di cui il rappresentante più importante fu Gneist, nel senso che si trattasse di associazioni di carattere spontaneo e indipendenti dallo Stato. Nella teorica di Santi Romano la confessione religiosa si presenta come ordinamento giuridico, e, si soggiunge,ordinamento giuridico originario. Che cosa si volesse dire con questo termine era chiaro, e ancor oggi la relativa nozione è in circolazione: un ordinamento giuridico indipendente dallo Stato per quanto riguarda la genesi, i fini, la vita e gli strumenti.
Qualcuno aggiunse anche ordinamento «sovrano». Il termine poi riapparirà nel Trattato tra l'Italia e la Chiesa Cattolica e poi nell'art. 7 della Costituzione italiana, ma è un termine avente valore molto dubbio, ed è discusso da due punti di vista: primo, se si possa effettivamente accettare e riconoscere alle confessioni religiose il carattere della sovranità; secondo, più radicale, è quello di coloro che negano la stessa validità della nozione di sovranità a cominciare da Kelsen fino ad arrivare ai giorni nostri. La presenza di questi dubbi spiega perché poi si preferisca solamente dire che gli ordinamenti giuridici religiosi sono ordinamenti originari; nella originarietà essendo compreso ciò che si vorrebbe poi comprendere nella sovranità, ossia il non avere superiori.
Perché ordinamenti giuridici? Perché presentano tutti e tre i caratteri che si predicano normalmente per gli ordinamenti giuridici: hanno una normazione propria indipendente dalla normazione di qualsiasi altro ente, hanno un'organizzazione propria e hanno una plurisoggettività. Sul fatto della plurisoggettività non vi è discussione, salvo quanto adesso passiamo a dire in ordine all'individuazione degli ordinamenti religiosi. Per quel che riguarda la normazione è pacifico che il nucleo centrale di essa è costituito dagli articoli di fede: quindi la normazione può anche essere confliggente con la normazione propria di altri ordinamenti giuridici, principalmente quelli statali, ed in fatto, per gli ordinamenti religiosi, lo è in molti punti (rapporti sia di diritto privato che di diritto pubblico).
Il punto più delicato degli ordinamenti giuridici religiosi è dato dall'organizzazione, perché l'esperienza dimostra come esistano ordinamenti religiosi i quali hanno un' organizzazione unitaria, onde si presentano verso l'esterno con una organizzazione esponenzialepropria, in grado di intrattenere rapporti giuridici con le organizzazioni di altri ordinamenti giuridici. Per converso, esistono degli ordinamenti giuridici religiosi anche importanti i quali non hanno una organizzazione unitaria, ma hanno solo delle organizzazioni locali, quasi sempre addirittura allo stato disaggregato, nel senso che constano di una pluralità di templi, di monasteri, di subassociazioni, tra loro non collegati e non aventi autorità sovraordinate, salvo, talvolta, autorità sempre locali, proprio in casi estremi coincidenti con ambiti statali. Questa è la situazione, per esempio, di alcune grandi religioni, come quella islamica o come quella buddista, che ha reso e rende tanto difficili i rapporti tra gli Stati in cui questi ordinamenti religiosi si presentano e le confessioni religiose medesime.
Tuttavia questa particolarità propria degli ordinamenti giuridici religiosi non è tale da incidere sulla struttura ordinamentale delle confessioni. Infatti una volta che si ammetta che la nozione di ordinamento giuridico serve a spiegare il concorso di normazioni a cui un soggetto giuridico appartenente a più ordinamenti è assoggettato, oltre che l'agire istituzionale di gruppi costituiti e organizzati con potestà di normazione, occorre dire che l'unità dell'organizzazione dell' ordinamento giuridico è una proprietà di carattere meramente eventuale: anche se vi è organizzazione per elementi disaggregati, se vi è il gruppo con normazione autogena vi è ordinamento. Anzi si ricorda che, secondo Romano, esistono ordinamenti giuridici diffusi i quali sarebbero caratterizzati dalla quasi mancanza di organizzazione. Un esempio è quello del «brokers»: un ordinamento giuridico composto di esperti i quali applicano una normazione supernazionale del tutto propria, addirittura talora contrastante con la normazione degli Stati, ma che tuttavia esistono in piccole organizzazioni locali e sono, praticamente, accettati da tutti gli Stati appunto in quanto hanno una consistenza supernazionale.
Per quanto riguarda gli ordinamenti religiosi c'è poi un ulteriore problema, che correntemente viene chiamato «della dimensione». Quando è che una confessione religiosa ha valenza di ordinamento giuridico? Un piccolo gruppo di persone che professano una fede religiosa propria può ritenersi ordinamento giuridico originario? Questo punto, più di interesse sociologico che di interesse giuridico, si ricollega alla questione, di carattere generale, di quando l'elemento pluri-soggettività di un ordinamento giuridico possa dirsi avente consistenza tale da costituire base di un ordinamento giuridico.
Però il problema esiste, e può dirsi che un ordinamento giuridico confessionale esiste in quanto afferma sé stesso come esistente. Tale essendo in fatto. È il fatto che domina questo elemento della struttura ordinamentale, non esistendo nessuna norma giuridica in nessun ordinamento giuridico che determini il problema della dimensione. Per cui un gruppo di poche persone che pratichino una religione che può essere anche importante in paesi lontani, non costituisce ordinamento giuridico: è solo un'associazione lecita, quasi sempre associazione di fatto; ma la cosa non cambierebbe anche se nel Paese ove esiste fosse un'associazione riconosciuta. È invece ordinamento giuridico la confessione religiosa esistente nel Paese lontano, ed ivi operante, se ha dimensione consistente.
In altri termini una confessione religiosa è ordinamento se così è valutabile in termini sociologici. Termini che hanno come parametro di riferimento, più che la dimensione locale, quella mondiale, oltre che giudizi valutativi di qualità e di rilevanza sociale. Occorre aver presente che gli ordinamenti giuridici religiosi operano, oggi come oggi, tutti nell' ambito di altri ordinamenti giuridici originari e, si dice, sovrani, quali sono gli Stati. Nell'attuale vicenda storica lo Stato è ancora considerato l'ordinamento giuridico originario più importante. Nella realtà non è più così: lo Stato anche sta tramontando, la esperienza statale è sul declino, ma questo è un altro discorso. Sta di fatto che, nell'ambito degli ordinamenti giuridici originari statali, operano questi altri ordinamenti originari che sono gli ordinamenti religiosi e altri.
Le situazioni possibili dei rapporti tra gli ordinamenti statali e gli ordinamenti confessionali sono parecchie. Esaminando i fatti, vi può essere una situazione di totale reciproca ignoranza. E una vicenda piuttosto frequente; si prenda per esempio l'ordinamento della confessione buddista, ammesso che sia un ordinamento e non invece un aggregato di ordinamenti. L'ordinamento della confessione buddista è in situazione di reciproca ignoranza rispetto agli ordinamenti degli Stati dell'Europa occidentale; la situazione si risolve cioè in termini meramente personali, nel senso che la libertà di religione di chi appartiene alla confessione è riconosciuta negli Stati dell'Europa occidentale, ma rispetto alla confessione non c'è nessun rapporto giuridico.
Invece può accadere che dei rapporti giuridici siano raffigurabili. È qui sempre il fatto - perché in questa materia quello che ha rilevanza è sempre il fatto - cioè l'esperienza storica che ci mostra come siano state seguite tre diverse espenenze.
La più antica, quella degli Stati europei del settecento, è il controllo: lo Stato assume di avere la potestà di controllare i comportamenti degli ordinamenti giuridici religiosi. Che questa vicenda abbia assunto coloriture e contenuti diversi, dipende dalla storia dei singoli Stati, però è un'esperienza esistita. La seconda esperienza, quasi contemporanea, è quella della indipendenza assoluta degli ordinamenti giuridici religiosi rispetto a quelli statali: la più grossa e significativa è quella degli Stati Uniti d'America, in quanto, da quando questo Paese si è data una costituzione, ha sempre riconosciuto l'assoluta indipendenza delle confessioni religiose, tanto che esse fossero allo stato diffuso, quanto che si organizzassero nella forma dell' associazione, quanto che si organizzassero in forme più complesse come avvenne per la religione cattolica.
C'è un' esperienza intermedia, che è quella che, con un termine approssimativo, si può chiamare «del riconoscimento»: lo Stato chiede che la confessione religiosa sia riconosciuta in qualche modo con un atto amministrativo del proprio apparato.
Su queste tre esperienze si snoda la vicenda dei rapporti tra gli Stati occidentali e le confessioni religiose: da tener presente che l'esperienza più ricca di materiale è proprio quella del riconoscimento perché il riconoscimento si può avere, a seconda dei diritti positivi, in maniere profondamente differenziate. Essendo un problema di diritto positrvo e non di teoria generale è chiaro che sono le normazioni positive a disporre secondo propri criteri.
Se questa è la schernatica, in termini di teoria generale, degli ordinamenti delle confessioni religiose e dei rapporti tra essi e gli Stati, la questione è di vedere che cosa avviene nello Stato italiano. Del tema parleranno molto più ampiamente i relatori che seguiranno; qui sembra opportuno toccare ancora alcuni dei problemi generali.
Come è noto nella nostra Costituzione abbiamo gli articoli 7, 8 e 19 che trattano la materia. L'art. 7 riguarda solo la confessione cattolica; l'art. 8 sembra si voglia riferire alle confessioni religiose, ma in realtà si riferisce alle «organizzazioni» delle confessioni religiose e dice che le confessioni si possono organizzare secondo «i propri statuti» in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. Si noti bene che, presa testualmente, la norma è assolutamente pleonastica, perché una volta che l'art. 18 Costo ammette l'assoluta libertà di associazione, nel senso che i limiti che pone alla libertà di associazione sono quelli del non contrasto con la legge penale, della associazione segreta (ha aggiunto la legge 17, purché avente scopi politici) e dell'organizzazione paramilitare, è chiaro che tutte le confessioni religiose, in quanto si presentino come associazioni e siano associazioni, entrano completamente nel disposto dell' art. 18. Quindi cosa vuol dire organizzazione secondo i propri statuti? E se la confessione religiosa non ha statuti? E se la confessione religiosa non ha un' organizzazione centrale?
Il 3° comma dell' art. 8 parla delle intese come strumento attraverso cui la Repubblica Italiana procede al riconoscimento delle confessioni religiose. La norma è invece importante perché determina la procedura base per il riconoscimento della confessione religiosa.
Però c'è poi l'art. 19, che è un testo sommamente ambiguo, perché dopo aver parlato della libertà individuale di professione di fede, soggiunge che è riconosciuta anche una libertà di culto, pubblico o privato, purché i riti non siano contrari al buon costume. E qui suppongo si dirà che cosa vuol dire contrario al buon costume.
L'art. 19 è un articolo ambiguo, perché per una parte enuncia, applicativamente, una specie di libertà di manifestazione del pensiero; per un'altra reitera l'enunciato della libertà di associazione di cui all'art. 18. Che cosa avviene quindi nella pratica? Avviene che lo Stato non ha mai, in Italia, dominato il fenomeno religioso; per cui accanto a confessioni religiose che sono riconosciute o con intese adesso o con leggi speciali prima, esistono confessioni religiose che hanno il carattere della associazione di fatto, cioè non sono riconosciute; poi c'è quella stranissima figura delle associazioni religiose straniere riconosciute come persone giuridiche straniere tutte le volte in cui ci sia un trattato internazionale di reciprocità. Il che significa fare entrare da una strada traversa queste confessioni religiose che invece dovrebbero entrare attraverso la strada principale.
Ma qual è la strada principale? Purtroppo non è legislativamente fissata, perché ancora abbiamo in vigore la legge del 1929, la 1159. Questa legge, va ricordato, non si occupa delle confessioni religiose in quanto tali, ma degli «istituti religiosi» di religioni diverse dalla religione cattolica. Or non necessariamente una confessione religiosa deve esprimersi in un proprio ente esponenziale, mentre può esservi un «istituto religioso» elemento facente parte dell' organizzazione di una confessione religiosa non avente proprio ente esponenziale.
In altre parole c'è una lacuna enorme nella legge 1159: il riconoscimento del carattere di confessione religiosa dovrebbe essere conferito ad una confessione la quale lo chieda tramite un proprio ministro, e lo Stato non dovrebbe fare altro che «prendere atto» dell' esistenza della confessione. Invece questo non accade. Esistono una serie di normative secondarie di applicazione, come quella sul riconoscimento dei ministri del culto, come quella sulla celebrazione dei matrimoni, come quella sulla assicurazione dei ministri del culto di altre religioni diverse dalla cattolica, come quella relativa al regime tributario degli edifici di culto, ecc., cioè tutti atti normativi che regolano conseguenze del riconoscimento della confessione religiosa. Ma, nella pratica, queste norme vengono applicate attraverso una via traversa; si presuppongono o il «riconoscimento» del carattere di associazione di persona giuridica straniera, o attraverso normative speciali su certe confessioni religiose, o attraverso - in astratto - il riconoscimento di un'associazione come confessione religiosa.
Quindi abbiamo una normativa zoppa. Il principio costituzionale non è osservato e non è sviluppato nelle sue conseguenze. Il che può non meravigliare se si considera che la medesima evenienza si ha per il principio della libertà di associazione: se si confronta la legislazione italiana in materia di associazione con quella di altri Stati, si nota subito che da noi c'è l'associazione riconosciuta e l'associazione non riconosciuta, mentre la norma costituzionale comporterebbe l'eliminazione in radice della differenza: se un' associazione c'è non deve essere riconosciuta da nessuno. Senza dire che nella pratica sono molto più importanti le associazioni non riconosciute: basta pensare che sono associazioni non riconosciute i partiti politici e i sindacati, cioè associazioni che praticamente sono dei pubblici poteri aventi lo stesso rango dello Stato. Orbene, l'accettare la distinzione tra associazioni riconosciute e associazioni non riconosciute significa disapplicare il principio di cui all' art. 18 della Costituzione.
Per cui, concludendo, si può dire che la normativa costituzionale da noi non ha avuto sviluppi. La vigenza della legge 1929 n. 1159 è una vigenza che non si può tollerare, perché, a tutto concedere, anche se si potesse dire che non è anticostituzionale, certamente presenta una lacuna di tale dimensione che non si può neanche dire conforme alla Costituzione, non conosce l'istituto della presa d'atto dell' esistenza della confessione religiosa quale che essa sia.
Con questo ho delineato i tratti di teoria generale della materia.
INDICE
Premessa 5
RELAZIONI
Prof. Massimo Severo Giannini, Il pluralismo istituzionale 9
Prof. Pietro Rescigno, Il pluralismo religioso-ideologico 21
Prof. Sergio Lariccia, La libertà delle confessioni religiose diverse dalla cattolica 41
Prof. Piero Bellini, I rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica 83
Prof. Pasquale Colella, La Chiesa cattolica e lo Stato italiano di fronte al fenomeno delle sette religiose: riflessioni su un recente documento vaticano 113
INTERVENTI
Dott.ssa Maria Gabriella Belgiorno De Stefano 135
Dott. Giorgio Bouchard 142
Dott. Domenico Jervolino 145
Avv. Roberto Lorenzini 148
Prof. Giovanni Puoti 160
Prof. Giorgio Sacerdoti 166
Dott. Massimo Siclari 177
Prof. Augosto Sinagra 183
Prof. Pietro Spirito 189
Prof. Francesco Zanchini 198
Prof. Sergio Lariccia 205
Prof. Piero Bellini 211
Prof. Pasquale Colella 214
Prof. Massimo Severo Giannini 217