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PROTOCRISTIANESIMO - Il cristianesimo del I secolo alla luce degli scritti neotestamentari

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Descrizione
Autore: ANDREA FILIPPINI
Formato:  15 X 21
Pagine: 225
Anno: 2013
Editore: GBE/ Ginevra Bentivoglio Editoria

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L'Autore Andrea Filippini , classe 1968, è ministro di culto acattolico e fin dall'adolescenza coltiva la passione per il Cristianesimo delle origini e le minoranze cristiane. Tiene regolarmente conferenze pubbliche su temi scritturali, colleziona traduzioni bibliche e ha già pubblicato (2002) i Bibelforscher e il nazismo. Testimonianze dalla Slovenia.

PROTOCRISTIANESIMO - Il cristianesimo del I secolo alla luce degli scritti neotestamentari


RETROCOPERTINA

Nel presente saggio, Andrea Filippini accompagna il lettore in un viaggio attraverso le pagine del Nuovo Testamento, in cerca di notizie sull'organizzazione e le attività del Cristianesimo primigenio. La tesi sui generis qui sostenuta riguarda l'esistenza di un "corpo direttivo" centrale e il fatto che le congregazioni locali fossero amministrate in modo collegiale e non episcopale-monarchico.
Ampiospazio è inoltre dedicato alla descrizione delle funzioni religiose e delle iniziative filantropiche e di evangelizzazione promosse dai cristiani della prima generazione. L'autore, ben consapevole della tendenza prevalente nella ricerca moderna di considerare i testi neo testamentari come elaborazioni teologiche delle comunità cristiane della seconda o terza generazione, nella presente opera tratta gli scritti canonici cristiani quasi alla stregua di veri reportages, derivanti da testimonianze oculari.


PREFAZIONE

Scrivere una prefazione a un saggio sul protocristianesimo è impresa da far tremare le vene e i polsi. Quando il mio vecchio amico Andrea mi ha chiesto di farlo, ho subito accettato il compito con la leggerezza degli sprovveduti; solo in seguito ho realizzato in quale situazione mi ero cacciato.
Ciò che veramente ha generato in me "timore e trernore"1 è stato, una volta iniziato a raccogliere le idee per tenere fede alla parola data, il divario, il delta, direbbe un matematico, fra ciò che conoscevo (rectius: pensavo di conoscere) sull'argomento e ciò che avrei dovuto conoscere per redigere questa introduzione. Come sempre, c'è grande differenza tra ciò che si è e ciò che si pensa di essere.
A questo punto, presa coscienza di tale ineluttabile realtà e spinto dalla parola data, ho deciso di non barare, di essere corretto fino in fondo e di scrivere sul soggetto solo quel che conoscevo, ciò che riuscivo a capire e a far capire. Forse questo spiega perché la mia prefazione è così breve ...
Il lettore non troverà in questo mio scritto ragionamenti rivoluzionari, presenti invece in alcuni punti nel saggio che segue. Ho provato solo a delineare in modo schematico alcuni pensieri, dei punti fermi: il generoso lettore li prenda come "briciole che cadono dalla tavola dei signori" di evangelica memoria2 . E realizzi che, se solo avrà il desiderio, innalzandosi dal pavimento di queste note troverà sul tavolo degli scritti specialistici, cibo prelibato da fare invidia alla mensa di Salomone

Ciò che è nuovo genera curiosità, interesse, stupore. Se la portata innovativa dell'evento è notevole, esso può dar
luogo a dibattiti e a prese di posizione anche delineate e spigolose. Ma poi, col cadere delle foglie autunnali, ciò che una volta era nuovo diventa vecchio e c'è sempre qualcos'altro di cui parlare. Andy Warhol parlava dei "15 minuti di popolarità"3 spettanti a ognuno. Non solo a ognuno: anche a ogni cosa.
Solo pochi sono gli argomenti che conservano il proprio vigore dirompente anche a distanza di tempo, la capacità di illuminare (o infiammare) gli animi, di migliorare (o peggiorare) gli individui, di elevare ad astra o far sprofondare ad infera.
Tra questi soggetti, così sensibili, e potenzialmente divisivi, vi è quello religioso. La propria fede afferisce a quello che i giuristi definiscono il foro interno, quello sottoposto solo al cosiddetto tribunale della coscienza, opposto al foro esterno, regolato dalle norme dell'ordinamento. E ogni coscienza fa testo a sé.
È, fondamentalmente, un problema di insegnamenti; ma non trascurerei il ruolo chiave degli insegnanti.
Non c'è da sorprendersi, per esempio, se il più grande insegnante che mai abbia calcato il proscenio terrestre, Gesù Cristo, abbia letteralmente diviso il proprio uditorio. Chi non ricorda la famosa locuzione del Nazareno: "Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettere pace, ma spada. Poiché sono venuto a causare divisione, ponendo un uomo contro suo padre, e la figlia contro sua madre, e la giovane nuora contro sua suocera. In realtà, i nemici dell'uomo saranno quelli della sua propria casa" (Mt 10:34-36, TNM). Come predetto, il ministero del Maestro provocò divisioni, anche in seno alle famiglie.
Nel vangelo di Giovanni, nell'arco di quattro capitoli, per ben tre volte viene ripetuto che l'insegnamento del Cristo generava divisione. In uno di questi brani, nel settimo capitolo, si osserva come il retaggio culturale e l'ambiente dell'uditorio pesino sulla propria reazione alla novità, e si trasfigurino spesso in tensione emotiva: "Gesù stava in piedi e gridò, dicendo: 'Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi ripone fede in me, come ha detto la Scrittura: Dal suo intimo sgorgheranno torrenti d'acqua viva'. [...] Alcuni della folla che udirono queste parole dicevano: 'Questi è per certo Il Profeta'. Altri dicevano: 'Questi è il Cristo'. Ma alcuni dicevano: 'Il Cristo non viene dalla Galilea, vero? Non ha detto la Scrittura che il Cristo viene dalla progenie di Davide, e da Betleem, il villaggio dov'era Davide?' Perciò si produsse una divisione tra la folla a motivo suo. Alcuni di loro, poi, volevano afferrarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso" (Gv 7:37-44, TNM)4 .
A distanza di duemila anni la situazione è ancora così cristallizzata. Ritengo che se a tutt'oggi il cristianesimo e, nell'ambito che riguarda il testo oggetto della prefazione, la storia del cristianesimo, la sua lettura, la sua interpretazione, continuano a suscitare divisione, ciò dipende fondamentalmente da due elementi, l'uno positivo, l'altro negativo: il primo, la straordinaria ricchezza e attualità del messaggio cristiano delle origini, con la sua pragmatica visione della vita e dei rapporti interperso il secondo, la deleteria abitudine, sedimentata ahimè nel corso del tempo, di forzare, piegare, direi, se mi è lecito il termine forte, violentare il testo perché dica ciò che lo studioso di turno desidera dire, perché sia l'originale ad adeguarsi alla propria visione della vita (religiosa, ma anche politica, antropologica, psicologica, e via dicendo) piuttosto che il contrario. C'è molto orgoglio in tanti pseudo-studiosi delle Sacre Scritture che impedisce loro di chinarsi per raccogliere i fiori di Verità disseminati nel Libro dei libri.
Quali sono i risultati di questo modo di fare ricerca?
Vediamo un paio di esempi.

Come spiega molto bene Paul Mattei in un lavoro pubblicato di recente5, nel corso del tempo gli studiosi che si sono interessati del Gesù storico hanno sposato tre correnti di pensiero, o fasi (quest), cronologicamente susseguentesi e così riassumibili:
- la ricerca liberale (first quest), che studia la figura storica di Gesù dal punto di vista scientifico (termine ambizioso ma fuorviante: non ha contatti con il metodo scientifico applicato nelle scienze naturali, ma consiste in un'interpretazione filosofica in cui la parte soggettiva, il punto di vista dello studioso, prevarica artatamente il testo scritto);
- la seconda ricerca (second quest), che separa storia e fede, a mo' di fredda autopsia, come se fosse possibile dividere un uomo dai suoi pensieri, un corpo dai suoi stimoli intellettuali;
- la terza ricerca (third quest), iniziata a metà degli anni '80 del secolo scorso, che ha seguito vari percorsi uno dei più controversi dei quali è quello del 'Jesus Seminar", che studia ciò che sia certo, ovvero possibile, probabile, o infine assolutamente impossibile che il Gesù storico abbia detto o fatto (materiale per statistici, più che per teologi)6.
Porsi l'obiettivo di dare una visione olistica, completa, della multiforme figura di Cristo, partendo però da un punto di vista condizionato e condizionante, decidendo aprioristicamente cosa esaminare e cosa tralasciare, lascia perplessi. Non si possono di conseguenza condividerne i risultati. Bisogna invece cogliere le risultanze fattuali anche se il dato di partenza può non essere aderente al proprio substrato culturale.
Come esempio di tale correttezza intellettuale valga per tutti il punto di vista di Mattei sulla pietra dello scandalo, la linea di demarcazione tra gli storici materialistici e gli storici fideisti: la questione della risurrezione di, Gesù. Afferma lo studioso francese: "La critica storicistica non può certo stabilire il fatto della Risurrezione; essa tuttavia coglie un dato psicologico centrale e, sembra, affidabile: il turbamento profondo e duraturo che, poco tempo dopo la morte ignominiosa del maestro, ha fatto dei membri di un piccolo gruppetto disperso dalla paura gli araldi gioiosi della sua vittoria sulla morte e della sua intronizzazione come 'Signore?7 È quindi possibile elaborare una trama rispettosa del testo senza lasciarsi condizionare dai propri valori e insegnamenti.
Un altro rapido esempio. Studiosi materialistici e atei partono dal preconcetto che le Scritture non siano ispirate da Dio.
Quando devono spiegare la redazione dei vangeli e le somiglianze tra i sinottici si rifanno, chissà fino a che punto consciamente, alla teoria dell'evoluzione organica, secondo la quale organismi unicellulari danno luogo, nel corso del tempo, a esseri pluricellulari sempre più complessi. Così hanno ipotizzato che il primo vangelo messo per iscritto sia quello più breve, Marco; e che gli evangelisti successivi, Matteo e Luca in particolare, abbiano attinto da questo vangelo e da una ipotetica fonte non rinvenuta, definita Q (dal tedesco quelle, fonte). Cosa dicono invece i documenti storici? "All'inizio del III secolo Origene, parlando dei Vangeli, fa riferimento a quello di Matteo, e riportando le sue parole Eusebio dice che 'per primo fu scritto quello Secondo Matteo, il quale era stato un tempo publicano, poi apostolo di Gesù Cristo [ ... ] nella lingua degli Ebrei'" (Storia ecclesiastica, VI, XXv, 3-6)8. La propria formazione culturale deve arrestarsi, non dico davanti all'esegesi del testo, ma all'acquisizione dei dati di fatto. Per inciso, come afferma uno studio, "fino a tutto il Settecento si riteneva di solito che Matteo fosse il testo più antico e che Marco fosse il 'divino epitomatore' che avrebbe riassunto i racconti di Matteo e di Luca. Nel secolo scorso, invece, prese forma una teoria che capovolgeva la visione tradizionale: Marco sarebbe il più arcaico dei sinottici, mentre Matteo e Luca, in modo indipendente l'uno dall'altro, avrebbero ripreso il lavoro di Marco, integrandolo con altre fonti". Il risultato di questo rovesciamento interpretativo?;"Numerosi particolari non (sono) del tutto chiariti e che, come teoria, in luogo di essere la migliore, (è) la meno peggiore'9.
Quanto sono attendibili storici del cristianesimo che elaborano teorie sulle macerie di fondamenta che essi stessi hanno contribuito ad abbattere? È necessario impostare in modo diverso lo studio storico del cristianesimo.

La storia del cristianesimo che possiamo definire classica viene affrontata secondo tre linee guida fondamentali, generatrici di altrettante diverse scuole:
- quella religiosa, che la vede nei primordi come rivelazione divina, ma che poi innesta su di essa la storia della Chiesa (cattolica, poi ramificatasi nell'XI secolo in ortodossa e nel XVI in protestante) come ovvio e scontato proseguimento del cristianesimo, omettendo di annotare che ciò che nasce cristianesimo diventa poi cristianità; e questo spiega perché il secondo tempo o ha un sapore spesso stucchevolmente agiografico e celebrativo, oppure, a uno sguardo attento, manifesta essere molto poco divino e molto terreno, direi a volte fin troppo terra terra. Niente da dire, naturalmente, su queste (pur legittime) visioni; resta solo da ricordare che gli storici devono attenersi ai dati di fatto, senza trascendere da essi, cosa che diversi studiosi della Chiesa dimenticano di fare. Se questi fossero contestualizzati alla luce del testo normativo delle Scritture diventerebbe impossibile comprendere come da un fico sia sorto un cardo (cfr. Matteo 7: 16);
- quella cosiddetta critica, che studia la religione in sé (la c.d. Scuola di Tubinga)10, e quindi afferisce a un approccio sociologico del fenomeno; per sociologico si intende, grossolanamente, e per quanto qui interessa, i fenomeni della società umana, soffermandosi in particolare sui rapporti del singolo con l'individuo e il gruppo sociale;
- quella denominata materialistica, che vede nella religione una sovrastruttura e la prende in esame traendo le mosse dalle basi economiche, sociali, politiche, giuridiche, sulle quali si impernia la curva ascendente (uso questo termine proprio richiamando e negando la ormai trita immagine della parabola del cristianesimo, in quanto credo che il vero cristianesimo sia ancora vivo, vegeto e prorompente)11.

In questo bel saggio lungo, Andrea Filippini imposta la sua storia sulla base della prima scuola, quella religiosa12. Il punto critico di tale scuola sta nella saldatura tra la storia neotestamentaria onesta e schietta, e quella della Chiesa Cattolica delle origini del IV secolo, ridondante e auto-celebrativa. C'è qualcosa di forzato nel voler trapiantare la seconda nella prima: non è un olivo selvatico che attecchisce sul tronco di uno coltivato, ma un andare (mi si permetta) contro natura, con raccapriccianti effetti di manipolazione genetica da far inorridire il più navigato dottor Frankenstein.

Questo non significa che bisogna abbeverarsi di dogmi precostituiti; ma tra l'appiattirsi su posizioni prestabilite, avendo demandato ad altri la comprensione del testo, spegnendo il proprio cervello e indossando comodi paraocchi, e abusare delle scritture, credendo di avere scoperto l'anello mancante della saggezza biblica, salvo poi ritrovarsi con in mano l'uomo di Piltdown13, c'è, deve esserci, una via mediana, equilibrata e corretta, che permette alle Scritture di spiegare sé stesse, con l'aiuto del contesto, di uno studio dei brani sinottici, e con il desiderio di armonizzare le apparenti discrepanze perché alla fine risalti la luce della verità, oscurata dal manto soffocante della cosiddetta critica biblica. Afferma con rara capacità di sintesi Edmondo Lupieri, in un classico testo di storia del cristianesimo: "Lo studio del Nuovo Testamento (NT) nei paesi occidentali è passato da una secolare accettazione acritica dei testi, ritenuti veritieri in assoluto, a una critica radicale ed estrema, che ha portato a dubitare di tutto.[ ... ] Nella pendolarità che caratterizza i movimenti della e nella nostra cultura, la critica del NT si sta ora assestando su posizioni intermedie"?14.

Lintuizione dell'autore e la freschezza del testo stanno invece nel fatto che si sofferma solo sulla prima parte della storia del cristianesimo, quella più viva, genuina e documentata, intendendo per documento il testo degli Atti degli apostoli, o delle lettere pastorali paoline15, e considerando alcuni sviluppi del II e III secolo d.C. solo come proiezione di elementi già previsti (il religioso direbbe: predetti o profetizzati) nel testo neotestamentario. In questo modo non solo evita il terreno ideologicamente scivoloso della trasformazione (degenerazione?) del cristianesimo primitivo, che da movimento di pochi e perseguitati si trasforma in religione di massa (katholikòs, universale) e perseguitante; ma si attiene con rara padronanza alle acque della fonte, incluse nel canone biblico, prima che si contaminino scendendo a valle16.
Anche l'arco temporale trattato dall'autore merita un breve accenno. La maggior parte delle storie del cristianesimo antico, infatti, si spingono fino a Giustiniano. Nella scelta di questi confini cronologici sta senza dubbio il sapore di classicità, senz'altro giuridica, o anche giuridica, che vede nella compilazione da parte del monarca bizantino del Digesto, la summa del pensiero giuridico dell'antichità romana; e quindi può essere sembrato utile fissare ivi, contestualmente, la fine del cristianesimo antico, ponendo a quo il testo del Vangelo e ad quem la fissazione delle norme giuridiche romane nel testo che le cristallizza
.
Altre giungono almeno fino alla data cardine del 135 d.C., in cui termina la cosiddetta terza guerra giudaica (Donini la definisce seconda) e si estingue la nazione ebraica così come si conosceva almeno fin dall'esodo di biblica memoria17. In questa scelta entra in g
ioco la vexata quaestio sulla divisione delle vie tra giudaismo (o giudaismi, come di recente si preferisce parlare) e cristianesimo, preferendo alcuni situare la partizione delle vie proprio in quell'anno, visto come data esemplare, paradigmatica, della completa differenziazione del cristianesimo dalla sua radice ebraica18.
Lautore, invece
, sceglie di camminare su un terreno stabile: per lui il protocristianesimo è fissato dalle due date chiave del 33 d.C., nascita dell'ekklesia gerosolimitana, e della fine del I secolo, quando la novella etica del cristianesimo (novella intesa nel senso giuridico di novazione, non in quello colloquiale o romanzesco di storia, di avventura) viene registrata per iscritto e come tale assegnata alla posterità. E a noi.

Ed è in ciò la bellezza di questo saggio lungo dell'autore: la sintesi tra erudizione storica e rispetto per il testo. In esso il lettore troverà un attento studio, organizzato cronologicamente, della storia del cristianesimo delle origini, lasciando però allo scritto la dignità che gli compete.
Lo studioso si sostituisce all'interprete; l'umile studente (nell'accezione positiva del discepolo di biblica memoria) al fiero e orgoglioso docente. Non abbiamo bisogno di nuovi sistemi: abbiamo bisogno di capire.
L’autore è un serio studioso delle Scritture. La bibliografia a fine volume è notevole. E può essere un punto di partenza per coloro che desiderano accrescere il proprio intendimento della storia del cristianesimo originale.
La lettura del saggio dimostra le capacità multiformi di Filippini. Nel primo capitolo, l
'elemento storico cronologico viene ben padroneggiato; nel secondo egli si districa nei meandri dei termini ebraici e greci relativi all' organizzazione della comunità; nel terzo ci si immerge con gradevolezza in elementi tipici della papirologia e dello studio dei manoscritti antichi (e colgo l'occasione per invitarlo a mettere in cantiere, nel futuro, un saggio specifico sul soggetto).
Il quinto capitolo è quello forse più incisivo. Affronta l'argomento della governance senza ricorrere all' elaborazione patristica sul soggetto ma, con semplicità, lasciando che sia ancora una volta
il testo a parlare, studia l'etimologia di episkopos, presbyteros e diakonos. Un brano della prima lettera di Giovanni permette uno sguardo fuggevole a quella che poi sarà la deriva monarchica del II secolo. Un accenno alla condizione matrimoniale degli apostoli dà la stura a una bella riflessione sulle cause e gli sviluppi del celibato ecclesiastico.

Le note, sempre, ma vieppiù in questa sezione, sono ben redatte. Acutamente le lettere pastorali, viste solitamente come prescrittive, vengono ora osservate come specchio della situazione esistente nel primo secolo, un modello a cui le primitive congregazioni si attenevano. E sempre nello stesso capitolo, dalla prima lettera ai Corinti, si legge come erano (non solo come sarebbero dovuto essere) le adunanze nel primo secolo.
Si tratta di un lavoro obiettivo? Non vedo migliore risposta di quella del già citato Lupieri, nel testo a cura di Filoramo: "Costituendo le varie chiese cristiane una realtà viva, non ci si può attendere un'analisi assolutamente neutra di testi vincolanti per la fede di buona parte degli abitanti del pianeta e magari per quella dello studioso stesso. Pare anche ovvio che il condizionamento ideologico, insieme con quello religioso o in alternativa a esso, sia ineliminabile in qualsiasi ricerca storica; con il convincimento, quindi, che l'obiettività assoluta non sia ottenibile, almeno da chi scrive, procediamo nell'indagine con il massimo di onestà intellettuale possibile?19.
Questo saggio si propone quindi come lavoro utile per un approccio onesto e costruttivo allo studio delle Scritture Greche. Non prescinde, e non può farlo, dalle convinzioni religiose dell'autore; ma quest'ultimo ha il merito di essersi posto, per così dire, in un angolo, lasciando la scena a un Autore che riconosce essergli superiore. E, in un periodo di personalismi spesso esasperati, il modesto scriba che si firma con un colofone al termine del testo" merita più attenzione di strombazzanti professoroni, imbacuccati e pieni di sé, che si firmano in corpo 32.

Le Scritture sono un mare in cui un moscerino annega e un elefante fa il bagno.

I miei sentiti ringraziamenti all'amico fraterno Luca Zucchini.

Eo quod amicus eius sit, dabit illi quotquot habet necessarios

Giuseppe Liguori

NOTE

1. Nella TNM l'espressione "timore e tremore ricorre tre volte nelle lettere paoline" (2 Cor 7: 15; Ef 6:5; Flp 2:12) ed una volta nella perifrasi "con timore e con molto tremore" (1 Cor 2:3).

2. Il riferimento è alla stupefacente replica della donna fenicio-cananea in risposta a un iniziale, apparente disinteresse del Cristo nei suoi confronti (Mt 15:27; Mr 7:28).

3. I'espressione è una parafrasi di una riga del catalogo della mostra di Warhol al Moderna Museet di Stoccolma, dal febbraio al marzo 1968. Il catalogo diceva: "In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti".

4.Per gli altri due casi, vedi Giovanni 9:16 e 10:19-21.

5. Paul Mattei, Il cristianesimo antico - da Gesù a Costantino, Il Mulino, 2012.

6. Ibidem, pp. 68-72. Anche se Mattei cita solo il 'Jesus Seminar", molti studiosi fanno partire la terza ricerca dai volumi, sempre del 1985, di E.p. Sanders (cito solo G. Gaeta, Il Gesù moderno, Einaudi 2009, p. 67). Questi filoni di ricerca sono meno eccentrici di quelli del 'Jesus Seminar".

7. Mattei, Il cristianesimo antico, cit., p. 78.

8. Perspicacia nello studio delle Scritture, Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, Roma, 1990, voI. II, p. 236.

9. Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi, Storia del cristianesimo, voI. I, "Lantichità'', Laterza, 2008, pp. 112-113.

10. La "Scuola di Tubinga" fu una scuola di ermeneutica biblica che, rifiutando ex abrupto l'elemento soprannaturale, giunse a conclusioni non condivisibili di una dicotomia della Chiesa primitiva tra Chiesa ebraica e Chiesa ellenistica. Una cosa, infatti, è la coesistenza di diverse matrici culturali tendenti verso una ragionevole sintesi; cosa diversa è puntare su tali differenze per statuire un contrasto non sanato e non sanabile.

11. Per una veloce trattazione della tripartizione testé accennata, vedi, tra gli altri, Ambrogio Donini, Storia del cristianesimo - dalle origini a Giustiniano, Teti Editore, 1975, pp. 6 ss. La storia di Donini, intesa come biografia ma anche come titolo del suo testo, si iscrive nella scia del più puro marxismo e quindi nella storia materialistica del cristianesimo.

12. Lautore ha pubblicato per i tipi dell'Editrice Italica il saggio monografico I Bibelforscher e il Nazismo - Obiettori di coscienza per motivi religiosi: Chi erano? Perché furono perseguitati? Testimonianze dalla Slovenia (Pescara, 2002).

13. Il cosiddetto uomo di Piltdown fu rinvenuto nel 1912 e per più di 40 anni fu considerato l'anello mancante nella presunta catena evolutiva che dalle scimmie antropomorfe portava all'homo sapiens. Nei primi degli anni '50 del secolo scorso fu sottoposto a accurate analisi e, tra lo sconcerto dell'intera comunità scientifica, nel 1953 fu smascherato come una frode: il cranio, accuratamente invecchiato, era quello di un uomo moderno, mentre la mandibola a esso accostata era quella di un orango.

14. Edmondo Lupieri, "Fra Gerusalemme e Roma", in Filoramo e Menozzi, Storia del cristianesimo, ci t., p. 109.

15. Le lettere cosiddette pastorali sono 1 e 2 Timoteo e Tito, in cui l'apostolo Paolo fornisce elementi di direzione teocratica a due suoi stretti collaboratori perché fossero applicate nelle comunità locali da questi assistite.
16. Per completezza, indico un breve accenno nel saggio alla Didaché, testo datato tra la fine del I e l'inizio del II secolo d.C., che si può definire un giornale di bordo delle prime comunità cristiane a cavallo della fine dell'epoca apostolica.

17. La più nota prima guerra (rivolta) ebraica iniziò nel 66 d.C., con l'attacco dei gerosolimiti alle retroguardie di Cestio Gallo e terminò nel 70 d.C. con la distruzione della "città del gran Dio" (la seconda distruzione, dopo quella a opera di Nabucodonosor alla fine del VII secolo a.C.), anche se non si può tacere la coda del massacro di Masada (74 d.C.) con la tristemente epica impresa del suicidio collettivo della comunità ebraica dei sicari. La seconda guerra (rivolta), chiamata anche Guerra di Kitos, si protrasse per un biennio, a partire dal 115 d.C., coinvolse le città della Diaspora ebraica e fu domata da Traiano. La terza prese invece le mosse nel 132 d.C. sotto la guida di Simone bar Koseba (o Kokhba o Kokheba, ebraico per stella), sostenuto ideologicamente dal rabbino Akiba e da 200.000 insorti, con il sostegno anche stavolta degli ebrei della diaspora. Simone pretendeva di essere la stella da Giacobbe di cui in Numeri 24: 17, predetta dal profeta sui generis Balaam. Per tre anni egli ed i suoi tennero in scacco Severo, generale di Adriano, fino a quando, per la terza volta, la gran città fu rasa al suolo. Sul tempio che era stato di Salomone prima e di Erode poi, in cui aveva insegnato il Gesù di Nazaret, fu elevato un tempio a Giove; per decreto, pena la morte, fu vietato a tutti gli ebrei circoncisi di rimettere piede nell'abitato, furono proibiti Torah e calendario giudaico e messi a morte i soferim, i copisti (studiosi) delle Scritture. Gerusalemme divenne Aelia Capitolina. Commenta Donini: "Il giudaismo, come fenomeno religioso, si chiude ormai in sé, ripiegando nell'esegesi rabbinica del Talmud" (Storia del cristianesimo, cit., pp. 137-138).

18. Oramai non sembrano più esservi pareri contrari sul fatto che le tensioni dinamiche che animarono l'insegnamento di Gesù furono generate dal rapporto controverso tra la radice giudaica, substrato ovvio dei primi cristiani, con i capisaldi della Torah e del Tempio-Talismano e la prorompente vitalità "del vino nuovo" dell'insegnamento evangelico, che difficilmente si poteva contenere negli otri vecchi del sistema giudaico (Mt 9: 17).
19. Edmondo Lupieri, "Fra Gerusalemme e Roma", in Filoramo e Menozzi, Storia del cristianesimo, cit., pp. 109-110.


INDICE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE

I - FONDAZIONE DELLA PRIMA COMUNITÀ

Gli avvenimenti della Pentecoste
La data di nascita del cristianesimo apostolico

II - DENOMINAZIONE SOCIALE

Definizione di ekklesìa
La "Via" (At 9:2)

La "setta" (At 24: 14)

Luso dell'appellativo "cristiani" (At 11:26)

III - EVANGELIZZAZIONE E DIFFUSIONE INIZIALE

Portata dell'espansione

Evangelizzazione e conversione di nuovi proseliti
Il battesimo cristiano

IV - DIREZIONE GEROSOLIMITANA

Il corpo direttivo di Gerusalemme
Il modus operandi del corpo direttivo

V - STRUTTURA ORGANIZZATIVA LOCALE

Individuazione dei ruoli
Il presbytèrion, l'organo direttivo locale
Lepiscopato monarchico: una deriva del II secolo
Requisiti e modalità di nomina
Origine del celibato ecclesiastico
Considerazioni sulla figura carismatica del profeta

VI - ADUNANZE E LUOGHI DI CULTO
I luoghi di culto
Le adunanze

VII - INIZIATIVE CARITATEVOLI

"Avevano ogni cosa in comune" (At 2:44)
I..:"elemosina" (Mt 6:1-4)

Assistenza alle vedove

Le "agapi", i conviti d'amore (Gda 12, VR)
Le collette

Come venivano finanziate le opere caritative

CONCLUSIONI

NOTE

BIBLIOGRAFIA

TRADUZIONI BIBLICHE

ABBREVIAZIONI BIBLICHE