COMMENTARIO BIBLICO di Matthew Henry - 12 Volumi
L'Autore Matthew Henry (1662-1714) è stato considerato uno dei piú grandi espositori della Bibbia. Il commentario da lui scritto esamina a fondo, versetto per versetto, l'intera Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse. La sua opera, redatta originariamente in inglese, è stata tradotta in francese, in spagnolo e in altre lingue, e adesso, finalmente, è disponibile anche in italiano.
Il commentario di Matthew Henry è uno dei piú apprezzati nel mondo evangelico; esso ha influenzato i leader religiosi del XVIII secolo, sia gli arminiani come Wesley, sia i calvinisti come Whitef ield. Gli inni di William Cowper, ad esempio, sono stati ispirati dallo spirito e persino dal frasario di Matthew Henry.
Nel leggere il commento su Levitico 8:35, si possono riconoscere le parole che Charles Wesley piú tardi usò nell'inno A charge to keep I have. Addirittura intere frasi di questo commentario sono diventate epigrammi popolari nella lingua inglese. C.H. Spurgeon, conosciuto come il "principe dei predicatori", ebbe a dire a proposito che "ogni ministro dovrebbe leggere l'opera di Matthew Henry interamente e attentamente almeno una volta nella vita".
Il noto predicatore Gorge Whitefield lesse il Commentario per intero ben quattro volte prostrato sulle ginocchia e parlava sempre del grande Matthew Henry verso il quale sapeva di essere debitore. Però, ciò che piú conta è che la sua interpretazione della Parola di Dio ha aiutato a creare e a rafforzare gli standard di moralità secondo i quali il cristiano modella e dirige la sua vita.
La presente edizione, con i suoi 12 volumi e circa 10.000 pagine di commento, può essere annoverata tra le opere evangeliche piú consistenti mai pubblicate in lingua italiana.
MATTEW HENRY
Dal 1° Volume,
riportiamo per Vs. beneficio,
la spiegazione dei vers. da
1 a 24 del cap. 3 di Genesi
CAPITOLO 3
Non v’è forse in tutta la Bibbia una storia piú triste, se considerata nel complesso, di quella riportata in questo capitolo. Nei precedenti capitoli abbiamo avuto la piacevole visione della santità e felicità dei nostri progenitori, della grazia e del favore di Dio, della pace e bellezza di tutto il creato: tutto era buono, molto buono. Ma qui la scena cambia completamente: c’è il racconto del peccato e della caduta in disgrazia dei nostri progenitori, dell’ira e della maledizione di Dio contro di loro, del turbamento della pace del creato, della sua bellezza macchiata e offuscata. Tutto è negativo, molto negativo. «Come può l’oro aver perso lucentezza e l’oro piú fine non essere piú tale?». Possa questo triste ricordo avere il piú profondo effetto sui nostri cuori! Tutto ciò, infatti, ci riguarda da vicino: che non sia per noi solo una semplice storiella. Il contenuto generale di questo capitolo lo ritroviamo nella lettera ai Romani (5:12): per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, cosí la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Piú in particolare, qui troviamo i punti seguenti.
I. L’uomo e la donna sono tentati, v. 1-5.
II. Trasgrediscono, vv. 6-8.
III. I trasgressori sono messi sotto accusa, vv. 9, 10.
IV. Gli stessi, chiamati in giudizio, sono dichiarati colpevoli, vv. 11-13.
V. Dichiarati colpevoli, sono condannati, vv. 14-19.
VI. Pur condannati, la sentenza viene sospesa, vv. 20, 21.
VII. Anche se sospesa, la pena viene parzialmente eseguita, vv. 22-24. E se non fosse per la dichiarazione di grazia a cui si fa qui cenno - la redenzione per mezzo della progenie promessa - essi, e tutta la loro colpevole razza corrotta, sarebbero stati abbandonati a una disperazione senza fine.
3:1-5
Qui abbiamo il racconto della tentazione: Satana attaccò i nostri progenitori e li indusse a peccare. Questo ebbe conseguenze fatali per loro e per tutta la razza umana. Qui si può notare che:
I. Il tentatore, cioè il diavolo, si presentò sotto forma di un serpente.
1. È stato proprio il diavolo - il serpente antico, Satana (Ap 12:9) - ad ingannare Eva. Egli è uno spirito maligno che in origine era stato creato come angelo di luce ed era un servitore molto vicino al trono di Dio. A causa del suo peccato perdette la sua posizione primitiva e divenne un ribelle nei confronti della maestà e dignità di Dio. Miriadi di angeli caddero, ma chi attaccò i nostri progenitori fu certamente il principe dei diavoli, il capo dei ribelli. Questi, dopo aver peccato, divenne tentatore, cioè cercò di indurre altri al peccato, colmo d’ira contro Dio e la sua gloria, pieno d’invidia nei confronti dell’uomo e della sua felicità. Satana sapeva bene che avrebbe potuto rovinare l’uomo se soltanto fosse riuscito a traviarlo. Balaam non era riuscito a maledire Israele, ma poté tentarlo (Ap 2:14). Il piano di Satana era quello di trascinare nel peccato i nostri progenitori, cosí da metterli l’uno contro l’altro e separarli dal loro Dio: egli fu, sin dall’inizio, un omicida e un gran seminatore di zizzania. L’intera razza umana non aveva allora che un solo punto debole, e contro quello Satana sferrò il suo micidiale colpo. Ancora oggi egli è il nostro avversario e nemico.
2. Si trattava proprio del diavolo sotto le sembianze del serpente. Se fosse solo l’aspetto visibile e l’apparenza del serpente (alcuni pensano ai serpenti di cui si legge in Es 7:12), o se invece fosse un vero e proprio serpente guidato e posseduto dal diavolo, non è certo. Con il permesso di Dio, sia l’uno sia l’altro caso sarebbero stati comunque possibili. Fatto è che il diavolo scelse di agire nelle sembianze del serpente per i seguenti motivi:
(a) Perché era una creatura dotata di fascino. Animale dalla pelle maculata e screziata, la sua andatura a quel tempo era eretta. Forse era un serpente volante che sembrava venire dall’alto, come un messaggero del mondo celeste, uno dei serafini. Infatti, i “serpenti di fuoco” erano volanti (i draghi volanti di cui si legge in Is 14:29). Spesso le tentazioni si presentano a noi ammantate di sfavillanti colori, che però sono solo un’apparenza, e sembrano provenire dall’alto. Infatti Satana sa presentarsi come un angelo di luce.
(b) Perché era una creatura ingegnosa, e di ciò si ha piú d’una conferma. Ci sono molti esempi dell’astuzia del serpente, sia nell’offendere sia nel mettersi in salvo. Noi stessi siamo invitati a essere prudenti come serpenti. Ma questo serpente, mosso dal diavolo, era senza dubbio piú astuto di qualsiasi altro. Infatti Satana, benché abbia perso la santità, conserva la sagacia di un angelo ed è ingegnoso nel commettere il male. Egli sapeva che gli sarebbe convenuto servirsi del serpente: per raggiungere i suoi scopi, niente è piú utile al diavolo del suo ingegno malsano. Non siamo in grado di dire che cosa pensasse Eva di questo serpente. Forse nemmeno lei stessa riusciva a farsene un’opinione. All’inizio avrà forse pensato a un angelo buono, poi avrà sospettato che ci fosse qualcosa che non andava. È degno di nota il fatto che molti pagani idolatri adorino il diavolo sotto le sembianze di un serpente, confessando la loro adesione a quello spirito di apostasia e indossando i suoi colori.
II. A essere tentata fu la donna, mentre si trovava sola, lontana dallo sposo, ma vicina all’albero proibito. Si noti l’astuta tattica del diavolo; egli infatti:
1. Incomincia col sedurre il vaso piú delicato con l’arma della tentazione. Per quanto perfetta nel suo genere, tuttavia è lecito pensare che Eva fosse inferiore ad Adamo quanto a conoscenza, forza e presenza di spirito. C’è chi pensa che Eva avesse avuto la proibizione non direttamente da Dio, ma “di seconda mano” da suo marito, e perciò fosse piú facile convincerla a non dar peso al divieto.
2. Attacca discorso con lei quando è sola. Se Eva si fosse trovata in compagnia dell’uomo, dal cui fianco era stata tratta, non si sarebbe trovata cosí esposta. Ci sono molte tentazioni grandemente favorite dalla solitudine, ma la comunione dei santi contribuisce notevolmente a dar forza e sicurezza.
3. Approfitta del fatto di averla trovata vicino all’albero proibito, forse con lo sguardo fisso sul suo frutto, probabilmente solo per curiosità. Chi non vuole mangiare il frutto proibito non dovrebbe neanche avvicinarsi all’albero proibito: «Schivala, non passare per essa» (Pr 4:15).
4. Satana tenta Eva per poi tentare Adamo per mezzo di lei. Cosí pure tentò Giobbe mediante sua moglie, e Cristo per mezzo di Pietro. Fa parte della sua tattica presentare la tentazione per mezzo di mani non sospette, e tramite chi ha piú credito e influenza su noi.
III. Il tentatore usa la tattica della mistificazione. Spesso nelle Scritture si parla del pericolo che corriamo a causa delle tentazioni di Satana, dei suoi raggiri (2 Co 2:11), delle sue profondità (Ap 2:24), delle sue insidie (Ef 6:11). A questo proposito gli esempi di maggior rilevanza sono quelli in cui egli tenta i due Adami, riportati in questo capitolo e in Matteo 4. Qui Satana ha prevalso, ma nell’altro caso il suo tentativo andrà a vuoto. Qualunque cosa abbia detto a loro - sui quali peraltro non poteva far presa, per l’assenza di corruzione in essi - egli parla in noi attraverso i nostri cuori fallaci e carnali. Perciò i suoi assalti sono meno riconoscibili, ma non per questo meno pericolosi. Lo scopo del diavolo era convincere Eva a cogliere il frutto proibito e a questo scopo egli usò lo stesso sistema di cui si serve ancor oggi: insinuò il dubbio che quell’azione non fosse in realtà un peccato (v. 1). Egli negò che il frutto rappresentasse un pericolo (v. 4); anzi suggerí che se ne poteva trarre un gran beneficio (v. 5). E tali sono le argomentazioni tipiche di Satana.
1. Egli mise in dubbio che fosse peccato mangiare il frutto dell’albero e che il frutto stesso fosse proibito.
(a) Egli disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiarne?». La prima parola, nell’introdurre l’argomento, sembra rinviare a qualcosa di già detto prima, forse a un parlottare fra sé di Eva. Satana lo colse al volo per “innestarvi” questa sua domanda. A volte i nostri pensieri si susseguono l’uno all’altro senza un nesso apparente, fino a condurci, forse, a qualcosa di male. Si noti che: [1] Satana non scopre subito le sue carte, ma pone una domanda apparentemente innocente: «Ascolta, mi è parso di sentire una notizia, te ne chiedo conferma: è vero che Dio ti ha proibito di mangiare il frutto di quest’albero?». È cosí che Satana attacca discorso, inducendo Eva a parlare. Chi vuole stare al sicuro deve essere guardingo, evitando di discutere con il tentatore. [2] Egli cita il comando divino in maniera distorta, come se fosse una proibizione non solo di quell’albero, ma di tutti. Dio aveva detto: Potete mangiare da ogni albero, tranne che da uno solo. Satana, per far pesare maggiormente il divieto, cerca di invalidare la concessione: Come, Dio ha detto di non mangiare da nessun albero? La legge divina non può essere criticata se non viene prima travisata. [3] Sembra parlare di questo con ironia, quasi rimproverando alla donna la sua ritrosia nel toccare l’albero. È come se dicesse: «Ma come sei ligia e scrupolosa, solo perché Dio ti ha detto: Non dovete mangiarne». Il diavolo è tanto bugiardo quanto beffeggiatore, sin dal principio: e gli schernitori, allora come oggi, sono suoi figli. [4] Col suo primo attacco egli mira a farle smarrire il senso dell’obbligatorietà del comando divino: «Siete sicuramente in errore, Dio non può certo tenervi lontani da quest’albero: non farebbe mai una cosa cosí irragionevole». Osserviamo l’astuzia tipica di Satana: far sembrare incerta o irrazionale la legge divina per indurre le persone a trasgredirla. Per contro, è saggio da parte nostra mantenere intatta una fede ferma e un alto rispetto per il comando di Dio. Egli non ha forse detto: «Non mentire, non nominare il nome di Dio invano, non ubriacarti», e cosí via? «Sí, sono sicuro che è proprio cosí; sono cose ben dette, a cui, per sua grazia, tengo fede, per quanto il tentatore possa suggerire il contrario».
(b) In risposta alla domanda del tentatore, la donna fa un resoconto schietto e accurato della legge alla quale lei e Adamo sono vincolati (vv. 2, 3). Qui si può rilevare che: [1] È segno di debolezza da parte di Eva attaccare discorso con il serpente. Avrebbe potuto intuire dal tipo di domanda che egli non aveva buone intenzioni. Perciò avrebbe potuto tirarsi indietro con un «Vattene via da me, Satana, tu mi offendi». Ma la curiosità, forse la sorpresa nel sentir parlare un serpente, la indusse a proseguire la conversazione. È pericoloso intrattenersi con una tentazione, si dovrebbe respingerla subito con sdegno e ripugnanza: la guarnigione che chiede di parlamentare non è lontana dalla resa. Chi vuole stare al riparo dal male deve pure stare lontano dalle sue vie (Pr 14:7; 19:27). [2] Sarebbe stato saggio da parte di Eva mettere l’accento sulla libertà che Dio aveva concesso loro, in risposta alla maliziosa insinuazione del serpente, secondo cui Dio li aveva posti nel paradiso solo per far loro soffrire il supplizio di Tantalo alla vista di frutti cosí belli e invitanti, ma proibiti. «Ma certo - poteva dire - possiamo mangiare il frutto degli alberi grazie al nostro Creatore: ne abbiamo a disposizione una grande abbondanza e varietà». Per evitare di sentirci a disagio con le restrizioni imposte dalla religione, è bene volgere spesso lo sguardo alle libertà e alle consolazioni che essa ci offre. [3] È un indizio della sua risolutezza l’essere ligia al comando e ribadirlo fedelmente, mostrando che per lei era una certezza indiscutibile: «Dio ha detto - e ne sono assolutamente sicura - non mangerete del frutto di quest’albero», e quel che Eva aggiunge - né dovrete toccarlo - pare lo abbia fatto con la migliore intenzione, non (come pensano alcuni) perché tacitamente rimuginasse sull’eccessiva severità del comando (Non toccarlo, non assaggiare, non maneggiare, Cl 2:21), ma solo per mettervi intorno una barriera: «Non dobbiamo mangiarlo, perciò nemmeno dobbiamo toccarlo. È assolutamente vietato e l’autorità della proibizione è per noi sacra. » [4] Eva sembra un po’ esitante circa le minacce, e non è cosí minuziosa e fedele nel ripeterle come aveva fatto per il comando. Dio aveva detto: Nel giorno in cui lo mangerai certamente morrai, ma lei tiene conto solo di: altrimenti morirete. Osserva che la fede titubante e le decisioni esitanti danno al tentatore molti punti di vantaggio.
2. Satana nega che ci sia qualche pericolo insistendo che, anche se avessero trasgredito l’ordine di Dio, non sarebbero incorsi in nessuna sanzione: «No, non morirete affatto» (v. 4) afferma, in diretta contraddizione con quanto Dio aveva detto. Oppure:
(a) «Non è sicuro che voi morirete (cosí leggono altri). Non è poi cosí certo come pensate voi». Cosí Satana cerca di far traballare ciò che non può rovesciare, e nega la forza delle minacce divine, mettendo in dubbio la certezza di Adamo ed Eva. E, una volta innescato il sospetto di una possibile falsità o inganno in una qualsiasi parola di Dio, si apre la porta all’infedeltà piú esplicita. Satana insegna agli uomini prima a dubitare e poi a negare: prima li rende scettici per farli scivolare gradatamente verso l’ateismo.
(b) «È certo che non morirete», cosí leggono altri. Per sostenere questa sua contraddizione alla legge divina, Satana capovolge la stessa frase che Dio aveva usato esplicitamente per ratificare le minacce. Egli comincia con il mettere in dubbio il comando in questione (v. 1); poi, vedendo che la donna intende conformarvisi, abbandona l’argomento e ritorna alla carica mettendo in dubbio le minacce divine, lí dove percepisce l’insicurezza di Eva. Satana, infatti, sta sempre all’erta, spiando tutte le occasioni favorevoli, pronto a sfondare il muro nel punto piú debole. Di sicuro non morirete: questo era falso, una bugia bell’e buona, per parecchie ragioni: [1] Era contraria alla parola di Dio, che riconosciamo assolutamente vera (1 Gv 2:27). Poiché si trattava di menzogna, non poteva essere attribuita a Dio stesso. [2] Era contraria a quanto Satana stesso ben conosceva. Quando Satana disse loro che non c’era alcun pericolo nella disubbidienza e nella ribellione, diceva qualcosa che, per sua dolorosa esperienza, sapeva essere falso. Egli stesso aveva infranto la legge della creazione di Dio, scoprendo a sue spese le tragiche conseguenze della ribellione; ciononostante afferma, rivolto ai nostri progenitori, che non moriranno. Nasconde cosí la sua sventura, pur di trascinarli in una condizione pari alla sua. È questo il modo in cui ancor oggi Satana inganna i peccatori, per portarli alla rovina. Dice loro che, anche se dovessero peccare, non moriranno. E in ciò riscuote piú credito di Dio stesso che invece afferma: Il salario del peccato è la morte. La speranza dell’impunità fa da solido puntello a ogni iniquità e mancanza di ravvedimento. «Avrò pace, anche se camminerò secondo la caparbietà del mio cuore» (De 29:18).
3. Promette che ne trarranno vantaggio (v. 5), e prosegue il suo attacco, un attacco alle radici, un colpo fatale al tronco dell’albero di cui noi, discendenti, siamo i rami. Non solo dà assicurazione che non ci rimetteranno niente, impegnandosi cosí a salvarli da ogni danno; ma (se mai fossero cosí insensati da fidarsi di uno che era andato lui stesso in bancarotta) li assicura che ci guadagneranno, che ne trarranno un enorme vantaggio. Satana non sarebbe riuscito a convincerli di rischiare una possibile rovina, se non avesse suggerito un molto probabile miglioramento della loro condizione.
(a) Satana insinua in loro che avranno grandi miglioramenti mangiando questo frutto. E adatta la tentazione allo stato di purezza in cui Adamo ed Eva si trovavano allora, proponendo non qualche piacere carnale o gratificazioni materiali, ma soddisfazioni puramente intellettuali. Questa fu l’esca che mise al suo amo: [1] «I vostri occhi si apriranno: avrete ancor piú potere e piacere nella contemplazione di quanto ne avete ora; il vostro orizzonte intellettuale si amplierà e vedrete, in confronto a oggi, piú a fondo nelle cose». Parlava come se in quel momento essi fossero di vista debole o appannata, facendo loro balenare quel che sarebbero potuti diventare. [2] «Sarete come dèi, come Elohim, dèi potenti: non solo onniscienti, ma anche onnipotenti». Ovvero: «Sarete come Dio stesso, uguali a lui, suoi rivali. Sarete sovrani e non piú sudditi, autosufficienti e non piú dipendenti». Non c’è suggerimento piú assurdo! Come se fosse possibile, per delle creature nate ieri, diventare simili al loro Creatore, che è dall’eternità. [3] «Conoscerete il bene e il male, cioè ogni cosa che è desiderabile conoscere». Per dar credito a questa parte della tentazione, Satana fa cattivo uso del nome dato a quest’albero. Esso era inteso a dare una conoscenza pratica del bene e del male, cioè a far sperimentare la differenza tra ubbidienza e disubbidienza, felicità ed infelicità. In questo senso, il nome dell’albero era un chiaro avvertimento a non mangiarne il frutto. Satana però ne perverte il senso e lo distorce a loro danno, dando ad intendere che quest’albero avrebbe dato una conoscenza speculativa e astratta della natura delle cose, della loro varietà, degli elementi originari della realtà. [4] E tutto questo subito: «Nel giorno che ne mangerete avverrà in voi un improvviso e immediato cambiamento in meglio». Con tutte queste insinuazioni egli ora mira a generare in loro: Primo, il malcontento per la loro condizione attuale, come se non fosse la migliore possibile. Notiamo che nessuna condizione porta contentezza di per se stessa, se la nostra mente non la reputa soddisfacente. Evidentemente per Adamo il paradiso non era ancora abbastanza, come per gli angeli decaduti la loro condizione originaria (Gd 6). Secondo, la sete di potere, come se Adamo ed Eva fossero idonei a diventare dèi. Satana si è rovinato quando ha voluto diventare come l’Altissimo (Is 14:14); perciò ora cerca di contaminare i nostri progenitori con la stessa ambizione, affinché subiscano la sua stessa rovina.
(b) Egli insinua che Dio non ha di mira il loro bene nel proibire loro questo frutto. «Dio sa bene il livello che potreste raggiungere; ecco perché ve lo ha proibito, per invidia e malanimo nei vostri confronti». Come se Dio non permettesse loro di mangiare il frutto dell’albero per paura che diventino consapevoli delle proprie potenzialità e non si accontentino piú di rimanere in stato d’inferiorità, perché ormai in grado di rivaleggiare con lui. Oppure, come se Dio non vedesse di buon occhio il loro progresso e temesse che, mangiando il frutto dell’albero, gli avrebbero sottratto onore e felicità. Ebbene: [1] Questo era un grande affronto a Dio, l’insinuazione piú indegna che si potesse fare, come se egli avesse paura delle proprie creature. Ma, ancor peggio, era un affronto alla sua bontà, quasi che egli odiasse l’opera delle sue stesse mani e non volesse la felicità delle sue creature. Come è possibile travisare a tal punto il carattere e le intenzioni di Dio? Egli non ha mai agito cosí. Satana, che è l’accusatore dei fratelli davanti a Dio (Ap 12:10), è anche l’accusatore di Dio davanti agli uomini. Egli semina discordia ed è il padre di tutti quelli che si comportano in questo modo. [2] Questa era la trappola piú pericolosa per i nostri progenitori, allo scopo di distogliere il loro affetto da Dio e farli recedere dall’alleanza con lui. E ancor oggi il diavolo attira molti dalla sua parte, insinuando cattivi pensieri su Dio e prospettando falsi benefici ed opportunità raggiungibili attraverso il peccato. Che si possa invece, contrariamente a Satana, pensare sempre bene di Dio come del bene migliore e pensare male del peccato come del peggiore dei mali: resistiamo dunque al diavolo ed egli fuggirà lontano da noi.
3:6-8
Qui vediamo come si conclude la discussione tra Eva e il tentatore. Satana alla fine ha la meglio e la fortezza è conquistata d’astuzia. Dio aveva messo alla prova l’ubbidienza dei nostri progenitori proibendo loro l’albero della conoscenza; Satana li induce a mettere in discussione l’operato di Dio e a dubitare di lui, e cosí li convince a trasgredire. Vediamo che egli ha prevalso, ma solo perché Dio lo ha permesso per i suoi saggi e santi scopi. Vediamo con quali lusinghe essi furono indotti alla trasgressione. La donna, ingannata dalle manovre e dagli artifici del tentatore, fu a capo della rivolta (1 Ti 2:14). Fu lei la prima a cadere, a causa delle sue personali considerazioni o, piuttosto, delle sue mancate considerazioni.
I. Eva non vedeva niente di male in quest’albero, non piú che negli altri. Si è già detto che tutti gli altri alberi da frutta piantati nel giardino di Eden erano piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi (Ge 2:9). Ora, ai suoi occhi, quest’albero non era diverso dagli altri. Sembrava buono per nutrirsi come qualsiasi altro, né le pareva di scorgere nel colore dei suoi frutti alcuna minaccia di morte o un qualche pericolo: era piacevole alla vista come tutti gli altri. Perciò, «che male potrebbe farci? Perché proprio questo dovrebbe essere proibito e non un altro?». Quando si giunge a pensare che nel frutto proibito non vi sia male alcuno, non piú che negli altri frutti, il peccato è già alla porta e Satana sta per vincere la partita. Anzi, forse a Eva quel frutto sembrava migliore degli altri, piú gradevole al palato e piú nutriente, cosí come ai suoi occhi risultava piú attraente di ogni altro frutto. Anche noi spesso siamo tratti in inganno dalle lusinghe di desideri disordinati, pur di soddisfare i nostri sensi. Ma anche se non fosse stato piú invitante degli altri, il semplice fatto che era stato proibito lo rendeva il piú concupito. Che fosse o non fosse cosí per Eva, fatto sta che in noi (cioè nella nostra carne, nella nostra natura corrotta) alberga uno strano spirito di contraddizione: Nitimur in vetitum - desideriamo ciò che è proibito.
II. Eva immaginava che ci fossero piú pregi in quest’albero che non negli altri, che non solo fosse un albero del quale non avere alcun timore, ma anzi da desiderare per acquisire sapienza, perché da questo punto di vista superava di gran lunga tutti gli altri. Eva si fece questa opinione dell’albero, percependolo e giudicandolo in base a quello che le aveva suggerito il diavolo. C’è chi pensa che essa vide il serpente mangiare il frutto dell’albero e che questi le dicesse che proprio grazie a quell’albero aveva acquisito le facoltà della parola e della ragione: da ciò Eva arguí che l’albero aveva il potere di rendere sapienti, e fu indotta a pensare: «Se ha reso razionale una bestia, perché non può rendere divina una creatura razionale?». Notiamo che la brama di conoscenze non indispensabili, camuffate da sapienza, si rivela dannosa e distruttiva per tanti. I nostri progenitori, che pure sapevano tante cose, proprio questo non avevano capito: che sapevano a sufficienza. Cristo è l’albero che dovremmo desiderare per acquisire sapienza (Cl 2:3; 1 Co 1:30). Nutriamoci per fede di lui, per essere sapienti in ciò che concerne la salvezza. Nel paradiso celeste, l’albero della conoscenza non sarà un albero proibito. Perciò lassú conosceremo come siamo stati conosciuti. Il nostro anelito sia dunque per quel luogo. E, nel frattempo, non esercitiamoci in cose troppo elevate o profonde per noi, e non sforziamoci di essere saggi oltre quanto è scritto. I passi della trasgressione non sono passi verso l’alto, ma verso il basso, verso la fossa, passi che portano dritto all’inferno. Ecco le tappe che condussero Eva a peccare:
1. Eva vide. Essa avrebbe dovuto stornare la propria attenzione per non farsi prendere dalla vanità. Invece cadde in tentazione soffermandosi a guardare con voluttà il frutto proibito. Un gran numero di peccati si affaccia a noi attraverso gli occhi: è attraverso questa finestra che Satana scaglia i suoi dardi infocati che penetrano nel cuore avvelenandolo. Attraverso l’occhio il male giunge al cuore, provocando senso di colpa e malcontento. Perciò, seguendo l’esempio di Giobbe, facciamo un patto con i nostri occhi, affinché lo sguardo non si fissi su ciò che ci può indurre in concupiscenza (Pr 23:31; Mt 5:28). Che il timore di Dio ci faccia sempre da velo davanti agli occhi (Ge 20:16).
2. Eva prese. Fu lei ad agire cosí, fu una sua azione. Non fu il diavolo a prendere il frutto e a metterglielo in bocca, come se lei fosse titubante a farlo;fu proprio lei a cogliere il frutto. Satana può sí tentare, ma non può forzare, ci può convincere a buttarci giú, ma non può gettarci lui stesso (Mt 4:6). L’atto di cogliere il frutto fu da parte di Eva un vero e proprio furto, come per Acan quando prese dell’interdetto (Gs 7:1), sottraendo quanto non gli apparteneva. Questo è però certo: Eva prese il frutto con mano tremante.
3. Eva mangiò. Forse, quando lo stava guardando, non intendeva prenderlo né mangiarlo. Dopo che l’ebbe colto, comunque, questo fu il risultato finale. Notiamo che la via del peccato è tutta in discesa: non ci si può piú fermare, per quanto lo si voglia. Il suo inizio è come lo scaturire dell’acqua da una sorgente, cui è davvero arduo dire: «Continua a sgorgare fino a quando te lo dico io, poi basta». È perciò prudente da parte nostra sopprimere le prime emozioni causate dal peccato, abbandonandole prima di esserne invischiati: Obsta principiis - Stronca dall’inizio il germe del peccato.
4. Eva ne diede anche a suo marito. È probabile che Adamo non fosse con Eva quando questa fu tentata (sicuramente, in questo caso, si sarebbe frapposto per prevenire il peccato), ma che sopraggiungesse quando ormai lei aveva mangiato il frutto. Cosí non fu difficile per Eva convincere Adamo a mangiarne anche lui. Infatti è piú facile insegnare il male che il bene. Eva diede il frutto ad Adamo, persuadendolo con le stesse argomentazioni che il serpente aveva usato con lei. A queste poi aggiunse il dato di fatto che lei stessa lo aveva mangiato e non lo aveva affatto trovato mortale, ma anzi estremamente piacevole e gradevole: l’acqua rubata è sempre dolce. Lei diede il frutto allo sposo, con tutta la parvenza della cortesia (non si sarebbe mai permessa di assaggiarlo solo lei); fu invece la piú grande scortesia che gli avrebbe mai potuto fare. O, forse, può darsi che gliel’abbia dato per condividere con lui l’infelice destino, nel caso che il frutto si fosse dimostrato dannoso. Questo però apparirebbe un’azione davvero meschina. In ogni caso, è veramente difficile entrare nel cuore di chi ha mangiato il frutto proibito. Ma molto spesso chi ha commesso il male è portato volontariamente a indurre altri a fare la stessa cosa. Come aveva fatto il diavolo, cosí fece Eva, che da quel momento non fu solo una peccatrice ma anche una tentatrice.
5. Adamo mangiò, cedendo all’insistenza della moglie. È superflua la domanda: «Quali sarebbero state le conseguenze se a disubbidire fosse stata Eva soltanto?». La saggezza di Dio, ne siamo certi, avrebbe risolto questa difficoltà secondo giustizia. Ma, purtroppo, anch’egli mangiò il frutto. «Ma che cosa ha fatto Adamo di cosí grave?» potrebbe chiedersi qualcuno che ragioni in modo vano e carnale. Si tratta in realtà di un’azione molto riprovevole, perché implica sfiducia nella parola di Dio e, allo stesso tempo, fiducia in quella del diavolo. E poi, scontentezza per la sua situazione attuale, orgoglio per i propri meriti, ambizione di un onore non proveniente da Dio, invidia della Sua perfezione e, infine, indulgenza agli appetiti del corpo. Nel trascurare l’albero della vita il cui frutto gli era permesso, e nel mangiare quello dell’albero della conoscenza che invece gli era proibito, Adamo mostrò un aperto disprezzo del favore concessogli da Dio e una preferenza per quelle cose che Dio non reputava adatte a lui. Adamo avrebbe voluto essere artefice e maestro di se stesso; gli sarebbe piaciuto ottenere ciò che era di suo gradimento e fare di testa sua: il suo peccato era, in una parola, la disubbidienza (Ro 5:19). Era disubbidienza a un chiaro, semplice ed esplicito comando, la cui funzione, come forse egli ben sapeva, era di metterlo alla prova. Egli peccò contro la grande conoscenza, contro i tanti doni del cielo, contro la luce e l’amore, la luce piú chiara e l’amore piú affettuoso contro cui mai peccatore peccò. Né c’era in lui una qualche natura corrotta che lo potesse fuorviare. Anzi era dotato di libera volontà, non forzata, ed era nelle sue piene capacità, non certo indebolito o menomato; tuttavia abbandonò tutte queste sue prerogative all’istante. C’è chi pensa che sia caduto nel giorno stesso in cui fu creato, ma non si vede come ciò possa conciliarsi con le parole di Dio alla fine di quello stesso giorno: tutto era molto buono. Altri pensano che sia caduto il giorno di sabato, il giorno migliore per l’avvenimento peggiore. In ogni caso, ciò che sembra certo è che Adamo mantenne la sua integrità per poco tempo. Pur essendo in grande onore, non vi rimase a lungo. Ma ciò che aggravò ancor piú la sua colpa fu che egli coinvolse tutta la sua discendenza nel peccato e nella conseguente rovina. Siccome Dio gli aveva detto che la sua discendenza avrebbe riempito la terra, egli non ignorava di essere là come “pubblico rappresentante”, e che la sua disubbidienza sarebbe stata fatale per tutto il genere umano. Quindi la sua fu, senza dubbio, la piú grande slealtà e la peggiore atrocità mai commessa. Essendo infatti la natura umana pienamente “insediata” nei nostri progenitori, da quel momento in poi non poteva che essere trasmessa ai discendenti privata dei suoi diritti originari. E tutto questo a causa della loro colpa: una macchia di disonore, una “malattia ereditaria” dovuta al peccato e alla corruzione. Come possiamo ancora sostenere che il peccato di Adamo sia stato solo un male di poca portata?
III. Le conseguenze della trasgressione. Vergogna e paura assalirono immediatamente - ipso facto - i due criminali: esse entrarono nel mondo assieme al peccato e tuttora lo accompagnano.
1. La vergogna li invase (v. 7). Si noti:
(a) Il profondo senso di colpa che li assalí: Si aprirono gli occhi ad entrambi. Non certo gli occhi del corpo (che erano già aperti, come appare evidente, dato che il peccato si era fatto strada attraverso la vista). Gli occhi di Gionatan si illuminarono quando egli mangiò il cibo proibito (1 S 14:27) e la sua vista fu rischiarata; ma non fu cosí per Adamo ed Eva. Né ciò sta ad indicare un qualche progresso nella vera conoscenza. Ad aprirsi furono gli occhi della loro coscienza, mentre i loro cuori cominciarono a battere forsennatamente per quello che avevano fatto. Troppo tardi Adamo ed Eva compresero la follia di aver mangiato il frutto proibito: videro la loro felicità svanire e si resero conto della condizione miserabile in cui erano precipitati. Videro il loro amorevole Dio irritato; la sua grazia e il suo favore venir meno. Si accorsero che non erano piú a sua immagine e somiglianza e videro svanire il loro dominio sulle creature.Divennero consapevoli della loro natura corrotta e sentirono un disagio interiore mai provato prima. Sentirono una legge nelle loro membra che guerreggiava contro la legge delle loro menti, entrambe assoggettate al peccato e all’ira. Videro, come Balaam quando gli si aprirono gli occhi (Nu 22:31), l’angelo del Signore che stava sulla strada con la spada sguainata, e forse scorsero il serpente che li aveva sedotti schernirli. Il testo ci dice che essi si accorsero di essere nudi. Ecco alcune considerazioni in merito:[1] Essi furono spogliati di tutti gli onori e le gioie della loro condizione paradisiaca, ed esposti a tutta la sventura che ci si può giustamente aspettare da un Dio irato. Essi erano inermi: avevano perso ogni protezione e difesa. [2] Essi furono disonorati, svergognati per sempre davanti a Dio e agli angeli. Si videro spogliati di tutte le loro decorazioni e insegne onorifiche, degradati dal loro stato di dignità e disonorati al massimo grado, esposti alla berlina e dati in pasto al disprezzo del cielo, della terra e della loro coscienza. Possiamo notare: Primo, quale disonore e turbamento provochi il peccato. Esso è fonte di discordia là dove è tollerato, mette gli uomini l’uno contro l’altro, perturba la loro pace e distrugge il loro benessere. Prima o poi tutti i peccatori proveranno vergogna: o quella derivante da un vero ravvedimento che conduce alla salvezza e alla gloria; o la vergogna e l’onta eterna con cui i malvagi risusciteranno il giorno del giudizio. Il peccato è un’onta per chiunque. Secondo, che grande mistificatore è Satana. Egli aveva assicurato ai nostri progenitori che i loro occhi si sarebbero aperti, e cosí fu: ma non nel senso che essi intendevano.I loro occhi si aprirono alla vergogna e all’angoscia, non all’onore né al progresso. Perciò, quando Satana ci lusinga con belle parole, non diamogli retta. Alcuni peccatori ipocriti cercano furbescamente di giustificarsi adducendo la scusante che sono stati tratti in inganno: ma non è certo una scusa valida davanti a Dio.
(b) Il misero sotterfugio cui Adamo ed Eva ricorsero per sfuggire alla condanna: unirono - intrecciarono - delle foglie di fico; e per coprire almeno parte della loro vergogna l’uno nei confronti dell’altro, se ne fecero delle cinture. Qui si può vedere la tipica stoltezza di chi ha commesso un peccato. [1] Essi sono piú preoccupati di salvare la faccia di fronte agli uomini che di farsi perdonare da Dio. Esitano a confessare il loro peccato e, per quanto possibile, vogliono nasconderlo. «Avrò pure peccato, ma onorami lo stesso» diceva Saul (1 S 15:30). [2] Le scuse addotte dagli uomini per coprire e attenuare i loro peccati sono inutili e frivole. Come nel caso delle cinture o delle foglie di fico, non migliorano la situazione, anzi la peggiorano. La vergogna, nascosta in modo cosí maldestro, diventa ancor piú evidente. E tuttavia anche noi, come Adamo ed Eva, siamo sempre tanto inclini a coprire le nostre trasgressioni (Gb 31:33).
2. La paura li attanagliò immediatamente, dopo che ebbero mangiato il frutto proibito (v. 8). Si noti:
(a) La causa della loro paura: essi udirono la voce di Dio il Signore, il quale camminava nel giardino sul far della sera. Fu l’avvicinarsi del Giudice a incutere loro paura. Eppure, il modo con cui venne loro incontro poteva spaventare solo chi avesse avuto la coscienza sporca. Si suppone che Dio si presentasse loro in forma umana e che Colui che giudicò l’umanità di allora sarà lo stesso che la chiamerà in giudizio l’ultimo giorno: sarà proprio quell’uomo che Dio ha incaricato. Egli apparve loro in quella circostanza (cosí parrebbe) sotto le stesse sembianze con cui l’avevano visto quando li aveva insediati nel paradiso terrestre. Infatti egli venne loro incontro per convincerli a umiliarsi, non per sorprenderli e terrorizzarli. Non venne nel giardino piombando improvvisamente dal cielo, come avvenne in seguito sul monte Sinai (ammantato di spesse tenebre o su un carro fiammeggiante). Al contrario, fece il suo ingresso nel giardino come chi volesse continuare a rimanere loro amico. Venne camminando, non correndo, non volteggiando; ma, deliberatamente con il suo passo abituale, come chi è lento all’ira. Questo ci deve insegnare che, anche quando ci sentiamo provocati, non dobbiamo mai perdere la calma o essere impulsivi, ma dobbiamo parlare e agire soppesando ogni cosa, senza precipitazione. Dio si presentò all’imbrunire, non di notte, quando ogni paura è doppiamente tale, né in pieno giorno, perché non venne al colmo dell’ira. Nessuna ira è in Lui (Is 27:4). Né sopraggiunse di colpo. Infatti essi udirono la sua voce preannunciare a una certa distanza la sua presenza. Probabilmente, era pure una voce sommessa, come quando Dio si rivolse a Elia. C’è chi pensa che essi lo udirono mentre parlava tra sé del peccato di Adamo, e dell’eventuale pena da comminargli, forse cosí come fece nei confronti d’Israele (Os 11:8, 9): Come farei a lasciarti? O, piuttosto, sentirono che li chiamava mentre si avvicinava.
(b) Il risultato della loro paura: Si nascosero dalla presenza di Dio il Signore. Che triste cambiamento! Prima della caduta, all’udire la voce del loro Signore che si avvicinava, erano pronti a corrergli incontro e a dare il benvenuto alla sua benevola visita con umile gioia. Ma ora la situazione era completamente cambiata, Dio era diventato per loro occasione di sgomento; non v’è quindi da stupirsi che avessero paura e fossero pieni di confusione. Era la loro coscienza che li accusava, mostrando loro il peccato nei suoi giusti contorni. Neppure le foglie di fico furono di qualche efficacia. Dio era venuto verso di loro come nemico, tutta la creazione era in guerra contro di loro e non c’era nemmeno un mediatore fra loro e un Dio cosí sdegnato: non rimaneva altro che attendere con sgomento il giudizio ormai certo. Presi dal terrore, essi si nascosero tra i cespugli. Dopo aver commesso la trasgressione, fuggirono per la paura. Ben consci della propria colpevolezza, non osarono sottostare al giudizio:cosí si nascosero cercando di sfuggire alla giustizia. Qui si può rilevare: [1] La falsità del tentatore, le frodi e gli inganni delle sue tentazioni. Egli aveva promesso che sarebbero stati al sicuro, ma ora non lo sono affatto. Aveva garantito che non sarebbero morti, ma ora sono costretti a fuggire per salvare la vita. Aveva promesso che avrebbero fatto progressi, ma ora si trovano a indietreggiare. Aveva assicurato che avrebbero acquisito conoscenza, ma ora si vedono confusi e non sanno neppure dove nascondersi. Aveva promesso che sarebbero diventati come dèi, grandi, baldanzosi e audaci, ma ora sono come criminali colti sul fatto, tremanti, pallidi e ansiosi solo di scappare. Non volevano essere sudditi e si ritrovano ora prigionieri. [2] La follia dei peccatori quando pensano che sia possibile, o desiderabile, nascondersi da Dio. Ma come possono nascondersi dal Padre della luce? (Sl 139; Gr 23:24). Se si allontanano dalla sorgente della luce, chi mai potrà offrir loro aiuto e felicità? (Gn 2:8). [3] La paura che segue al peccato. Tutta la sorpresa frammista a paura ogniqualvolta Dio appare, la coscienza che accusa, l’insorgere dei problemi, le creature inferiori pronte ad aggredire, l’avvicinarsi inevitabile della morte, tutti fatti comuni tra gli uomini, sono l’effetto del peccato. Adamo ed Eva, compagni nel peccato, condividono l’onta e la paura che ne derivano. E, per quanto mano nella mano (quelle mani che si erano unite nel matrimonio), tuttavia non riescono a farsi animo né a rafforzarsi l’un l’altro. Che miserabili consolatori sono diventati l’uno per l’altra!
3:9, 10
Abbiamo qui l’atto di accusa contro questi “imputati”, al cospetto del giusto Giudice del cielo e della terra. Per quanto non sia tenuto a osservare delle formalità, tuttavia Dio procede nei loro confronti con tutta l’equità possibile, in modo che non gli si possa rimproverare niente quando avrà parlato. Notiamo:
I. La domanda a sorpresa con cui Dio interpella e blocca Adamo: Dove sei? Non che Dio non sapesse dov’egli era, ma fu cosí che volle iniziare il “processo” contro di lui. «Ma dov’è quest’uomo cosí insensato?». Altri vedono nella domanda una sfumatura di compassione: «Povero Adamo, che ne è di te?». C’è chi la legge: «Povero te! Come sei caduto in basso, Lucifero, figlio del mattino! Tu che eri amico mio, il mio favorito, per cui ho fatto tanto, e tanto altro avrei fatto ancora, che hai combinato? Mi hai voltato le spalle e ti sei rovinato con le tue stesse mani! Come hai potuto arrivare a tanto?». È piú che altro una domanda fatta per aiutare Adamo a dichiararsi colpevole e a umiliarsi. Dove sei? non nel senso in quale posto? ma, in quale condizione? «È questo tutto quello che hai ottenuto mangiando il frutto proibito? Tu che hai voluto rivaleggiare con me, ora mi vuoi sfuggire?». Viene qui sottolineato che:
1. Coloro che si sono allontanati da Dio dovrebbero chiedersi seriamente dove sono finiti. Essi sono lontani mille miglia da ogni bene, accerchiati dai loro nemici, schiavi di Satana e sulla strada maestra che conduce alla completa rovina. La domanda di Dio ad Adamo può essere considerata un’inchiesta a fin di bene, un atto di sollecitudine nei suoi confronti, finalizzato al suo recupero. Se Dio non l’avesse chiamato per recuperarlo, la sua condizione sarebbe stata disperata come quella degli angeli decaduti. La pecora smarrita avrebbe vagato ininterrottamente se il buon Pastore non avesse preso l’iniziativa di cercarla per riportarla all’ovile. In questa ottica Dio ricordò ad Adamo dove egli era, dove non sarebbe dovuto essere, dove non avrebbe potuto trovare felicità né pace.
2. Se i peccatori si soffermassero a riflettere su dove sono, certo non vi rimarrebbero ma tornerebbero al Signore.
II. La trepidante risposta di Adamo: Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura (v. 10). Egli non ammette la sua colpa, ma è come se la confessasse con la sua vergogna e la sua paura. È una sciocca quanto diffusa abitudine di coloro che hanno commesso qualcosa di male, non riconoscere quello che è cosí evidente da non poter essere negato. Adamo aveva paura perché era nudo. Era inerme e per questo spaventato al solo pensiero di dover affrontare Dio; ma anche senza vestiti, e perciò in preda allo sgomento dovendo presentarsi a Dio in quelle condizioni. C’è di che aver timore, se ci avviciniamo a Dio senza essere rivestiti e cinti della giustizia di Cristo. Questa soltanto, infatti, è l’armatura impenetrabile che ci protegge dalla vergogna della nostra nudità. Perciò, indossiamo l’armatura di Gesú Cristo il Signore, e poi avviciniamoci a Dio con umiltà e senza paura.
3:11-13
Qui i trasgressori sono smascherati per loro stessa ammissione;tuttavia cercano ancora scusanti e attenuanti. Essi potrebbero non confessare ma respingere le accuse. Invece confessano, invocando però le attenuanti. Notiamo alcuni particolari interessanti:
I. Il modo in cui Dio estorce la loro confessione. Egli chiede ad Adamo: «Chi ti ha detto che eri nudo? (v. 11). Come hai fatto a capire che la tua nudità è qualcosa di cui vergognarti? Hai forse mangiato il frutto dell’albero proibito?». Sebbene Dio conosca ogni nostro peccato, tuttavia vuole che siamo noi a parlargliene e ci chiede una confessione sincera; non per essere messo al corrente, ma affinché noi possiamo umiliarci. Con questa domanda, Dio ricorda il comando dato ad Adamo: «Sono io che ti ho comandato di non mangiarne; io, il tuo Creatore, tuo Maestro, tuo benefattore te l’ho proibito». Il peccato sembra piú evidente e piú grave se osservato alla luce del comando divino. Perciò Dio mette Adamo di fronte al divieto precedente la caduta. E in questo comando anche noi dovremmo “rispecchiarci”. La domanda fatta alla donna fu invece: «Perché hai fatto questo? (v. 13). Vuoi anche tu riconoscere la tua colpa e farne piena confessione? E vuoi riconoscere quanto male hai fatto?». Tutti quelli che mangiano il frutto proibito - e specialmente chi istiga altri a fare la stessa cosa - dovrebbe meditare seriamente su quanto ha fatto. Mangiando il frutto proibito, abbiamo offeso un Dio grande e misericordioso, infranto una legge giusta e retta, violato un patto sacro e quanto mai solenne, e abbiamo fatto un grave torto alla nostra anima cosí preziosa, alienandole il favore di Dio ed esponendola alla sua ira. Nell’istigare altri a mangiarne, noi facciamo l’opera del diavolo, ci rendiamo colpevoli dei peccati altrui, nonché complici della loro rovina. Quindi, chiediamo a noi stessi davanti a Dio: «Perché abbiamo fatto questo?».
II. Il modo in cui Adamo ed Eva invocano le circostanze attenuanti per la loro colpa. Non aveva senso dichiararsi non colpevoli: il loro atteggiamento comprovava apertamente le accuse contro di loro, tanto che essi stessi diventarono i principali testi d’accusa di se stessi. «È vero, l’ho mangiato» dice l’uomo. «Anch’io» aggiunge la donna. Perciò Dio li sottopone al suo giudizio. Le loro confessioni non sembrano dovute a ravvedimento: infatti, invece di mettere in risalto il peccato e vergognarsene, essi lo scusano, cercando di far ricadere la colpa e il biasimo su altri.
1. Adamo dà tutta la colpa alla moglie. «È stata lei a darmi il frutto dell’albero, costringendomi a mangiarlo e io l’ho fatto solo per compiacerla». Questa, naturalmente, era una scusa quanto mai vana. Semmai, lui avrebbe dovuto insegnare a lei, non viceversa. E non era certo difficile stabilire a chi dei due Adamo avrebbe dovuto ubbidire, se a Dio o a sua moglie. Da qui si può trarre questo insegnamento: mai farsi trascinare in situazioni deprecabili che non offrono scampo; mai farsi scudo con autorizzazioni altrui che non verranno confermate in giudizio. Non facciamoci mai sopraffare da chi vuol spingerci ad agire contro coscienza. Non procuriamo dispiacere a Dio per compiacere un nostro amico, fosse anche il migliore al mondo. Ma non siamo ancora al peggio: Adamo non solo incolpa sua moglie, ma si esprime in modo tale da gettare tacitamente discredito su Dio stesso. «È stata la donna che tu mi hai dato, che mi hai procurato come compagna, guida e amica, è stata lei a darmi il frutto dell’albero, altrimenti non l’avrei mangiato». Cosí Adamo insinua il sospetto che Dio stesso sia responsabile della sua azione peccaminosa. È stato lui a dargli la donna e questa gli ha dato il frutto. È quasi come se Adamo lo avesse ricevuto dalla mano stessa di Dio. Vi è una strana tendenza in coloro che cadono in tentazione a ritenersi tentati da Dio: come se; quando essi usano male i doni di Dio, fosse colpa di chi ha fatto quei doni. Il Signore ci dà ricchezze, onori e affetti familiari, tali da permetterci di servirlo gioiosamente godendo di queste cose. Se poi le stesse cose sono per noi occasione di peccato, invece di accusare la provvidenza di averci messo in condizione di peccare, dovremmo incolpare noi stessi per aver pervertito i misericordiosi piani della provvidenza.
2. Eva scarica tutta la colpa sul serpente. Il serpente m’ha ingannata. Il peccato è come un cerino acceso che si ha fretta di passare a qualcun altro. Chi è incline a trarre soddisfazione dal peccato è altrettanto riluttante ad assumersene la responsabilità. «Il serpente, quella creatura astuta che tu hai creato, a cui hai permesso di entrare nel paradiso perché ci venisse incontro, proprio lui mi ha ingannato», cioè mi ha indotto in errore: Infatti tendiamo spesso a considerare i nostri peccati come semplici sbagli. Di qui si possono ricavare alcune lezioni:
(a) Le tentazioni di Satana sono tutte ingannatrici, le sue argomentazioni tutte false, le sue lusinghe tutte fraudolente: egli sa parlare molto bene, ma non bisogna credergli. Il peccato ci trae in inganno e, cosí facendo, ci truffa. È per la seduzione del peccato che il cuore si indurisce (Ro 7:11; Eb 3:13).
(b) Benché l’astuzia di Satana ci spinga al peccato, tuttavia non ci giustificherà quanto al peccato. Sebbene lui sia il tentatore, i peccatori siamo noi, ed è la nostra concupiscenza che ci attrae e seduce (Gm 1:14). Non cerchiamo quindi di minimizzare la nostra afflizione e umiliazione con la scusa che il peccato ci ha ingannato. Indigniamoci piuttosto contro noi stessi, e non lasciamoci ingannare da un famigerato truffatore, nostro nemico giurato. Sí, è questo che ogni imputato dovrebbe fare per non subire la condanna prevista dalla legge, invece di far passare tutto come se niente fosse. Per certi versi, minimizzare è peggio che negare.
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