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CHI GIUDICHERÀ GLI ANGELI - Angeli e demoni a confronto

foto non disponibile L'Autore Pierangelo Calvirani presenta la sua settima potente e istruttiva opera che è il risultato di una grandiosa ricerca su centinaia di opere divulgative di tutto lo scibile umano confrontate con la sapienza celeste della Bibbia. Si è specializzato nell'aprire al grande pubblico temi e argomenti di difficile accesso, poco conosciuti ma di grande attualità e rilevanza storica. Illumina tutti coloro che non vogliono cadere vittime della propaganda gracidante che offre illusioni, menzogne e morte. Le sue opere offrono una vera speranza!


RETROCOPERTINA

In diverse parti del pianeta un'incredibile serie di scoperte archeologiche ha portato alla luce reperti fossili tali da scuotere dalle fondamenta l'ipotesi evoluzionistica. Di cosa si tratta? Gli scavi archeologici nei vari continenti del mondo hanno fatto riemergere dal passato fossili di indubbia forma umana ma di dimensioni gigantesche.

    Esiste un passato raccontato da innumerevoli tradizioni, racconti, epopee, narrato dalle pietre di antiche sculture, da molti reperti fossili, un passato che emerge da centinaia di scoperte archeologiche, citato da moltissimi testi antichi, un passato di cui la Bibbia parla chiaramente. Ma incredibilmente questo passato viene ancora oggi censurato e definito come una favola e combattuto dalla cosidetta archeologia ufficiale.

    L'esistenza di una razza di giganti dotati di profonde conoscenze dei principi della fisica e della matematica spiega con grande chiarezza moltissimi misteri delle colossali costruzioni del passato, ma oggi si preferisce inventare ogni sorta di spiegazioni, anche le più assurde e fantasiose, piuttosto che considerare quelle che si mostrano come delle evidenze storiche. Questo é certamente inquietante oltre che inspiegabile.

   La recente pubblicazione del libro "Il cacciatore delle ossa dei Nefilim" del giornalista e ricercatore scientifico Armando Amari ha aggiunto un elemento importante al pensiero di coloro che credono che, in un tempo remoto, una razza di uomini giganteschi, alti fino a sette/otto metri e anche oltre, abbia abitato il pianeta Terra. In questa sua ultima opera Pierangelo Calvirani ha esaminato a fondo le testimonianze fossili presentate da Amari, al punto che questo suo nuovo libro può essere considerato un sequel de Il cacciatore delle ossa dei Nefilim.

    Ma la scoperta scientifica ancora più straordinaria presentata da Amari e giustamente ripresa ed enfatizzata da Calvirani riguarda l'identità dei padri biologici di questi giganti che la Bibbia chiama Nefilim, un'identità di natura genetica che esclude scientificamente un'origine terrestre. Si tratta di esseri extraterrestri di capacità super umane che non si sono estinti come i loro giganteschi figli, ma sono ancora oggi in vita e pienamente operanti nelle vicinanze della Terra.

    Secondo la Bibbia la loro natura è angelica, ma orientata al male e a danno del genere umano. La pericolosità di questi angelici extraterrestri è tale che non esistono armi umane per contrastare i loro piani criminali, ma solo l'Onnipotente Creatore è in grado di fermarli. Come e quando? La risposta è nelle pagine della Bibbia citate e commentate nel libro Chi giudicherà gli angeli? Angeli e demòni a confronto.


INDICE

Introduzione

L’analisi del massimo esperto sull’attuale crisi mondialee generale

Capitolo 1

Esistono gli angeli?

Capitolo 2

Presenze angeliche e manifestazioni demoniche

Capitolo 3

Un’antica presenza extraterrestre sulla Terra

Capitolo 4

Una verità terribile viene taciuta all’umanità

Capitolo 5

Un attacco demonico alla sovranità di Dio

Capitolo 6

La verità sui Nefilim

Capitolo 7

La trama demonica sull’umanità

Capitolo 8 

Le entità spirituali malvage confuse per extraterrestri

Capitolo 9

La fantascienza e il mito degli extraterrestri

Capitolo 10

Chi giudicherà gli angeli?

Capitolo 11

La clonazione dei Nefilim

Capitolo 12

Dove sono oggi Satana e i demòni?

Indice analitico

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IL LIBRO DI GIOBBE

RETROCOPERTINA

Il volumetto è il risultato della collaborazione di uno studioso dell'Antico Testamento e di uno specialista di letteratura tedesca dai profondi interessi biblici e teologici, mossi entrambi dalla convinzione che lo studio letterario del libro di Giobbe possa condurre a risultati teologici per altre vie difficilmente raggiungibili. L’analisi puntuale dei due autori mostra come il libro di Giobbe, opera di grande teologia, è al tempo stesso un testo poetico di prim'ordine, che per valore letterario non sfigura a fianco di creazioni immortali come il Prometeo di Eschilo, la Commedia di Dante, l'Amleto di Shakespeare o il Faust di Goethe. Nel libro di Giobbe quanto è più proprio della teologia del testo può essere colto soltanto quando se ne penetri il lato poetico, e d'altro canto la poesia del libro non può venire alla luce se non dopo che se ne sia afferrata la dimensione teologica. Questi sono i principi metodologici che mostrano la loro fecondità nell'esame meticoloso e sempre brillante dei due autori.

PREMESSA

Questo volumetto è il risultato di un seminario tenuto in comune da un vetero-testamentarista e da un germanista con interessi teologici nel semestre invernale 2004/2005 all'Università di Basilea. Il seminario fu possibile grazie alla deliberazione della locale Facoltà di Teologia di affidare quell'anno l'incarico a contratto a un non professionista della teologia. Punto di partenza del seminario era la convinzione del germanista che lo sguardo di un letterato sul libro di Giobbe potesse condurre a risultati teologici; base della collaborazione è stata la disponibilità del vetero-testamentarista ad affrontare questo rischio e mettere a disposizione le proprie conoscenze specifiche.
La pubblicazione rispecchia il contrario. Il saggio interpretativo è stato scritto dal germanista, con ricorsi frequenti, spesso non dimostrabili nel singolo caso, a contributi seminariali del teologo; gli excursus (destinati soprattutto a non teologi) sono opera del teologo. Gli excursus e il saggio non sono completamente coordinati fra di loro. Deve restare chiaro che una cosa è illustrare un caso in concreto della varietà del materiale biblico e della ricerca, un 'altra è rendere accessibile lo svolgimento di un libro biblico e in questo interpretare il singolo elemento sulla base del complesso dell'opera, e interpretarlo nella sua espressività in relazione al complesso dell'opera. Vengono in tal modo alla luce diversi ma corrispondenti tipi di evidenza.
Gli autori hanno goduto della produttiva collaborazione dei pochi ma impegnati partecipanti al seminario. Essi sono grati del dono della costellazione di doti personali e professionali che ha consentito loro senza difficoltà una serena e produttiva collaborazione. Un particolare ringraziamento del germanista, emerito dell'Università Albert-Ludwig di Friburgo i.Br., va alla Facoltà di Teologia della vicina Università di Basilea e alla Freiwillige Akademische Gesellschaft di Basilea per il supporto finanziario alla cattedra. Il comune ringraziamento degli autori va alla concessione di un contributo ai costi della stampa ricevuto dal medesimo mecenate, e per l'autorizzazione a ore aggiuntive per lavori di redazione da parte di assistenti della facoltà di teologia. Un sentito ringraziamento anche al Dr. V. Hampel del Neukirchener Verlag, che ha curato la pubblicazione con la sua consueta, grande disponibilità e competenza, e soprattutto agli editori delle Biblisch- Theologische Studien, Pro! Dr. F. Hartenstein, Pro! Dr. B. janowski e Pro! Dr. W.H. Schmidt, che hanno deliberato di accogliere il nostro contributo.

Basilea, giugno 2006.
Gerhard Kaiser, Hans- Peter Mathys

POESIA COME TEOLOGIA

Il libro veterotestamentario di Giobbe è un'opera di grande teologia che ha suscitato una letteratura teologica vastissima1. I Ma il libro vetero-testamentario di Giobbe è anche una grande opera poetica, il cui significato nella letteratura universale è paragonabile a quello del Prometeo di Eschilo, della Divina commedia di Dante, dell'Amleto di Shakespeare, del Faust di Goethe, ed è per questo che esso è anche oggetto di studi letterari. Nella sostanza il libro di Giobbe richiede tuttavia che si vada al di là dei confini di entrambi gli ambiti di ricerca, perché - questa è la mia tesi - proprio ciò che ne fa un componimento poetico è anche all' origine del valore e della peculiarità della sua teologia, così che quanto vi è di più proprio o di più estraneo alla sua teologia può essere colto solo quando lo si percepisca come poesia. Per contro, esso può essere inteso adeguatamente come poesia soltanto quando se ne metta in luce la dimensione teologica.2

IL PUNTO DI PARTENZA:
IL TESTO NELLA SUA FORMA FINALE

Tanto l'indagine teologica quanto quella letteraria possono essere orientate a ricostruire la storia della formazione di un libro, e la ricerca biblica storico-critica ha dedicato molte energie a chiarire le origini del libro di «Giobbe»; ciò non di meno, i risultati concernenti la costituzione del testo sono controversi e vaghi quelli relativi alla sua datazione. La peculiarità della forma testuale - una cornice epica che racchiude una parte centrale dialogica - ha portato alle due tesi contrapposte della paternità complessiva di un unico autore da un lato e dell'assemblaggio redazionale a posteriori di cornice3 e parte interna dall'altro. Nel secondo caso, peraltro, all'opinione prevalente di una composizione più antica della cornice si oppone quella contraria di una datazione più alta della parte interna. I tentativi di datazione hanno oscillato entro il grande lasso temporale postesilico, tra il 500 circa e il 200 a.c. al più tardi.

D'altra parte grazie allo sviluppo e al perfezionamento delle ricerche bibliche storico-critiche le questioni riguardanti la storia della formazione del testo nei suoi risvolti sia teologici sia letterari oggi possono essere fatte passare in secondo piano, con riguardo tanto alla datazione quanto alla paternità o alla redazione, conformemente al principio di metodo che interpretare un testo sulla base del suo divenire oppure della sua forma ultima sono due prospettive complementari. La forma ultima di un testo non è dopotutto soltanto un risultato ma la spiegazione e la giustificazione di ciò che è grazie alla paternità o alla redazione o all'interazione di entrambe. Lavora largamente col testo definitivo, per esempio, l'esegesi di Giobbe di Karl Barth nella Kirchliche Dogmatik,4 e sotto questo rispetto come anche per alcuni importanti punti della mia interpretazione è per me rassicurante poter seguire le orme di un teologo straordinario. Anche il commento di Jiirgen Ebach apparso nel 1966, Streiten mit Gott: Hiob, muove «con coerenza dalla forma ultima del testo tramandato»5 Da letterato posso far osservare che anche tagli, lacune, ridondanze, salti, espunzioni e contraddizioni del testo, anche quando vengano ad aggiungersi alla storia della costituzione del testo, se si guarda al risultato possono essere o diventare patrimonio di una composizione complessa ed elementi rappresentativi di un momento espressivo specifico. Per questo non è detto che la mancanza di unitari età nella storia della formazione significhi senz'altro assenza di unitarietà letteraria; ciò vale a maggior ragione quando il concetto di unitarietà letteraria non venga riservato a opere di rigorosa coesione e di armoniosa corrispondenza delle parti,6 ma sia attento all'efficacia di integrazione dell' opera - anche in presenza di elementi di divergenza o addirittura di conflitto - e anche alla ricchezza e alla espressività che risultano da questa composizione. Quanto più l'unità letteraria è innervata di tensioni, tanto più ricca può essere l'opera. In ogni caso io vorrei lavorare fissando un concetto dinamico di unitarietà di questo genere. Mi prendo quindi la libertà di interpretare come opera di poesia il libro di Giobbe divenuto canonico in tutta la sua ingombrante complessità, e di verificare che cosa se ne possa ricavare.

GIOBBE: DOV'È MIO PADRE?

Giobbe come poesia - che cosa significa? Certamente il libro di Giobbe, al pari di ogni opera letteraria, si è venuto formando a partire da esperienze individuali e collettive di uomini di una determinata epoca e di una determinata area culturale, seppure come finzione. Nel Vicino Oriente il tema letterario del pio sofferente è sì presente,7 ma non lo si può applicare a un personaggio storico, e quando Ez. 14,14.20 chiama giusti Noè, Daniele e Giobbe, il personaggio di Giobbe risulta una figura della tradizione narrativa di Israele, non della storia. La diffusione del tema è segno piuttosto che esso affronta una grande e fondamentale esperienza umana, che affiora in culture e religioni in cui dio o gli dei si fanno garanti di un ordinamento del mondo giusto e quindi anche equo. Una volta che si dia questo presupposto, l'inquietante domanda delle ragioni per cui una simile connessione paia spezzarsi nella vita del singolo o anche in generale può imporsi come rappresentazione poetica e diffondersi tanto per migrazione del motivo quanto anche in invenzioni poetiche originali.8 Essa si farà più acuta quando non una molteplicità di dèi ma, come nella Bibbia d'Israele, un dio unico regge nelle sue mani l'ordine del mondo.

Come che sia, l'azione e l'andamento del dialogo nel libro di Giobbe sono chiaramente modellati su un problema teologico preesistente, e già il nome del protagonista può essere letto come allusione in tal senso. In semitico occidentale o nella lingua colta accadica largamente diffusa nel Vicino Oriente antico, il nome Giobbe ('ijj6b) potrebbe significare - a mo' d'interrogativa - qualcosa come: dov'è il padre?9 Per la naturalezza con cui i testi veterotestamentari si servono della pronuncia del nome, per come lo usano e lo variano, soprattutto per l'alto livello di elaborazione che il testo del libro di Giobbe dimostra - sotto il versante poetico estremamente impegnativo sia per l'autore sia per il pubblico - è del tutto pensabile, per non dire ovvio, che il significato del nome venisse percepito e insieme indirizzasse il modo di comprenderlo. A ogni buon conto esso guida al centro della figura e degli eventi in modo tale che questi corrispondono l'uno all'altro come una chiave alla sua serratura, e ciò in modo affatto peculiare. Detto in termini estremamente concisi, nel suo corpo e nella sua vita il protagonista della storia incarna la questione del padre. In quanto protagonista di un racconto, a interrogarsi sul padre Giobbe si trova solo; ma poiché i racconti si rivolgono a un pubblico, in quanto singolo il protagonista del racconto sta in primo piano come figura di spicco di cui merita raccontare e apprendere qualcosa. La sua storia riguarda altri. Il padre cercato da Giobbe è il padre di tutti i credenti, Dio - e così la domanda che nasce in Giobbe e nella sua sorte è sì posta nella prospettiva del singolo, ma in ultima istanza è una domanda che riguarda il genere umano,10 in termini filosofici è la questione della teodicea. Quello che si manifesta in questo mondo come lo viviamo storicamente e quotidianamente sia come umanità sia come singoli nella nostra vita è un dio paterno? e se sì, come spiegare il male nel mondo e nella vita umana? Per questo mi pare sbagliato dover stabilire se inquadrare il poema di Giobbe nel tema del «significato della sofferenza» oppure in quello alternativo di «Giobbe e la sua rettitudine»11 Mentre parla di Giobbe e della sua rettitudine, il libro parla anche del significato della sofferenza.

DIO, SATANA, GIOBBE COME COSTELLAZIONE.

GIOBBE SULLA SCENA DELLA CREAZIONE

L'inizio della storia che fa da cornice al libro di Giobbe fissa preliminarmente il significato della figura di Giobbe e quindi la sua attitudine a fungere da eroe di una vicenda. Giobbe tuttavia non viene connotato come persona con un profilo individuale, ma sommariamente come l'uomo più ricco di tutti quelli che come lui abitano in Oriente - osservazione meramente quantitativa (cap. I). Egli inoltre è non solo particolarmente ricco, ma anche dotato di tutto ciò che nell'Israele antico indicava che si era benedetti da Dio: ha numerosi figli adulti, una grande famiglia molto unita al suo interno. Questi segni di benedizione corrispondono al suo modo di vivere: egli è «integro e retto», «teme Dio ed è alieno dal male»,12 fino allo scrupolo. Tanto che, come unica particolarità in una rappresentazione nel complesso estremamente scarna, si racconta che in occasione delle feste di famiglia in cui i suoi figli invitano alternativamente le sorelle, egli offre olocausti secondo il numero di tutti loro, così da stornare la punizione divina in caso i figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Dio.
Qui affiora per la prima volta il motivo chiave dell'allontanamento dell'uomo da Dio, con il quale presto avrà a che fare Giobbe stesso! ... (continua)


NOTE

1 Non è questo il luogo in cui affrontare la letteratura specialistica su Giobbe. Soltanto di volta in volta si rinvierà alla ricerca. Per uno sguardo d'insieme cf. H.-P. Mùller, Das Hiob-Problem (EdF 84), Darmstadt 1978,31995. Un ottimo profilo della storia della ricerca, che giunge quasi fino a oggi e riguarda l'argomento specifico, è contenuto nella dissertazione ampliata di W.-D. Syring, Hiob und sein Anwalt. Die Prosatexte des Hiobbuches und ihre Rolle in seiner Redaktions- und Rezeptions-geschichte (BZAW 336), Berlin 2004. Per un'estesa rassegna comparativa con varietà di materiali, soprattutto inerenti all'islam, cf.l'esposizione di N. Kermani, Der Schrecken Gottes. Attar, Hiob und die metaphysische Reuolte, Miinchen 2005.

2 I lavori che hanno per argomento la portata teologica della poesia nel libro di Giobbe sono relativamente rari. Per una rapida rassegna delle ricerche che qui si sono prese in considerazione si veda in calce alla prima parte del volume, sotto, pp. 141-143.

3 Così recentemente Syring, op. cito considera la parte dialogica come poesia più antica, a cui un più tardo poeta e redattore applica la cornice epica, rifacendosi a un precedente racconto di Giobbe, «a-teologico».

In esso verrebbe delineato per la prima volta rigorosamente Giobbe come uomo messo in risalto da Dio e affidabile nella sua giustizia. Questo poeta rielaboratore e redattore è perciò indicato da Syring nel titolo del suo scritto 'quale «avvocato» di Giobbe (p. 149).

4 Riassunto in K. Barth, Hioh, ed. e intr. di H. Gollwitzer (BSt 49), NeukirchenfVluyn 1966; Barth - Gollwitzer, poscritto a BSt 49, s.l. s.d.

5 Edito in due volumi nella Kleine biblische Bibliothek (Neukirchen/Vluyn '2004 s.). Purtroppo sono venuto a conoscenza soltanto in un secondo momento di questo eccellente commento che studia in modo approfondito anche il linguaggio della forma letteraria; il presente saggio è stato quindi scritto senza tenerne assolutamente conto. Se per singole affermazioni spesso si trovano d'accordo, per problematica e intenti i nostri lavori sono fondamentalmente diversi: là si tratta di un commento teologico minuzioso che sviscera ogni aspetto senza nulla trascurare, qui invece del tentativo di messa in prospettiva di un letterato con interessi teologici.

6 Così si lavora negli studi di storia della formazione, che in larga misura dipendono da indizi immanenti al testo, anche nel presupposto di un'idea sorprendentemente rigorosa e armoniosa dell'unitarietà del testo. In Syring, op. cit., s'incontra ad esempio come argomento che depone a favore di una molteplicità di autori in tempi diversi, il fatto che la cornice narrativa metta in chiaro la mancanza di colpe di Giobbe, mentre nella parte dialogica al riguardo non vi è alcuna chiarezza e gli amici ritengono Giobbe colpevole. Senza volere con ciò prendere posizione circa questa tesi di storia della formazione, vorrei tuttavia far osservare quanto segue: fin dall'inizio un solo redattore potrebbe ben aver inserito nella dinamica della composizione questo contrasto fra la sapienza di Dio e l'insipienza dell'uomo! Secondo simili angusti criteri, non poche composizioni poetiche moderne in base alla loro complessità o alla molteplicità delle loro prospettive, abilmente create da un solo redattore, andrebbero attribuite a una pluralità di redattori.

7 Si veda la breve panoramica di J. Ebach, Hiob-Hiobbuch, in TRE xv, Berlin 1986. - Testi importanti in lingua tedesca sono raccolti in TUAT 3/1, Giitersloh 1990, 102-163

8 In senso opposto va il commento di F. Stier, Das Buch /jjob. Hebrdisch und deutsch, Mùnchen 1954, 261: «Nel Talmud sta scritto: Giobbe è un mashal e non è vissuto affatto [bBaba batra 15; Ceno r. 57]. Ma Ijjob non è un mashal se il Talmud si riferiva con questo al genere letterario del racconto didascalico e appositamente inventato. Il libro si presenta come resoconto di avvenimenti, racconta ciò che è accaduto. L'autore del libro però conosceva Ijjob solo per sentito dire, dalla viva bocca della leggenda che cresceva intorno agli elementi storici». Stier presuppone qui, senza giustificazione, un Giobbe storico ed elimina il problema: se il libro finge di essere un resoconto di avvenimenti, non è detto assolutamente che esso sia anche effettivamente un resoconto di avvenimenti. La grande maggioranza dei romanzi, racconti e anche parabole (mashal) si presenta come resoconto di fatti. Allo stesso modo trovo discutibile anche l'affermazione di Stier secondo cui il libro non sarebbe un componimento didascalico ma «il documento di una lotta di Dio, divenuto parola, vita che esprime se stessa, un libro di vita, carpito dalla vita senza mediazioni e per questo emergente anche dalla vita personale del poeta [A. Weiser, Hiob, 1951, loc. cit.]». Qui mi sembra che l'attinenza alla vita di un testo sia stata confusa con il carattere documentario, oppure - di nuovo qualcosa di diverso - con il contenuto autobiografico. Ma anche parabole inventate con intenti didascalici possono essere molto vicine e «carpite dalla vita senza mediazioni» - ad esempio la parabola del figliol prodigo.

9 Syring, op. cit., 57. Cf. Ebach, art. cito (con bibliografia sul nome).

10 Diversamente C. Westermann, Der Aufbau des Buches Hiob, Tùbingen I956, Stuttgart 'I977, 2: il libro di Giobbe tratterebbe un caso esistentivo particolare.

11 Così G. von Rad, Theologie des Alten Testaments, I. Die Theologie der geschichtlichen Uberliejerungen Israels, 5" ediz. della 4" riediz. riveduta, Miinchen 1966,426 s. (tr, it. Teologia dell'Antico Testamento, La Teologia delle tradizioni storiche d'Israele, Brescia 1972). Per il tema di Giobbe si veda anche Idem, Weisheit in Israel (1970), Giitersloh 1992, il capitolo «Il libro di Giobbe» e Nachwort zu Hioh und Prediger, 267-292. 306-308 (tr. it, La sapienza in Israele, Torino 1975).

12 I,I. Dove non sia indicato diversamente, il testo segue le citazioni e la numerazione dei capitoli e dei versetti della traduzione di Lutero nella versione riveduta del 1984.

INDICE

Premessa
Elenco delle sigle

Gerhard Kaiser
Il libro di Giobbe: poesia come teologia

Poesia come teologia
Il punto di partenza: il testo nella sua forma finale
Giobbe: dov'è mio padre?
Dio, Satana, Giobbe come costellazione.
Giobbe sulla scena della creazione
Segnato e premiato dalla sofferenza
Satana come strumento, Giobbe come cieco e tuttavia testimone di Dio
Cornice narrativa e sezione dialogica.
Sofferenza di Giobbe e sua sottile comicità
Giobbe: pio «senza ragione»?
Contrasto e consonanza fra visuale epica e visuale dialogica
Elementi del dramma in Israele?
Parallelismus membrorum, danza dei discorsi
Il monologo introduttivo di Giobbe
Elifas fornisce le parole chiave per la giustizia di Dio
Dio come nemico mortale. Primo discorso di Giobbe a Dio: umorismo per disperazione
Giobbe ingiuria Dio come giudice ingiusto e conquista un punto di forza
Gli amici diventano nemici
Hybris di Giobbe e consapevolezza della dipendenza
l luogo di Giobbe non è il luogo degli amici
Il problema di Giobbe su tre livelli
Il grido di aiuto nell'accusa; dov'è il salvatore nel giudice?
Il testo riflette su se stesso.

Giobbe sa che il suo liberatore vive
Martin Lutero ed Ernst Bloch e la traduzione dell'ebraico go'él
Nemo contra Deum nisi Deus ipse?
Prima culmine, poi generalizzazione della tematica
Gli amici hanno esaurito gli argomenti.
Giobbe: dopo le battaglie resistere
Inno di Giobbe alla sapienza di Dio
Un tempo e ora. Bilancio di Giobbe
Giuramento di purificazione di Giobbe in quanto giusto di fronte a Dio
I discorsi di Elihu
I discorsi di Dio: una risposta - nessuna risposta
Replica di Dio a Giobbe ed Ernst Bloch: chi è l'uomo?
Posizione dell'essere umano in un mondo predeterminato
Il mondo di Dio al di là di antropocentrismo e teleologia
Chiarimento per Giobbe
Frattura dell'argomentazione. Logica dell'azione
L'esperienza storica può arricchire la comprensione di una storia
Ordinamento del cosmo e ordinamento dell'uomo
Simul iustus et peccator - felix culpa
Ultime battute teologiche della narrazione
Il libro di Giobbe come poesia.
Breve bibliografia sull'argomento

Hans-Peter Mathys
Quattro excursus

1. La natura letteraria del libro di Giobbe
2. Il nome Giobbe
3. L'uno e il suo pantheon
4. Ma io so: il mio difensore vive, e un rappresentante si ergerà per me sulla polvere»

TESTIMONIANZE EXTRABIBLICHE SU GESÙ - Da Giuseppe Flavio al Corano


RETROCOPERTINA

Se i racconti biblici sull'attività di Gesù sono fedeli alla realtà dei fatti, nei resoconti storici del tempo se ne dovrebbe trovare traccia.Nei documenti non cristiani o non canonici, quali prove vi sono dell'esistenza storica - ormai indiscussa - dell'uomo Gesù di Nazareth vissuto in Giudea e Galilea nel primo trentennio della nostra era? Come venne visto dai contemporanei ebrei, romani e paganiBruce approfondisce le nostre conoscenze su Gesù e sulla sua influenza sugli uomini e le donne del suo tempo studiandone le tracce nelle fonti più diverse: ebraiche, pagane, apocrife e anche islamiche, con particolare riferimento a Giuseppe Flavio, ai manoscritti del Mar Morto, al Vangelo di Tommaso e al CoranoGrande attenzione è dedicata inoltre ai detti di Gesù non inclusi nei Vangeli canonici e alle prove legate alle scoperte archeologiche.


INTRODUZIONE di DOMENICO TOMASETIO

Se il Nuovo Testamento fosse un libro dettato direttamente da Dio o ricopiato da un originale celeste, quindi possedesse una forma di autorità tale da travalicare l'ambito storico e fosse rivolto soltanto ai credenti, il lavoro di esegeti, teologi e storici delle origini cristiane sarebbe grandemente facilitato. Ma sarebbe anche asfittico, in quanto mancante del confronto critico continuo che persone non credenti, o comunque mossi da curiosità scientifica, possono stimolare. L'incontro con l'indagine storica sarebbe infatti precluso per definizione e ciascuno rimarrebbe con le proprie certezze, non toccato dalle domande, dagli interrogativi e dalle problematiche che una normale indagine storico-critica rivolge a fenomeni che vengono presentati come accaduti in un ambito storico, geografico, sociale e culturale ben definito. Eppure il Nuovo Testamento non ha mai preteso una simile autorità staccata dall'ambito storico e da riferimenti ben precisi e concreti, ponendo così il problema del rapporto fra storia e fede.

FRA STORIA E FEDE

Il dibattito sul Gesù della storia, che si era assopito dopo Albert Schweitzer e che è stato ripreso, come è noto, da un saggio di Ernst Kasemann nel 1951, e poi continuato nell'ambito della scuola bultmanniana e post-bultmanniana, ha messo in evidenza da una parte l'esigenza e quindi l'esistenza di un radicamento storico dei dati essenziali del N.T., e dall'altra la necessità che la scienza storica non debordi dalla valutazione dei dati analizzati, sovrapponendovi una visione ideologica di uno o di un altro colore. I dati della fede si espongono al vaglio dello storico, ma lo storico deve vigilare sul suo strumento di analisi.
In questo campo, infatti, è emersa la necessità di rispettare il "taglio" delle informazioni storiche riportate in chiave teologica, di salvaguardare il contesto di significati veicolato dalle informazioni storiche presenti nel N.T. Le chiavi di lettura della scienza storica non possono essere direttamente traslate in altro settore scientifico. Viene anche ricordato che un dato storico, estrapolato per l'analisi scientifica dal suo contesto, dissociato dagli altri elementi con i quali è intrecciato, non è più lo stesso dato iniziale.
In questo campo gli errori del passato sono stati troppo negativi per l'una e per l'altra parte, tanto che ancora oggi se ne pagano prezzi altissimi, in quanto i due interlocutori o hanno talmente radicalizzato le proprie posizioni così da rendere impossibile il dialogo che, seppur critico, è sempre comunque costruttivo; oppure hanno finito con l'ignorarsi a vicenda, ciascuno persuaso della sua verità e sempre più infastidito, quando non intollerante, dell'altrui domanda critica. Questo periodo, ce lo auguriamo, è ormai definitivamente tramontato.
Non è quindi un caso che oggi si ritorni a quel genere letterario dell'antichità classica che va sotto il nome di apologetica. Si riscopre il gusto del dialogo, ma non quello ad un solo interlocutore, segnato dalla polemica ad oltranza e dall'intolleranza, in cui ciascuno si sente sicuro delle proprie certezze non soggette a scrutinio; ma dal dialogo a due, in cui ciascuno è pronto a presentare se stesso con argomenti che l'altro può comprendere, analizzare e dibattere con piena onestà morale e intellettuale. Il dialogo nasce dalla disponibilità all'ascolto delle ragioni dell'altro in piena reciprocità. Finito il tempo delle polemiche astiose, delle trincee da difendere a tutti i costi, ci si apre allo scrutinio: è la sfida che il nostro tempo rivolge a tutti noi.
È in questo quadro che si situa la rinascita dell'apologetica cristiana che non disdegna di immergersi nella realtà storica contrassegnata dalla frammentarietà e dalle contraddizioni. È anche in questo contesto che nasce il libro di F.F. Bruce, professore, ora emerito, di scienze neotestamentarie nell'Università di Manchester, uno dei frutti che osiamo dire più classici, un segno dei tempi nuovi.

MOLTI TESTIMONI

La domanda sottesa a tutto il libro, e che in fondo ne costituisce il motivo ispiratore, è molto semplice: esiste altra documentazione storica sulle origini cristiane al di fuori di quella incorporata nel Nuovo Testamento? La domanda si pone sul piano della legittimità storica che nasce dal dubbio che i documenti e i dati storici rintracciabili nel N.T., poiché sono funzionali ad una elaborazione teologica, nascano nel contesto della fede e rispondano più a problematiche prevalentemente teologiche interne alla comunità cristiana primitiva e abbiano perciò subìto un processo di "manipolazione", così da renderli non affidabili per lo storico odierno. Ci sono testimonianze storiche dei dati neo-testamentari e delle origini cristiane esterne al N.T. e al mondo ecclesiastico in genere?
La domanda, s'è detto, ha una sua legittimità e dignità scientifica; merita quindi una risposta allo stesso livello di serietà. Ma ad una condizione: che i dati esterni al N.T. non diventino il metro di misura di tutti i dati neotestamentari. Che cioè non si considerino i dati di questa indagine storiografica del Bruce (si tratta di un repertorio di testimonianze diverse con breve commento) come unico criterio di giudizio su cui valutare l' attendibilità dei dati biblici. L'attestazione documentale esterna al N.T. non può diventare il metro dei dati che si evincono dall' attestazione documentale interna. Ciascuna delle due scienze ha i suoi criteri che vanno rispettati per evitare sempre nuovi conflitti di interpretazioni, forieri di nuovi sospetti e nuove chiusure.
Qual è dunque la documentazione storica su Gesù di Nazareth e sulle origini cristiane esterna al N.T.? La formulazione stessa della domanda comporta un' osservazione previa. Per documentazione «esterna» al N.T. si intende tutta quella documentazione che non è compresa fra i libri che formano il N.T. Per usare il vocabolario delle scienze bibliche: da una parte abbiamo i testi canonici, dall'altra quelli extra-canonici; l'indagine è centrata su questi ultimi, ma non limitata ad essi. Il processo storico che ha portato alla determinazione del canone è abbastanza complesso: ne ripercorreremo velocemente e sommariamente le tappe principali.

VERSO IL CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO

Iniziamo con la letteratura che nasce nell' ambito ecclesiastico ortodosso, eterodosso o eretico che sia. Inizialmente l'avvenimento di Gesù di Nazareth, il suo ministero, la sua morte e risurrezione, era ricordato, narrato e predicato dai primi testimoni del fatto. Con il passare del tempo però, estendendosi l'area interessata alla predicazione cristiana, aumentando il numero delle chiese e venendo piano piano a mancare i primi testimoni apostolici, si rischiava di perdere la memoria storica degli avvenimenti originali. Inoltre, come sempre avviene in ogni fenomeno storico, l'interpretazione del dato originale dà luogo a diverse «scuole» di pensiero: nel nostro caso fra il settore della chiesa che si sentiva più vicino all'ambito e alle tradizioni giudaiche, e quello che, operando nel variegato mondo ellenistico, ne aveva anche assorbito cultura e costumi.
Accanto a queste "letture" di scuola, che si muovevano nel raggio dell' ortodossia o al massimo dell' eterodossia, c'era in agguato un altro fenomeno ben più grave: i movimenti religiosi e culturali del tempo si appropriavano dei dati cristiani e con una sintesi li organizzavano sui loro schemi, dando origine a testi di natura chiaramente eretica. Ma - e questo è il nostro problema - queste delimitazioni (ortodosso, eterodosso, eretico) sono tutte posteriori alla decisione sul canone, cioè alla lista di scritti che la chiesa cristiana considera autorevoli, quindi normativi per la fede. Questo significa che, nell'ambito della chiesa cristiana, esistevano molti scritti, spesso diversi quando non erano in contraddizione tra di loro, a cui le singole comunità facevano riferimento, correndo il rischio della divaricazione dottrinale. La diversità, pur evidente e favorita, poteva degenerare nella divisione e nella Babele teologica e pratica. E non si poteva permettere che questo accadesse.
L'ulteriore elemento da tenere presente è quello esterno: proponendo il progetto di una nuova umanità, la chiesa attirava contro di sé una serie di attacchi denigratori e perfino la persecuzione. Anche qui occorreva rispondere alle accuse infamanti, precisare il proprio sentire, respingere illazioni fuorvianti e presentare in termini positivi il contenuto della predicazione evangelica. È il tempo degli Apologisti. Ma per fare questo era necessario avere un punto di riferimento preciso, un metro di misura, cioè il canone. E questa non fu una decisione improvvisa, unanime o imposta da una autorità superiore; il consenso si trovò piano piano nel tempo e liberamente.
Anche qui ci sono varie fasi. Inizialmente ogni singolo scrittore cristiano, studioso della Bibbia o vescovo, impegnato nella predicazione, nella divulgazione teologica, nella traduzione o nella difesa dell'evangelo, indicava fra i tanti scritti che circolavano nelle chiese quelli ai quali si rifaceva, quelli che riteneva autorevoli, cioè quale fosse il proprio canone. Questa prima fase, dei canoni «personali», va avanti fino al IV secolo e ne abbiamo ampia testimonianza documentale sia per la chiesa d'Oriente che per quella d'Occidente.
Su questa fase, e in parallelo con essa, si innesta la fase dei canoni dei Sinodi provinciali. I Sinodi o Concili delle varie province dell'Impero romano, di fronte al pullulare di scritti nella chiesa e ai canoni personali diversi tra loro, decisero di formulare e di attenersi ad un canone neotestamentario comune. Questo doveva valere per tutte le chiese della provincia o per quelle che rientravano nella giurisdizione dei vescovi che lo riconoscevano come normativo. Anche per questa fase abbiamo ampia testimonianza documentale. È indubbio che inizialmente i canoni personali divergessero l'uno dall' altro e che anche i canoni dei Sinodi provinciali divergessero fra di loro e da quelli personali. Ma indubbiamente non si trattava di differenze enormi: il tutto si limitava ad avere qualche libro in meno delle epistole «cattoliche», l'Epistola agli Ebrei o l'Apocalisse; oppure qualche libro in più (di quei testi che più avanti saranno indicati con il nome di Padri apostolici). In questa fase della storia non ci fu mai una decisione vincolante per tutte le chiese cristiane né dell'Oriente, né dell'Occidente.
Ma il consenso si raggiunse piano piano. Il risultato fu che il primo documento che riporta la lista degli scritti del N.T., il canone così come l'abbiamo oggi nelle nostre Bibbie, è la lettera pasquale n. 39 di Atanasio del 367. Quel canone ha ottenuto un crescente consenso da parte di tutte le chiese, consenso del tutto spontaneo, senza che ci fosse un'imposizione dall'alto di un seggio patriarcale o da parte di un Concilio ecumenico. Parrà strano a molti, ma la decisione ecclesiastica ufficiale, che vale per tutta la chiesa universale (in questo caso cattolica), è stata presa soltanto al Concilio di Trento, nella IV sessione, l'8 aprile 1546. Le chiese che prendono origine dalla riforma protestante, senza aspettare quella decisione, hanno indicato il loro canone nelle proprie confessioni di fede, acquisendo di fatto il dato ormai assodato e condiviso dalla cristianità per più di un intero millennio.

IL CRITERIO DEL CANONE

Qual è stato il criterio in base al quale è stata operata una tale scelta fra i vari scritti che circolavano nelle diverse chiese o province ecclesiastiche? In verità fu utilizzato un criterio multiplo. Innanzi tutto l'apostolicità. Uno scritto, per poter essere ritenuto canonico, doveva avere un rapporto diretto con un apostolo o con il periodo apostolico (doveva quindi essere stato scritto da un apostolo, o da persone che stavano vicine a lui, oppure da persone autorevoli del periodo apostolico). Certo, oggi sappiamo che molti libri sono stati ascritti ad un apostolo per poter avere ascolto nelle chiese (il fenomeno della pseudoepigrafia o pseudonirnia), ma questo nulla toglie alla validità del criterio scelto.
Un secondo criterio fu di tipo sostanziale: la congruità con il kerygma, con la predicazione primitiva. Uno scritto poteva ritenersi autorevole per la chiesa a condizione che (positivamente) fosse congruo con la predicazione apostolica primitiva; veniva rifiutato se (negativamente) ne contraddiceva anche un solo elemento. Si tratta di un criterio di critica interna, ma ha la sua legittimità facilmente comprensibile in una situazione storica contraddistinta e caratterizzata dalla lotta contro le eresie sempre nuove.
C'è infine il terzo criterio: l'universalità; uno scritto poteva essere riconosciuto autorevole, quindi canonico, se era conosciuto e utilizzato da tutte le chiese cristiane antiche. Si tratta di un criterio che va utilizzato con un po' di elasticità, ma ha anch'esso la sua rilevanza.
Per riassumere: con il triplice criterio della apostolicità, della congruità con il kerygma e dell'universalità, la chiesa dei primi secoli precisò la lista degli scritti che dovevano ritenersi autorevoli e normativi per tutte le espressioni della sua fede (pensiero e azione). Cioè precisò il canone del N.T. che divenne la «norma normans», a cui tutto doveva riferirsi.

AL DI FUORI DEL CANONE

Fra gli scritti esclusi dal canone ci sono anche quelli che poi saranno conosciuti con il nome di «Padri apostolici»: Didaché, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Martirio di Policarpo, il Pastore di Erma, Epistola a Diogneto, Lettera di Barnaba (Papia?). Queste sono testimonianze accolte e onorate nella chiesa cristiana, ma non sono né canoniche né normative per la chiesa.
La maggior parte degli scritti non canonici, cioè di quelli non solo non accolti nel canone del N.T., ma rifiutati dalla chiesa, sono chiamati «apocrifi del N.T.». li loro numero è alto (sono più del doppio di quelli presenti nel N.T. stesso) e si possono suddividere per generi:

a) Vangeli dell'infanzia;
b) Vangeli;
c) Storie della passione;
d) Atti degli apostoli;
e) Apocalissi.

Mentre il carattere e la sostanza teologica dei Padri apostolici è fondamentalmente cristiana, la sostanza teologica degli Apocrifi è contrassegnata da forti venature di una o dell'altra eresia che aveva lambito alcuni settori della chiesa a partire dalla [me del primo secolo in avanti.
Riepilogando e precisando il tutto, ci troviamo di fronte ad una vasta letteratura che possiamo suddividere anch'essa in varie categorie:

1) Scritti canonici (il N.T. attuale);
2) Scritti cristiani, non canonici, ma ortodossi (p. es. i Padri apostolici e poi tutti i Padri della chiesa, gli Apologisti, i teologi e pensatori cristiani, ecc.);
3) Scritti apocrifi, nati nella chiesa, ma esclusi dal canone e rifiutati dalla chiesa, che li considera eretici.

Da un punto di vista storico, di colui che si pone come studioso critico delle origini cristiane, con o senza connotazione confessionale, si deve aggiungere anche una quarta categoria di scritti:

4) Testimonianze esterne, si tratta di dati rintracciabili nella documentazione storica del tempo, oppure in scrittori classici, o negli scritti di altri gruppi religiosi, che fanno da riscontro storico e critico ai dati presenti nel N.T.

UN AVVENIMENTO, PIÙ TESTIMONI DIVERSI

A questo punto si comprende il lavoro di F.F. Bruce; nella sua analisi egli prende in considerazione le ultime due categorie: le testimonianze presenti negli scritti apocrifi e in quelli, di vario genere, esterni al mondo cristiano. E così, dopo una lunga ma sommaria indagine storico-letteraria del complesso problema canonico, siamo tornati alla domanda iniziale che il nostro autore si pone: nella letteratura esterna al N.T. esistono testimonianze che riguardano o si riferiscono alle origini cristiane? Il libro di Bruce si sforza di far notare queste testimonianze, il cui valore è molto vario, da un punto di vista sia storico che teologico, commentandone l'apporto alle conoscenze storiche delle origini cristiane o ad un suo particolare aspetto e valutandone lo spessore e la portata testimoniale. Un libro apologetico, si diceva, ma di un genere positivo, com'è tradizione nel mondo inglese, senza per questo forzare i dati e far dire loro cose che non dicono. In questo caso si può ben dire che lo studioso prevale sull'apologeta a tutti i costi, il quale utilizza senza alcun riguardo metodologie o criteri di altre discipline pur di provare una sua tesi precostituita. Non sempre i dati analizzati corroborano i dati del N.T., spesso si apre una contraddizione problematica che porta ad esaminare i motivi ispiratori dei due testi documentali, le scelte interne o i riferimenti ideologici propri di ciascuno. Ma alla fine una conclusione si impone: ci sono elementi sufficienti per dire che anche altri, esterni al N.T., e anche al mondo cristiano, hanno detto qualcosa sulle origini cristiane e su Gesù di Nazareth che ne è l'ispiratore.
Di fronte alla polemica più feroce di tempi certo passati, ma non troppo lontani da noi, in cui a partire da presupposti diversi si negava addirittura l'esistenza di un uomo chiamato Gesù di Nazareth, adesso molta acqua è passata sotto i ponti. Questo dato oggi non è più in discussione. Il valore e il significato di quell'uomo, dell'esigenza di cui si fece portatore, del fatto che per i cristiani egli impersonificava e rendeva presente Dio stesso fra gli uomini, tutto questo non è più un dato da sottoporre ad indagine storica; è un dato di fede. E per quanto fra fede e storia ci sia un rapporto, è ancor più vero che il dato di fede non è riconducibile al semplice dato provato dall'indagine storica. Si tratterebbe di una riduzione inaccettabile.
Nell'ambito della fede esiste comunque uno «zoccolo duro» di dati, che fungono da suo supporto strutturale e che superano l'indagine storica. Ma anche il dato di fede più semplice, e perciò più basilare, che Gesù è il Signore, non è e non può essere oggetto di analisi storica. È una confessione di fede, non un'evidenza storica, e nell'ambito della fede ciascuno assume su di sé la responsabilità della propria confessione. Può esserci il conforto della consonanza con i testimoni cristiani di ieri e di oggi, ma il rischio della fede è del tutto personale e non può essere evitato o diminuito con il ricorso alla prova storica.
Così il testo di Bruce si pone a metà strada fra il credente cristiano e lo storico, serve ai due, ma non autorizza nessuno dei due ad impadronirsene. La cosa diventa un po' più problematica quando il cristiano e lo storico sono la stessa persona: un credente con interessi di conoscenza storica. In questo caso il lettore si ritrova con due risposte; l'informazione storica è certamente ampliata e convalidata da documenti testimoniali di prima mano, ma il rischio della fede rimane tale. Ha soltanto dei riscontri esterni che ne sostengono l'impalcatura strutturale, sulla quale egli edifica giorno dopo giorno la propria vita cristiana.

INDICE

Abbreviazioni
Introduzione all' edizione italiana (di Domenico Tomasetto)

1 - LA TESTIMONIANZA DEGLI SCRITTORI PAGANI

Svetonio e la cacciata degli ebrei
Tacito e l'incendio di Roma
Plinio e i cristiani della Bitinia
Tallo e il racconto della Passione
Mara bar Serapion

2 - LA TESTIMONIANZA DI GIUSEPPE FLAVIO

Giuseppe Flavio e Giovanni Battista
Giuseppe Flavio e Giacomo il Giusto
Giuseppe Flavio e Gesù

3 - LA VERSIONE SLAVA DI GIUSEPPE FLAVIO
Riferimenti a Gesù
Riferimento a Giovanni Battista
Altre interpolazioni

4 - GESÙ NELLA TRADIZIONE RABBINICA

5 - PREPARAZIONE PER IL MESSIA
Qurnran e il Maestro di giustizia
Attesa messianica a Qurnran
I Testamenti dei patriarchi
I Salmi di Salomone

6 - DETTI «NON SCRITTI» E VANGELI APOCRIFI
Agrapha
Papia e la tradizione orale
I Vangeli dell'infanzia
Il Vangelo di Pietro
Il Vangelo di Nicodemo
Il Vangelo secondo gli ebrei
Il Vangelo degli ebioniti
Il Vangelo di Bamaba

7 - IL VANGELO DI TOMMASO
Appendice al cap. 7

8 - ALTRI SCRITTI NON CANONICI
Un altro papiro di Ossirinco
Papiro Egerton 2
Una seconda edizione di Marco?

9 - GESÙ NEL CORANO

10 - GESÙ NELLA TRADIZIONE ISLAMICA

11 - LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE
Documenti su papiro
Censimento in Giudea
Monete
Iscrizioni su pietra
Disordini sotto Claudio
Altre testimonianze su iscrizioni

Epilogo

Nota Bibliografica
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Indice degli argomenti

PERCHÈ IO CREDO IN COLUI CHE HA FATTO IL MONDO - TRA FEDE E SCIENZA

PREFAZIONE

È opinione comune che le leggi dell'universo scoperte dalla Scienza siano in conflitto con quelle imperscrutabili di Dio. La contrapposizione tra Fede e Scienza rappresenta uno dei dilemmi più laceranti del nostro tempo; un dramma che conobbe il suo primo, controverso atto, con Galileo Galilei.
In questo saggio appassionato, che si legge come un vibrante manifesto, Antonino Zichichi smentisce tale contrapposizione e la ribalta: "Non esiste alcuna scoperta scientifica chepossa essere usata al fine di mettere in dubbio o negare l'esistenza di Dio". Proprio il grande Galilei, scopritore del principio di inerzia, della relatività e delle prime leggi che reggono il creato, era credente e considerava la Scienza uno straordinario strumento per svelare i segreti di quella natura che porta le impronte di Colui che ha fatto il mondo. E credenti erano Maxwell e Planck, due padri della fisica contemporanea, uomini che hanno aperto nuovi orizzonti sulle leggi dell'universo grazie allo studio di particelle infinitamente piccole; tanto piccole da non poter contenere traccia né di angeli né di santi, e da non poter quindi avallare, apparentemente, alcuna spiegazione razionale dell'esistenza del divino.
Ripercorrendo le grandi scoperte della scienza galileiana moderna, illustrandone con estrema chiarezza l'impulso innovatore, Zichichi dimostra come Fede e Scienza non siano in alcun modo in contrasto l'una con l'altra, e come possano essere doni distinti di Dio, espressioni delle due componenti di cui tutti siamo fatti: il Trascendente e l'Immanente. Le conquiste della Scienza non oscurano le leggi divine, ma le rafforzano, contribuendo a risvegliare lo stupore e l'ammirazione per il meraviglioso spettacolo del cosmo, che va dal cuore di un protone ai confini dell'universo.
«Se tu sapessi quello che hanno scoperto la Scienza e la Logica Matematica! Praticamente tutto. Se non viene fuori il Teorema di Dio, né la scoperta scientifica che Dio esiste, il motivo è semplice: i credenti sono semplicemente dei testardi creduloni. Dio non esiste e la religione è l'oppio dei popoli, come giustamente predicava Karl Marx.
«Alle soglie del Terzo Millennio come si fa ancora a ignorare le straordinarie conquiste tecnologiche che hanno portato l'uomo sulla Luna e presto gli permetteranno di passeggiare tra le Stelle? Gli astronauti sono stati lassù nel cielo e non hanno incontrato né Angeli né Santi.
«Se avesse insistito nell'atto di Fede, l'uomo non avrebbe mai scoperto la Scienza che nasce dal progresso della più avanzata tecnologia.
«Alle soglie del Terzo Millennio non è più possibile essere credenti. È tempo che tu apra gli occhi e impari qualcosa di Scienza, di Logica Matematica e di progresso tecnologico. Vedrai. Quando saprai quello che so io, sarai ateo come me. Alle mie spalle ho le conquiste della Scienza, della Logica Matematica e della Tecnologia moderna. Ricordati: da tempo immemorabile l'uomo usa la Ragione e se possiamo vedere la faccia nascosta della Luna, ascoltare le armonie dell'Universo che Pitagora1 scoprì più di duemila anni fa, dimostrare che esiste l'ultimo pezzettino indistruttibile di materia, come Democrito! aveva detto prima dell' era cristiana, tutto questo lo dobbiamo al progresso tecnologico che studia addirittura il cuore dei protoni dove non c'è traccia né di Angeli né di Santi.»
Questo libro è stato scritto per convincere il lettore che quanto detto dal nostro amico ateo è la prova lampante che lui sa poco, pochissimo, di Scienza, quasi nulla di Logica Matematica e confonde la Tecnica (che è l'uso della Scienza) con la vera grande Scienza, nata da un atto di Fede in Colui che ha fatto il mondo, non da un atto di Ragione e basta.

NOTE

1
I padri del pensiero pre-galileiano vengono spesso citati dagli esponenti della cultura dominante come se non fossero passati due millenni e come se Galilei non fosse mai nato.

INDICE

Prefazione

I SINTESI INTRODUTTIVA
I.1 Tra tutte le logiche possibili una ce n'è
I.2 Per difendere la Verità

II CHE COS'È LA SCIENZA
II.1 La Scienza è nata da un atto di Fede
II.2 La Scienza non ha bisogno della Tecnica
II.3 Parla il padre della Fisica Nucleare
II.4 La scelta tra utensili di pace e ordigni di guerra non è di natura scientifica ma culturale
II.5 La Scienza non produce caste
II.6 Non viviamo l'era della Scienza
II.7 Tecnica pre- e post-galileiana
II.8 I tre falsi teoremi della cultura dominante
II.9 I valori della Scienza
II.10 Se vivessimo l'era della Scienza
II.11 Abbiamo avuto il dono della Ragione: usiamo la
II.12 Episodi vissuti in prima persona: muone e Terza Colonna, Antimateria, cuore del protone e Supermondo

III DISTINGUERE L'UOMO DA TUTTE LE ALTRE FORME DI MATERIA VIVENTE
III.1 Se non fosse per la Scienza
III.2 Dal pendolo di Galilei alle Leggi Fondamentali della Natura
III.3 Mai una virgola fuori posto
III.4 Il messaggio della Scienza
III.5 Le immensità di Spazio e di Tempo
III.6 Nessun'altra forma di materia vivente sa farlo

IV EVOLUZIONE CULTURALE E BIOLOGICA
IV.1 Se un uomo vivesse diecimila anni
IV.2 La Teoria dell'Evoluzione Biologica della specie umana
IV.3 I tre livelli di credibilità scientifica
IV.4 Conclusioni sull'evoluzione biologica della specie umana
IV.5 I: evoluzione culturale e le sue radici
IV.6 È come se il nostro cervello fosse programmato. Ma non basta
IV.7 Quando l'evoluzione biologica diventa mistificazione culturale
IV.8 Che cos'è per la Scienza l'evoluzione biologica

V LA SCIENZA E LA CULTURA DEL NOSTRO TEMPO
V.I Che cosa ne sapremmo di musica, scultura, pittura e poesia?
V.2 Le conquiste della Scienza nelle torri d'avorio
V.3 Una società civile non può avere a suo fondamento le menzogne
V.4 I:Astrologia non è Scienza
V.5 Pietre, spaghi, tavoli e polso esistono dall'alba della civiltà
V.6 Se in una pietra c'è la mano del Creatore
V.7 I:In/inito di Galilei
V.8 Scienza e Arte con Galilei
V.9 Scienza e Filosofia

V.10 Scienza e Sapere non scientifico
V.11 Scienza e Scientismo: le cinque grandi illusioni più l'ultima
V.12 Scienza e Tecnica

VI DOV'È IL PARADISO?
VI.1 Che cosa uuol dire esistere per la Scienza
VI.2 I limiti della Scienza
VI.3 Perché meravigliarsi?

VI.4 Che cosa uuol dire esistere in Matematica
VI.5 Se Dio esiste dimostramelo
VI.6 I limiti della Logica Matematica
VI.7 Esistere nel Trascendente
VI.8 Dio e i miracoli appartengono solo alla Fede
VI. 9 Ragione, Fede e Scienza
VI.10 L'Antinomia dell'Ateismo
VI.11 Non siamo figli del Caos

VII IL PESSIMISMO TECNOLOGICO DI FRONTE ALL'OTTIMISMO SCIENTIFICO
VII.1 Da Hiroshima a oggi
VII.2 Il Sole diventerebbe pallido come la Luna
VII.3 La Fede è inestirpabile
VII.4 Il confronto tecnologico non regge
VII.5 Chi avrebbe mai immaginato
VII.6 Quel Crocefisso nello studio di Pertini
VII.7 Le sette Frasi di Giovanni Paolo II e la Grande Alleanza tra Scienza e Fede
VII.8 Le porte della società civile restano ancora sbarrate alla vera grande Scienza
VII.9 La responsabilità degli scienziati: passato e futuro

VIII DALLA SCIENZA UNA NUOVA SPERANZA
VIII.1 Le persone semplici
VIII.2 Il caso Galilei
VIII.3 Dettagli. Il Papa che ama la Scienza
VIII.4 Giovanni Paolo II e lo Spirito di Erice
VIII.5 Il marxismo scientifico è stato smentito dalla Scienza: la Religione non è l'oppio dei popoli e Marx non è il difensore dei deboli
VIII.6 A ogni angolo dell'Universo la stessa dignità
VIII.7 La grande certezza nell'Immanente nasce dall'evoluzione culturale, non da quella biologica
VIII.8 I:unica vera colpa della Scienza
VIII.9 Credere in Cristo non è in conflitto con la Scienza

IX CONCLUSIONI E LA GRANDE ALLEANZA
TRA SCIENZA E FEDE

SCIENZA E FEDE IN DIALOGO - I fondamenti


RETROCOPERTINA

Scienza e fede in dialogo esplora il rapporto tra scienze naturali e religione concentrando in particolare l'attenzione sul cristianesimo. Il volume studia in modo in cui religione e scienze naturali si differenziano, nondimeno, in una veste serie di ambiti convergono riguardo a questioni di notevole importanza.

Per McGrath gran è necessario esaminare il rapporto tra la teologia cristiana e le scienze naturali a livello di metodo, vale a dire del modo in cui la realtà viene colta, indagata e rappresentata.

Lo studio si dipana da tre punti di indagine fondamentali: l'inesplicabilità del mondo, il modo in cui la nostra riflessione sulla natura delle cose e controllata o modulata da come sono le cose stesse e infine il modo in cui viene rappresentato il mondo esterno.

Di grande interesse per quanti fanno ricerca, studia e operano nel campo della scienza e della religione, della teologia cristiana e della storia nonché della filosofia della scienza, questo libro è il frutto di oltre vent'anni di studio in ambito scientifico e teologico.

1
Ricominciare da capo
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Questo libro è il primo di una serie di lavori volti ad analizzare i rapporti tra le scienze naturali e le religioni da diversi punti di vista: storico, filosofico, scientifico e teologico. Tenendo conto della vasta portata di tale progetto, questo capitolo cercherà di presentare e di spiegare la funzione specifica di questo primo volume della serie.

1.1 Scienza e religione: affrontarsi o dialogare?

Il rapporto tra la religione e le scienze naturali è uno degli argomenti più affascinanti, controversi e potenzialmente stimolanti che si possano studiare. È vero che certi autori hanno definito la «scienza naturale» in termini fortemente antireligìosi, per poi passare a dimostrare che le scienze naturali si contrappongono alla religione. Con ciò, non vogliamo indebitamente denigrare i successi dell'intelletto. Occorre tuttavia notare, in primo luogo, che definire a priori la scienza in quei termini pregiudica la conclusione, e che, in secondo luogo, tale definizione travalica largamente la comune affermazione attuale del che cosa costituisca una «scienza» o un metodo «scientifico» di vedere le cose.
Una «scienza» può essere ragionevolmente definita come «qualsiasi ambito di studio sistematico o insieme di conoscenze che tenda, mediante l'osservazione, la sperimentazione e la deduzione, a produrre un'attendibile spiegazione di funzioni attinenti al mondo materiale o fisico» (LAFFERTY e ROWE 1993) ovvero «l'osservazione sistematica di eventi e condizioni naturali, allo scopo di scoprire dei dati che li ri- guardano e di formulare leggi e principi basati su quei dati» (MoRRIS 1992). In linea generale, le scienze naturali sono neutrali nei confronti della religione, non esigendo l'accettazione o il rifiuto di qualsiasi credenza religiosa né a priori, né a posteriori1.

La maggior parte degli scienziati presuppone che qualsiasi considerazione sull'influenza o sulla partecipazione di Dio all' ordine naturale sia del tutto irrilevante al fine specifico di cercare una spiegazione oggettiva dei modelli che vi si riscontrano. Ciò può essere più correttamente considerato come un presupposto operativo riguardante l'ambito specifico delle scienze naturali, piuttosto che come un convincimento profondo sulla natura e sull'attività di Dio.
Senza dubbio, l'interazione tra religione e scienze naturali è diventata uno dei campi più significativi della ricerca intellettuale degli ultimi anni. La fioritura di studi eruditi sulla storia sociale e intellettuale del Medioevo e del Rinascimento, il rinnovato interesse per la storia e la filosofia delle scienze naturali e la crescente consapevolezza dei difetti e degli stereotipi tradizionali inerenti ai dibattiti su «scienza e religione» hanno eroso quelle che un tempo parevano salde barriere tra discipline e hanno aperto nuove possibilità di dialogo. Non a caso, negli ultimi anni è stata pubblicata una piccola valanga di opere dedicate all'esame del profilo che possono assumere i dialoghi, attuali o potenziali, tra le due discipline (si veda, per esempio, O'HEAR 1984; SCHOEN 1985a; CLAYTON 1989; HUYSSTEEN 1989; BANNER 1990; MURPHY 1990; RICHARDSON E WILDMAN 1996); opere che spesso si concentravano sulla personalità di scienziati e di teologi particolarmente importanti per quel dialogo (si veda, per esempio, AVIS 1990; POLKINGHORNE 1996; WORTHING 1996).
Un altro fenomeno molto importante è stato l'abbandono generale di quelle che potremmo chiamare le modalità «liberali» o «attualiste» in storiografia: di quegli atteggiamenti, cioè, che cercano di rintracciare nel passato il sorgere delle attuali forme di comprensione dei problemi (di cui si presuppone la correttezza). Il passato viene dunque interpretato (e giudicato) dal punto di vista del presente, lodando in pratica coloro che con lungimiranza avevano visto giusto, e scartando quelli che avevano sviluppato ipotesi o linee di ricerca rivelatesi errate. Ormai è largamente accettata l'idea secondo cui lo storico della scienza deve sforzarsi di capire ciò che gli scienziati del passato pensavano e facevano nel loro contesto storico (KRAGH 1987). Ci vuole spesso una grande capacità di immedesimarsi negli uomini del passato se si vuol capire che cosa risultasse loro plausibile, specialmente se lo si confronta con la visione attuale dei fatti. Tale facoltà è tuttavia indispensabile, se non altro perché permette di capire in qualche misura il modo in cui la plausibilità delle concezioni scientifiche (passate o presenti) viene pesantemente condizionata dai presupposti sociali ed economici che di volta in volta prevalgono2.

La presa di coscienza di tale realtà ha contribuito non poco a riabilitare le credenze religiose quali elementi significativi per lo sviluppo storico e attuale delle scienze naturali. È un puro dato di fatto che le credenze religiose hanno avuto e hanno tuttora un'influenza sul pensiero scientifico, indipendentemente dal fatto che la si giudichi corretta o meno. La comprensione dei ruoli specifici che le religioni hanno esercitato e tuttora esercitano sulle scienze naturali (per esempio nell'influenzare o nel determinare le strutture di plausibilità) è pertanto estremamente interessante e importante.
Non c'è quindi motivo di scusarsi se si aggiunge ancora un volume alla crescente letteratura in tema di scienza e religione. Un ulteriore esame del rapporto reciproco tra le due discipline non è soltanto intellettualmente stimolante, ma è pure molto importante per il futuro della civiltà umana. La storia di quel rapporto ha subìto una degenerazione perché nel presentarla si è fatto uso prevalentemente di metafore militaristiche e imperialistiche (specialmente quella del conflitto), unitamente a una generale e reciproca mancanza di conoscenza e di rispetto. Il decennio degli anni Sessanta ha promosso l'idea, largamente avanzata e sostenuta da certe scuole di sociologia, secondo cui la religione era in costante declino, mentre un mondo perfettamente secolarizzato si sarebbe affermato in un futuro molto prossimo (BRUCE 1992).
Tale idea, in quegli anni, sembrava perfettamente credibile. Nel 1965 , per qualche settimana, la teologia ebbe un posto nelle prime pagine dei giornali statunitensi, dopo che la rivista Time ebbe pubblicato una prima di copertina in cui si dichiarava che Dio è morto. Slogan come «Dio è morto» o «la morte di Dio» suscitarono l'interesse di tutto il paese. La rivista Christian Century, nella sua edizione del 16 febbraio 1966, offriva ai lettori un satirico formulario di adesione al «Club Dio è Morto». Cominciarono a circolare in dotte riviste (forse più negli Stati Uniti che non in Italia, N.d.T.) delle parole nuove come «teotanasia» o «teotanatologia», mentre «teotanatopsì» ronzava in molte teste, prima di cadere felicemente nel dimenticatoio.
Un altro indice della pressoché totale inutilità di un qualsiasi dialogo serio tra scienza e religione veniva dall'idea molto generalizzata secondo cui, man mano che le credenze e le pratiche della visione «scientifica» del mondo si generalizzavano nella cultura occidentale, il numero degli scienziati praticanti una qualsiasi religione si sarebbe ridotto fino a diventare insignificante. Un tale presupposto era basato su di un'inchiesta, condotta nel 1916, sulle concezioni religiose degli scienziati, che evidenziava come il 40% degli uomini di scienza aderisse a una qualche forma di religiosità personale (LEUBA 1916). A quell' epoca tale risultato venne interpretato come una formidabile conferma dell'idea che una parte importante di un paese, noto per la sua religiosità, tendeva all'incredulità3, Linchiesta venne ripetuta nel 1966 e dimostrò che non c'era stato nessun calo significativo nella frazione degli scienziati che conservavano quelle credenze (LARSON e WITHAM 1997), mettendo così seriamente in questione la convinzione popolare secondo cui la fede religiosa continua a declinare tra gli scienziati. Se il 40% di coloro che operano attivamente nelle scienze naturali ha serie credenze religiose, ciò vuol dire che i rapporti tra le scienze e la religione rimangono tuttora una questione rilevante.
Alla luce di quell'assoluta convinzione - tipica degli inizi del XIX secolo - di un'imminente scomparsa della religione dalla cultura occidentale, pareva che un dialogo tra scienza e religione sarebbe stato del tutto infruttuoso. Che senso ci sarebbe, infatti, a esplorare una frontiera destinata ben presto a sparire? Viceversa, quel dialogo è stato reso imperativamente necessario dalla rinascita della religione su scala mondiale. Per esempio il cristianesimo, l'islam e il giudaismo hanno sperimentato ondate di rinnovamento, in forme spesso decisamente militanti (KEPEL 1991). Perpetuare la semplicistica metafora di una «guerra tra scienza e religione» è non soltanto una posizione discutibile dal punto di vista storico e intellettuale (si veda l'abbondante materiale raccolto da LINDBERG e NUMBERS 1984; NUMBERS 1985), ma potrebbe essere considerato come un incoraggiamento indiretto a estendere quella «guerra» dall'ambito delle pure idee alla realtà in carne e ossa. In questa nuova situazione culturale è della massima importanza che il dialogo tra scienza e religione avvenga sulla base del rispetto reciproco, condito con un'abbondante dose di umiltà da parte di entrambi. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una leggera ma indubbia modifica di atteggiamenti secondo le linee suddette, che si evidenzia in importanti opere di scienziati, come On Dialogue (Sul dialogo) di David Bohm (Bohm 1996), e che questo nostro libro intende incoraggiare oltre che farvi riferimento.
Ma prima di esporre il particolare approccio di questo libro al problema, è opportuno spiegare quale ne è stata l'origine.

1.2 Genesi di un progetto

Il progetto, di cui questo scritto costituisce la prima parte, cominciò a prendere forma una ventina d'anni fa. Il contesto dal quale è emerso questo libro ne ha largamente determinato la struttura e il modo di affrontare i problemi, perciò mi è parso utile cominciare col dire in che modo è venuto alla luce. Sono sempre stato affascinato dal mondo del- la natura; quando avevo circa dieci anni mi costruii un piccolo telescopio per poter cominciare a esplorare il cielo. Un vecchio microscopio, che era appartenuto a un prozio patologo al Royal Victoria Hospital mi permise, più o meno in quegli anni, di cominciare a studiare seriamente la biologia.
All'età di tredici anni, cioè appena certe scelte sono possibili nel sistema scolastico britannico, decisi di specializzarmi in matematica e scienze naturali. A quindici anni limitai ulteriormente la sfera dei miei interessi alla matematica, alla chimica e alla fisica. Nel 1970, diciassettenne, vinsi una cospicua borsa di studio all'Università di Oxford per studiarvi la chimica. A quel tempo la religione non mi interessava affatto e tendevo a pensare che cristianesimo e scienze naturali fossero incompatibili. .. in base alle irremovibili certezze sulla vita condivise largamente dai ragazzi.
Il mio atteggiamento verso il cristianesimo cambiò nettamente durante il primo semestre a Oxford, nel 1971, quando cominciai a rendermi conto che esso possiede un'attrattiva, un'onestà intellettuale e una capacità di ripresa molto maggiori di quanto non avessi immaginato. Perciò il rapporto tra la teologia cristiana e le scienze naturali divenne per me di un certo interesse e dedicai gran parte del mio tempo libero a dilettarmi di teologia cristiana, mentre proseguivo i miei studi scientifici. A quel tempo la Final Honour School in Natural Philosophy (chimica) dell'Università di Oxford prevedeva un quadriennio: l'ultimo anno era dedicato a un progetto di ricerca, mentre i primi tre si concentravano sulle tre branche principali della chimica: organica, inorganica e fisica, e permettevano un certo grado di specializzazione mediante lo studio di «materie particolari». Scelsi di specializzarmi nel campo della teoria dei quanti durante la prima parte del corso, quindi,... continua

NOTE

1. Si può ricordare a questo proposito che Sigmund Freud ammetteva che l'applicazione di metodi scientifici non conduce necessariamente a una visione scientifica del mondo: si vedano gli attenti studi di RICOEUR 1970 e KÙNG 1979.

2. A un certo livello la percezione dell'importanza dei fattori sociali ha motivato l'emergere di un «programma forte» nella sociologia della conoscenza (MANICAS E ROSE BERG 1985), che sottolinea il ruolo delle pressioni sociali e culturali nella formazione e nell'accettazione delle teorie scientifiche. La forma più persuasiva di questo programma si trova nel classico studio di Shapin e Schaffer sullo statuto della prova sperimentale nella controversia tra Robert Boyle e Thomas Hobbes. La nozione di «verità scientifica», si sostiene, è una costruzione sociale, determinata in larga misura da fattori sociali e culturali. Questo modo di vedere le cose si è urtato con una vigorosa contestazione (si vedano NORRIS 1997, pp. 218-47, pp. 265-94) anche per la sua apparente indifferenza nei riguardi della impressionante lista di successi ottenuti dalle scienze naturali nel campo delle spiegazioni e delle previsioni.

3. Questa inchiesta ha avuto non poca influenza nel mostrare la crescita dell'agnosticismo 1989;NUMBERStra gli accademici americani e nello stimolare le reazioni dei cristiani conservatori (LARSON 1989; NUMBERS 1992; MARSDEN 1994)

INDICE

1. Ricominciare da capo
1.1 Scienza e religione: affrontarsi o dialogare?
1.2 Genesi di un progetto
1.3 Ricominciare da capo
1.3.1 Un cambiamento culturale: l'ascesa inesorabile del postmodernismo
1.3.2 Un cambiamento filosofico: la lenta morte del fondazionismo
1.3.3 Il perpetuarsi di stereotipi sorpassati
1.4 Il predominio dei modelli di «conflitto» tra scienza e religione
1.4.1 La religione nemica della scienza
1.4.2 La scienza come nemica della religione
1.4.3 Verso una soluzione del conflitto?
1.5 Come affrontare il problema

2. La ricerca dell' ordine
2.1 La dottrina della Creazione
2.1.1 La creazione: breve analisi teologica
2.1.2 La minaccia dello gnosticismo
2.1.3 Tre modelli di creazione

2.1.4 La creazione e il tempo
2.1.5 Creazione ed ecologia
2.2 Aspetti della creazione: l'ordine
2.2.1 L'ordine creato e l'uniformità della natura
2.2.2 Ordinamento e leggi di natura
Ordine e caos
Le leggi naturali: basi teoriche
Dio e le leggi naturali
Considerazioni filosofiche sulle leggi naturali
L'analisi dell'ordine: il caso di Linneo
Ordine e meccanismo: da Newton a Paley
Sulla simmetria nella fisica e nella matematica
Il significato religioso dell'ordine naturale
2.3 Aspetti della creazione: la bellezza
2.3.1 Gli aspetti religiosi della bellezza
2.3.2 La bellezza nelle scienze naturali
2.4 Conclusione

3. L'investigazione del mondo
3.1 Sperimentazione e rivelazione: fondamentalmente divergenti?
3.1.1 Le scienze naturali: la sperimentazione
3.1.2 Religione: la rivelazione
3.2 Linterpretazione dell'esperienza
3.2.1 Pierre Duhem tra teoria ed esperienza
3.2.2 L'esperienza può invalidare la dottrina? Un caso tipico
3.3 Una via di mezzo? Lordine della natura e la teologia naturale
3.3.1 Tre approcci alla teologia naturale
3.3.2 Teologia naturale e teologia rivelata
Obiezioni teologiche alla teologia naturale
Obiezioni filosofiche alla teologia naturale
Obiezioni contro la teologia naturale dal punto di vista storico
3.3.3 Scienza naturale e teologia naturale: il principio antropico
3.4 Creazione e interpretazione biblica
3.4.1 Linterpretazione agostiniana della Bibbia e delle scienze
3.4.2 Tipi di interpretazione biblica
3.4.3 Ladattamento e i dibattiti copemicani
3.4.4 Gli evangelicali e le scienze naturali
3.5 Inferenza alla migliore spiegazione
3.5.1 La spiegazione migliore: analisi di un caso
3.5.2 Spiegazione ed escatologia: una prospettiva teologica
3.6 Conclusione

4. La realtà del mondo

4.1 Il realismo, ossia l'affermazione di una realtà indipendente
4.1.1 La critica di Michael Dummett al realismo
4.1.2 La critica di Bas van Fraassen al realismo
4.1.3 Una risposta a Dummett e a van Fraassen
4.1.4 Il dibattito teologico sul realismo
4.2 Realismo critico nella scienza e nella teologia: opinioni convergenti
4.2.1 La realtà esiste indipendentemente dalla nostra attività mentale
4.2.2 L'intelligibilità del reale

4.2.3 Il rapporto tra termini teorici e osservabili
4.2.4 La funzione di una comunità interpretante
4.3 Conclusione

5. La rappresentazione del mondo
5.1 Analogie tra scienza e religione
5.1.1 L'uso dell'analogia nelle scienze
Pensiero analogico e spiegazione scientifica
I limiti dell'analogia: la «selezione naturale»
Analogie errate: neodarwinismo e selezione
Guardare attraverso un vetro scuro: i limiti delle analogie
5.1.2 L'uso delle analogie nella teologia
5.1.3 L'uso delle analogie nella scienza e nella religione
5.2 Analogie e visualizzazione: complementarità di scienza e religione
5.2.1 Niels Bohr e la complementarità
Le origini della complementarità: da Einstein a Heisenberg
Bohr formula il principio di complementarità
La complementarità e l'indispensabilità dei concetti classici
5.2.2 Complementarità e teologia
Prime riflessioni su teologia e complementarità
Bohr, Barth e Torrance sulla complementarità
La complementarità e la genesi della cristologia classica
5.3 Conclusione

Al posto della conclusione oltre il conflitto

Bibliografia
Indice dei nomi
Indice dei passi biblici
Indice degli argomenti