LA CRISI, E POI?
Autore: | JACQUES ATTALI |
Formato: | 15 X 21 |
Pagine: | 145 |
Anno: | 2009 |
Editore: | FAZI EDITORE |
L'Autore Jacques Attali giornalista, esperto in economia, è stato consigliere di Mitterrand e primo presidente della Banca Europea per la Ricostruzione dello Sviluppo. Pur essendo un uomo di sinistra, a presieduto la commissione per la Liberazione della Crescita nel governo Sarkozy. Dirige Plenet le Financ, ONG per la diffusione della microfinanza nei paesi in via di sviluppo. Fazi editore ha pubblicato la biografia Karl Marx ovvero, lo spirito del mondo (2006, ed. tasc. 2008), Breve storia del futuro (2007), Amori (2008). |
LA CRISI. E POI?
RETROCOPERTINA
"Come siamo arrivati fino a questo punto? Sembrava che il mondo stesse procedendo per il verso giusto, La crescita economica era la più rapida della storia e tutto lasciava presagire che sarebbe continuata per molti decenni, grazie alla presenza disu scala mondiale - di abbondante risparmio e a progressi tecnologici straordinari. Ed ecco che, improvvisamente, siamo all'alba di una depressione planetaria, la più grave da 80 anni a questa parte. In apparenza nulla di grave, se non che alcune famiglie americane non sono più in grado di pagare i loro debito immobiliare. L'obiettivo del libro è quello di spiegare questo mistero nella maniera più semplice possibile e prevedere dove la crisi ci porterà, in modo da non ricascarci più".
In La crisi, e poi? Attali descrive tutte le fasi del crac, andando a indagare i precedenti storici e le ragioni socioeconomiche che hanno portato a questa situazione. Ma delinea pure i possibili scenari che a breve termine potranno verificarsi e le scelte che i governi occidentali possono ancora fare per evitare il tracollo totale.
INTRODUZIONE
Come siamo arrivati fino a questo punto? Sembrava che il mondo stesse procedendo per il verso giusto; pareva che la libertà politica e l'iniziativa individuale potessero sbocciare negli angoli più reconditi della Terra; la povertà iniziava a ridursi in Asia e in America Latina; la crescita economica del pianeta era la più rapida della storia e tutto lasciava presagire che sarebbe continuata per molti decenni, grazie a un forte aumento demografico, alla presenza di un abbondante risparmio e ai progressi tecnologici straordinari che permettevano inoltre di riorientarla verso uno sviluppo più duraturo.
Ed ecco che, improvvisamente, siamo all'alba di una depressione planetaria, la più grave da ottant' anni a questa parte.
In apparenza nulla di grave, se non che alcune famiglie americane non sono più in grado di pagare il loro debito immobiliare.
L'obiettivo del libro è quello di spiegare questo mistero nella maniera più semplice possibile e prevedere dove la crisi ci porterà, in modo da non ricascarci più. Per farlo, dovremo collocare gli eventi recenti nel loro contesto storico, demistificare i ragionamenti che suscitano panico, proporre una nuova lettura di questa crisi e di ciò che ci attende.
Ma poiché nulla si spiega con chiarezza se non enunciandolo brevemente, ecco allora una sintesi del contenuto del libro prima in poche righe, poi in una decina di pagine.
Iniziamo con la più breve: questa prima crisi finanziaria della globalizzazione si spiega in gran parre con l'incapacità della società americana di dare salari accettabili alle classi medie, spingendole a indebitarsi per finanziare l'acquisto della casa e causando una crescita del valore dei patrimoni e della produzione; le istituzioni finanziarie e gli "iniziati" che le animano si attribuiscono, senza alcun controllo delle banche centrali, dei governi o delle istituzioni internazionali, la maggior parte della ricchezza così prodotta, senza correre alcun rischio, grazie alla cartolarizzazione (CDO) e a una pseudo-assicurazione (CDS); ciò provoca, come conseguenza, una crescita dell'indebitamento che finisce per diventare intollerabile, provocando panico, perdita di fiducia e fuga da qualsiasi debito. Ecco cosa potrebbe riservar ci prossimamente una depressione planetaria, che però potrebbe essere il punto di partenza di una formidabile crescita armoniosa. Quest'ultima eventualità presupporrebbe però la riduzione reale degli indebitamenti e non, come invece si sta cominciando a fare, il loro trasferimento esclusivamente sui contribuenti. Essa esige soprattutto di riequilibrare su scala mondiale il potere dei mercati attraverso quello della democrazia. E inizialmente quello dei mercati finanziari tramite quello del diritto; quello degli "iniziati" tramite quello dei cittadini. C'è ancora tempo: si può evitare una valanga, non fermarla.
Tutto ciò si può riassumere anche solo in qualche pagina. L'umanità ha sempre attraversato crisi religiose, morali, politiche ed economiche. Da quando il capitalismo ha preso il potere, la crisi sembra essere una sua condizione naturale. Tuttavia, tutti sentiamo che è in atto una grossa crisi, che una grande depressione ci minaccia, come una brutta sorpresa in un mondo pieno di promesse; e ciascuno intuisce che, in una certa maniera, qualcosa di molto profondo, nel nostro modo di vita e nel nostro modo di pensare, sta confusamente cambiando.
A mio avviso, l'attuale crisi si spiega in modo semplice: se il mercato è il migliore meccanismo di ripartizione delle risorse rare, è però incapace di creare lo Stato di diritto di cui ha bisogno e la domanda necessaria al totale impiego dei mezzi di produzione. Affinché una società di mercato funzioni efficacemente, occorre allo stesso tempo che uno Stato di diritto garantisca il diritto alla proprietà, imponga il mantenimento della concorrenza, crei una domanda attraverso salari accettabili e commesse pubbliche; ciò presuppone un intervento politico, possibilmente democratico e non totalitario, nella ripartizione dei redditi e dei patrimoni. Ma non essendo riusciti a imporre questa migliore ripartizione dei redditi, abbiamo visto crescere, da vent'anni almeno, in particolare negli Stati Uniti, una domanda alimentata dall'indebitamento dei lavoratori dipendenti, garantito a sua volta dal valore dei beni comprati con questo stesso debito.
Per rendere tollerabile questo indebitamento, la banca centrale americana ha dovuto, dal 2001, abbassare i tassi d'interesse, fornendo così una nuova fonte d'arricchimento a chi sapeva come investire al meglio, indebitandosi. Infine, per difendersi dai rischi creati da questi debiti, le istituzioni finanziarie private e gli "iniziati" che le animano hanno scelto, per massimizzare i loro guadagni, di istituire meccanismi d'assicurazione molto complessi (come i CDS e i monolines) e meccanismi di cartolarizzazione ancora più complessi (come i CDO e gli ABs), di cui spiegherò più avanti il significato. Ciò permette di trasferire il rischio ad altre banche o istituzioni finanziarie di tutto il mondo e a investitori inconsapevoli. Anche in questo caso, senza alcun controllo. Al primo posto tra questi padroni dei mercati finanziari e dell'informazione ci sono gli Stati Uniti d'America. La Cina (con il suo risparmio intrappolato in buoni del Tesoro americano che non può rivendere senza far crollare il dollaro e distruggere la competitività nell' esportazione della sua industria) e l'Europa (con il suo risparmio intrappolato nelle sue banche con cartolarizzazioni e assicurazioni) finanziano entrambe un' America che sta vivendo sempre più al di sopra dei propri mezzi.
Questi rendimenti molto elevati e il trasferimento dei rischi sono stati largamente incoraggiati, a partire dal 1990, dai fondi di investimento (in azioni o speculativi), che hanno bisogno di profitti sempre più elevati, in virtù di un' avidità senza freno né limiti dei loro investitori, ma sono stati incoraggiati anche dai fondi pensione, di cui si sente l'esigenza man mano che la popolazione invecchia.
Poiché in questo periodo tutto va per il meglio in California e le prodezze tecnologiche americane su Internet continuano a stupire il mondo, nessuno si rende conto che una parte essenziale dei talenti e dei capitali è dirottata verso lo stesso sistema finanziario a scapito dell'industria e della ricerca.
Intuendo che questa situazione è destinata a finire, gli ideatori dei prodotti finanziari indirizzati ai prestatori e ai mutuatari (che fanno parte del gruppo che definisco degli "iniziati") aumentano i prelievi sulle ricchezze prodotte.
Dall'altra parte della scala sociale, le famiglie americane più povere o più indebitate, alle quali sono stati proposti nuovi prestiti immobiliari (i cosiddetti subprime, i prestiti "sotto la prima categoria"), hanno creduto di uscire dalla precarietà accettando il denaro che l'aumento del valore delle loro case permetteva di prendere in prestito, mentre le istituzioni che hanno emesso questi crediti li impacchettano in titoli per trasferire il rischio su altri risparmiatori. Dall'inverno del 2006 si sono trovati nell'impossibilità di pagare le scadenze di questi prestiti.
A partire dalla metà del 2007, senza che le agenzie di rating notassero qualcosa, senza che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) dicesse nulla, e nemmeno i G8 ne parlassero, si inizia a dubitare degli attivi cartolarizzati.
Le banche americane, poi quelle svizzere, e dopo di nuovo quelle americane, poi le inglesi, belghe, tedesche e francesi scoprono, con l'aria di non saperne nulla, di avere nei loro bilanci questi titoli. E molti. Le agenzie federali americane responsabili del settore immobiliare, poi le compagnie di assicurazioni, quindi i risparmiatori vanno nel panico. Ciascuno vuole sbarazzarsi dei propri debiti. Numerosi paesi vedono fuggire i loro capitali; le banche di tutti i paesi sviluppati, preoccupate da ciò che di "tossico" può ancora trovarsi nei loro conti, bloccano il credito a molte imprese sane. Banche e paesi, che finora non avevano esitato a finanziare i deficit americani, cominciano a porsi delle domande.
All'inizio di settembre del 2008 si passa così dall'economia della fiducia al panico. Esplode una grave crisi finanziaria. È una buona occasione per scoprire che il sistema è in gran parte corrotto, che remunera generosamente chi lo controlla e lo valuta, e che distribuisce redditi indecenti ai responsabili di questi disastri.
Il timore continua a crescere. Ciascuno si protegge risparmiando ancora di più e rifiutando di assumersi altri rischi. I mercati interbancari si fermano. Come sempre, questo è il momento che i governi scelgono per dichiarare che tutto va bene! Totalmente lucidi, i cittadini ne desumono che la catastrofe è dietro l'angolo. E, convincendosi, la accelerano.
Il 3 ottobre 2008, il sistema finanziario mondiale sfiora il crollo, in mancanza di liquidità. Il 13 i governi del G8 annunciano la loro intenzione di fornire alle banche delle risorse che però non hanno. Dopo una formidabile carambola ideologica, banche e assicurazioni americane e inglesi vengono salvate da una sostanziale nazionalizzazione e dalla promessa di denaro pubblico inesistente. Il debito privato diventa un debito pubblico.
Tuttavia, nulla è stato risolto: la crisi è solo all'inizio; la recessione è già alle porte; la riduzione dei debiti sta accelerando; la depressione incombe. Se non si prenderanno radicali provvedimenti, verranno profondamente colpite le imprese, i consumatori, i lavoratori, i risparmiatori, i mutuatari, le città, le nazioni. Preoccupate del loro futuro, le banche, avendo visto liquefarsi i propri fondi, rifiuteranno prestiti a imprese perfettamente sane che falliranno. Dovranno inoltre ridurre i loro crediti o essere nazionalizzate. La Cina, che dopo il Giappone permette da anni agli Stati Uniti di "arrivare alla fine del mese", rimpatrierà gradualmente i suoi risparmi. Gli Stati Uniti non troveranno allora più nessuno che finanzi il loro debito, se non ricorrendo a una moratoria o all'inflazione, che rovineranno, sia l'una che l'altra, tutti coloro che detengono un patrimonio, e che faranno crollare il dollaro, già screditato dal debito estero americano.
Aleggia la minaccia di due, cinque, se non addirittura dieci anni di depressione: il tempo di ridurre a zero i debiti dei principali paesi occidentali. Questa depressione porterebbe con sé un crollo dei prezzi che neanche un grande rilancio attraverso massicce spese pubbliche basterebbe a rallentare.
La crisi finanziaria mondiale, diventata economica, si trasformerebbe allora in un'enorme crisi sociale e politica; centinaia di milioni di persone si troverebbero minacciate dalla disoccupazione; il regime politico stesso sarebbe criticato, respinto come incapace di gestire il "golem" dei mercati che avrà contribuito a creare. Poi arriverebbe, violenta, l'inflazione. Tutta l'ideologia delle nostre società individualiste e sleali sarebbe rimessa in discussione. E la democrazia con essa.
Se si vuole evitare che la Storia prenda questa piega terribile, bisogna capire che tutto ciò ha origine nello squilibrio tra il mercato e lo Stato di diritto: tale squilibrio riduce la domanda, la trasferisce sul debito e crea rendite finanziarie poderose, legali, extra-legali, illegali o criminali. Perfettamente coscienti dei rischi che lo sviluppo anarchico dei mercati fa correre al mondo, gli "iniziati" fanno di tutto per massimizzare i loro profitti, come dei ladri che si affrettano ad arraffare più oro possibile dalla cassa di una banca, rischiando il tutto per tutto negli ultimi secondi della rapina, poco prima che arrivi la polizia.
È venuto il momento di capire che i contribuenti pagano oggi i bonus dei banchieri che li hanno gettati in una simile situazione. Ma è venuto anche il momento di rendersi conto che questa crisi può rappresentare un'opportunità per il mondo intero, un ultimo avviso su tutti i pericoli di una globalizzazione anarchica e sprecona. È venuto il momento di convincerei che disponiamo dei mezzi umani, finanziari e tecnologici per far sì che questa crisi sia soltanto un incidente di percorso; che ne usciremo solo se l'informazione economica e finanziaria sarà equamente distribuita e disponibile per tutti e nello stesso momento; se i mercati finanziari, mondiali per natura, saranno regolamentati da uno Stato di diritto planetario; se cesseranno queste finanze-casinò; se il mestiere di banchiere ridiventerà modesto e noioso, ciò che non avrebbe mai dovuto smettere di essere; se sarà compiuto su scala mondiale un reale controllo dei rischi e delle esigenze di liquidità; se verrà fatta una revisione dei sistemi di retribuzione, una separazione tra attività dei mercati e attività bancarie e stabilito un obbligo per chi fa correre un rischio ad altri di accollarsi la sua parte; se si sapranno organizzare, su scala mondiale, grandi opere ecologicamente durature, come è stato fatto finora in alcuni paesi.
Purtroppo c'è da temere che quasi nulla di tutto ciò possa essere fatto tempestivamente.
E tuttavia, come la "crisi dei tulipani" ha potuto, nel 1637, aprire la via a centocinquanta anni di formidabile crescita dei Paesi Bassi, la crisi dei subprime, prima vera crisi della globalizzazione, potrebbe accelerare considerevolmente la presa di coscienza della necessità di realizzare, un giorno, una socializzazione della maggior parte delle funzioni monetarie, strumenti di sovranità, un accesso uguale per tutti alla conoscenza, una domanda mondiale stabile, un salario mondiale minimo, uno Stato di diritto mondiale, che porterà nel tempo a un governo mondiale.
Un secolo circa ci separa da questo scenario. E, probabilmente, anche un certo numero di crisi e guerre ...
INDICE
Introduzione 3
1. Le lezioni delle crisi passate 13
2. Come tutto è cominciato 37
Scarsezza della domanda, p. 38
Creazione della domanda con il debito, p. 40
La riduzione dei tassi, l'effetto leva e l'effetto ricchezza, p. 42
Ricerca sfrenata del risparmio: cartolarizzazione e derivati, p. 44
Vista la difficoltà di attirare capitali, gli assicuratori creano CDS e monolines, p. 47
Accecamento delle aziende di rating, p. 50
Esplosione del debito globale, p. 51
Coloro che avevano previsto la crisi, p. 51
Perché non li abbiamo ascoltati?, p. 54
L'affondamento del mercato dei subprime. Economia del panico, p. 56
Cronologia, p. 57
3. Il giorno in cui il capitalismo stava per scomparire 69
4. Le minacce prossime venture 87
Le nuove sfide del sistema finanziario, p. 89
La recessione, p. 93 - La depressione, p. 94
L'inflazione, p. 95
Il fallimento dei grandi paesi e il futuro del binomio "Cbimerica", p.97
Crisi dei cambi, p. 99
La crisi sociale, ideologica e politica, p. 101
5. La base teorica delle crisi e delle soluzioni: le contraddizioni tra le esigenze della democrazia e quelle dei mercati 103
Mercati, democrazia e "iniziati", p. 107
Slealtà e primato del finanziere, p. 109
Scomparsa dello Stato di diritto, p. 110
Trionfo del capitalismo finanziario, p. 112
Inizio della crisi finanziaria, p. 113
La soluzione: il riequilibrio del mercato con lo Stato di diritto, p. 114
6. Un programma d'urgenza 117
Rimettere ordine in tutte le economie nazionali, p. 119
Rafforzare la regolazione europea, p. 122
Mettere in atto un sistema normativo finanziario globale, p. 125
Una gestione internazionale, p. 127 - Grandi lavori planetari, p. 128
7. Ultimo avvertimento, promesse di futuro 131
Le prossime crisi finanziarie, p. 131
Gli altri pericoli: il futuro dei sistemi complessi globali, p. 134
Glossario 139
Schemi 143