DIO ESISTE - Come l'ateo più famoso del mondo ha cambiato idea - IL LIBRO
Libro:
DIO ESISTE
Come l'ateo più famoso del mondo
ha cambiato idea
Encomio a "Dio esiste"
"Quanto conta oggi porsi il tema dell'esistenza di Dio? Nell'ambito culturale caratterizzato da un indifferente post-nichilismo e dal neomaterialismo riduzionista, rilanciato nelle recenti discipline delle neuro-scienze e delle scienze bio-fisiche, in cosa crede la persona che crede?
Non nascondiamoci. Affrontiamo la questione. Oggi chi crede in Dio e lo afferma è sempre più soggetto a polemiche attenzioni. Si è ritenuti dogmatici e bigotti, con tutta una serie di conseguenze sul piano etico e sociale (tradizionalista, integralista, conservatore); si è considerati immaturi ed infantili, o untuosamente pietosi e consolatori verso se stessi. Si è accusati di mancanza di "senso critico" a favore di una vuota e mielata apologetica. Oppure il credere in Dio è un'opposizione personale e, come tale, alla stessa stregua di tante altre opzioni garantite dal diritto pragmatico di convenienza del convivere sociale, il cui baricentro sembra essere la convinzione che l'individuo sia l'unica fonte creativa dei valori etici.
Forse è una storia vecchia: la fede come menzogna, superstizione e dominio delle masse. In sintesi il tema di Dio non è accessibile per la scienza, il pensiero e la ragione: per tali forme di ricerca, Dio è un ignoto, è noli me tangere.
Antony Flew è stato un esponente sui generis di rilievo della filosofia analitica inglese. È noto come la sua posizione speculativa sia stata rigorosamente atea. L'essenza della sua argomentazione si ispira e rielabora in modo originale - con il ricorso ad argomentazioni fisico- biologiche - la legge di Hume: il divieto di dedurre il dover essere (l'esistenza di Dio) dalla constatazione di fatto. Colpisce perciò la sua scandalosa apostasia. Nel libro There is a God – qui accuratamente tradotto - abiura il suo ateismo in forza di una scoperta talmente evidente e forse per questo tanto negata: avere fede nella ragione. Una ragione che nel suo legittimo e difficile interrogarsi sulla comprensione della complessità della natura ci racconta di Dio e della sua creazione poiché il creato ed il suo significato non possono reggersi sul vuoto, sul caso o tanto meno sul niente.
Flew esemplifica magnificamente tale situazione con l'allegoria di un telefono satellitare sbarcato in un'isola primitiva che, manovrato dai nativi dell'isola, emette delle voci umane. Chi emette tale voci? Gli scienziati dei nativi ne costruiscono una copia simile ed ecco sentire le stesse voci. Conclusione: le voci sono prodotte dallo stesso telefono. Ma il saggio della tribù pone la possibilità dell'esistenza reale di esseri umani che possano comunicare con l'apparecchio telefonico e forse varrebbe la pena di investigare l'esistenza di qualche misterio- sa rete di comunicazione. Il saggio viene ridicolizzato: basta rompere l'apparecchio e le voci scompaiono, quindi perché deve esistere un mondo di persone? Le voci provengono dall'apparecchio. Basta così! È il punto cruciale di rottura con la ricerca del senso del senso. Ma la ragione del saggio dell'allegoria di Flew si chiede: "Come può da metalli e da sostanze chimiche del telefono satellitare saltar fuori la voce umana?". Sintesi: Flew - come il saggio della tribù - è convinto che il senso può nascere solo dal senso. La vita, la consapevolezza, la mente e l'io possono solo provenire da una fonte che è viva, consapevole e pensante (infra, pp. 179 ss.).
La domanda posta all'inizio, «In cosa crede la persona che crede?», ha la sua risposta: «Nel divenire di Dio». Una risposta inspirata dalla fede e dalla ragione. L'apostasia dall'ateismo di Flew, lascia anche un grande interrogativo ai lividi ateisti contemporanei, molti dei quali allievi ideali dell'autore in terra anglosassone: «In cosa crede la persona che non crede"? Come diceva G. K. Chesterton, un altro grande uomo d'Inghilterra: «Forse, chi non crede in nulla crede semplicemente in tutto», ed è un credulone che si fa schiavo di tutti gli dei, creandoseli a proprio uso e consumo, nel tentativo di dissetare quel desiderio ultimo e irriducibile del proprio cuore. Del proprio cuore, certo, ma anche della propria ragione, come ben dimostra la sincera conversione di Antony Flew, raccontata in queste meravigliose pagine».
LUCA VOLONTÈ , presidente Gruppo Popolari-Cristiano Democratici Consiglio di Europa
«La clamorosa abiura dell'ateismo da parte di uno dei suoi esponenti più famosi, Antony Flew, ha suscitato scalpore all'interno della comunità scientifica poiché a far cambiare idea al filosofo inglese non è stata un'improvvisa illuminazione religiosa o una nuova argomentazione teoretica, ma le sempre più convincenti prove empiriche che sembrano dimostrare, per l'estrema complessità dell'universo e dei modi in cui si è formata la vita, il coinvolgimento di un'intelligenza superiore»
GUGLlELMO PIOMBINI , opinionista
«Il 9 dicembre 2004 una notizia viene ripresa e diffusa dall'agenzia Associated Press: all'età di 81 anni Antony Flew si è persuaso dell'esistenza di Dio. Per il Flew prima maniera, l'uomo autenticamente "ragionevole" non può affatto accettare l'esistenza di un Essere Supremo, men che meno l'idea di un Dio Creatore come lo è il Dio rivelato nella Bibbia. Autorevole e influente, lo "scandalo" che le posizioni del filosofo hanno generato è stato notevole. Tutto cominciò quando Flew cercò di confutare la plausibilità dei miracoli difesa in pubblico da C.S. Lewis (1898-1963). Oggi invece Flew si arrende e s'inchina, e afferma che la scienza - la scienza vera - spazza come pula al vento le superstizioni e le ubbie neodarwiniste».
MARCO RESPINTI , autore di Processo a Darwin(2007)
«Flew si conferma un interprete importante della cultura filosofica contemporanea. Dopo decenni di ateismo militante, vissuto nelle aule e nelle accademie più prestigiose, si arrende all'evidenza e ricomincia a credere e pensare partendo dal Creatore. Il libro Dio esiste è una straordinaria testimonianza della vitalità e della coerenza del teismo, oltre che della sua onestà intellettuale».
Giuseppe Rizza , Università di Trento, docente di apologetica presso l'IFED di Padova
«In gioventù, l'ateo Antony Flew si affidò al principio socratico di "seguire il ragionamento fin dove ci porti". Dopo una vita passata ad esplorare l'indagine filosofica, questa mente forte e coraggiosa è giunta ora alla conclusione che il ragionamento conduce a Dio. I suoi colleghi della chiesa del fondamentalismo ateo rimarranno scandalizzati dalla sua storia ma i credenti ne saranno enormemente incoraggiati, mentre gli investigatori zelanti troveranno nel viaggio di Flew molte cose che illumineranno il loro stesso cammino verso la verità».
FRANCIS S. COLLINS , New York Times, autore de Il linguaggio di Dio.
«Una stupenda mente filosofica medita sulle più recenti scoperte scientifiche. La conclusione: c'è un Dio dietro la razionalità della natura».
MICHAEL BEHE, autore di La scastola nera di Darwin,
«Ci sarà un interesse considerevole sul resoconto chiaro e accessibile che Antony Flew presenta del "pellegrinaggio della ragione" che l'ha condotto dall'ateismo alla fede in Dio».
JOHN POLKINGHORNE, autore di Credere in Dionell'età della scienza,
«Antony Flew è stato per gran parte della sua vita un notissimo difensore filosofico dell'ateismo. Ora ha scritto un libro molto chiaro e piacevole che ricostruisce il suo cammino verso il teismo, rivelando la sua totale apertura a nuovi ragionamenti razionali».
Richard Swinburne , autore di The Existence oj God,
“È un libro notevole sotto diversi aspetti. È sempre confortante trovare un importante pensatore che riconosca il proprio errore. Ma c'è di più. Questo libro spazia, ma senza fare digressioni. Nel capitolo Il nuovo ateismo, Dawkins e Dennett vengono messi al proprio posto da uno studioso che non possono liquidare come inferiore».
Huston Smith , autore di The Worlds Religions.
«È un resoconto affascinante e molto piacevole di come un insigne filosofo, ateo militante per gran parte della sua vita lavorativa, arrivò a credere in un disegno intelligente dell'universo e, quindi, nel deismo. Questo libro provocherà tanti dibattiti quanti ne determinarono i suoi precedenti scritti ateistici».
Professore JOHN HICK , membro dell'Istituto per la ricerca avanzata nelle arti e nelle scienze sociali, Università di Birmingham.
«Antony Flew non possiede soltanto le virtù filosofiche, ma anche quelle del filosofo. Pacato nell'argomentazione e costantemente ragionevole, la sua ricerca della verità, durata tutta la sua vita, era, implicitamente, la ricerca del Garante di tutta la verità. È giusto che lo abbia finalmente reso esplicito».
RALPH McINERNY , professoredi filosofia, Università di Notre Dame.
«Poche storie religiose hanno avuto un tale impatto. Questo sorprendente volume documenta le ragioni del cambiamento di Tony [ ... ] e rende questo piacevole libro una lettura assolutamente necessaria».
GARY HABERMAS, professore, ricercatore e presidente, dipartimento di filosofia e teologia, Università "Liberty".
«Dio esiste di Antony Flew è una testimonianza affascinante di come uno degli atei contemporanei più noti sia giunto alla convinzione che Dio esista davvero. Il racconto è una testimonianza eloquente dell'apertura mentale, dell'imparzialità e dell'integrità intellettuale di Flew. Arriverà come una scossa per coloro che una volta erano i sui colleghi atei».
NICHOLAS WOLTERSTORFF , professoreemerito di teologia filosofica, Università di Yale.
"Quando Antony Flew, con uno spirito votato alla libertà di pensiero, seguì l'evidenza dove pensava conducesse, cioè al teismo, fu denunciato esplicitamente da presunti liberi pensatori con i più severi dei termini. Aveva commesso, a quanto pareva, un peccato imperdonabile. Ora abbiamo il racconto personale del suo viaggio dall'anti-teismo al teismo. Lo raccomando a tutti i ricercatori della verità dotati davvero di una mente aperta."
WILLIAM L. CRAIG, professoreal Talbot School of Theology
«Il libro di Antony Flew farà infuriare gli atei che sostengono (erroneamente) che la scienza dimostri che non esiste alcun Dio. Flew è un insigne filosofo la cui posizione è stata cambiata dalla forza del ragionamento sul significato delle scoperte scientifiche. Quest'affascinante retrospettiva personale sul suo pellegrinaggio filosofico mostra quanto sia pericoloso per un ateo riflettere troppo sul proprio impegno religioso ... potrebbe diventare scettico».
IAN H. HUTCHINSON , professoree capo del Dipartimento di scienza e ingegneria nucleare, MIT.
«In Dio esiste uno dei principali filosofi analitici del ventesimo secolo condivide con i lettori un pellegrinaggio intellettuale che inizia con uno scetticismo sano e di principio e culmina in un teismo basato su garanzie razionali e una disponibilità ad accettare l'evidenza come data. Forse la soddisfazione più grande che si può ricavare dalla lettura di questo saggio filosofico è l'integrità trasparente dell'autore, così consueta nel corso di una vita di realizzazioni da essere, come per Aristotele, una seconda natura. Quanto risultano striduli e incentrati solo su loro stessi i lavori contrapposti di un Dawkins o di un Dennett a confronto! Anche se utilizza una scrittura in parte diversa dal registro metafìsico dell'Apologia di Newman, l'esposizione del professor Flew sarà una fonte d'indagine meditativa per molti anni. In gioventù, era guidato dal coraggioso Socrate. Ora, più grande, servirà da modello per altri».
DANIEL N. ROBINSON, Università di Oxford.
INDICE
Encomio a Dio esiste
Prefazione
Introduzione
PRIMA PARTE: LA MIA NEGAZIONE DEL DIVINO
1. La creazione di un ateo
2. Dove conduce l'evidenza
3. L'ateismo considerato con calma
SECONDA PARTE: LA MIA SCOPERTA DEL DIVINIO
4. Un pellegrinaggio della ragione
5. Chi scrisse le leggi della natura
6. L'universo sapeva del nostro arrivo
7. Com'è iniziata la vita?
8. E' mai nato qualcosa dal nulla?
9. Fare spazio a Dio
10. Aprirsi all'Onnipoteza
TERZA PARTE: APPENDICI
Appendice A
Il "nuovo ateismo": una valutazionecritica di Dawkiins, Dannett, Wolpert,
Harris e Stanger (Roy A. Varghese)
Appendice B
L'auto rivelazione di Dio nella storia umana: un dibattito su Gesù con N.T. (N.T. Wright)
Capitolo 1 - La creazione di un ateo
Non fui sempre ateo. Iniziai con una vita abbastanza religiosa. Crebbi in una casa cristiana e frequentai una scuola privata cristiana. Infatti, sono figlio di un predicatore.
Mio padre studiò al Merton College di Oxford, e fu un pastore della Chiesa Metodista Wesleyana, piuttosto che della Chiesa Anglicana. Nonostante il suo cuore indugiò sempre nella predicazione evangelistica e, come direbbero gli anglicani, nel lavoro pastorale, i miei primi ricordi di lui sono come insegnante universitario di studi sul Nuovo Testamento, alla scuola teologica metodista di Cambridge. Più tardi, successe al direttore della scuola per poi andare in pensione e morire a Cambridge. In aggiunta ai basilari doveri di queste cariche da studioso e insegnante, mio padre eseguì molto lavoro come referente metodista in varie organizzazioni tra diverse chiese. Prestò anche servizio per un anno come presidente sia della Conferenza Metodista che del Consiglio Federale delle Chiese Libere.
Sarei in difficoltà nell'isolare o identificare nella mia adolescenza qualche segnale delle più tarde convinzioni ateistiche. In gioventù, frequentai la Kingswood School di Bath, conosciuta in modo informale come la K. S. Era, e per fortuna lo è ancora, un collegio pubblico (quel tipo di istituto che, in qualsiasi altro posto del mondo di lingua inglese, sarebbe descritto, paradossalmente, come collegio private). Era stato creato da John Wesley, fondatore della Chiesa Metodista, per l'educazione dei figli dei suoi predicatori (dopo un secolo o più dalla costituzione della Kingswood School, fu istituita la Queenswood School per ospitare le figlie femmine in modo appropriatamente egualitario).
Entrai in quel collegio da cristiano dedicato e coscienzioso, ma indifferente. Non riuscivo mai a vedere il senso del culto e sono sempre stato troppo negato in musica per provare piacere o addirittura prendere parte al canto degli inni. Non mi avvicinai mai a nessuna letteratura religiosa con la stessa smania irrefrenabile con la quale divoravo libri di politica, storia, scienza o quasi qualsiasi altro tema. Andare in cappella o in chiesa, recitare le preghiere e seguire tutte le altre pratiche religiose, era per me una questione di dovere, più o meno noioso. Non sentii mai il benché minimo desiderio di comunicare con Dio.
Perché fossi - dai miei primissimi ricordi - disinteressato, in generale, alle pratiche e ai temi religiosi che forgiavano il mondo di mio padre, non lo so dire. Semplicemente non ricordo di aver provato alcun interesse o entusiasmo verso tali adempimenti. Non credo nemmeno di aver mai sentito la mia mente incantata o «il mio cuore inspiegabilmente riscaldato», per usare la famosa frase di Wesley, dallo studio o dal culto cristiano. Se la mancanza di entusiasmo verso la religione nella mia gioventù fosse una causa o un effetto - o entrambi -, chi lo può dire? Posso dire, però, che qualsiasi fede avessi quando entrai alla K. S. se n'era già andata quando terminai la scuola.
UNA TEORIA DI DEVOLUZIONE
Mi è stato riferito che il Barna Group, una prominente organizzazione cristiana sui sondaggi demografici, dalle sue indagini trasse la conclusione che, in sostanza, ciò in cui credi quando hai tredici anni è ciò in cui crederai fino alla morte. Che questa scoperta sia corretta o meno, so per certo che le convinzioni che maturai nei primi anni dell'adolescenza mi accompagnarono per gran parte della vita adulta.
Come e quando iniziò il cambiamento, non lo riesco a ricordare con precisione. Ma certamente, come avviene in ogni persona razionale, molteplici fattori si combinarono nella realizzazione delle mie convinzioni. Non ultimo tra questi fu ciò che Imrnanuel Kant definì «un ardore di mente non sconveniente all'erudizione», che credo avessi in comune con mio padre. Entrambi eravamo disposti a seguire il sentiero della «saggezza» così come Kant la descriveva: «È la saggezza che ha il merito di selezionare, tra gli innumerevoli problemi che si presentano, quelli la cui soluzione è importante per l'umanità». Le convinzioni cristiane di mio padre lo persuasero che non ci potesse essere niente di più «importante per l'umanità» che la delucidazione, la propagazione e la realizzazione di qualsiasi cosa fosse in realtà l'insegnamento del Nuovo Testamento. Il mio viaggio intellettuale mi portò in una direzione diversa, ovviamente, ma che non fu meno segnata dall'ardore di mente che condividevo con lui.
Rammento anche che mio padre, per mio grande vantaggio, mi ricordò in più di un'occasione che quando gli studiosi della Bibbia vogliono acquisire familiarità con qualche concetto particolare del Vecchio Testamento, non cercano di trovare una risposta semplicemente escogitandola loro stessi. Al contrario, raccolgono ed esaminano, cercando di contestualizzare il più possibile, tutti gli esempi contemporanei disponibili in cui viene utilizzato il relativo termine ebraico. Questo approccio accademico - che ancora non ho abbandonato - formò in molti modi le basi delle mie primissime indagini intellettuali di raccolta ed esame, nel contesto, di tutte le informazioni rilevanti su un dato soggetto. È ironico, forse, che fu la famiglia in cui crebbi, molto probabilmente, ad infondermi l'entusiasmo verso quell'indagine critica che mi avrebbe finalmente portato a rifiutare la fede di mio padre.
IL VOLTO DEL MALE
Ho affermato, in alcuni dei miei ultimi scritti ateistici di aver raggiunto la conclusione dell'inesistenza di Dio fin troppo rapidamente, fin troppo facilmente e seguendo quelle che, più tardi, mi sembrarono le ragioni sbagliate. Riconsiderai questa conclusione negativa a lungo e spesso ma, per quasi settant'anni, non trovai mai motivi sufficienti per giustificare qualche capovolgimento fondamentale. Una di quelle prime ragioni per la mia conversione all'ateismo fu il problema del male.
Mio padre portava me e mia madre ogni anno, per le vacanze estive, all'estero. Anche se non se le sarebbe potute permettere con lo stipendio da pastore, le rendeva possibili grazie al guadagno derivato dal lavoro come commissario agli esami di maturità che spesso svolgeva durante la prima parte dell'estate. Potevamo anche viaggiare all'estero in modo economico, poiché mio padre parlava il tedesco fluentemente, grazie a due anni di studi teologici all'Università di Marburgo, prima della I Guerra Mondiale. Riuscì così a portarci in vacanza in Germania e, un paio di volte, in Francia senza dover spendere soldi per un agente di viaggi. Era anche spesso nominato a prestare servizio come rappresentante del metodismo in svariate conferenze teologiche internazionali. A queste portava anche me, figlio unico, e mia madre come ospiti non partecipanti.
Fui molto influenzato da questi primi viaggi all'estero durante gli anni prima della II Guerra Mondiale. Ricordo in modo vivido gli striscioni e le insegne fuori dalle piccole città che proclamavano: «Qui non vogliamo ebrei». Ne rammento alcune davanti all'ingresso di una biblioteca pubblica che dicevano: «I regolamenti di questo istituto vietano di prestare qualsiasi libro agli ebrei». Assistetti a una marcia di diecimila assaltatori con le camicie marroni durante una notte d'estate bavarese. I nostri viaggi di famiglia mi esposero a plotoni di Waffen-SS nelle loro uniformi nere con i berretti con teschio e tibie incrociate.
Tali esperienze delinearono la formazione della mia vita giovanile e, per me come per molti altri, presentavano una sfida inevitabile all'esistenza di un onnipotente Dio di amore. Il grado in cui influenzarono il mio pensiero non lo posso misurare. Se non altro, queste esperienze destarono in me una consapevolezza che durò per tutta la vita dei mali gemelli dell'anti-sernitismo e del totalitarismo.
UN LUOGO MOLTO VIVACE
Crescere durante gli anni '30 e '40 in una famiglia come la nostra - schierata com'era con la confessione metodista - era come essere a Cambridge ma non appartenervi. Per iniziare, la teologia non era in quel tempo e in quel luogo accettata come "regina delle scienze", come lo era stata invece in altri istituti. é una scuola di tirocinio ministeriale era un tipo di università in voga. Di conseguenza, non m'identificai mai con Cambridge, anche se mio padre vi si sentiva piuttosto a casa. In ogni caso, dal 1936, quando iniziai a soggiornare nel pensionamento scolastico, non mi trovavo quasi mai a Cambridge durante l'anno scolastico.
Ciononostante, Kingswood era ai miei tempi un luogo molto vivace, presieduto da un uomo che sicuramente meritava di essere reputato un grande direttore. L'anno prima del mio arrivo, aveva vinto più riconoscimenti liberi a Oxford e Cambridge di qualsiasi altra scuola in cui sia presente la Headmaster's Conference1. La nostra attività non era limitata all'aula e al laboratorio.
Nessuno dovrebbe sorprendersi se, inserito in questo stimolante ambiente, iniziai a mettere in discussione la risoluta fede dei miei progenitori, una fede verso la quale non avevo mai sentito nessun intenso attaccamento emozionale. Dal tempo in cui stavo frequentando la sesta classe superiore alla K. S.2, iniziai
regolarmente a sostenere, con i compagni di classe, che l'idea di un Dio tanto onnipotente quanto perfettamente buono fosse incompatibile con i mali manifesti e le imperfezioni del mondo.
Durante il periodo alla K. S., i consueti sermoni della domenica non contenevano mai alcun riferimento a una vita futura, in paradiso o all'inferno. Quando il predicatore era il direttore, A. B. Sackett, cosa non frequente, il suo messaggio riguardava sempre le meraviglie e gli splendori della natura. In ogni modo, quando arrivai al mio quindicesimo compleanno, rifiutai la tesi che l'universo fosse stato creato da un Dio onnipresente e infinitamente buono.
Mi si potrebbe giustamente chiedere se non mi fosse mai venuto in mente di consultare mio padre, che era un uomo di chiesa, circa i miei dubbi sull'esistenza di Dio. Non lo feci mai. Per amore della pace domestica e, in particolare, per risparmiare mio padre, cercai, per il maggior tempo possibile, di nascondere la mia conversione irreligiosa a tutti, a casa. Per quanto ne sappia, vi sono riuscito per un bel po' di anni.
Tuttavia, dal gennaio del 1946, a quasi ventitre anni, il mondo fece trapelare - arrivando ai miei genitori - il fatto che fossi sia ateo che mortalista (uno che non crede alla vita dopo la morte) e che fosse improbabile un qualsiasi ripensamento. Il mio cambiamento era così totale e deciso che ritenevamo futile imbarcarci in una qualsiasi discussione sull'argomento a casa. Comunque, oggi, dopo ben più di mezzo secolo, posso dire che mio padre sarebbe enormemente lieto della mia attuale visione sull'esistenza di Dio - almeno perché la considererebbe di grande aiuto alla causa della chiesa cristiana.
UNA OXFORD DIVERSA
Dalla Kingswood, mi diressi all'Università di Oxford. Vi arrivai nel bimestre "Hilary" (da gennaio a marzo) del 1942. La II Guerra Mondiale era in corso e, in uno dei miei primi giorni da universitario diciottenne, mi fecero un esame medico e mi reclutarono ufficialmente nella Royal Air Force. In quei giorni di guerra, quasi tutti gli universitari fisicamente idonei passavano un giorno alla settimana nell'apposita organizzazione del corpo militare. Nel mio caso, si trattava della Oxford University Air Squadron.
Questo servizio militare, part-time per un anno e full-time dopo, non prevedeva alcun combattimento. Prevedeva lo studio di un po' di giapponese alla Scuola di Studi Orientali e Africani dell'Università di Londra e, quindi, la traduzione dei messaggi intercettati e decifrati delle forze aeree giapponesi, al Bletchley Park. Dopo che il Giappone si arrese (e in attesa del mio turno di essere congedato), lavorai traducendo messaggi intercettati dell'esercito di occupazione francese, da poco costituitosi, in quella che era allora la Germania dell'Ovest.
Quando feci ritorno ai miei studi a tempo pieno all'Università di Oxford, nei primi di gennaio del 1946, in previsione di discutere l'esame finale nell'estate del 1947, la Oxford in cui tornai era un luogo molto diverso. Sembrava un istituto molto più stimolante di quello che avevo lasciato quasi tre anni prima. C'era anche una maggior varietà sia di carriere del tempo di pace che di effettive carriere militari ora completate senza problemi, rispetto a quanta ce n'era stata dopo la I Guerra Mondiale. lo stesso stavo studiando per il titolo in Literae Humaniores e alcune delle mie lezioni sulla storia della Grecia classica erano tenute da veterani che erano stati attivi nell' assistere alla resistenza greca sia a Creta che nella Grecia continentale, rendendo le lezioni più romantiche e stimolanti per un pubblico di studenti.
Discussi l'esame finale nella sessione estiva del 1947. Con mia sorpresa e piacere, mi laureai a pieni voti. Dopo di ciò, tornai da John Mabbott, il mio tutor personale 'al St. [ohn's College. Gli dissi che avevo abbandonato il mio precedente obiettivo di studiare per una laurea di secondo livello alla Scuola di Filosofia e Psicologia allora da poco fondata. Avevo intenzione d'iniziare a impegnarmi per un titolo superiore in filosofia.
LA CRESCITA FILOSOFICA
Mabbott fece in modo che mi venisse assegnato un posto alla sezione di studi filosofici post-Iaurea sotto la supervisione di Gilbert Ryle, che era allora il Waynflete Professor di Filosofia Metafisica all'Università di Oxford. Ryle, nel secondo bimestre dell'anno accademico 1947-1948, era il decano delle tre cattedre di filosofia di Oxford.
Fu solo molti anni dopo che appresi, dall'affascinante libro di Mabbott Oxford Memories, che i due avevano stretto amicizia fin dal primo incontro a Oxford. Se fossi stato in un college diverso e un tutor diverso mi avesse chiesto quale dei tre possibili esperti supervisori avrei preferito, avrei sicuramente scelto Henry Price, a causa dell'interesse che condividevamo in ciò che è ora conosciuta come parapsicologia, ma che allora era ancora chiamata ricerca psichica. Ad ogni modo, il mio primo libro fu intitolato A New Approach to Psychical Research e io e Price diventammo oratori alle conferenze che riguardavano la ricerca psichica. Ma sono certo che non avrei vinto il premio universitario in filosofia in un anno straordinariamente duro, se i miei studi da laureato fossero stati supervisionati da Henry Price. Avremmo passato troppo tempo a parlare dei nostri interessi comuni.
Dopo aver dedicato l'anno accademico del 1948 a studiare per una laurea superiore in filosofia sotto la supervisione di Ryle, vinsi la borsa di studio "[ohn Locke" in Filosofia della Mente. Fui dunque nominato per quella che in ogni altro college di Oxford, tranne il Christ Church, sarebbe stata definita una carica (di prova) da Fellow3 - cioè, un lavoro da insegnante a tempo pieno. Nel vocabolario del Christ Church, tuttavia, dicevano che ero diventato uno studente (di prova).
Durante l'anno da docente, giunsero a Oxford le lezioni del noto filosofo Ludwig Wittgenstein, il cui approccio alla filosofia avrebbe influenzato il mio. Tuttavia, questi insegnamenti, più tardi pubblicati come Libro blu e Libro marrone e Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, arrivarono sotto forma di singole lezioni dattiloscritte - accompagnate da lettere di Wittgenstein che indicavano a chi potessero o non potessero essere mostrate. Un collega ed io escogitammo, senza infrangere alcuna promessa a Wittgenstein, di produrre delle copie di tutte le sue lezioni allora disponibili a Oxford, così che chiunque lo desiderasse potesse leggerle.
Questo buon fine - utilizzo qui il vocabolario dei filosofi morali di quel periodo - fu raggiunto, inizialmente, chiedendo a tutti coloro che sapevamo stessero attivamente filosofando a Oxford in quel periodo se fossero in possesso di lezioni dattilo- scritte di Wittgenstein e, se così, di quali. Quindi, dato che le fotocopiatrici ancora non esistevano, trovammo e assumemmo un dattilografo che riproducesse sufficienti copie per soddisfare la richiesta (non potevamo sapere che, facendo circolare questi dattiloscritti solo tra i membri di un'associazione e, quindi, solo sotto giuramento di segretezza, avremmo scatenato commenti da parte di persone estranee sul fatto che Wittgenstein, che fu indubbiamente un filosofo geniale, si comportasse spesso come un ciarlatano che finge di essere un genio!).
Ryle l'aveva conosciuto quando aveva fatto visita a Cambridge. In seguito strinsero amicizia e lo convinse a unirsi a lui in un'escursione a piedi al Lake District, nel 1930 o 1931. Non pubblicò mai nessun resoconto della gita o di ciò che durante questa apprese da e su Wittgenstein. Ma dopo di essa, e da allora in poi, agì da mediatore tra il filosofo e ciò che gli altri chiamava- no "il mondo esterno".
Quanto quella mediazione fu a volte necessaria lo può rivelare l'annotazione di una conversazione tra Wittgenstein, che era ebreo, e le sue sorelle, immediatamente dopo che i soldati di Hitler ebbero assunto il controllo dell'Austria. Il filosofo assicurava alle sorelle che, a causa dei loro stretti legami con «le persone e le famiglie influenti» del precedente regime, né lui né loro si trovavano in alcun pericolo. Quando più tardi diventai insegnante di filosofia di professione, fui restio a rivelare ai miei allievi che Wittgenstein, considerato da me e da molti colleghi un genio filosofico, fosse stato così ingenuo in questioni pratiche.
Personalmente, almeno una volta lo vidi in opera. Avvenne durante gli anni in cui ero studente universitario, quando fece visita alla Jowett Society. Il suo tema annunciato era Cogito ergo sum, derivato, ovviamente, dalla famosa affermazione «penso dunque sono» del filosofo francese Cartesio. La stanza era affollata. Il pubblico si aggrappava a ogni singola parola di quel grande uomo. Tuttavia, l'unica cosa che riesco a ricordare ora dei suoi commenti è che non avevano assolutamente nessun legame percepibile con il tema annunciato. Così, quando ebbe terminato, l'emerito professore H. A. Prichard si alzò. Con evidente esasperazione, chiese cosa «Herr Wittgenstein - il dottorato di Cambridge a quanto pare non era riconosciuto a Oxford! - ne pensasse del cogito ergo sum», Rispose indicando la sua fronte con l'indice della mano destra e dicendo solamente: «Coguo ergo sum. È una frase molto particolare». Allora, come adesso, pensai che la replica più adatta a quell'affermazione sarebbe stato un adattamento di una delle vignette in Men, Women and Dogs di James Thurber: «Forse non hai fascino, Lily, ma sei enigmatica».
CONFRONTO CON C. S. LEWIS
Durante il periodo come laureato specializzando sotto la supervisione di Gilbert Ryle, mi resi conto che era proprio una sua consuetudine, essendo una persona indubbiamente corretta, quella di rispondere sempre in modo diretto, faccia a faccia, a ogni obiezione mossa contro le sue opinioni filosofiche. La mia teoria, anche se lui ovviamente non la rivelò mai né a me né, per quanto ne sappia, ad altri, è che stesse mettendo in atto l'insegnamento che Platone, nella Repubblica, attribuisce a Socrate: «Seguire il ragionamento fin dove ci porta»4. Tra le altre cose, questo principio richiede che, per fare un' obiezione faccia a faccia, le persone si debbano incontrare. È un criterio che io stesso ho cercato di seguire per tutta la mia lunga e molto controversa vita.
Questa massima socratica valse anche da ispirazione al Socratic Club, un gruppo che si trovava davvero al centro di quella vita intellettuale della Oxford del periodo di guerra. Era un forum animato aperto ai dibattiti tra atei e cristiani e io partecipavo regolarmente a quegli incontri. Il suo formidabile presidente dal 1942 al 1954 era il famoso scrittore cristiano C. S. Lewis. Il circolo si riuniva ogni lunedì sera, durante l'anno accademico, nella Junior Common Room sotterranea del St. Hilda's College. Nella prefazione alla prima uscita di Socratic Digest, Lewis citò l'esortazione di Socrate a «seguire il ragionamento ovunque esso porti». Evidenziò che questa «arena votata specialmente al conflitto tra cristiani e non-credenti era una novità». Molti dei più importanti atei a Oxford si confrontarono con Lewis e i suoi compagni cristiani. L'incontro di gran lunga più famoso fu l'acclamato dibattito tra lui ed Elizabeth Anscombe nel febbraio del 1948, il quale portò il primo a rivedere il terzo capitolo del suo libro La mano nuda di Dio5, Ricordo ancora che ero un membro di un piccolo gruppo di amici che rincasavano insieme dopo il grande dibattito, camminando proprio dietro la Anscombe e i suoi sostenitori. Era esultante, come anche i suoi compagni. Subito davanti a loro, Lewis camminava solo, con passo più svelto che poteva, per andare a rifugiarsi nelle sue stanze, al Magdalen College, appena dopo il ponte che stavamo tutti attraversando. Anche se molti hanno affermato che Lewis rimase permanentemente demoralizzato dal risultato di quel confronto, la Anscombe la pensava diversamente. Più tardi scrisse:
L'incontro del Socratic Club, al quale lessi la mia relazione, è stato descritto da molti dei suoi compagni come un'esperienza orribile e scioccante che lo infastidì parecchio. Né il Dott. Harvard (che po- che settimane dopo invitò entrambi a cena) né il Prof. Jack Bennett ricordavano dei sentimenti di questo tipo da parte di Lewis [ ... l. Sono incline a interpretare i singolari resoconti della questione, da parte di alcuni sei suoi amici [ ... l, come un interessante esempio di quel fenomeno chiamato "proiezione"6.
Lewis fu sicuramente l'apologeta cristiano più valido dell'ultima parte del ventesimo secolo. Quando recentemente la BBC mi chiese se avessi confutato in modo assoluto la sua apologetica cristiana, risposi:
No. Semplicemente non pensavo ci fosse una ragione sufficiente per crederei. Ma, certamente, quando più tardi mi fermai a riflettere sulla teologia, l'argomentazione a favore della rivelazione cristiana mi parve molto forte, quando non si crede in alcuna rivelazione.
SVILUPPI ALTAMENTE POSITIVI
Durante il mio ultimo bimestre all'Università di Oxford, la pubblicazione di Linguaggio, verità e logica di A. J. Ayer aveva convinto molti membri del Socratic Club che l'eresia ayeriana del positivismo logico -l'opinione che tutte le proposizioni religiose siano prive di significato cognitivo - dovesse essere confutata. La prima e unica relazione che abbia mai letto al Socratic Club, Theologyand Falsification, fornì ciò che allora ritenevo fosse una confutazione sufficiente. Credevo di aver raggiunto una vittoria completa e di non aver lasciato spazio a ulteriori dibattiti.
Fu sempre a Oxford che conobbi la mia futura moglie, Annis Donnison. Ci presentò la sua futura cognata durante una festa del club laburista di Oxford e, da quel momento, non prestai più attenzione a nessun altro durante quella serata. Alla fine della festa mi accordai con lei per un successivo incontro: era la prima volta che uscivo con una ragazza. Le nostre condizioni sociali allora erano molto diverse. lo ero un insegnante al Christ Church, istituto maschile, mentre lei era al primo anno come allieva al Sommerville, collegio femminile che, come tutti gli altri a Oxford in quell'epoca e per ancora un decennio circa, espelleva necessariamente qualsiasi studentessa commettesse "il delitto" di sposarsi.
La mia futura suocera era comprensibilmente preoccupata del fatto che una persona di un rango accademico superiore come me uscisse con sua figlia, molto più giovane. Consultò quindi il figlio, mio futuro cognato, che le assicurò, come avrebbe potuto considerare lei stessa, che ero «innamorato o qualcosa del genere» e che mi avrebbe spezzato il cuore se mi avesse impedito di continuare a frequentarla. Ho sempre supposto che il suo desiderio fosse semplicemente che la sorella più piccola fosse libera di condurre la propria vita da sola, sapendo che era una ragazza giudiziosa e che non avrebbe mai preso decisioni affrettate.
Anche se mi ero allontanato già da molto tempo dalla fede di mio padre, manifestavo tuttavia ciò che mi era stato insegnato dai miei genitori metodisti: non tentai mai nemmeno di sedurre Annis prima del matrimonio, ritenendo sempre un tale comportamento moralmente sbagliato. Né, essendo figlio di un accademico, mi solleticò mai il pensiero di convincerla a sposarmi prima della sua laurea.
Alla fine del settembre del 1950, cessai ufficialmente di lavorare come insegnante non di ruolo al Christ Church di Oxford e, l'l ottobre di quello stesso anno, iniziai a prestare servizio come professore universitario di Filosofia Morale all'Università di Aberdeen, in Scozia.
OLTRE OXFORD
Durante gli anni ad Aberdeen, tenni diverse conferenze in radio, partecipando a tre o quattro dibattiti promossi dal Third Programme della BBC - fondato da poco ed intellettualmente impegnato - e sottoponendomi a diversi esperimenti psicologici. Per noi, le grandi attrazioni di Aberdeen erano la socievolezza di quasi tutte le persone che incontravamo, la forza e la varietà del movimento a favore dei corsi per adulti, il semplice fatto che fosse una città in Scozia e non in Inghilterra (una novità per noi) e le possibilità così diverse, che essa ci offriva, di passeggiare lungo la costa e nei Cairngorms. Non mancammo mai di unirei al Cairngorm Club in una delle sue consuete gite mensili su quelle colline.
Durante l'estate del 1954, me ne andai da Aberdeen, passando per il Nord America, per diventare professore di filosofia alla University College of North Staffordshire, che più tardi guadagnò lo status ufficiale come Università di Keele. Per tutti i diciassette anni là trascorsi, essa fu ciò che la Gran Bretagna abbia mai avuto di più simile alle università di studi umanistici statunitensi, come Oberlin e Swarthmore. Iniziai a dedicarmi a essa rapidamente e la lasciai solo quando iniziò, lentamente ma inesorabilmente, a perdere la sua peculiarità.
Dopo aver trascorso l'anno accademico 1970-1971 come visiting professar negli Stati Uniti, consegnai le dimissioni, alla fine del 1971, da quella che da allora divenne l'Università di Keele (il mio successore fu Richard Swinburne). Nel gennaio del 1972 mi spostai all'Università di Calgary, nella provincia di Alberta, in Canada. La mia intenzione inizialmente era di stabilirmi là; tuttavia, nel maggio del 1973, dopo soli tre semestri, mi trasferii all'Università di Reading, rimanendovi fino alla fine del 1982.
Prima di richiedere e ottenere il pre-pensionamento da Reading, stipulai un contratto per insegnare un semestre all'anno all'Università di York, vicino a Toronto, per i rimanenti sei anni della mia regolare vita accademica. Dopo soli tre anni, tuttavia, rassegnai le dimissioni per accettare un invito dal Social Philoso-phy and Policy Center, presso la Bowling Green State University dell'Ohio, a prestare servizio come esimio ricercatore universitario, per i rimanenti tre anni. L'invito fu poi esteso ad altri tre. Dopodiché, andai finalmente e definitivamente in pensione a Reading, dove ancora risiedo.
Questo abbozzo della mia carriera non risponde alla domanda del perché diventai filosofo. Dati i miei interessi filosofici già alla Kingswood, può sembrare che fossi pronto a diventare filosofo di professione ancora prima di iscrivermi a Oxford. Di fatto, sapevo a mala pena che esistesse una tale figura all' epoca. Anche durante i primi due bimestri a Oxford, prima di entrare nella RAF, fu durante gli incontri del Socratic Club il momento in cui più mi avvicinai alla filosofia. I miei interessi principali, al di fuori dello studio, erano politici. La situazione era ancora questa dopo il gennaio del 1946, quando le materie di studio iniziarono a includere la filosofia.
Iniziai a vedere la carriera in filosofia solo come una remota possibilità, pochi mesi prima degli esami finali del dicembre del 1947. Se i timori di essere inserito nella II classe si fossero realizzati, avrei studiato per una seconda tornata di esami finali, concentrando mi sulla psicologia, nella nuova Scuola di filosofia, psicologia e fisiologia. Invece, continuai a lavorare per l'altrettanto innovativa laurea di I livello in filosofia, sotto la supervisione di Gilbert Ryle. Fu solo nelle ultime settimane del 1949, dopo aver vinto una borsa di studio sperimentale al Christ Church, che stabilii la mia rotta (e, in effetti, mi bruciai i ponti alle spalle) rifiutando un'offerta di unirmi alla classe amministrativa della Home Civil Service7- una scelta che rimpiansi finché non arrivò l'offerta da Aberdeen.
Nei seguenti due capitoli, cerco di descrivere la tesi che, negli anni, costruii contro l'esistenza di Dio. Approfondisco prima le argomentazioni ateistiche che raggruppai e sviluppai in mezzo secolo e, dopo, nel Capitolo 3, inizio a tracciare le varie svolte e i vari cambi di direzione che prese la mia filosofia, come possono dimostrare, in particolare, i miei frequenti dibattiti sul tema dell' ateismo.
Attraverso tutto ciò, spero che si potrà osservare, come ho detto in passato, che il mio interesse di vecchia data verso la religione non fu nient'altro che di carattere prudente, morale o semplicemente curioso. Dico prudente, perché, se esiste un Dio o degli dei coinvolti nelle questioni umane, sarebbe follemente imprudente non cercare, per quanto possibile, di stare dalla loro parte. Dico morale, poiché sarei felice di trovare ciò che Matthew Arnold una volta definì «l'eterno non per noi stessi che volge alla rettitudine». Dico, inoltre, curioso, in quanto ogni persona dotata di una mente scientifica deve avere il desiderio di scoprire ciò che, se non altro, sia possibile conoscere di questi temi. Nonostante ciò, è molto probabile che nessuno rimarrà tanto sorpreso quanto me del fatto che la mia esplorazione del divino sia passata, dopo tutti questi anni, dalla negazione alla scoperta.
Dopo aver letto quanto sopra, sicuramente vorresti leggere il 2° e 3° capitolo dal titolo:
- Dove conduce l'evidenza
- L'ateismo considerato con calma...
NOTE
1. La Headmasters' and Headmistresses' Conference (HMC) è un'associazione di direttori e direttrici di 242 scuole (N.d.T)
2. La sesta superiore corrisponde al quarto anno della scuola secondaria di
secondo grado (N.d.E.).
3. Membro di un college a Oxford (N.d.T).
4. «Del resto, nemmeno io ho le idee chiare, ma dove il discorso come un
vento ci porta là intendo andare» (Repubblica, 394d, in Platone: tutti gli scritti,
a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1994, p. 1139).
5. CUVE S. LEWIS, La mano nuda di Dio: uno studio preliminare sui miracoli,
Roma, Edizioni GBU, 1987.
6. GERTRUDE E. M. ANSCOMBE, The Callected Papers aJ G. E. M. Anscambe, 2, Metaphysics and the Philasaphy aJ Mind, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1981, p. X.
7. Unità che si occupa del Pubblico Impiego (N.d.T).
- 1 - PICCOLA ENCICLOPEDIA STORICA SUI TESTIMONI DI GEOVA - VOL. I - 1891 ÷ 1924
- DIO ESISTE - Come l'ateo più famoso del mondo ha cambiato idea: CAPITOLO 1
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