ETICA DEL NUOVO TESTAMENTO

ETICA DEL NUOVO TESTAMENTO

RETROCOPERTINA

Una riflessione sull'etica neotestarnentaria è sempre problematica, sia per l'impossibilità di trasferire semplicemente nei nostri tempi e nelle situazioni odierne i precetti etici contenuti nel Nuovo Testamento, sia oggi in particolare, in cui l'orizzonte etico tanto sociale quanto individuale è offuscato e incerto.
In questa che è stata definita «la migliore etica del Nuovo Testamento che oggi possediamo», Wolfgang Schrage non intende presentare un compendio né tanto meno una sintesi delle linee unitarie dell'etica neotestamentaria, bensì esaltare la libertà e pluralità dell'etica frammentaria e non sistematica del Nuovo Testamento, sulla base di principi ermeneutici chiaramente stabiliti.
Per W. Schrage un'etica del Nuovo Testamento deve essere prescrittiva e non descrittiva, ma non legalistica (più che di norme bisognerebbe parlare di modelli e criteri); deve sempre mirare a cogliere la coerenza interna della condotta cristiana in rapporto al kerygma.
Con questi presupposti l'esposizione di Schrage si attiene a uno schema evolutivo (che non implica alcun giudizio di valore) che dall'etica escatologica di Gesù e dagli sviluppi etici nelle prime comunità giunge all'ammonimento escatologico nell'Apocalisse di Giovanni passando per l'etica cristologica di Paolo e l'etica della responsabilità nelle deuteropaoline.

INTRODUZIONE

Oggetto di un'etica del Nuovo Testamento è lo studio dei principi ispiratori e delle motivazioni, dei criteri e dei contenuti dell'azione e della condotta di vita del cristianesimo primitivo. In un'epoca di disorientamento e d'incertezza di comportamenti sembra quanto mai urgente guardare indietro e riflettere sull'etica del Nuovo Testamento. Nonostante tutti i comitati, assemblee e sinodi e la produzione di una mole immensa di documentazione relativa ai problemi etici, la teologia e la chiesa sono pur sempre in grave ritardo e si alzano da più parti voci che lamentano un eccessivo impegno sociale, ricordando che decisiva è la fede, non l'azione, quasi che le due cose fossero alternative. Certo è solo la fede che salva, ma questa fede è efficace nell'amore (Gal. 5,6) e al suo ritorno il Figlio dell'uomo non chiederà che cosa si è creduto, bensì che cosa si è fatto o non fatto (Mt. 25,31 ss.). Per il Nuovo Testamento la fede non è primariamente né speculazione né accettazione di idee e teorie, non è né un esercizio liturgico, né abbandono mistico, bensì ascolto della parola ed esecuzione della volontà di Dio. Credere e fare sono indissolubilmente legati insieme.
Certamente, in tutte le epoche la chiesa ha dovuto combattere su due fronti, con un'alternanza di accentuazioni, affinché non ci fossero «o meri operatori senza fede o addirittura credenti inoperosi1 . [ Ma per quanto non si debba minimizzare il pericolo di un attivismo senza fede, pure bisogna essere estremamente attenti quando la fede cristiana, conformandosi alla mentalità borghese del benessere e a un diffuso narcisismo, minaccia di precipitare in un intimismo privato ed esclusivo o in un ripiegamento della chiesa su se stessa oppure di rifugiarsi, per rassegnazione davanti al presente, in una «religiosità oltremondana». Il Nuovo Testamento non potrà esser ritenuto responsabile di soluzioni e atteggiamenti di questo genere. La chiesa primitiva non è un'associazione misterica né un movimento monastico né un circolo filosofico. È una comunità di testimonianza e di servizio, è la chiesa per Dio e anche «chiesa per gli altri». Gesù stesso, ad esempio, non raccomanda ai suoi un'esistenza monastica nel deserto, come gli esseni; non li indirizza verso il regno interiore o ultraterreno della speculazione o dell'anima, come i mistici e gli gnostici, ma li manda nel mondo verso il prossimo del momento.
Anche nei casi in cui si prenda veramente sul serio che l'azione e il modo di vita dei cristiani nella realtà quotidiana abbiano un'importanza decisiva, spesso si pone tuttavia l'interrogativo se il pensiero di fondo e i motivi tematici del Nuovo Testamento vengano tenuti in debito conto e se la sua linea e il suo orientamento vengano mantenuti. È certamente vero che non è possibile trasferire, sic et simpliciter, secondo una malin-tesa fedeltà biblica, le indicazioni del Nuovo Testamento nel nostro tempo e che a questo punto si pongono ineludibili e importanti questioni ermeneutiche e teologiche. Chi, ad esempio, considerato lo stretto rapporto esistente nel Nuovo Testamento tra escatologia ed etica, ritenga l'escatologia neotestamentaria obsoleta, sarà portato, come J.T. Sanders (p. 29; cf. p. I29), a dimettere anche l'etica del Nuovo Testamento. E chi scambia la «fedeltà alla terra» col mero adattamento a ciò che è terreno e non permette più che si faccia sentire la contraddizione insita nella pro- messa e nel comandamento di Dio, ecco anche costui non ha più bisogno dell'etica neotestamentaria, considererà il Nuovo Testamento po- tenzialmente sostituibile, se non lo elimina addirittura del tutto quale strumento autoritario di una volontà aliena. Certamente la questione del corretto equilibrio tra fedeltà alla Scrittura da un lato e la conformità ai tempi, alla ragionevolezza e alla situazione concreta dall'altro, è tutt'altro che chiarita.
Comunque sia, tanto nella chiesa quanto nella teologia non dovrebbe sussistere alcun dubbio che, nonostante l'innegabile differenza di situazioni e di problemi, un riferimento al Nuovo Testamento rimanga imprescindibile, se il diverso comportamento richiesto oggi ai cristiani deve continuare a essere un comportamento cristiano e deve essere ancora fondato sul nome di Gesù Cristo e se la chiesa vuole restare nella continuità col Nuovo Testamento non solo per quanto riguarda la dottrina, ma anche per quanto attiene alla sua vita. Anche in un'epoca che cerca, con un'intensità sconosciuta alle precedenti, altri modelli di comportamento e che - per dirla con Lutero - deve formulare nuovi decaloghi, le soluzioni alternative vanno misurate col metro del Nuovo Testamento, giacché l'etica cristiana non può avere in se stessa la propria norma né trovare il suo fondamento e le sue ragioni nella riflessione e nella discussione. Il Nuovo Testamento non è, certamente, la premessa da cui trarre deduzioni, ma è sicuramente il termine decisivo di riferimento, perché è testimonianza della rivelazione escatologica della volontà di Dio in Gesù Cristo, che non è soltanto il riconciliatore e il redentore, ma anche il Signore imperioso. Già per questo semplice fondamentale motivo ogni etica cristiana va sviluppata sempre e comunque secondo l'orientamento del Nuovo Testamento.
Ora, il Nuovo Testamento non è certamente né un manuale né un compendio di etica cristiana con regole di valore generale o con un catalogo particolareggiato di comportamenti. Il Nuovo Testamento non contiene né una dottrina di tipo filosofico sui doveri e le virtù né definizioni e legittimazioni basare sul diritto naturale e assiomi simili del matrimonio e dello stato, del diritto e della proprietà, del lavoro e della società.
Nel Nuovo Testamento non si trova mai, o quasi mai, un interesse per principi morali universalmente validi, per affermazioni specifiche eternamente valide circa il giusto ordinamento sociale e politico, circa il reciproco rapporto dei sessi o programmi e pratiche indicazioni su come comportarsi e agire in altri settori problematici dell'etica. Ma nei diversi scritti che, ciascuno a suo modo, vogliono tutti rendere testimonianza della salvezza donata in Gesù Cristo e della signoria di Dio spuntata, come un nuovo giorno, in lui, i cristiani vengono chiamati a un comportamento coerente con questa realtà in un ambito che non è limitato alla condotta individuale del singolo. Piuttosto, nonostante alcune carenze dal punto di vista etico-sociale, sono visibili, almeno a livello di spunto e di suggerimento, modelli di comportamento relativi all'ambito sociale e alle strutture della società che non vengono assolutamente sottratte al rinnovamento. Certamente si può benissimo essere «una nuova creatura» anche nelle situazioni preesistenti, ma anche per i «rappresentanti del nuovo mondo»2 non è necessario che questo nuovo mondo sia oggetto meramente dell'attesa o dell'utopia. Anzi esso può divenire realtà sia parzialmente sia proletticamente. La chiesa ha lasciato già abbastanza a lungo la fede nella potenza trasformatrice del regno di Dio e dell'amore ai cosiddetti entusiasti e alle sette, accontentandosi della privacy etica e dell'introversione spirituale (cf. Wendland, Etica, 37 s.). (Continua...)

NOTE

1. M. Luther, WA 45, 689 a Gv. 15,10 ss.

2. M. Dibelius, Die Bergpredigt, in Botschaft und Geschichte I, 1953, 79-174:117.

INDICE

9 Introduzione
Capitolo I
25 L'etica escatologica di Gesù
Capitolo II
143 I primordi dell'etica cristiana nelle prime comunità
Capitolo III
162 La tematica etica nei sinottici
Capitolo IV
196 L'etica cristologica di Paolo
Capitolo V
290 L'etica della responsabilità verso il mondo nelle deuteropaoline
Capitolo VI
334 La parenesi della lettera di Giacomo
Capitolo VII
352 Il comandamento dell'amore fraterno negli scritti giovannei
Capitolo VIII
380 Le esortazioni al popolo di Dio in cammino nella lettera agli Ebrei
Capitolo IX
386 Esortazione escatologica nell'Apocalisse di Giovanni
Capitolo X
406 La questione dell'unità e del centro dell'etica neotestamentaria
417 Bibliografia generale
421 Indice analitico
425 Indice dei passi biblici
439 Indice del volume

Ultima modifica il: Mar 18, 2018
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