GESÙ MITO O REALTÀ
RETROCOPERTINA
Gesù di Nazareth è l'unico personaggio della storia umana che non è semplicemente morto per scomparire nei libri di storia. I suoi seguaci affermano che non solo è risorto dai morti ed è salito al cielo, ma che è del tutto vivo anche oggi, che la sua è una presenza reale.
I critici del cristianesimo pensano che si debba dividere il Gesù della storia dal Cristo della fede.
Ma il messaggio di Gesù Cristo è indivisibile. È un messaggio sia di storia che di fede.
Il Gesù che emerge dai Vangeli stimola e interroga l'uomo moderno fino a scuotere le fondamenta delle sue presunte certezze razionali. Nessuna critica è riuscita a smontare i Vangeli.
Semplicemente perché possiamo avere fiducia in questi testi scritti dai primi seguaci di Gesù, i quali non si erano ingannati né volevano ingannare. A differenza di molti critici sui quali allunghiamo l'ombra del nostro dubbio.
INTRODUZIONE
Il Gesù della storia e il Cristo della fede:
sono un'unica e medesima persona
o due persone differenti?
Gesù di Nazaret è l'unico personaggio della storia umana che non è semplicemente morto e poi decomposto in una tomba, per scomparire infine nei libri di storia o nell' oscurità. I suoi seguaci affermano che non solo è risorto dai morti ed è salito al cielo, ma che è del tutto vivo anche oggi, che la sua è una presenza reale nella loro vita quotidiana e nella preghiera. I critici del cristianesimo e non pochi teologi hanno tentato di risolvere il problema di questa duplice identità dividendo il Gesù della storia dal Cristo della fede. Questo Cristo della fede. Proclamato dalle chiese e dalle varie denominazioni cristiane, sperimentato dai cristiani in tutto il mondo, è stato costruito, decostruito e ricostruito a seconda delle decisioni dottrinali delle chiese e delle preferenze di sinodi, comitati e singoli individui. I dibattiti attuali su temi etici controversi sono un chiaro indicatore in questo senso. Il Cristo della fede può anche essere percepito in profondità come il Cristo personale di uomini e donne che si impegnano a mettere in pratica ciò in cui credono e conducono una vita che esemplifica l'amore verso il prossimo e la disponibilità a condividere il lieto annuncio riportato nei Vangeli e negli altri 23 scritti del Nuovo Testamento. In alcuni paesi dell'Africa e dell' Asia, i rischi sono alti: nell'ultimo secolo i cristiani sono stati torturati e uccisi in numero maggiore di ogni altro periodo della storia. Credere nel Cristo della fede e seguido è tutt'altro che una ricerca accademica.
Il Gesù della storia, d'altra parte, è diventato un punto di conflitto tra studiosi che lo riducono a frammento di informazioni controverse, e altri i quali affermano invece che di fatto egli è la persona dell'antichità documentata nel modo più affidabile. Altri ancora, che si situano in un certo senso nel mezzo, affermano che le nostre conoscenze sono sufficienti per fidarci dei documenti, ma che questi sono troppo distanti dagli eventi per dimostrare che si sono svolti come li troviamo narrati nel Nuovo Testamento. Questo continuo dibattito ha prodotto un unico risultato, molte volte espresso in modo semplicistico specialmente nei mass media e perfino dal pulpito delle chiese: il Gesù della storia e il Cristo della fede non possono essere riconciliati. Sono due identità distinte, la prima va studiata da fonti frammentarie e discutibili, la seconda va proclamata e creduta nel modo migliore possibile.
La questione potrebbe essere un test per il nostro senso dell'ironia. I critici e i nemici del cristianesimo amano del tutto il Gesù della storia, in quanto è qui che pensano di poter confutare le affermazioni del Nuovo Testamento. Gesù è nato a Betlemme? È risorto il terzo giorno? Questi sono argomenti solidi, storici, che molti scettici ritengono essere materia di leggende piuttosto che la base di resoconti effettivi. Al contrario, molti cristiani convinti, non amano per niente il Gesù della storia, poiché sentono che qui la loro fede personale può essere messa alla prova. Gesù ha detto veramente tutto quello che i Vangeli riportano e lo ha detto proprio così? Meglio non affrontare queste domande, o almeno così pensano. Ma la stessa natura di Gesù e del messaggio cristiano non lascia spazio ad altra scelta. Il Gesù della storia e il Cristo della fede sono due facce inseparabili della medesima moneta. Chiunque guardi una moneta può vederne solamente una faccia alla volta. Eppure è ovvio che l'altra faccia, quella invisibile, deve esistere, altrimenti la moneta non avrebbe alcun valore. Se guardiamo al Gesù della storia, sappiamo che l'altra faccia, il Cristo della fede, è pure presente, anche se non possiamo vederla. E se capovolgiamo la moneta, si verifica l'esperienza opposta. Possiamo controllare che entrambe le facce esistono, benché le esaminiamo separatamente, acquisendo diverse prospettive da ciò che vediamo. Chiunque insiste nel dire che queste due facce non formano un insieme, ma devono essere separate, sta proclamando una pericolosa falsità. Il messaggio di Gesù Cristo è indivisibile. È un messaggio sia di storia che di fede.
L'atteggiamento prevalente di dubbio non è un fenomeno moderno. Criteri ideologici di questo genere cominciarono a prendere piede nei secoli XVIII e XIX sulla scia delle teorie post illuministiche. Nuove filosofie come l'esistenzialismo, proposero una ricerca di senso dopo le deva stazioni della Prima Guerra mondiale. Questi criteri cambiarono la teologia del continente europeo fino a renderla irriconoscibile. Non era più intellettualmente «corretto» credere nei miracoli di Gesù, a prescindere dalla loro storicità bene attestata, poiché i miracoli «non avvengono» e, come affermò un teologo di fama, non era più possibile credere nella risurrezione e ascensione di Cristo nell' epoca dei rasoi elettrici. Passo dopo passo, l'analisi storica cedette il passo all'ideologia di idee preconcette circa la natura della Bibbia e del suo messaggio. Si trattò di uno sviluppo irresistibile che ben presto si focalizzò sui quattro Vangeli. Infatti, fintantoché i Vangeli furono compresi come ciò che essi chiaramente affermano di essere, cioè racconti storici su un personaggio storico, scritti - come i documenti più antichi ci dicono - da testimoni oculari (Matteo e Giovanni) o da compagni e intervistatori di testimoni oculari (Marco e Luca), non c'era alcun motivo di mettere in discussione anche quei racconti che non potevano corrispondere alla nostra esperienza quotidiana. Una volta c'era spazio per la fiducia e la riverenza, ma ora ciò aveva ceduto il posto alla cosiddetta «ermeneutica del sospetto», dove la fede nei resoconti è vista come ingenuità e il dubbio viene salutato come atteggiamento genuino e colto. Di conseguenza era necessario che i Vangeli fossero ridatati al periodo fra gli anni Settanta e la fine del primo secolo della nostra era. Un evento fondamentale fu la causa di questa decisione. Nell'anno 30 Gesù predisse la distruzione del tempio; e i romani lo distrussero nell' anno 70. Poiché non era più ammesso che Gesù fosse considerato un vero profeta, gli studiosi dichiararono che i Vangeli dovevano essere stati scritti dopo tale evento e interpretarono la profezia di Gesù come una creazione della chiesa primitiva, che aveva il desiderio di presentare Gesù come il vero Figlio di Dio, invece di un semplice essere umano con grande facilità di parola. Se ciò sembra una caricatura, innumerevoli pubblicazioni teologiche del XX secolo e dell'inizio del XXI mostrano purtroppo che non si tratta di una caricatura. I risultati di un tale modo di argomentare sono stati impartiti a studenti di teologia, a futuri parroci e pastori d'anime e di conseguenza a ignare comunità parrocchiali e ai ragazzi di scuola nelle lezioni di religione. Perfino istituti biblici e teologici di orientamento conservatore o evangelica (per usare le etichette usuali) hanno ceduto talvolta alla tentazione di accettare le tendenze della corrente principale, invece di far fronte con le fonti alla falsificazione non storica e antistorica.
Sicuramente tutto ciò non è una questione di una cultura «li- berale», «a metà strada», «conservatrice» o «evangelica». Etichettare gli avversari serve puramente come una comoda scappatoia per evitare un serio dibattito. La ricerca del Gesù storico, che è an- che il Cristo della fede, dipende da una buona erudizione e ciò può essere riscontrato su vasta scala. Alcuni lettori di questo libro possono ricordare l'agitazione provocata da John A.T. Robinson1 nel 1976, quando pubblicò il suo libro controcorrente Redating the New Testament (= Ridatare il Nuovo Testamento). Si trattava di un teologo arci-progressista, etichettato come una sorta di vescovo eretico, in quanto accusato di sostenere la tendenza alla moda della «morte di Dio»; ed ecco che improvvisamente sosteneva in una monografia ben documentata che ogni singolo libro del Nuovo Testamento era stato scritto prima della distruzione del tempio nell'anno 70 d.C. Dalla sera al mattino era diventato un traditore per la causa «liberale» e un nuovo eroe per i «conservatori». Eppure egli era e rimase il medesimo John A.T. Robinson di prima. Aveva soltanto scoperto che una lucida indagine testuale non può essere nascosta sotto il fardello di preconcetti ideologici. Si prenda anche il caso di Adolf von Hamack, il prototipo della teologia liberale tedesca a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Come storico dei testi, rimase fino in fondo uno studioso classico. Quando si rese conto che lui e i suoi colleghi avevano fissato la data degli Atti degli Apostoli in un' epoca troppo tardiva del primo secolo, corresse pubblicamente il suo errore e sostenne, in uno studio accuratamente argomentato, che gli Atti furono scritti ovviamente prima della morte di Giacomo, di Pietro e di Paolo, in altre parole prima del 62/64 d.C. Ciò significava che il Vangelo di Luca fu scritto ancora prima, forse già alla fine degli anni Cinquanta e che per quelli che propongono la sequenza cronologica Marco-Matteo-Luca-Atti, i Vangeli di Matteo e di Marco devono essere stati scritti negli anni Cinquanta del primo secolo, se non prima ancora. Ciò fu (ed è) un fatto sensazionale o provocatorio solo per quelli che si rifiutano di immaginare una comunità cristiana delle origini che fece la cosa ovvia di scrivere su Gesù, diffondendo il messaggio scritto come pure predicandolo a viva voce con la parola. In effetti molti storici di professione hanno ora incominciato a cambiare le loro idee.
Per molti di loro datare i Vangeli agli anni Cinquanta o Sessanta del primo secolo d.C. non è per nulla una datazione precoce, ma ancora troppo tardiva. Si vorrebbe spiegare perché i primi cristiani ebbero bisogno di venti, trenta o perfino di quaranta anni per produrre i più antichi documenti scritti su Gesù. In altri termini, le date attorno agli anni Cinquanta del primo secolo sono il «periodo medio» più tardo che si possa concepire. Il Vangelo di Giovanni, spesso presentato come diverso dagli altri e visto al massimo come il più tardivo di tutti, è stato anch'esso recuperato dalla «discarica» delle datazioni attribuite alla seconda o alla terza generazione. Di nuovo fu John A. T. Robinson che dette l'avvio alla ricerca quando difese per questo vangelo una data di pubblicazione verso la fine degli anni Sessanta e argomentò la sua tesi in modo persuasivo nell' opera (postuma) The Priority of John, apparsa a Londra nel 1985. Studiosi europei come Klaus Berger della Università di Hei- delberg ne hanno ripreso il testimone.2
Se ciò significa che Gesù fu in effetti un vero profeta, fedelmente documentato come tale - e molto di più ancora - dalla prima generazione dei suoi seguaci, ciò non dovrebbe rappresentare una sorpresa. È solo un segnale che indica il ritorno (a tempo già scaduto da molto) ai risultati dei primi quattro secoli della cultura cristiana, quando la gente, che aveva una conoscenza delle fonti più profonda di quanto forse possa essere la nostra, confermava l'affidabilità dei documenti storici. Non è necessario dire che con questo non si implica che automaticamente si debba accettare ogni singola tradizione sulle origini dei documenti del Nuovo Testamento. Ma ciò significa che la marea sta cambiando direzione. Non è più il tempo in cui i «conservatori» e i «tradizionalisti» devono dimostrare che la nostra conoscenza di Gesù è fondata su prove solide e risalenti agli inizi; tocca ora ai critici e ai dubbiosi presentare proposte strettamente storiche, invece di affermazioni filosofiche o ideologiche sulla natura e l'accuratezza delle fonti.
Per dirla in altro modo, non c'è un briciolo di prova di nessun genere che i Vangeli siano stati scritti più tardi della metà del primo secolo. Appartengono alla prima generazione di testimoni e ai loro discepoli - e in verità anche ai loro avversari, che ebbero ogni occasione per discreditare le affermazioni dei cristiani per circa 300 anni, finché il cristianesimo non ottenne uno status legale nell'impero romano e lentamente acquistò i privilegi di religione imperiale. Ma dovunque guardiamo, neppure un solo racconto dei Vangeli viene rigettato come invenzione o fantasia in questi primi secoli. A quei racconti, nel peggiore dei casi, vengono date interpretazioni diverse. Il filosofo Celso, ad esempio, uno degli avversari del cristianesimo che scrisse a metà del secondo secolo, non dubita che Gesù abbia realmente compiuto dei miracoli. Semplicemente ne dà una spiegazione come il risultato di trucchi magici che Gesù avrebbe imparato da giovane mentre era in Egitto con Maria e Giuseppe. La cosa suona ridicola, ma si noti che Celso ritiene la fuga in Egitto come un fatto assodato, una cosa che molti teologi cristiani moderni trovano impossibile da ammettere.
Oppure prendiamo in esame un altro autore non cristiano, il fariseo ebreo-romano, nonché generale e storico Giuseppe Flavio, che scrisse nell'ultimo terzo del primo secolo. Egli afferma che Gesù fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e che questo «uomo saggio, se in realtà si può chiamare uomo» (Antichità giudaiche 18, 63-64), era (considerato) il Messia. Generazioni di studiosi hanno supposto che un ebreo che non divenne cristiano non avrebbe mai potuto chiamare Gesù il Messia (o Cristo, secondo la lingua greca). Di conseguenza, la grande maggioranza degli interpreti pensano che almeno questa affermazione, se non l'intero passo su Gesù, sia un'aggiunta cristiana posteriore al testo originale. Ma si noti di nuovo, a differenza dei credenti cristiani, che Giuseppe Flavio non dice che Gesù è il Messia, ma che era il Messia. E questo è qualcosa che uno scriba cristiano non avrebbe mai asserito.
Così di nuovo qui abbiamo uno scrittore non cristiano che accetta un' affermazione basilare dei Vangeli, ma le dà una sua personale variazione. Gesù era più di un semplice essere umano e di un maestro sapiente, in effetti fu un messia, ma quello sbagliato. Contro la maggioranza delle aspettative e delle speranze ebraiche di quel tempo, Gesù non venne con le schiere angeliche per trionfare sopra i romani e i loro collaborazionisti. Per Giuseppe egli era un messia sacerdotale, uno dei due o tre descritti in alcuni dei Rotoli del Mar Morto e che dovevano arrivare negli ultimi giorni. In ogni caso Gesù non era un guerriero pronto a combattere le sue battaglie, per creare sulla terra una pace politica. Giuseppe, che rimaneva ancora un ebreo benché scrivesse a Roma dal palazzo dell'imperatore, fa la sua scelta. Il Messia venuto dal deserto di Giudea, che aveva vinto battaglie e aveva creato la pace dopo il fallimento della rivolta ebraica contro i romani, era nient'altro che il generale romano Vespasiano, proclamato imperatore romano in Giudea nell'anno 68 d.C. Perciò, in un sol colpo, Giuseppe Flavio - come Celso - accetta e conferma una notizia dei Vangeli e ne cambia il significato. Ma quello che per uno storico è la cosa più interessante è il fatto che autori non cristiani, anzi apertamente anticristiani come Celso, non tentano di dimostrare che i Vangeli sono in errore, sebbene in quel tempo non ci fosse alcun rischio nell' attaccare i cristiani. Il fatto che si ometta di accusare i cristiani di aver falsificato le proprie fonti, è del tutto notevole. In effetti il Vangelo di Matteo riporta il più antico esempio conosciuto di una «ri-narrazione» anticristiana di un evento senza contestare il fatto centrale, cioè la tomba vuota al mattino di Pasqua.
Nessuno era in grado di negare l'evidenza visibile, tangibile. Quindi che cosa potevano fare gli avversari? Affermare che Gesù aveva messo in scena la sua sparizione con qualche trucco di magia, proprio come Celso avrebbe più tardi tentato di spiegare i miracoli indiscussi? La cerchia attorno al sommo sacerdote si spinse a combinare un sotterfugio ancor meno convincente: diedero ai soldati romani di guardia alla tomba una buona somma di denaro, perché dicessero in giro che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù mentre essi dormivano. Il sommo sacerdote li assicurò perfino che il prefetto romano non li avrebbe puniti - la corruzione era fiorente a quei tempi, e Pilato non era contrario a rubare i fondi riservati ai sommi sacerdoti (lui e Caifa presero perfino i denari del tesoro del tempio per pagare l'acquedotto personale del prefetto). Di nuovo, l'astuzia era più disperata che ingegnosa, ma per gente che non era disposta ad accettare le conseguenze della risurrezione corporea di Gesù, valeva la pena di tentare. Toccò in primo luogo ad alcuni teologi moderni negare il fatto che la tomba fosse vuota, ma poterono e possono farlo solo negando il contesto ebraico dell' evento. Ogni ebreo che credeva nella risurrezione - e ad eccezione dei Sadducei, tutti ci credevano - si aspettava che Dio concedesse questa grazia ai suoi fedeli negli ultimi giorni. Secondo i libri di Ezechiele e di Daniele, e anche secondo uno dei Rotoli del Mar Morto giunti fino a noi, gli ebrei si aspettavano che fosse una risurrezione corporea. Se Gesù aveva ottenuto una risurrezione prima di ogni altro fedele ebreo, doveva trattarsi di una risurrezione corporea perché i suoi seguaci ebrei la credessero come veramente avvenuta. Visioni o allucinazioni sono escluse in un contesto ebraico. E questo significa anche che i discepoli come pure i loro avversari dovevano accertarsi che la tomba fosse realmente vuota. Per dirla in altre parole, la tomba vuota non è una prova della risurrezione, ma un presupposto - tanto che Paolo non la menziona neppure nel suo resoconto delle apparizioni del Risorto nella sua Prima Lettera ai Corinzi. Era un fatto semplicemente ovvio: se la tomba non fosse stata vuota, neppure Pietro, Giovanni o Giacomo sarebbero stati disposti ad accogliere con fiducia la realtà della risurrezione di Gesù.
Questi sono solo alcuni esempi fra molti altri che dovrebbero aiutarci a comprendere lo sfondo che abbraccia una serie di domande. Non siamo i primi a porre questi interrogativi. Le prime risposte furono date dagli stessi contemporanei di Gesù, i quali, come risulta, ci hanno fornito fonti affidabili e risalenti alle origini. In altri termini, gli storici ci hanno insegnato che dobbiamo dire addio ad alcuni dei miti popolari degli studi sul Nuovo Testamento, se vogliamo avvicinarci più strettamente al Gesù della storia e al Cristo della fede a quasi duemila anni dopo che le fonti furono messe per iscritto. Questi miti hanno ricevuto nomi impressionanti. Uno di essi è la «cristologia narrativa», che significa fondamentalmente che gli ingenui membri della comunità cristiana primitiva era così sopraffatti dall'entusiasmo auto-indotto che confusero l'esuberanza della loro fede in Gesù con la realtà storica. Quindi riferirono (eriarrarono») i loro racconti e ciò che credevano di sapere (logos) su Cristo. Ma è abbastanza strano che tutti gli evangelisti, non solo il sobrio storico che è Luca, sorprendono il lettore per il loro modo circospetto di scrivere, con una sicura padronanza del loro materiale. E la postfazione redazionale del Vangelo di Giovanni («Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» [Gv 21,24]) sfida apertamente ogni tentativo di accusare i primi cristiani di una sorta di intossicazione teologicamente priva di attenzione.
Un altro mito che si tramanda è conosciuto col nome tedesco di Gemeindetheologie, che significa letteralmente «teologia della comunità». Si suppone che ciò significhi l'esistenza di un grande numero di cristiani, ciecamente entusiasti, pii, ma intellettualmente sottosviluppati, i quali, essendo attivi in molte comunità, dettero forma, ampliarono e spesso inventarono racconti su Gesù, che poi ad un certo stadio furono editati da anonimi cervelloni. Il risultato di questo processo di «redazione» sono, a quanto si sostiene, i quattro Vangeli. Poiché abbiamo quattro Vangeli canonici, che sono opere chiaramente distinte di storia letteraria, questo processo di redazione editoriale avrebbe dovuto necessariamente ripetersi per quattro volte, in modo indipendente e caotico. Di un simile processo non è rimasta alcuna singola traccia sia nei testi, sia in qualche papiro - alcuni dei quali risalgono al primo secolo - e neppure in qualche citazione o commentario dei primi lettori. Ciò non è mai accaduto. Le varianti negli antichi papiri, gli errori degli serivani e le loro correzioni, le note a margine che scivolano nel testo e molte altre situazioni che sono tipiche di manoscritti dell'antichità (ma che si riscontrano molto meno frequentemente nei papiri del Nuovo Testamento rispetto ad altri manoscritti classici), fanno risaltare un' altra osservazione: non ci fu mai una seconda, terza o quarta edizione, corretta, emendata o ampliata, di nessuno dei quattro Vangeli dopo la loro prima pubblicazione. Al contrario si deve dichiarare, con la fiducia dello storico dell' epoca classica e della critica testuale, che i Vangeli non furono mai pubblicati in nessun' altra forma se non quella che leggiamo oggi. Selezionando i tre Vangeli di Matteo, Marco e Luca - spesso chiamati «sinottici» a causa della loro «comune visione», che deriva dal materiale condiviso e da numerose concordanze - dobbiamo riconoscere che non sono il risultato di una primitiva armonizzazione cristiana, una sorta di volantino di partito, ma sono scritti autonomi di autori autonomi, con diversità e variazioni. Per dirla schiettamente, in tutto l'intero ambito della letteratura classica, non c'è un singolo caso paragonabile in cui una storia complessa sia riportata da tre autori, che scrivono in posti diversi e con differenti destinatari di riferimento, eppure concordino con una simile notevole coincidenza. Nel momento in cui accettiamo i Vangeli per quello che sono in termini storico-letterari, cioè come esempi straordinariamente ben scritti di letteratura greca dell'epoca ellenistica, simili osservazioni non sono per niente sensazionali. Sono del tutto ovvie. Se i troppo numerosi critici dei Vangeli hanno omesso di prendere nota di queste cose, ciò dovrebbe farei pensare maggiormente a proposito dei critici che non rispetto ai Vangeli.
In sintesi dunque c'è ogni motivo di aver fiducia sul fatto che le domande che oggi poniamo possono trovare una risposta guardando alla fonte del materiale scritto e pubblicato dai primi seguaci di Gesù Cristo
NOTE
1JOHN A.T. ROBINSON (1919-1983), vescovo anglicano di Woolwich, fu decano al Trinity College di Cambridge e un eminente studioso del Nuovo Testamento. Il volume in questione è ancora in commercio e fu ristampato nel 2000; finora non risulta tradotto in italiano [n.d.t.].
2Cf K. BERGER, lm Anfang war johannes. Datierung und Theologie des vierten Evangeliums [= In principio era Giovanni. Datazione e teologia del IV Vangelo], Stuttgart 1997. Robinson aveva preparato la sua opera sul Vangelo di Giovanni per le Bampton Lectures del 1984 all'Università di Oxford, ma morì il5 dicembre 1983, prima di poter presentare personalmente la sua tesi [n.d.t.].
INDICE
Introduzione
Il Gesù della storia e il Cristo della fede: sono un'unica e medesima persona o due persone differenti?
Capitolo I: Gesù è realmente esistito?
A questo proposito, Cesare è esistito?
Capitolo II: Come sappiamo se i racconti su Gesù sono proprio veri?
Come sappiamo se un racconto su di una persona dell'antichità è vero?
Capitolo III: Come nacque Gesù?
E dove?
Capitolo IV: Che posto aveva Gesù nella tradizione ebraica?
Qual era effettivamente la «tradizione ebraica» al tempo di Gesù?
Capitolo V: Gesù ha veramente compiuto miracoli?
Capitolo VI: Gesù morì realmente sulla croce?
Capitolo VII: Gesù è veramente risuscitato da morte?
Capitolo VIII: Che cosa pensava di essere Gesù?
Era soltanto un uomo buono e un leader carismatico?
Capitolo IX: Scelte moderne
Maestro dotato,filosofo cinico, Dio, mito o uomo?
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