IMMORTALITÀ DELL'ANIMA o RISSURREZIONE DEI MORTI?

IMMORTALITÀ DELL'ANIMA o RISSURREZIONE DEI MORTI?


PREFAZIONE

La presente opera riproduce un lavoro che abbiamo pubblicato in Svizzera1 e di cui è già apparso un riasunto in diversi periodici francesi.
Nessun'altra pubblicazione nostra ha suscitato reazioni vive come questa, talune entusiaste, altre violentemente ostili. I redattori dei giornali in causa ci hanno trasmesso alcune delle lettere di protesta che avevano ricevuto dai lettori. A uno di essi il nostro articolo aveva ispirato la seguente riflessione amara: «Al popolo francese, che muore perché non ha il pane di vita, si offrono pietre invece di pane, se non addirittura scorpioni». Un altro pare voglia considerarci una specie di mostro, che prova piacere a gettare turbamento nelle anime: «Il signor Cullmann - scrive - ha una pietra al posto del cuore? », Per un terzo, il nostro studio è stato «motivo di stupore, di tristezza e di grande inquietudine». Alcuni amici, che hanno seguito i nostri precedenti lavori con interesse e simpatia, ci hanno espresso la pena che questo, invece, ha loro causato. In altri abbiamo avvertito il disagio, che essi tentavano di nascondere con un silenzio eloquente.
I nostri interlocutori appartengono ai campi più diversi. Il contrasto che, per la preoccupazione della verità, abbiamo creduto opportuno far notare fra la speranza coraggiosa e lieta che il cristianesimo primitivo nutriva nella risurrezione dei morti, e la serena attesa filosofica d'una sopravvivenza dell'anima immortale, dispiace allo stesso modo a molti credenti sinceri di tutte le confessioni2 e di tutte le tendenze teologiche, e a persone che, senza essere staccate esteriormente dal cristianesimo, hanno tuttavia convinzioni d'ispirazione piuttosto filosofica. Né gli uni né gli altri hanno tentato sin qui di confutarci sul piano esegetico, che è peraltro quello del nostro lavoro.
Questo singolare accordo ci pare stia a indicare l'universalità dell'errore che consiste nell'attribuire al cristianesimo primitivo la credenza greca nell'immortalità dell'anima. Peraltro, spiriti così diversi come quelli di cui abbiamo ora parlato s'incontrano nell'inapacità comune di ascoltare con sincera oggettività ciò che ci insegnano i testi sulla fede e la speranza dei primi cristiani, senza unire all'interpretazione di quei testi i loro stessi desideri e le opinioni che sono loro care. Tale incapacità di ascoltare è sorprendente, sia da parte di intellettuali legati ai principi di una sana esegesi scientifica) sia da parte di credenti che pretendono di basarsi sulla rivelazione della parola sacra.
Le polemiche suscitate dal nostro lavoro ci impressionerebbero maggiormente se ci venissero opposti argomenti esegetici. Invece) ci combattono per considerazioni tutte generali d'ordine filosofico) psicologico e soprattutto sentimentale. Ci dicono: «Posso ammettere l'immortalità dell'anima, non la risurrezione del corpo», oppure: «Non posso credere che i nostri cari defunti non facciano che dormire per un periodo indeterminato) e che io stesso non farò che dormire dopo la mia morte) in attesa della risurrezione».
Bisogna davvero ricordare oggi a intellettuali) credenti o no) che c) è differenza fra ammettere per vero che Socrate abbia avuto una certa convinzione e condividerla? Fra riconoscere che i primi cristiani ebbero una certa speranza) e condividerla?
Si tratta anzitutto di ascoltare ciò che dice Platone e ciò che dice san Paolo. Si può andare oltre. Si possono rispettare) e anzi ammirare) tutti e due gli insegnamenti. E come non [arlo, soprattutto se si mettono in rapporto con la vita e la morte dei loro autori? Ma non è ancora una ragione sufficiente per negare che esista una differenza radicale fra l' attesa cristiana della risurrezione dei morti e la credenza greca nell'immortalità dell'anima. L'ammirazione, per quanto sincera) per le due concezioni) non ci autorizzerebbe mai a pretendere) contro la nostra convinzione profonda o contro l'evidenza esegetica, cb'esse siano compatibili l'una con l'altra. Che vi possano essere punti d'incontro, lo abbiamo mostrato nel nostro lavoro. Ciò non toglie che l'ispirazione fondamentale resti radicalmente diversa.
Se poi il cristianesimo successivo ha stabilito, più tardi, un legame fra le due credenze e se il cristiano medio oggi le confonde bellamente fra loro, ciò non ci è parsa sufficiente ragione per tacere su un punto che, con la maggioranza degli esegeti, consideriamo come la verità; tanto più che il legame stabilito fra la «risurrezione dei morti» e la credenza nell' «immortalità dell' anima» in realtà non è neppure un legame, ma una rinuncia all' una in favore dell' altra: si è sacrificato al Pedone il capitolo I5 della prima epistola ai Corinti. Non giova dissimulare questo fatto, come si fa oggi tanto spesso, cercando di mettere insieme ciò che in realtà è incompatibile, con questo ragionamento un po' semplicistico: ciò che, nella dottrina cristiana, ci sembra inconciliabile con la credenza nell'immortalità dell' anima, ossia la risurrezione propriamente detta, non sarebbe una affermazione essenziale per i primi cristiani ma un semplice adattamento alle espressioni mitologiche del pensiero del loro tempo, e l'intenzione profonda che ne forma la sostanza mirerebbe anche all'immortalità dell'anima. Bisogna invece riconoscere lealmente che proprio quanto distingue la speranza cristiana dalla credenza greca è il centro stesso della fede del cristianesimo primitivo. Se l'interprete non può accettarla come fondamentale, non è questa una buona ragione per concludere che non sia fondamentale neppure per gli autori ch' egli studia.
Dinanzi alle reazioni negative e alla «inquietudine» provocata dalla pubblicazione della nostra tesi in diversi giornali, non sarebbe stato meglio, per carità cristiana, interrompere la discussione invece di pubblicare il nostro lavoro sotto forma di opuscolo? La nostra decisione è stata dettata dalla convinzione che, non soltanto dal punto di vista scientifico, ma dal punto di vista cristiano possono esserci «scandali» salutari. Chiederemo solamente ai nostri lettori di voler cortesemente leggere il nostro studio fino al termine.
Noi vi abbiamo esaminato la questione sotto l'aspetto esegetico. Esaminandola sotto l'aspetto cristiano, ci permettiamo di ricordare ai nostri interlocutori che anteponendo, come essi fanno, il loro desiderio personale, il modo in cui vorrebbero sopravvivere e in cui vorrebbero che i loro cari sopravvivessero, essi dànno ragione, senza uolerlo, agli avversari del cristianesimo, i quali non cessano di ripetere che la fede dei cristiani non è che la proiezione dei loro desideri.
In realtà, la speranza cristiana che ci siamo sforzati di esporre è grande proprio perché non procede dal nostro desiderio personale, ma colloca la nostra risurrezione nel quadro di una redenzione cosmica, di una creazione nuova dell'universo.
Non sottovalutiamo per nulla la difficoltà che si può provare a condividere questa fede, e riconosciamo volentieri la difficoltà a trattare questo tema con distacco, mentre le tombe aperte ci ricordano ad ogni istante che non si tratta di un tema accademico. Ma non è una ragione di più per cercare la verità e la chiarezza in questo settore più ancora che altrove? Il mezzo migliore per arrivarci non è certo partire dall'equivoco, ma cominciare con l'esporre semplicemente, con la maggior fedeltà possibile, servendoci dei mezzi a nostra disposizione, la speranza degli autori del Nuovo Testamento, mostrarne la sostanza, mostrare - per quanto duro ci appaia - ciò che la differenzia da altre credenze che ci sono care. Esaminando anzitutto, oggettivamente, l'attesa dei primi cristiani in tutto quello ch' essa può avere di sorprendente dal punto di vista delle nostre opinioni abituali, noi seguiamo in fondo l'unica via possibile per la quale ci sarà forse dato, oltre che di capirla meglio, anche di riscontrare ch' essa non è poi così «inammissibile» come crediamo.
Abbiamo l'impressione che alcuni nostri lettori non abbiano neppure fatto lo sforzo di leggere il nostro lavoro fino alla fine. Il confronto della morte di Socrate con quella di Gesù sembra averli scandalizzati e irritati al punto che non hanno continuato e non hanno neppure visto ciò che noi diciamo sulla fede del Nuovo Testamento nella vittoria del Cristo sulla morte.
Per molti di coloro che ci hanno attaccato è motivo di «tristezza e inquietudine» non solo la distinzione che facciamo fra risurrezione dei morti e immortalità dell'anima, ma soprattutto il posto che noi crediamo di dover attribuire, insieme con tutto il cristianesimo primitivo, nel!' ambito della sua speranza, allo stato intermedio di tutti coloro che sono morti e che muoiono in Cristo prima della fine dei tempi: quello stato
che gli autori del primo secolo definiscono d'attesa provvisoria, perché si vorrebbero avere almeno precisazioni su questo «sonno» dei morti che, spogliati del loro corpo di carne, sono ancora privi del corpo della risurrezione, pur possedendo lo Spirito Santo. Non ci si vuole accontentare della discrezione che gli autori del Nuovo Testamento, san Paolo compreso, osservano a questo proposito, non ci si vuole accontentare della certezza lieta del!' Apostolo quando dice che la morte non separerà più dal Cristo colui che possiede lo Spirito Santo: «Che viviamo o che moriamo, noi apparteniamo al Cristo».
A coloro che trovano assolutamente inaccettabile quest'idea del «sonno», saremmo tentati di domandare, abbandonando allora del tutto il piano dell'esegesi che è quello del nostro studio, se non è loro mai accaduto di fare, dormendo, un sogno meraviglioso, che li abbia resi più felici di qualsiasi esperienza, sebbene non abbiano fatto che dormire. Questa potrebbe forse essere un'immagine, certo imperfetta, per illustrare lo stato d'anticipazione nel quale, secondo san Paolo, si trovano i morti in Cristo durante il loro «sonno», in attesa della risurrezione del corpo.
Tuttavia non pretendiamo di eliminare lo «scandalo», attenuando ciò che abbiamo detto del carattere provvisorio e ancora imperfetto di quello stato. Resta che) secondo i primi cristiani) la vita piena e vera della risurrezione non è concepibile senza il corpo nuovo) senza il «corpo spirituale» di cui i morti saranno rivestiti quando il cielo e la terra saranno creati di nuovo.
Nel nostro lavoro abbiamo due volte rimandato il lettore all'altare d'Isenbeim del pittore medioevale Griineioald. Egli ha dipinto il corpo risorto) non l'anima immortale. Così pure un altro artista. Giovanni Sebastiano Bacb, ci offre nel Credo della Messa in si l'interpretazione musicale delle parole dell'antico simbolo) che esprimono fedelmente la fede del Nuovo Testamento nella risurrezione del Cristo e nella nostra risurrezione. E certo la musica esultante del grande compositore ha voluto esprimere l' evento della risurrezione del corpo) non l'immortalità dell'anima: Et resurrexit tertia die ... Expecto resurrectionem mortuorum et vitam venturi saeculi. Anche Haendel, nella parte finale del suo Messia) ci fa sentire con la musica ciò che san Paolo intende per sonno di coloro che «dormono» in Cristo) e infine) nel canto trionfale) la sua attesa della risurrezione finale che avverrà quando risuonerà «l'ultima tromba» e noi saremo «tutti cambiati».
Che noi condividiamo o no tale speranza, riconosciamo almeno che gli artisti, in questo caso, sono stati i migliori esegeti della Bibbia.

Chamonix, I5 settembre I956.

NOTE

1. Mélanges, offerti a KarI Barth in occasione dei suoi 70 anni, pubblicati presso Reinhardt, Bàle 1956 (Theologische Zeitschrift, n° 2, pp. 126 ss.). V. anche Verbum Caro, 1956, pp. 58 ss.

2. Tuttavia, sinore le principali proteste ci sono giunte da parte protestante.

INDICE

Prefazione

Introduzione

I - L'ultimo nemico: la morte. Socrate e Gesù

II - Il prezzo del peccato: la morte. Corpo e anima. Carne e spirito

III - Il primogenito dei morti. Fra la resurrezione del Cristo e l'annullamento della morte

IV - Coloro che dormono. Spirito Santo e stato intermedio dei morti

Conclusione

Ultima modifica il: Feb 28, 2018
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