ASCESA È AFFERMAZIONE DEL CRISTIANESIMO - Come un movimento oscuro e marginale è diventato in pochi secoli la religione dominante dell'Occidente
RETROCOPERTINA
«Non esiste un'opera simile sulla storia del cristianesimo delle orrqmt. Molti studi storici utilizzano strumenti sociologici, ma Stark è il primo sociologo a tentare di dare un significato al tutto, Le sue opinioni, espresse con franchezza e chiarezza, sono nuove e intelligenti, [...] Non è un riduzionista. Riconosce l'importanza dei precetti e della moralità cristiana nel richiamo esercitato dal nuovo movimento, C'è molto da imparare.»
Robert L. Wilken, University of Virginia
«Il nuovo libro di Rodney Stark rappresenta una sfida e una provocazione, a volte irritante. Ma chiunque si sia posto il problema di come il cristianesimo sia divenuto, nell'arco di quattro secoli, la religione dominante nell'Impero romano lo deve leggere. Ci troviamo qui di fronte a un'audacia teorica, a un disarmante buon senso, a una profonda curiosità insieme alla non comune abilità di raccontare con chiarezza una storia complicata.»
Wayne A. Meeks, Vale University
«Il racconto del professor Stark sull'ascesa del cristianesimo è provocatorio, stimolante e profondo. La sua tesi - che il cristianesimo si affermò perché offriva ai suoi fedeli una vita più attraente, sicura, felice e forse lunga - farà arrabbiare molti, ma costringerà il lettore a riflettere. Un meraviglioso esercizio di immaginazione sociologica e un monito a chi ama spiegazioni semplicistiche e riduzionistiche, come quella secondo cui fu Costantino, facendo del cristianesimo la religione ufficiale dell'Impero, a determinarne definitivamente il successo.»
Andrew M. Greeley, National Opinion Research Center,University of Chicago
«Entusiasmante e pieno di stimoli, molto leggibile e pieno di nuove idee, lo studio di Stark provocherà certamente una rivoluzione nel pensiero sull'ascesa del cristianesimo nel mondo romano. Il contributo dell'autore in questa materia è di grande rilievo.»
Roger S. Bagnall, Columbia University
PREFAZIONE
La storia mi appassiona da sempre, ma non avevo mai preso in considerazione di utilizzare materiale storico per la mia attività accademica. Sono un sociologo contento di dedicare il mio tempo a cercare di formulare e verificare teorie sempre più rigorose su una serie di argomenti per lo più relativi alla sociologia della religione. Nel 1984 lessi l'opera di Wayne Meeks I cristiani dei primi secoli: il mondo sociale dell'apostolo Paolo. La comprai d'impulso e mi piacque molto. L'opera mi colpì, non solo per quello che vi imparai, ma anche per come Meeks aveva tentato di sfruttare le scienze sociali.
Diversi mesi dopo la fortuna mi baciò un' altra volta. Mi trovai a sfogliare un catalogo di studi sulle religioni. Oltre al libro di Meeks erano elencati altri saggi sulla storia delle origini del cristianesimo. Quel giorno ordinai tre libri: La diffusione del cristianesimo nell'Impero romano, di Ramsay MacMullen, The Christians as the Romans Saw Them, di Robert Louis Wilken, e Miracle in the Early Christian World, di Howard Clark Kee. Sarebbe arduo trovare tre libri migliori di questi riguardo alla prima era cristiana. Insieme all' opera di Meeks, questi libri mi hanno convinto che quell' ambito di studi necessitava di strumenti di analisi sociologica più aggiornati e precisi.
Un anno dopo inviai a una rivista un articolo intitolato The Class Basis oJ Early Christianity: InJerences from a Sociological Model, informando il curatore che volevo soprattutto scoprire se ero «abbastanza bravo da poter giocare nella "serie" greco-romana». Mi fece molto piacere vedere che diversi storici che si occupano dell'epoca neotestamentaria reagirono scrivere un articolo su cui si sarebbe incentrato l'incontro annuale del Social History of Early Christianity Group della Society of Biblical Literature del 1986. Nell'articolo che presentai era tracciata la mia visione eretica secondo cui le conversioni di ebrei al cristianesimo erano state ben più numerose e avevano continuato ben più a lungo di quanto sostengano il Nuovo Testamento e i padri della chiesa degli albori. Al saggio risposero John Elliott, Ronald Hock, Caroline Osiek e L. Michael White; successivamente fui coinvolto in un acceso dibattito. Difficilmente in ambito socio logico avvengono grandi dibattiti, per cui ero piuttosto impreparato allo scambio intellettuale che avvenne; sono state le tre ore più gratificanti che abbia mai trascorso in un incontro accademico. Per di più, fu in quell' occasione che compresi di poter in qualche modo dare il mio contributo alla storia della chiesa delle origini.
Non sono uno studioso del Nuovo Testamento né mai lo sarò. Non sono neanche uno storico, nonostante la mia recente avventura nella storia religiosa americana1. Sono un sociologo che a volte lavora utilizzando materiale storico e che per prepararsi alla stesura di questo volume ha fatto del suo meglio per approfondire le fonti, sebbene per lo più in lingua inglese. Cerco soprattutto di offrire agli studi sulla chiesa primitiva un migliore apporto dalle scienze sociali: teorie migliori e metodi di analisi più scientifici, compresa la quantificazione, dove possibile e appropriata. In questa opera cercherò così di introdurre gli storici e gli studiosi della Bibbia alle scienze sociali attuali, che comprendono la teoria della scelta razionale, la teoria dell'impresa, il ruolo svolto dai legami sociali e interpersonali nella conversione religiosa, l'epidemiologia sociale e i modelli di economie religiose. Viceversa, cercherò di condividere con i sociologi l'immensa ricchezza accademica che ci offrono gli studi moderni sull'antichità.
Sono riconoscente a molti studiosi che mi hanno consigliato e guidato verso le fonti che da solo non avrei trovato perché mi manca la formazione accademica nel campo. Ringrazio in modo particolare il mio ex collaboratore Laurence Iannaccone della Santa Clara University per gli utili commenti all' opera, ma anche per molte delle fondamentali intuizioni su cui si fondano i capitoli 8 e 9. Sono poi molto grato a L. Michael White dell'Oberlin College e al mio collega Michael A. Williams dell'University of Washington per il prezioso aiuto che mi ha offerto nel lavoro sulle fonti e per avermi incoraggiato ad affrontare questi temi. Devo ringraziare William R. Garrett del St. Michael College per gli utili suggerimenti e per come mi ha incoraggiato nella fase iniziale del lavoro; David L. Balch, della Brite Divinity School presso la Texas Christian University che mi ha invitato a prendere parte a un convegno internazionale sulla storia sociale della comunità matteana convincendomi a scrivere il saggio che costituisce ora il capitolo 7 di quest' opera. Ringrazio Stanley K. Stowers che mi ha cortesemente invitato alla Brown University per tenere diverse lezioni, spingendomi così a portare a termine il mio lavoro sulla diffusione del cristianesimo nelle aree urbane dell'Impero. David Brombley, presidente dell' associazione per la sociologia della religione, che ha disposto che io tenessi la Paul Henry Furfey Lecture da cui nacque il capitolo 5. Darren Sherkat della Vanderbilt University che mi ha offerto utili indicazioni per diverse delle mie incursioni nella statistica. Infine, Roger S. Bagnall della Columbia University, che mi ha tenuto lontano da tante inutili speculazioni.
Voglio inoltre ringraziare Benjamin e Linda de Wit, della Chalcedon Books di East Lansing, Michigan, per avermi trovato copie di molti classici, spesso anche diverse versioni della stessa opera. Avere a disposizione diverse traduzioni di una stessa opera mi ha posto non pochi problemi; nella mia libreria, per esempio, ci sono quattro traduzioni in inglese dell' opera di Eusebio. Sono molto diverse tra loro, ci sono differenze nette nei passaggi che ho citato in questo saggio. Quale avrei dovuto usare? Pensando allo stile utilizzato, avrei privilegiato la .versione di G. A. Williamson del 1965, però i miei colleghi esperti nel campo mi hanno spiegato che lo stile di Eusebio in realtà era monotono e inelegante, per cui avrei dovuto affidarmi alla versione di Lawlord and Oulton. Non sono sicuro che la traduzione debba catturare la monotonia dell' originale se il significato di ciascun passaggio non viene tradito. Dopo molti confronti e paragoni ho deciso di adottare una regola che ho poi applicato ogni volta che mi sono trovato in possesso di più traduzioni: utilizzare la versione che esprimeva in modo più chiaro il concetto che mi aveva condotto a citare quel passaggio, a condizione che tale concetto non fosse presente solo in quella particolare traduzione.
Sono lieto di aver avuto a disposizione traduzioni diverse delle stesse opere, oltre ai famosi dieci volumi di The Ante-Nicene Fathers curati da Roberts e Donaldson, in particolare per i miei interventi sull'aborto, sul controllo delle nascite e sulle norme sessuali nel capitolo 5. Infatti, dove i padri della Chiesa scrivevano di questi argomenti in modo esplicito, la versione di Roberts e Donaldson traduceva l'originale greco in latino invece che in inglese. Leggendo Clemente Alessandrino, ad esempio, si incontrano spesso interi passaggi in latino e grazie a Jaroslav Pelikan2 scoprii che si trattava di una vecchia tradizione. Per questo Edward Gibbon, nella sua autobiografia, scrisse: «Il mio testo inglese è casto, e tutti li passaggi licenziosi sono ravviluppati nell'oscurità di una lingua dotta»3. Fortunatamente per chi come me non conosce le lingue classiche, esistono ora traduzioni più recenti, scritte da studiosi con sensibilità meno raffinate di Gibbon e dei gentiluomini vittoriani di Edimburgo. Nel complesso è stata un' esperienza istruttiva.
Il libro è rimasto in cantiere per molto tempo. All'inizio ho tastato le acque pubblicando prime versioni di molti dei capitoli su varie riviste, come segnalato all'inizio dei capitoli interessati. In più, il progetto non è mai stato la mia occupazione principale; dall'inizio del 1985, quando completai la versione iniziale di ciò che è diventato il capitolo 2, ho pubblicato diversi libri (tra cui un'introduzione alla sociologia che ho poi rivisto cinque volte). Il mio tentativo di ricostruire l'ascesa del cristianesimo è stato un passatempo coltivato tra le altre mie attività, un'opportunità per leggere libri e articoli che ora fanno parte di un intero ambito dei miei studi. Non posso esprimere in modo soddisfacente quanto mi sia dilettato a leggere questi autori. Sono convinto che gli studiosi dell' antichità siano in media tra i ricercatori più scrupolosi e gli scrittori più piacevoli del mondo dell' accademia. Purtroppo, quest' opera pone fine al mio passatempo e alla mia incursione nel loro ambito di studi.
NOTE
1Roger Finke, Rodney Stark, The Churching oJ America, 1776-1990: Winners and Losers in Our Religious Economy, Rutgers University Press, New Brunswick 1992.
2Jaroslav Pelikan, The Excellent Empire: The Fall oJ Rome and the Triumph oJ the Church, Harper and Row, San Francisco 1987, p. 38.
3Gibbon Edward, Memorie di Edoardo Gibbon scritte da lui medesimo, Nicolò Bettoni, Milano 1825, p. 205.
INDICE
5 Prefazione
ASCESA E AFFERMAZIONE DEL CRISTIANESIMO
13 1. Conversione e diffusione del cristianesimo
49 2. La composizione sociale del primo cristianesimo
75 3. L'evangelizzazione degli ebrei: perché probabilmente ebbe successo
105 4. Epidemie, legami sociali e conversioni
135 5. Il ruolo della donna nell' ascesa del cristianesimo
181 6. La diffusione del cristianesimo nelle aree urbane dell'impero: un approccio quantitativo
201 7. Il caos urbano e la crisi: il caso di Antiochia
223 8. I martiri: il sacrificio come scelta razionale
259 9. Opportunità e organizzazione
285 10. Breve riflessione sulla virtù
293 Bibliografia
313 Indice dei nomi
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