ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO

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ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO (249)

CHI GIUDICHERÀ GLI ANGELI - Angeli e demoni a confronto

foto non disponibile L'Autore Pierangelo Calvirani presenta la sua settima potente e istruttiva opera che è il risultato di una grandiosa ricerca su centinaia di opere divulgative di tutto lo scibile umano confrontate con la sapienza celeste della Bibbia. Si è specializzato nell'aprire al grande pubblico temi e argomenti di difficile accesso, poco conosciuti ma di grande attualità e rilevanza storica. Illumina tutti coloro che non vogliono cadere vittime della propaganda gracidante che offre illusioni, menzogne e morte. Le sue opere offrono una vera speranza!


RETROCOPERTINA

In diverse parti del pianeta un'incredibile serie di scoperte archeologiche ha portato alla luce reperti fossili tali da scuotere dalle fondamenta l'ipotesi evoluzionistica. Di cosa si tratta? Gli scavi archeologici nei vari continenti del mondo hanno fatto riemergere dal passato fossili di indubbia forma umana ma di dimensioni gigantesche.

    Esiste un passato raccontato da innumerevoli tradizioni, racconti, epopee, narrato dalle pietre di antiche sculture, da molti reperti fossili, un passato che emerge da centinaia di scoperte archeologiche, citato da moltissimi testi antichi, un passato di cui la Bibbia parla chiaramente. Ma incredibilmente questo passato viene ancora oggi censurato e definito come una favola e combattuto dalla cosidetta archeologia ufficiale.

    L'esistenza di una razza di giganti dotati di profonde conoscenze dei principi della fisica e della matematica spiega con grande chiarezza moltissimi misteri delle colossali costruzioni del passato, ma oggi si preferisce inventare ogni sorta di spiegazioni, anche le più assurde e fantasiose, piuttosto che considerare quelle che si mostrano come delle evidenze storiche. Questo é certamente inquietante oltre che inspiegabile.

   La recente pubblicazione del libro "Il cacciatore delle ossa dei Nefilim" del giornalista e ricercatore scientifico Armando Amari ha aggiunto un elemento importante al pensiero di coloro che credono che, in un tempo remoto, una razza di uomini giganteschi, alti fino a sette/otto metri e anche oltre, abbia abitato il pianeta Terra. In questa sua ultima opera Pierangelo Calvirani ha esaminato a fondo le testimonianze fossili presentate da Amari, al punto che questo suo nuovo libro può essere considerato un sequel de Il cacciatore delle ossa dei Nefilim.

    Ma la scoperta scientifica ancora più straordinaria presentata da Amari e giustamente ripresa ed enfatizzata da Calvirani riguarda l'identità dei padri biologici di questi giganti che la Bibbia chiama Nefilim, un'identità di natura genetica che esclude scientificamente un'origine terrestre. Si tratta di esseri extraterrestri di capacità super umane che non si sono estinti come i loro giganteschi figli, ma sono ancora oggi in vita e pienamente operanti nelle vicinanze della Terra.

    Secondo la Bibbia la loro natura è angelica, ma orientata al male e a danno del genere umano. La pericolosità di questi angelici extraterrestri è tale che non esistono armi umane per contrastare i loro piani criminali, ma solo l'Onnipotente Creatore è in grado di fermarli. Come e quando? La risposta è nelle pagine della Bibbia citate e commentate nel libro Chi giudicherà gli angeli? Angeli e demòni a confronto.


INDICE

Introduzione

L’analisi del massimo esperto sull’attuale crisi mondialee generale

Capitolo 1

Esistono gli angeli?

Capitolo 2

Presenze angeliche e manifestazioni demoniche

Capitolo 3

Un’antica presenza extraterrestre sulla Terra

Capitolo 4

Una verità terribile viene taciuta all’umanità

Capitolo 5

Un attacco demonico alla sovranità di Dio

Capitolo 6

La verità sui Nefilim

Capitolo 7

La trama demonica sull’umanità

Capitolo 8 

Le entità spirituali malvage confuse per extraterrestri

Capitolo 9

La fantascienza e il mito degli extraterrestri

Capitolo 10

Chi giudicherà gli angeli?

Capitolo 11

La clonazione dei Nefilim

Capitolo 12

Dove sono oggi Satana e i demòni?

Indice analitico

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IL LIBRO DI GIOBBE

RETROCOPERTINA

Il volumetto è il risultato della collaborazione di uno studioso dell'Antico Testamento e di uno specialista di letteratura tedesca dai profondi interessi biblici e teologici, mossi entrambi dalla convinzione che lo studio letterario del libro di Giobbe possa condurre a risultati teologici per altre vie difficilmente raggiungibili. L’analisi puntuale dei due autori mostra come il libro di Giobbe, opera di grande teologia, è al tempo stesso un testo poetico di prim'ordine, che per valore letterario non sfigura a fianco di creazioni immortali come il Prometeo di Eschilo, la Commedia di Dante, l'Amleto di Shakespeare o il Faust di Goethe. Nel libro di Giobbe quanto è più proprio della teologia del testo può essere colto soltanto quando se ne penetri il lato poetico, e d'altro canto la poesia del libro non può venire alla luce se non dopo che se ne sia afferrata la dimensione teologica. Questi sono i principi metodologici che mostrano la loro fecondità nell'esame meticoloso e sempre brillante dei due autori.

PREMESSA

Questo volumetto è il risultato di un seminario tenuto in comune da un vetero-testamentarista e da un germanista con interessi teologici nel semestre invernale 2004/2005 all'Università di Basilea. Il seminario fu possibile grazie alla deliberazione della locale Facoltà di Teologia di affidare quell'anno l'incarico a contratto a un non professionista della teologia. Punto di partenza del seminario era la convinzione del germanista che lo sguardo di un letterato sul libro di Giobbe potesse condurre a risultati teologici; base della collaborazione è stata la disponibilità del vetero-testamentarista ad affrontare questo rischio e mettere a disposizione le proprie conoscenze specifiche.
La pubblicazione rispecchia il contrario. Il saggio interpretativo è stato scritto dal germanista, con ricorsi frequenti, spesso non dimostrabili nel singolo caso, a contributi seminariali del teologo; gli excursus (destinati soprattutto a non teologi) sono opera del teologo. Gli excursus e il saggio non sono completamente coordinati fra di loro. Deve restare chiaro che una cosa è illustrare un caso in concreto della varietà del materiale biblico e della ricerca, un 'altra è rendere accessibile lo svolgimento di un libro biblico e in questo interpretare il singolo elemento sulla base del complesso dell'opera, e interpretarlo nella sua espressività in relazione al complesso dell'opera. Vengono in tal modo alla luce diversi ma corrispondenti tipi di evidenza.
Gli autori hanno goduto della produttiva collaborazione dei pochi ma impegnati partecipanti al seminario. Essi sono grati del dono della costellazione di doti personali e professionali che ha consentito loro senza difficoltà una serena e produttiva collaborazione. Un particolare ringraziamento del germanista, emerito dell'Università Albert-Ludwig di Friburgo i.Br., va alla Facoltà di Teologia della vicina Università di Basilea e alla Freiwillige Akademische Gesellschaft di Basilea per il supporto finanziario alla cattedra. Il comune ringraziamento degli autori va alla concessione di un contributo ai costi della stampa ricevuto dal medesimo mecenate, e per l'autorizzazione a ore aggiuntive per lavori di redazione da parte di assistenti della facoltà di teologia. Un sentito ringraziamento anche al Dr. V. Hampel del Neukirchener Verlag, che ha curato la pubblicazione con la sua consueta, grande disponibilità e competenza, e soprattutto agli editori delle Biblisch- Theologische Studien, Pro! Dr. F. Hartenstein, Pro! Dr. B. janowski e Pro! Dr. W.H. Schmidt, che hanno deliberato di accogliere il nostro contributo.

Basilea, giugno 2006.
Gerhard Kaiser, Hans- Peter Mathys

POESIA COME TEOLOGIA

Il libro veterotestamentario di Giobbe è un'opera di grande teologia che ha suscitato una letteratura teologica vastissima1. I Ma il libro vetero-testamentario di Giobbe è anche una grande opera poetica, il cui significato nella letteratura universale è paragonabile a quello del Prometeo di Eschilo, della Divina commedia di Dante, dell'Amleto di Shakespeare, del Faust di Goethe, ed è per questo che esso è anche oggetto di studi letterari. Nella sostanza il libro di Giobbe richiede tuttavia che si vada al di là dei confini di entrambi gli ambiti di ricerca, perché - questa è la mia tesi - proprio ciò che ne fa un componimento poetico è anche all' origine del valore e della peculiarità della sua teologia, così che quanto vi è di più proprio o di più estraneo alla sua teologia può essere colto solo quando lo si percepisca come poesia. Per contro, esso può essere inteso adeguatamente come poesia soltanto quando se ne metta in luce la dimensione teologica.2

IL PUNTO DI PARTENZA:
IL TESTO NELLA SUA FORMA FINALE

Tanto l'indagine teologica quanto quella letteraria possono essere orientate a ricostruire la storia della formazione di un libro, e la ricerca biblica storico-critica ha dedicato molte energie a chiarire le origini del libro di «Giobbe»; ciò non di meno, i risultati concernenti la costituzione del testo sono controversi e vaghi quelli relativi alla sua datazione. La peculiarità della forma testuale - una cornice epica che racchiude una parte centrale dialogica - ha portato alle due tesi contrapposte della paternità complessiva di un unico autore da un lato e dell'assemblaggio redazionale a posteriori di cornice3 e parte interna dall'altro. Nel secondo caso, peraltro, all'opinione prevalente di una composizione più antica della cornice si oppone quella contraria di una datazione più alta della parte interna. I tentativi di datazione hanno oscillato entro il grande lasso temporale postesilico, tra il 500 circa e il 200 a.c. al più tardi.

D'altra parte grazie allo sviluppo e al perfezionamento delle ricerche bibliche storico-critiche le questioni riguardanti la storia della formazione del testo nei suoi risvolti sia teologici sia letterari oggi possono essere fatte passare in secondo piano, con riguardo tanto alla datazione quanto alla paternità o alla redazione, conformemente al principio di metodo che interpretare un testo sulla base del suo divenire oppure della sua forma ultima sono due prospettive complementari. La forma ultima di un testo non è dopotutto soltanto un risultato ma la spiegazione e la giustificazione di ciò che è grazie alla paternità o alla redazione o all'interazione di entrambe. Lavora largamente col testo definitivo, per esempio, l'esegesi di Giobbe di Karl Barth nella Kirchliche Dogmatik,4 e sotto questo rispetto come anche per alcuni importanti punti della mia interpretazione è per me rassicurante poter seguire le orme di un teologo straordinario. Anche il commento di Jiirgen Ebach apparso nel 1966, Streiten mit Gott: Hiob, muove «con coerenza dalla forma ultima del testo tramandato»5 Da letterato posso far osservare che anche tagli, lacune, ridondanze, salti, espunzioni e contraddizioni del testo, anche quando vengano ad aggiungersi alla storia della costituzione del testo, se si guarda al risultato possono essere o diventare patrimonio di una composizione complessa ed elementi rappresentativi di un momento espressivo specifico. Per questo non è detto che la mancanza di unitari età nella storia della formazione significhi senz'altro assenza di unitarietà letteraria; ciò vale a maggior ragione quando il concetto di unitarietà letteraria non venga riservato a opere di rigorosa coesione e di armoniosa corrispondenza delle parti,6 ma sia attento all'efficacia di integrazione dell' opera - anche in presenza di elementi di divergenza o addirittura di conflitto - e anche alla ricchezza e alla espressività che risultano da questa composizione. Quanto più l'unità letteraria è innervata di tensioni, tanto più ricca può essere l'opera. In ogni caso io vorrei lavorare fissando un concetto dinamico di unitarietà di questo genere. Mi prendo quindi la libertà di interpretare come opera di poesia il libro di Giobbe divenuto canonico in tutta la sua ingombrante complessità, e di verificare che cosa se ne possa ricavare.

GIOBBE: DOV'È MIO PADRE?

Giobbe come poesia - che cosa significa? Certamente il libro di Giobbe, al pari di ogni opera letteraria, si è venuto formando a partire da esperienze individuali e collettive di uomini di una determinata epoca e di una determinata area culturale, seppure come finzione. Nel Vicino Oriente il tema letterario del pio sofferente è sì presente,7 ma non lo si può applicare a un personaggio storico, e quando Ez. 14,14.20 chiama giusti Noè, Daniele e Giobbe, il personaggio di Giobbe risulta una figura della tradizione narrativa di Israele, non della storia. La diffusione del tema è segno piuttosto che esso affronta una grande e fondamentale esperienza umana, che affiora in culture e religioni in cui dio o gli dei si fanno garanti di un ordinamento del mondo giusto e quindi anche equo. Una volta che si dia questo presupposto, l'inquietante domanda delle ragioni per cui una simile connessione paia spezzarsi nella vita del singolo o anche in generale può imporsi come rappresentazione poetica e diffondersi tanto per migrazione del motivo quanto anche in invenzioni poetiche originali.8 Essa si farà più acuta quando non una molteplicità di dèi ma, come nella Bibbia d'Israele, un dio unico regge nelle sue mani l'ordine del mondo.

Come che sia, l'azione e l'andamento del dialogo nel libro di Giobbe sono chiaramente modellati su un problema teologico preesistente, e già il nome del protagonista può essere letto come allusione in tal senso. In semitico occidentale o nella lingua colta accadica largamente diffusa nel Vicino Oriente antico, il nome Giobbe ('ijj6b) potrebbe significare - a mo' d'interrogativa - qualcosa come: dov'è il padre?9 Per la naturalezza con cui i testi veterotestamentari si servono della pronuncia del nome, per come lo usano e lo variano, soprattutto per l'alto livello di elaborazione che il testo del libro di Giobbe dimostra - sotto il versante poetico estremamente impegnativo sia per l'autore sia per il pubblico - è del tutto pensabile, per non dire ovvio, che il significato del nome venisse percepito e insieme indirizzasse il modo di comprenderlo. A ogni buon conto esso guida al centro della figura e degli eventi in modo tale che questi corrispondono l'uno all'altro come una chiave alla sua serratura, e ciò in modo affatto peculiare. Detto in termini estremamente concisi, nel suo corpo e nella sua vita il protagonista della storia incarna la questione del padre. In quanto protagonista di un racconto, a interrogarsi sul padre Giobbe si trova solo; ma poiché i racconti si rivolgono a un pubblico, in quanto singolo il protagonista del racconto sta in primo piano come figura di spicco di cui merita raccontare e apprendere qualcosa. La sua storia riguarda altri. Il padre cercato da Giobbe è il padre di tutti i credenti, Dio - e così la domanda che nasce in Giobbe e nella sua sorte è sì posta nella prospettiva del singolo, ma in ultima istanza è una domanda che riguarda il genere umano,10 in termini filosofici è la questione della teodicea. Quello che si manifesta in questo mondo come lo viviamo storicamente e quotidianamente sia come umanità sia come singoli nella nostra vita è un dio paterno? e se sì, come spiegare il male nel mondo e nella vita umana? Per questo mi pare sbagliato dover stabilire se inquadrare il poema di Giobbe nel tema del «significato della sofferenza» oppure in quello alternativo di «Giobbe e la sua rettitudine»11 Mentre parla di Giobbe e della sua rettitudine, il libro parla anche del significato della sofferenza.

DIO, SATANA, GIOBBE COME COSTELLAZIONE.

GIOBBE SULLA SCENA DELLA CREAZIONE

L'inizio della storia che fa da cornice al libro di Giobbe fissa preliminarmente il significato della figura di Giobbe e quindi la sua attitudine a fungere da eroe di una vicenda. Giobbe tuttavia non viene connotato come persona con un profilo individuale, ma sommariamente come l'uomo più ricco di tutti quelli che come lui abitano in Oriente - osservazione meramente quantitativa (cap. I). Egli inoltre è non solo particolarmente ricco, ma anche dotato di tutto ciò che nell'Israele antico indicava che si era benedetti da Dio: ha numerosi figli adulti, una grande famiglia molto unita al suo interno. Questi segni di benedizione corrispondono al suo modo di vivere: egli è «integro e retto», «teme Dio ed è alieno dal male»,12 fino allo scrupolo. Tanto che, come unica particolarità in una rappresentazione nel complesso estremamente scarna, si racconta che in occasione delle feste di famiglia in cui i suoi figli invitano alternativamente le sorelle, egli offre olocausti secondo il numero di tutti loro, così da stornare la punizione divina in caso i figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Dio.
Qui affiora per la prima volta il motivo chiave dell'allontanamento dell'uomo da Dio, con il quale presto avrà a che fare Giobbe stesso! ... (continua)


NOTE

1 Non è questo il luogo in cui affrontare la letteratura specialistica su Giobbe. Soltanto di volta in volta si rinvierà alla ricerca. Per uno sguardo d'insieme cf. H.-P. Mùller, Das Hiob-Problem (EdF 84), Darmstadt 1978,31995. Un ottimo profilo della storia della ricerca, che giunge quasi fino a oggi e riguarda l'argomento specifico, è contenuto nella dissertazione ampliata di W.-D. Syring, Hiob und sein Anwalt. Die Prosatexte des Hiobbuches und ihre Rolle in seiner Redaktions- und Rezeptions-geschichte (BZAW 336), Berlin 2004. Per un'estesa rassegna comparativa con varietà di materiali, soprattutto inerenti all'islam, cf.l'esposizione di N. Kermani, Der Schrecken Gottes. Attar, Hiob und die metaphysische Reuolte, Miinchen 2005.

2 I lavori che hanno per argomento la portata teologica della poesia nel libro di Giobbe sono relativamente rari. Per una rapida rassegna delle ricerche che qui si sono prese in considerazione si veda in calce alla prima parte del volume, sotto, pp. 141-143.

3 Così recentemente Syring, op. cito considera la parte dialogica come poesia più antica, a cui un più tardo poeta e redattore applica la cornice epica, rifacendosi a un precedente racconto di Giobbe, «a-teologico».

In esso verrebbe delineato per la prima volta rigorosamente Giobbe come uomo messo in risalto da Dio e affidabile nella sua giustizia. Questo poeta rielaboratore e redattore è perciò indicato da Syring nel titolo del suo scritto 'quale «avvocato» di Giobbe (p. 149).

4 Riassunto in K. Barth, Hioh, ed. e intr. di H. Gollwitzer (BSt 49), NeukirchenfVluyn 1966; Barth - Gollwitzer, poscritto a BSt 49, s.l. s.d.

5 Edito in due volumi nella Kleine biblische Bibliothek (Neukirchen/Vluyn '2004 s.). Purtroppo sono venuto a conoscenza soltanto in un secondo momento di questo eccellente commento che studia in modo approfondito anche il linguaggio della forma letteraria; il presente saggio è stato quindi scritto senza tenerne assolutamente conto. Se per singole affermazioni spesso si trovano d'accordo, per problematica e intenti i nostri lavori sono fondamentalmente diversi: là si tratta di un commento teologico minuzioso che sviscera ogni aspetto senza nulla trascurare, qui invece del tentativo di messa in prospettiva di un letterato con interessi teologici.

6 Così si lavora negli studi di storia della formazione, che in larga misura dipendono da indizi immanenti al testo, anche nel presupposto di un'idea sorprendentemente rigorosa e armoniosa dell'unitarietà del testo. In Syring, op. cit., s'incontra ad esempio come argomento che depone a favore di una molteplicità di autori in tempi diversi, il fatto che la cornice narrativa metta in chiaro la mancanza di colpe di Giobbe, mentre nella parte dialogica al riguardo non vi è alcuna chiarezza e gli amici ritengono Giobbe colpevole. Senza volere con ciò prendere posizione circa questa tesi di storia della formazione, vorrei tuttavia far osservare quanto segue: fin dall'inizio un solo redattore potrebbe ben aver inserito nella dinamica della composizione questo contrasto fra la sapienza di Dio e l'insipienza dell'uomo! Secondo simili angusti criteri, non poche composizioni poetiche moderne in base alla loro complessità o alla molteplicità delle loro prospettive, abilmente create da un solo redattore, andrebbero attribuite a una pluralità di redattori.

7 Si veda la breve panoramica di J. Ebach, Hiob-Hiobbuch, in TRE xv, Berlin 1986. - Testi importanti in lingua tedesca sono raccolti in TUAT 3/1, Giitersloh 1990, 102-163

8 In senso opposto va il commento di F. Stier, Das Buch /jjob. Hebrdisch und deutsch, Mùnchen 1954, 261: «Nel Talmud sta scritto: Giobbe è un mashal e non è vissuto affatto [bBaba batra 15; Ceno r. 57]. Ma Ijjob non è un mashal se il Talmud si riferiva con questo al genere letterario del racconto didascalico e appositamente inventato. Il libro si presenta come resoconto di avvenimenti, racconta ciò che è accaduto. L'autore del libro però conosceva Ijjob solo per sentito dire, dalla viva bocca della leggenda che cresceva intorno agli elementi storici». Stier presuppone qui, senza giustificazione, un Giobbe storico ed elimina il problema: se il libro finge di essere un resoconto di avvenimenti, non è detto assolutamente che esso sia anche effettivamente un resoconto di avvenimenti. La grande maggioranza dei romanzi, racconti e anche parabole (mashal) si presenta come resoconto di fatti. Allo stesso modo trovo discutibile anche l'affermazione di Stier secondo cui il libro non sarebbe un componimento didascalico ma «il documento di una lotta di Dio, divenuto parola, vita che esprime se stessa, un libro di vita, carpito dalla vita senza mediazioni e per questo emergente anche dalla vita personale del poeta [A. Weiser, Hiob, 1951, loc. cit.]». Qui mi sembra che l'attinenza alla vita di un testo sia stata confusa con il carattere documentario, oppure - di nuovo qualcosa di diverso - con il contenuto autobiografico. Ma anche parabole inventate con intenti didascalici possono essere molto vicine e «carpite dalla vita senza mediazioni» - ad esempio la parabola del figliol prodigo.

9 Syring, op. cit., 57. Cf. Ebach, art. cito (con bibliografia sul nome).

10 Diversamente C. Westermann, Der Aufbau des Buches Hiob, Tùbingen I956, Stuttgart 'I977, 2: il libro di Giobbe tratterebbe un caso esistentivo particolare.

11 Così G. von Rad, Theologie des Alten Testaments, I. Die Theologie der geschichtlichen Uberliejerungen Israels, 5" ediz. della 4" riediz. riveduta, Miinchen 1966,426 s. (tr, it. Teologia dell'Antico Testamento, La Teologia delle tradizioni storiche d'Israele, Brescia 1972). Per il tema di Giobbe si veda anche Idem, Weisheit in Israel (1970), Giitersloh 1992, il capitolo «Il libro di Giobbe» e Nachwort zu Hioh und Prediger, 267-292. 306-308 (tr. it, La sapienza in Israele, Torino 1975).

12 I,I. Dove non sia indicato diversamente, il testo segue le citazioni e la numerazione dei capitoli e dei versetti della traduzione di Lutero nella versione riveduta del 1984.

INDICE

Premessa
Elenco delle sigle

Gerhard Kaiser
Il libro di Giobbe: poesia come teologia

Poesia come teologia
Il punto di partenza: il testo nella sua forma finale
Giobbe: dov'è mio padre?
Dio, Satana, Giobbe come costellazione.
Giobbe sulla scena della creazione
Segnato e premiato dalla sofferenza
Satana come strumento, Giobbe come cieco e tuttavia testimone di Dio
Cornice narrativa e sezione dialogica.
Sofferenza di Giobbe e sua sottile comicità
Giobbe: pio «senza ragione»?
Contrasto e consonanza fra visuale epica e visuale dialogica
Elementi del dramma in Israele?
Parallelismus membrorum, danza dei discorsi
Il monologo introduttivo di Giobbe
Elifas fornisce le parole chiave per la giustizia di Dio
Dio come nemico mortale. Primo discorso di Giobbe a Dio: umorismo per disperazione
Giobbe ingiuria Dio come giudice ingiusto e conquista un punto di forza
Gli amici diventano nemici
Hybris di Giobbe e consapevolezza della dipendenza
l luogo di Giobbe non è il luogo degli amici
Il problema di Giobbe su tre livelli
Il grido di aiuto nell'accusa; dov'è il salvatore nel giudice?
Il testo riflette su se stesso.

Giobbe sa che il suo liberatore vive
Martin Lutero ed Ernst Bloch e la traduzione dell'ebraico go'él
Nemo contra Deum nisi Deus ipse?
Prima culmine, poi generalizzazione della tematica
Gli amici hanno esaurito gli argomenti.
Giobbe: dopo le battaglie resistere
Inno di Giobbe alla sapienza di Dio
Un tempo e ora. Bilancio di Giobbe
Giuramento di purificazione di Giobbe in quanto giusto di fronte a Dio
I discorsi di Elihu
I discorsi di Dio: una risposta - nessuna risposta
Replica di Dio a Giobbe ed Ernst Bloch: chi è l'uomo?
Posizione dell'essere umano in un mondo predeterminato
Il mondo di Dio al di là di antropocentrismo e teleologia
Chiarimento per Giobbe
Frattura dell'argomentazione. Logica dell'azione
L'esperienza storica può arricchire la comprensione di una storia
Ordinamento del cosmo e ordinamento dell'uomo
Simul iustus et peccator - felix culpa
Ultime battute teologiche della narrazione
Il libro di Giobbe come poesia.
Breve bibliografia sull'argomento

Hans-Peter Mathys
Quattro excursus

1. La natura letteraria del libro di Giobbe
2. Il nome Giobbe
3. L'uno e il suo pantheon
4. Ma io so: il mio difensore vive, e un rappresentante si ergerà per me sulla polvere»

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PERCHÈ IO CREDO IN COLUI CHE HA FATTO IL MONDO - TRA FEDE E SCIENZA

PREFAZIONE

È opinione comune che le leggi dell'universo scoperte dalla Scienza siano in conflitto con quelle imperscrutabili di Dio. La contrapposizione tra Fede e Scienza rappresenta uno dei dilemmi più laceranti del nostro tempo; un dramma che conobbe il suo primo, controverso atto, con Galileo Galilei.
In questo saggio appassionato, che si legge come un vibrante manifesto, Antonino Zichichi smentisce tale contrapposizione e la ribalta: "Non esiste alcuna scoperta scientifica chepossa essere usata al fine di mettere in dubbio o negare l'esistenza di Dio". Proprio il grande Galilei, scopritore del principio di inerzia, della relatività e delle prime leggi che reggono il creato, era credente e considerava la Scienza uno straordinario strumento per svelare i segreti di quella natura che porta le impronte di Colui che ha fatto il mondo. E credenti erano Maxwell e Planck, due padri della fisica contemporanea, uomini che hanno aperto nuovi orizzonti sulle leggi dell'universo grazie allo studio di particelle infinitamente piccole; tanto piccole da non poter contenere traccia né di angeli né di santi, e da non poter quindi avallare, apparentemente, alcuna spiegazione razionale dell'esistenza del divino.
Ripercorrendo le grandi scoperte della scienza galileiana moderna, illustrandone con estrema chiarezza l'impulso innovatore, Zichichi dimostra come Fede e Scienza non siano in alcun modo in contrasto l'una con l'altra, e come possano essere doni distinti di Dio, espressioni delle due componenti di cui tutti siamo fatti: il Trascendente e l'Immanente. Le conquiste della Scienza non oscurano le leggi divine, ma le rafforzano, contribuendo a risvegliare lo stupore e l'ammirazione per il meraviglioso spettacolo del cosmo, che va dal cuore di un protone ai confini dell'universo.
«Se tu sapessi quello che hanno scoperto la Scienza e la Logica Matematica! Praticamente tutto. Se non viene fuori il Teorema di Dio, né la scoperta scientifica che Dio esiste, il motivo è semplice: i credenti sono semplicemente dei testardi creduloni. Dio non esiste e la religione è l'oppio dei popoli, come giustamente predicava Karl Marx.
«Alle soglie del Terzo Millennio come si fa ancora a ignorare le straordinarie conquiste tecnologiche che hanno portato l'uomo sulla Luna e presto gli permetteranno di passeggiare tra le Stelle? Gli astronauti sono stati lassù nel cielo e non hanno incontrato né Angeli né Santi.
«Se avesse insistito nell'atto di Fede, l'uomo non avrebbe mai scoperto la Scienza che nasce dal progresso della più avanzata tecnologia.
«Alle soglie del Terzo Millennio non è più possibile essere credenti. È tempo che tu apra gli occhi e impari qualcosa di Scienza, di Logica Matematica e di progresso tecnologico. Vedrai. Quando saprai quello che so io, sarai ateo come me. Alle mie spalle ho le conquiste della Scienza, della Logica Matematica e della Tecnologia moderna. Ricordati: da tempo immemorabile l'uomo usa la Ragione e se possiamo vedere la faccia nascosta della Luna, ascoltare le armonie dell'Universo che Pitagora1 scoprì più di duemila anni fa, dimostrare che esiste l'ultimo pezzettino indistruttibile di materia, come Democrito! aveva detto prima dell' era cristiana, tutto questo lo dobbiamo al progresso tecnologico che studia addirittura il cuore dei protoni dove non c'è traccia né di Angeli né di Santi.»
Questo libro è stato scritto per convincere il lettore che quanto detto dal nostro amico ateo è la prova lampante che lui sa poco, pochissimo, di Scienza, quasi nulla di Logica Matematica e confonde la Tecnica (che è l'uso della Scienza) con la vera grande Scienza, nata da un atto di Fede in Colui che ha fatto il mondo, non da un atto di Ragione e basta.

NOTE

1
I padri del pensiero pre-galileiano vengono spesso citati dagli esponenti della cultura dominante come se non fossero passati due millenni e come se Galilei non fosse mai nato.

INDICE

Prefazione

I SINTESI INTRODUTTIVA
I.1 Tra tutte le logiche possibili una ce n'è
I.2 Per difendere la Verità

II CHE COS'È LA SCIENZA
II.1 La Scienza è nata da un atto di Fede
II.2 La Scienza non ha bisogno della Tecnica
II.3 Parla il padre della Fisica Nucleare
II.4 La scelta tra utensili di pace e ordigni di guerra non è di natura scientifica ma culturale
II.5 La Scienza non produce caste
II.6 Non viviamo l'era della Scienza
II.7 Tecnica pre- e post-galileiana
II.8 I tre falsi teoremi della cultura dominante
II.9 I valori della Scienza
II.10 Se vivessimo l'era della Scienza
II.11 Abbiamo avuto il dono della Ragione: usiamo la
II.12 Episodi vissuti in prima persona: muone e Terza Colonna, Antimateria, cuore del protone e Supermondo

III DISTINGUERE L'UOMO DA TUTTE LE ALTRE FORME DI MATERIA VIVENTE
III.1 Se non fosse per la Scienza
III.2 Dal pendolo di Galilei alle Leggi Fondamentali della Natura
III.3 Mai una virgola fuori posto
III.4 Il messaggio della Scienza
III.5 Le immensità di Spazio e di Tempo
III.6 Nessun'altra forma di materia vivente sa farlo

IV EVOLUZIONE CULTURALE E BIOLOGICA
IV.1 Se un uomo vivesse diecimila anni
IV.2 La Teoria dell'Evoluzione Biologica della specie umana
IV.3 I tre livelli di credibilità scientifica
IV.4 Conclusioni sull'evoluzione biologica della specie umana
IV.5 I: evoluzione culturale e le sue radici
IV.6 È come se il nostro cervello fosse programmato. Ma non basta
IV.7 Quando l'evoluzione biologica diventa mistificazione culturale
IV.8 Che cos'è per la Scienza l'evoluzione biologica

V LA SCIENZA E LA CULTURA DEL NOSTRO TEMPO
V.I Che cosa ne sapremmo di musica, scultura, pittura e poesia?
V.2 Le conquiste della Scienza nelle torri d'avorio
V.3 Una società civile non può avere a suo fondamento le menzogne
V.4 I:Astrologia non è Scienza
V.5 Pietre, spaghi, tavoli e polso esistono dall'alba della civiltà
V.6 Se in una pietra c'è la mano del Creatore
V.7 I:In/inito di Galilei
V.8 Scienza e Arte con Galilei
V.9 Scienza e Filosofia

V.10 Scienza e Sapere non scientifico
V.11 Scienza e Scientismo: le cinque grandi illusioni più l'ultima
V.12 Scienza e Tecnica

VI DOV'È IL PARADISO?
VI.1 Che cosa uuol dire esistere per la Scienza
VI.2 I limiti della Scienza
VI.3 Perché meravigliarsi?

VI.4 Che cosa uuol dire esistere in Matematica
VI.5 Se Dio esiste dimostramelo
VI.6 I limiti della Logica Matematica
VI.7 Esistere nel Trascendente
VI.8 Dio e i miracoli appartengono solo alla Fede
VI. 9 Ragione, Fede e Scienza
VI.10 L'Antinomia dell'Ateismo
VI.11 Non siamo figli del Caos

VII IL PESSIMISMO TECNOLOGICO DI FRONTE ALL'OTTIMISMO SCIENTIFICO
VII.1 Da Hiroshima a oggi
VII.2 Il Sole diventerebbe pallido come la Luna
VII.3 La Fede è inestirpabile
VII.4 Il confronto tecnologico non regge
VII.5 Chi avrebbe mai immaginato
VII.6 Quel Crocefisso nello studio di Pertini
VII.7 Le sette Frasi di Giovanni Paolo II e la Grande Alleanza tra Scienza e Fede
VII.8 Le porte della società civile restano ancora sbarrate alla vera grande Scienza
VII.9 La responsabilità degli scienziati: passato e futuro

VIII DALLA SCIENZA UNA NUOVA SPERANZA
VIII.1 Le persone semplici
VIII.2 Il caso Galilei
VIII.3 Dettagli. Il Papa che ama la Scienza
VIII.4 Giovanni Paolo II e lo Spirito di Erice
VIII.5 Il marxismo scientifico è stato smentito dalla Scienza: la Religione non è l'oppio dei popoli e Marx non è il difensore dei deboli
VIII.6 A ogni angolo dell'Universo la stessa dignità
VIII.7 La grande certezza nell'Immanente nasce dall'evoluzione culturale, non da quella biologica
VIII.8 I:unica vera colpa della Scienza
VIII.9 Credere in Cristo non è in conflitto con la Scienza

IX CONCLUSIONI E LA GRANDE ALLEANZA
TRA SCIENZA E FEDE

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TESTIMONIANZE EXTRABIBLICHE SU GESÙ - Da Giuseppe Flavio al Corano


RETROCOPERTINA

Se i racconti biblici sull'attività di Gesù sono fedeli alla realtà dei fatti, nei resoconti storici del tempo se ne dovrebbe trovare traccia.Nei documenti non cristiani o non canonici, quali prove vi sono dell'esistenza storica - ormai indiscussa - dell'uomo Gesù di Nazareth vissuto in Giudea e Galilea nel primo trentennio della nostra era? Come venne visto dai contemporanei ebrei, romani e paganiBruce approfondisce le nostre conoscenze su Gesù e sulla sua influenza sugli uomini e le donne del suo tempo studiandone le tracce nelle fonti più diverse: ebraiche, pagane, apocrife e anche islamiche, con particolare riferimento a Giuseppe Flavio, ai manoscritti del Mar Morto, al Vangelo di Tommaso e al CoranoGrande attenzione è dedicata inoltre ai detti di Gesù non inclusi nei Vangeli canonici e alle prove legate alle scoperte archeologiche.


INTRODUZIONE di DOMENICO TOMASETIO

Se il Nuovo Testamento fosse un libro dettato direttamente da Dio o ricopiato da un originale celeste, quindi possedesse una forma di autorità tale da travalicare l'ambito storico e fosse rivolto soltanto ai credenti, il lavoro di esegeti, teologi e storici delle origini cristiane sarebbe grandemente facilitato. Ma sarebbe anche asfittico, in quanto mancante del confronto critico continuo che persone non credenti, o comunque mossi da curiosità scientifica, possono stimolare. L'incontro con l'indagine storica sarebbe infatti precluso per definizione e ciascuno rimarrebbe con le proprie certezze, non toccato dalle domande, dagli interrogativi e dalle problematiche che una normale indagine storico-critica rivolge a fenomeni che vengono presentati come accaduti in un ambito storico, geografico, sociale e culturale ben definito. Eppure il Nuovo Testamento non ha mai preteso una simile autorità staccata dall'ambito storico e da riferimenti ben precisi e concreti, ponendo così il problema del rapporto fra storia e fede.

FRA STORIA E FEDE

Il dibattito sul Gesù della storia, che si era assopito dopo Albert Schweitzer e che è stato ripreso, come è noto, da un saggio di Ernst Kasemann nel 1951, e poi continuato nell'ambito della scuola bultmanniana e post-bultmanniana, ha messo in evidenza da una parte l'esigenza e quindi l'esistenza di un radicamento storico dei dati essenziali del N.T., e dall'altra la necessità che la scienza storica non debordi dalla valutazione dei dati analizzati, sovrapponendovi una visione ideologica di uno o di un altro colore. I dati della fede si espongono al vaglio dello storico, ma lo storico deve vigilare sul suo strumento di analisi.
In questo campo, infatti, è emersa la necessità di rispettare il "taglio" delle informazioni storiche riportate in chiave teologica, di salvaguardare il contesto di significati veicolato dalle informazioni storiche presenti nel N.T. Le chiavi di lettura della scienza storica non possono essere direttamente traslate in altro settore scientifico. Viene anche ricordato che un dato storico, estrapolato per l'analisi scientifica dal suo contesto, dissociato dagli altri elementi con i quali è intrecciato, non è più lo stesso dato iniziale.
In questo campo gli errori del passato sono stati troppo negativi per l'una e per l'altra parte, tanto che ancora oggi se ne pagano prezzi altissimi, in quanto i due interlocutori o hanno talmente radicalizzato le proprie posizioni così da rendere impossibile il dialogo che, seppur critico, è sempre comunque costruttivo; oppure hanno finito con l'ignorarsi a vicenda, ciascuno persuaso della sua verità e sempre più infastidito, quando non intollerante, dell'altrui domanda critica. Questo periodo, ce lo auguriamo, è ormai definitivamente tramontato.
Non è quindi un caso che oggi si ritorni a quel genere letterario dell'antichità classica che va sotto il nome di apologetica. Si riscopre il gusto del dialogo, ma non quello ad un solo interlocutore, segnato dalla polemica ad oltranza e dall'intolleranza, in cui ciascuno si sente sicuro delle proprie certezze non soggette a scrutinio; ma dal dialogo a due, in cui ciascuno è pronto a presentare se stesso con argomenti che l'altro può comprendere, analizzare e dibattere con piena onestà morale e intellettuale. Il dialogo nasce dalla disponibilità all'ascolto delle ragioni dell'altro in piena reciprocità. Finito il tempo delle polemiche astiose, delle trincee da difendere a tutti i costi, ci si apre allo scrutinio: è la sfida che il nostro tempo rivolge a tutti noi.
È in questo quadro che si situa la rinascita dell'apologetica cristiana che non disdegna di immergersi nella realtà storica contrassegnata dalla frammentarietà e dalle contraddizioni. È anche in questo contesto che nasce il libro di F.F. Bruce, professore, ora emerito, di scienze neotestamentarie nell'Università di Manchester, uno dei frutti che osiamo dire più classici, un segno dei tempi nuovi.

MOLTI TESTIMONI

La domanda sottesa a tutto il libro, e che in fondo ne costituisce il motivo ispiratore, è molto semplice: esiste altra documentazione storica sulle origini cristiane al di fuori di quella incorporata nel Nuovo Testamento? La domanda si pone sul piano della legittimità storica che nasce dal dubbio che i documenti e i dati storici rintracciabili nel N.T., poiché sono funzionali ad una elaborazione teologica, nascano nel contesto della fede e rispondano più a problematiche prevalentemente teologiche interne alla comunità cristiana primitiva e abbiano perciò subìto un processo di "manipolazione", così da renderli non affidabili per lo storico odierno. Ci sono testimonianze storiche dei dati neo-testamentari e delle origini cristiane esterne al N.T. e al mondo ecclesiastico in genere?
La domanda, s'è detto, ha una sua legittimità e dignità scientifica; merita quindi una risposta allo stesso livello di serietà. Ma ad una condizione: che i dati esterni al N.T. non diventino il metro di misura di tutti i dati neotestamentari. Che cioè non si considerino i dati di questa indagine storiografica del Bruce (si tratta di un repertorio di testimonianze diverse con breve commento) come unico criterio di giudizio su cui valutare l' attendibilità dei dati biblici. L'attestazione documentale esterna al N.T. non può diventare il metro dei dati che si evincono dall' attestazione documentale interna. Ciascuna delle due scienze ha i suoi criteri che vanno rispettati per evitare sempre nuovi conflitti di interpretazioni, forieri di nuovi sospetti e nuove chiusure.
Qual è dunque la documentazione storica su Gesù di Nazareth e sulle origini cristiane esterna al N.T.? La formulazione stessa della domanda comporta un' osservazione previa. Per documentazione «esterna» al N.T. si intende tutta quella documentazione che non è compresa fra i libri che formano il N.T. Per usare il vocabolario delle scienze bibliche: da una parte abbiamo i testi canonici, dall'altra quelli extra-canonici; l'indagine è centrata su questi ultimi, ma non limitata ad essi. Il processo storico che ha portato alla determinazione del canone è abbastanza complesso: ne ripercorreremo velocemente e sommariamente le tappe principali.

VERSO IL CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO

Iniziamo con la letteratura che nasce nell' ambito ecclesiastico ortodosso, eterodosso o eretico che sia. Inizialmente l'avvenimento di Gesù di Nazareth, il suo ministero, la sua morte e risurrezione, era ricordato, narrato e predicato dai primi testimoni del fatto. Con il passare del tempo però, estendendosi l'area interessata alla predicazione cristiana, aumentando il numero delle chiese e venendo piano piano a mancare i primi testimoni apostolici, si rischiava di perdere la memoria storica degli avvenimenti originali. Inoltre, come sempre avviene in ogni fenomeno storico, l'interpretazione del dato originale dà luogo a diverse «scuole» di pensiero: nel nostro caso fra il settore della chiesa che si sentiva più vicino all'ambito e alle tradizioni giudaiche, e quello che, operando nel variegato mondo ellenistico, ne aveva anche assorbito cultura e costumi.
Accanto a queste "letture" di scuola, che si muovevano nel raggio dell' ortodossia o al massimo dell' eterodossia, c'era in agguato un altro fenomeno ben più grave: i movimenti religiosi e culturali del tempo si appropriavano dei dati cristiani e con una sintesi li organizzavano sui loro schemi, dando origine a testi di natura chiaramente eretica. Ma - e questo è il nostro problema - queste delimitazioni (ortodosso, eterodosso, eretico) sono tutte posteriori alla decisione sul canone, cioè alla lista di scritti che la chiesa cristiana considera autorevoli, quindi normativi per la fede. Questo significa che, nell'ambito della chiesa cristiana, esistevano molti scritti, spesso diversi quando non erano in contraddizione tra di loro, a cui le singole comunità facevano riferimento, correndo il rischio della divaricazione dottrinale. La diversità, pur evidente e favorita, poteva degenerare nella divisione e nella Babele teologica e pratica. E non si poteva permettere che questo accadesse.
L'ulteriore elemento da tenere presente è quello esterno: proponendo il progetto di una nuova umanità, la chiesa attirava contro di sé una serie di attacchi denigratori e perfino la persecuzione. Anche qui occorreva rispondere alle accuse infamanti, precisare il proprio sentire, respingere illazioni fuorvianti e presentare in termini positivi il contenuto della predicazione evangelica. È il tempo degli Apologisti. Ma per fare questo era necessario avere un punto di riferimento preciso, un metro di misura, cioè il canone. E questa non fu una decisione improvvisa, unanime o imposta da una autorità superiore; il consenso si trovò piano piano nel tempo e liberamente.
Anche qui ci sono varie fasi. Inizialmente ogni singolo scrittore cristiano, studioso della Bibbia o vescovo, impegnato nella predicazione, nella divulgazione teologica, nella traduzione o nella difesa dell'evangelo, indicava fra i tanti scritti che circolavano nelle chiese quelli ai quali si rifaceva, quelli che riteneva autorevoli, cioè quale fosse il proprio canone. Questa prima fase, dei canoni «personali», va avanti fino al IV secolo e ne abbiamo ampia testimonianza documentale sia per la chiesa d'Oriente che per quella d'Occidente.
Su questa fase, e in parallelo con essa, si innesta la fase dei canoni dei Sinodi provinciali. I Sinodi o Concili delle varie province dell'Impero romano, di fronte al pullulare di scritti nella chiesa e ai canoni personali diversi tra loro, decisero di formulare e di attenersi ad un canone neotestamentario comune. Questo doveva valere per tutte le chiese della provincia o per quelle che rientravano nella giurisdizione dei vescovi che lo riconoscevano come normativo. Anche per questa fase abbiamo ampia testimonianza documentale. È indubbio che inizialmente i canoni personali divergessero l'uno dall' altro e che anche i canoni dei Sinodi provinciali divergessero fra di loro e da quelli personali. Ma indubbiamente non si trattava di differenze enormi: il tutto si limitava ad avere qualche libro in meno delle epistole «cattoliche», l'Epistola agli Ebrei o l'Apocalisse; oppure qualche libro in più (di quei testi che più avanti saranno indicati con il nome di Padri apostolici). In questa fase della storia non ci fu mai una decisione vincolante per tutte le chiese cristiane né dell'Oriente, né dell'Occidente.
Ma il consenso si raggiunse piano piano. Il risultato fu che il primo documento che riporta la lista degli scritti del N.T., il canone così come l'abbiamo oggi nelle nostre Bibbie, è la lettera pasquale n. 39 di Atanasio del 367. Quel canone ha ottenuto un crescente consenso da parte di tutte le chiese, consenso del tutto spontaneo, senza che ci fosse un'imposizione dall'alto di un seggio patriarcale o da parte di un Concilio ecumenico. Parrà strano a molti, ma la decisione ecclesiastica ufficiale, che vale per tutta la chiesa universale (in questo caso cattolica), è stata presa soltanto al Concilio di Trento, nella IV sessione, l'8 aprile 1546. Le chiese che prendono origine dalla riforma protestante, senza aspettare quella decisione, hanno indicato il loro canone nelle proprie confessioni di fede, acquisendo di fatto il dato ormai assodato e condiviso dalla cristianità per più di un intero millennio.

IL CRITERIO DEL CANONE

Qual è stato il criterio in base al quale è stata operata una tale scelta fra i vari scritti che circolavano nelle diverse chiese o province ecclesiastiche? In verità fu utilizzato un criterio multiplo. Innanzi tutto l'apostolicità. Uno scritto, per poter essere ritenuto canonico, doveva avere un rapporto diretto con un apostolo o con il periodo apostolico (doveva quindi essere stato scritto da un apostolo, o da persone che stavano vicine a lui, oppure da persone autorevoli del periodo apostolico). Certo, oggi sappiamo che molti libri sono stati ascritti ad un apostolo per poter avere ascolto nelle chiese (il fenomeno della pseudoepigrafia o pseudonirnia), ma questo nulla toglie alla validità del criterio scelto.
Un secondo criterio fu di tipo sostanziale: la congruità con il kerygma, con la predicazione primitiva. Uno scritto poteva ritenersi autorevole per la chiesa a condizione che (positivamente) fosse congruo con la predicazione apostolica primitiva; veniva rifiutato se (negativamente) ne contraddiceva anche un solo elemento. Si tratta di un criterio di critica interna, ma ha la sua legittimità facilmente comprensibile in una situazione storica contraddistinta e caratterizzata dalla lotta contro le eresie sempre nuove.
C'è infine il terzo criterio: l'universalità; uno scritto poteva essere riconosciuto autorevole, quindi canonico, se era conosciuto e utilizzato da tutte le chiese cristiane antiche. Si tratta di un criterio che va utilizzato con un po' di elasticità, ma ha anch'esso la sua rilevanza.
Per riassumere: con il triplice criterio della apostolicità, della congruità con il kerygma e dell'universalità, la chiesa dei primi secoli precisò la lista degli scritti che dovevano ritenersi autorevoli e normativi per tutte le espressioni della sua fede (pensiero e azione). Cioè precisò il canone del N.T. che divenne la «norma normans», a cui tutto doveva riferirsi.

AL DI FUORI DEL CANONE

Fra gli scritti esclusi dal canone ci sono anche quelli che poi saranno conosciuti con il nome di «Padri apostolici»: Didaché, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Martirio di Policarpo, il Pastore di Erma, Epistola a Diogneto, Lettera di Barnaba (Papia?). Queste sono testimonianze accolte e onorate nella chiesa cristiana, ma non sono né canoniche né normative per la chiesa.
La maggior parte degli scritti non canonici, cioè di quelli non solo non accolti nel canone del N.T., ma rifiutati dalla chiesa, sono chiamati «apocrifi del N.T.». li loro numero è alto (sono più del doppio di quelli presenti nel N.T. stesso) e si possono suddividere per generi:

a) Vangeli dell'infanzia;
b) Vangeli;
c) Storie della passione;
d) Atti degli apostoli;
e) Apocalissi.

Mentre il carattere e la sostanza teologica dei Padri apostolici è fondamentalmente cristiana, la sostanza teologica degli Apocrifi è contrassegnata da forti venature di una o dell'altra eresia che aveva lambito alcuni settori della chiesa a partire dalla [me del primo secolo in avanti.
Riepilogando e precisando il tutto, ci troviamo di fronte ad una vasta letteratura che possiamo suddividere anch'essa in varie categorie:

1) Scritti canonici (il N.T. attuale);
2) Scritti cristiani, non canonici, ma ortodossi (p. es. i Padri apostolici e poi tutti i Padri della chiesa, gli Apologisti, i teologi e pensatori cristiani, ecc.);
3) Scritti apocrifi, nati nella chiesa, ma esclusi dal canone e rifiutati dalla chiesa, che li considera eretici.

Da un punto di vista storico, di colui che si pone come studioso critico delle origini cristiane, con o senza connotazione confessionale, si deve aggiungere anche una quarta categoria di scritti:

4) Testimonianze esterne, si tratta di dati rintracciabili nella documentazione storica del tempo, oppure in scrittori classici, o negli scritti di altri gruppi religiosi, che fanno da riscontro storico e critico ai dati presenti nel N.T.

UN AVVENIMENTO, PIÙ TESTIMONI DIVERSI

A questo punto si comprende il lavoro di F.F. Bruce; nella sua analisi egli prende in considerazione le ultime due categorie: le testimonianze presenti negli scritti apocrifi e in quelli, di vario genere, esterni al mondo cristiano. E così, dopo una lunga ma sommaria indagine storico-letteraria del complesso problema canonico, siamo tornati alla domanda iniziale che il nostro autore si pone: nella letteratura esterna al N.T. esistono testimonianze che riguardano o si riferiscono alle origini cristiane? Il libro di Bruce si sforza di far notare queste testimonianze, il cui valore è molto vario, da un punto di vista sia storico che teologico, commentandone l'apporto alle conoscenze storiche delle origini cristiane o ad un suo particolare aspetto e valutandone lo spessore e la portata testimoniale. Un libro apologetico, si diceva, ma di un genere positivo, com'è tradizione nel mondo inglese, senza per questo forzare i dati e far dire loro cose che non dicono. In questo caso si può ben dire che lo studioso prevale sull'apologeta a tutti i costi, il quale utilizza senza alcun riguardo metodologie o criteri di altre discipline pur di provare una sua tesi precostituita. Non sempre i dati analizzati corroborano i dati del N.T., spesso si apre una contraddizione problematica che porta ad esaminare i motivi ispiratori dei due testi documentali, le scelte interne o i riferimenti ideologici propri di ciascuno. Ma alla fine una conclusione si impone: ci sono elementi sufficienti per dire che anche altri, esterni al N.T., e anche al mondo cristiano, hanno detto qualcosa sulle origini cristiane e su Gesù di Nazareth che ne è l'ispiratore.
Di fronte alla polemica più feroce di tempi certo passati, ma non troppo lontani da noi, in cui a partire da presupposti diversi si negava addirittura l'esistenza di un uomo chiamato Gesù di Nazareth, adesso molta acqua è passata sotto i ponti. Questo dato oggi non è più in discussione. Il valore e il significato di quell'uomo, dell'esigenza di cui si fece portatore, del fatto che per i cristiani egli impersonificava e rendeva presente Dio stesso fra gli uomini, tutto questo non è più un dato da sottoporre ad indagine storica; è un dato di fede. E per quanto fra fede e storia ci sia un rapporto, è ancor più vero che il dato di fede non è riconducibile al semplice dato provato dall'indagine storica. Si tratterebbe di una riduzione inaccettabile.
Nell'ambito della fede esiste comunque uno «zoccolo duro» di dati, che fungono da suo supporto strutturale e che superano l'indagine storica. Ma anche il dato di fede più semplice, e perciò più basilare, che Gesù è il Signore, non è e non può essere oggetto di analisi storica. È una confessione di fede, non un'evidenza storica, e nell'ambito della fede ciascuno assume su di sé la responsabilità della propria confessione. Può esserci il conforto della consonanza con i testimoni cristiani di ieri e di oggi, ma il rischio della fede è del tutto personale e non può essere evitato o diminuito con il ricorso alla prova storica.
Così il testo di Bruce si pone a metà strada fra il credente cristiano e lo storico, serve ai due, ma non autorizza nessuno dei due ad impadronirsene. La cosa diventa un po' più problematica quando il cristiano e lo storico sono la stessa persona: un credente con interessi di conoscenza storica. In questo caso il lettore si ritrova con due risposte; l'informazione storica è certamente ampliata e convalidata da documenti testimoniali di prima mano, ma il rischio della fede rimane tale. Ha soltanto dei riscontri esterni che ne sostengono l'impalcatura strutturale, sulla quale egli edifica giorno dopo giorno la propria vita cristiana.

INDICE

Abbreviazioni
Introduzione all' edizione italiana (di Domenico Tomasetto)

1 - LA TESTIMONIANZA DEGLI SCRITTORI PAGANI

Svetonio e la cacciata degli ebrei
Tacito e l'incendio di Roma
Plinio e i cristiani della Bitinia
Tallo e il racconto della Passione
Mara bar Serapion

2 - LA TESTIMONIANZA DI GIUSEPPE FLAVIO

Giuseppe Flavio e Giovanni Battista
Giuseppe Flavio e Giacomo il Giusto
Giuseppe Flavio e Gesù

3 - LA VERSIONE SLAVA DI GIUSEPPE FLAVIO
Riferimenti a Gesù
Riferimento a Giovanni Battista
Altre interpolazioni

4 - GESÙ NELLA TRADIZIONE RABBINICA

5 - PREPARAZIONE PER IL MESSIA
Qurnran e il Maestro di giustizia
Attesa messianica a Qurnran
I Testamenti dei patriarchi
I Salmi di Salomone

6 - DETTI «NON SCRITTI» E VANGELI APOCRIFI
Agrapha
Papia e la tradizione orale
I Vangeli dell'infanzia
Il Vangelo di Pietro
Il Vangelo di Nicodemo
Il Vangelo secondo gli ebrei
Il Vangelo degli ebioniti
Il Vangelo di Bamaba

7 - IL VANGELO DI TOMMASO
Appendice al cap. 7

8 - ALTRI SCRITTI NON CANONICI
Un altro papiro di Ossirinco
Papiro Egerton 2
Una seconda edizione di Marco?

9 - GESÙ NEL CORANO

10 - GESÙ NELLA TRADIZIONE ISLAMICA

11 - LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE
Documenti su papiro
Censimento in Giudea
Monete
Iscrizioni su pietra
Disordini sotto Claudio
Altre testimonianze su iscrizioni

Epilogo

Nota Bibliografica
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Indice degli argomenti

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SCIENZA E FEDE IN DIALOGO - I fondamenti


RETROCOPERTINA

Scienza e fede in dialogo esplora il rapporto tra scienze naturali e religione concentrando in particolare l'attenzione sul cristianesimo. Il volume studia in modo in cui religione e scienze naturali si differenziano, nondimeno, in una veste serie di ambiti convergono riguardo a questioni di notevole importanza.

Per McGrath gran è necessario esaminare il rapporto tra la teologia cristiana e le scienze naturali a livello di metodo, vale a dire del modo in cui la realtà viene colta, indagata e rappresentata.

Lo studio si dipana da tre punti di indagine fondamentali: l'inesplicabilità del mondo, il modo in cui la nostra riflessione sulla natura delle cose e controllata o modulata da come sono le cose stesse e infine il modo in cui viene rappresentato il mondo esterno.

Di grande interesse per quanti fanno ricerca, studia e operano nel campo della scienza e della religione, della teologia cristiana e della storia nonché della filosofia della scienza, questo libro è il frutto di oltre vent'anni di studio in ambito scientifico e teologico.

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Ricominciare da capo
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Questo libro è il primo di una serie di lavori volti ad analizzare i rapporti tra le scienze naturali e le religioni da diversi punti di vista: storico, filosofico, scientifico e teologico. Tenendo conto della vasta portata di tale progetto, questo capitolo cercherà di presentare e di spiegare la funzione specifica di questo primo volume della serie.

1.1 Scienza e religione: affrontarsi o dialogare?

Il rapporto tra la religione e le scienze naturali è uno degli argomenti più affascinanti, controversi e potenzialmente stimolanti che si possano studiare. È vero che certi autori hanno definito la «scienza naturale» in termini fortemente antireligìosi, per poi passare a dimostrare che le scienze naturali si contrappongono alla religione. Con ciò, non vogliamo indebitamente denigrare i successi dell'intelletto. Occorre tuttavia notare, in primo luogo, che definire a priori la scienza in quei termini pregiudica la conclusione, e che, in secondo luogo, tale definizione travalica largamente la comune affermazione attuale del che cosa costituisca una «scienza» o un metodo «scientifico» di vedere le cose.
Una «scienza» può essere ragionevolmente definita come «qualsiasi ambito di studio sistematico o insieme di conoscenze che tenda, mediante l'osservazione, la sperimentazione e la deduzione, a produrre un'attendibile spiegazione di funzioni attinenti al mondo materiale o fisico» (LAFFERTY e ROWE 1993) ovvero «l'osservazione sistematica di eventi e condizioni naturali, allo scopo di scoprire dei dati che li ri- guardano e di formulare leggi e principi basati su quei dati» (MoRRIS 1992). In linea generale, le scienze naturali sono neutrali nei confronti della religione, non esigendo l'accettazione o il rifiuto di qualsiasi credenza religiosa né a priori, né a posteriori1.

La maggior parte degli scienziati presuppone che qualsiasi considerazione sull'influenza o sulla partecipazione di Dio all' ordine naturale sia del tutto irrilevante al fine specifico di cercare una spiegazione oggettiva dei modelli che vi si riscontrano. Ciò può essere più correttamente considerato come un presupposto operativo riguardante l'ambito specifico delle scienze naturali, piuttosto che come un convincimento profondo sulla natura e sull'attività di Dio.
Senza dubbio, l'interazione tra religione e scienze naturali è diventata uno dei campi più significativi della ricerca intellettuale degli ultimi anni. La fioritura di studi eruditi sulla storia sociale e intellettuale del Medioevo e del Rinascimento, il rinnovato interesse per la storia e la filosofia delle scienze naturali e la crescente consapevolezza dei difetti e degli stereotipi tradizionali inerenti ai dibattiti su «scienza e religione» hanno eroso quelle che un tempo parevano salde barriere tra discipline e hanno aperto nuove possibilità di dialogo. Non a caso, negli ultimi anni è stata pubblicata una piccola valanga di opere dedicate all'esame del profilo che possono assumere i dialoghi, attuali o potenziali, tra le due discipline (si veda, per esempio, O'HEAR 1984; SCHOEN 1985a; CLAYTON 1989; HUYSSTEEN 1989; BANNER 1990; MURPHY 1990; RICHARDSON E WILDMAN 1996); opere che spesso si concentravano sulla personalità di scienziati e di teologi particolarmente importanti per quel dialogo (si veda, per esempio, AVIS 1990; POLKINGHORNE 1996; WORTHING 1996).
Un altro fenomeno molto importante è stato l'abbandono generale di quelle che potremmo chiamare le modalità «liberali» o «attualiste» in storiografia: di quegli atteggiamenti, cioè, che cercano di rintracciare nel passato il sorgere delle attuali forme di comprensione dei problemi (di cui si presuppone la correttezza). Il passato viene dunque interpretato (e giudicato) dal punto di vista del presente, lodando in pratica coloro che con lungimiranza avevano visto giusto, e scartando quelli che avevano sviluppato ipotesi o linee di ricerca rivelatesi errate. Ormai è largamente accettata l'idea secondo cui lo storico della scienza deve sforzarsi di capire ciò che gli scienziati del passato pensavano e facevano nel loro contesto storico (KRAGH 1987). Ci vuole spesso una grande capacità di immedesimarsi negli uomini del passato se si vuol capire che cosa risultasse loro plausibile, specialmente se lo si confronta con la visione attuale dei fatti. Tale facoltà è tuttavia indispensabile, se non altro perché permette di capire in qualche misura il modo in cui la plausibilità delle concezioni scientifiche (passate o presenti) viene pesantemente condizionata dai presupposti sociali ed economici che di volta in volta prevalgono2.

La presa di coscienza di tale realtà ha contribuito non poco a riabilitare le credenze religiose quali elementi significativi per lo sviluppo storico e attuale delle scienze naturali. È un puro dato di fatto che le credenze religiose hanno avuto e hanno tuttora un'influenza sul pensiero scientifico, indipendentemente dal fatto che la si giudichi corretta o meno. La comprensione dei ruoli specifici che le religioni hanno esercitato e tuttora esercitano sulle scienze naturali (per esempio nell'influenzare o nel determinare le strutture di plausibilità) è pertanto estremamente interessante e importante.
Non c'è quindi motivo di scusarsi se si aggiunge ancora un volume alla crescente letteratura in tema di scienza e religione. Un ulteriore esame del rapporto reciproco tra le due discipline non è soltanto intellettualmente stimolante, ma è pure molto importante per il futuro della civiltà umana. La storia di quel rapporto ha subìto una degenerazione perché nel presentarla si è fatto uso prevalentemente di metafore militaristiche e imperialistiche (specialmente quella del conflitto), unitamente a una generale e reciproca mancanza di conoscenza e di rispetto. Il decennio degli anni Sessanta ha promosso l'idea, largamente avanzata e sostenuta da certe scuole di sociologia, secondo cui la religione era in costante declino, mentre un mondo perfettamente secolarizzato si sarebbe affermato in un futuro molto prossimo (BRUCE 1992).
Tale idea, in quegli anni, sembrava perfettamente credibile. Nel 1965 , per qualche settimana, la teologia ebbe un posto nelle prime pagine dei giornali statunitensi, dopo che la rivista Time ebbe pubblicato una prima di copertina in cui si dichiarava che Dio è morto. Slogan come «Dio è morto» o «la morte di Dio» suscitarono l'interesse di tutto il paese. La rivista Christian Century, nella sua edizione del 16 febbraio 1966, offriva ai lettori un satirico formulario di adesione al «Club Dio è Morto». Cominciarono a circolare in dotte riviste (forse più negli Stati Uniti che non in Italia, N.d.T.) delle parole nuove come «teotanasia» o «teotanatologia», mentre «teotanatopsì» ronzava in molte teste, prima di cadere felicemente nel dimenticatoio.
Un altro indice della pressoché totale inutilità di un qualsiasi dialogo serio tra scienza e religione veniva dall'idea molto generalizzata secondo cui, man mano che le credenze e le pratiche della visione «scientifica» del mondo si generalizzavano nella cultura occidentale, il numero degli scienziati praticanti una qualsiasi religione si sarebbe ridotto fino a diventare insignificante. Un tale presupposto era basato su di un'inchiesta, condotta nel 1916, sulle concezioni religiose degli scienziati, che evidenziava come il 40% degli uomini di scienza aderisse a una qualche forma di religiosità personale (LEUBA 1916). A quell' epoca tale risultato venne interpretato come una formidabile conferma dell'idea che una parte importante di un paese, noto per la sua religiosità, tendeva all'incredulità3, Linchiesta venne ripetuta nel 1966 e dimostrò che non c'era stato nessun calo significativo nella frazione degli scienziati che conservavano quelle credenze (LARSON e WITHAM 1997), mettendo così seriamente in questione la convinzione popolare secondo cui la fede religiosa continua a declinare tra gli scienziati. Se il 40% di coloro che operano attivamente nelle scienze naturali ha serie credenze religiose, ciò vuol dire che i rapporti tra le scienze e la religione rimangono tuttora una questione rilevante.
Alla luce di quell'assoluta convinzione - tipica degli inizi del XIX secolo - di un'imminente scomparsa della religione dalla cultura occidentale, pareva che un dialogo tra scienza e religione sarebbe stato del tutto infruttuoso. Che senso ci sarebbe, infatti, a esplorare una frontiera destinata ben presto a sparire? Viceversa, quel dialogo è stato reso imperativamente necessario dalla rinascita della religione su scala mondiale. Per esempio il cristianesimo, l'islam e il giudaismo hanno sperimentato ondate di rinnovamento, in forme spesso decisamente militanti (KEPEL 1991). Perpetuare la semplicistica metafora di una «guerra tra scienza e religione» è non soltanto una posizione discutibile dal punto di vista storico e intellettuale (si veda l'abbondante materiale raccolto da LINDBERG e NUMBERS 1984; NUMBERS 1985), ma potrebbe essere considerato come un incoraggiamento indiretto a estendere quella «guerra» dall'ambito delle pure idee alla realtà in carne e ossa. In questa nuova situazione culturale è della massima importanza che il dialogo tra scienza e religione avvenga sulla base del rispetto reciproco, condito con un'abbondante dose di umiltà da parte di entrambi. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una leggera ma indubbia modifica di atteggiamenti secondo le linee suddette, che si evidenzia in importanti opere di scienziati, come On Dialogue (Sul dialogo) di David Bohm (Bohm 1996), e che questo nostro libro intende incoraggiare oltre che farvi riferimento.
Ma prima di esporre il particolare approccio di questo libro al problema, è opportuno spiegare quale ne è stata l'origine.

1.2 Genesi di un progetto

Il progetto, di cui questo scritto costituisce la prima parte, cominciò a prendere forma una ventina d'anni fa. Il contesto dal quale è emerso questo libro ne ha largamente determinato la struttura e il modo di affrontare i problemi, perciò mi è parso utile cominciare col dire in che modo è venuto alla luce. Sono sempre stato affascinato dal mondo del- la natura; quando avevo circa dieci anni mi costruii un piccolo telescopio per poter cominciare a esplorare il cielo. Un vecchio microscopio, che era appartenuto a un prozio patologo al Royal Victoria Hospital mi permise, più o meno in quegli anni, di cominciare a studiare seriamente la biologia.
All'età di tredici anni, cioè appena certe scelte sono possibili nel sistema scolastico britannico, decisi di specializzarmi in matematica e scienze naturali. A quindici anni limitai ulteriormente la sfera dei miei interessi alla matematica, alla chimica e alla fisica. Nel 1970, diciassettenne, vinsi una cospicua borsa di studio all'Università di Oxford per studiarvi la chimica. A quel tempo la religione non mi interessava affatto e tendevo a pensare che cristianesimo e scienze naturali fossero incompatibili. .. in base alle irremovibili certezze sulla vita condivise largamente dai ragazzi.
Il mio atteggiamento verso il cristianesimo cambiò nettamente durante il primo semestre a Oxford, nel 1971, quando cominciai a rendermi conto che esso possiede un'attrattiva, un'onestà intellettuale e una capacità di ripresa molto maggiori di quanto non avessi immaginato. Perciò il rapporto tra la teologia cristiana e le scienze naturali divenne per me di un certo interesse e dedicai gran parte del mio tempo libero a dilettarmi di teologia cristiana, mentre proseguivo i miei studi scientifici. A quel tempo la Final Honour School in Natural Philosophy (chimica) dell'Università di Oxford prevedeva un quadriennio: l'ultimo anno era dedicato a un progetto di ricerca, mentre i primi tre si concentravano sulle tre branche principali della chimica: organica, inorganica e fisica, e permettevano un certo grado di specializzazione mediante lo studio di «materie particolari». Scelsi di specializzarmi nel campo della teoria dei quanti durante la prima parte del corso, quindi,... continua

NOTE

1. Si può ricordare a questo proposito che Sigmund Freud ammetteva che l'applicazione di metodi scientifici non conduce necessariamente a una visione scientifica del mondo: si vedano gli attenti studi di RICOEUR 1970 e KÙNG 1979.

2. A un certo livello la percezione dell'importanza dei fattori sociali ha motivato l'emergere di un «programma forte» nella sociologia della conoscenza (MANICAS E ROSE BERG 1985), che sottolinea il ruolo delle pressioni sociali e culturali nella formazione e nell'accettazione delle teorie scientifiche. La forma più persuasiva di questo programma si trova nel classico studio di Shapin e Schaffer sullo statuto della prova sperimentale nella controversia tra Robert Boyle e Thomas Hobbes. La nozione di «verità scientifica», si sostiene, è una costruzione sociale, determinata in larga misura da fattori sociali e culturali. Questo modo di vedere le cose si è urtato con una vigorosa contestazione (si vedano NORRIS 1997, pp. 218-47, pp. 265-94) anche per la sua apparente indifferenza nei riguardi della impressionante lista di successi ottenuti dalle scienze naturali nel campo delle spiegazioni e delle previsioni.

3. Questa inchiesta ha avuto non poca influenza nel mostrare la crescita dell'agnosticismo 1989;NUMBERStra gli accademici americani e nello stimolare le reazioni dei cristiani conservatori (LARSON 1989; NUMBERS 1992; MARSDEN 1994)

INDICE

1. Ricominciare da capo
1.1 Scienza e religione: affrontarsi o dialogare?
1.2 Genesi di un progetto
1.3 Ricominciare da capo
1.3.1 Un cambiamento culturale: l'ascesa inesorabile del postmodernismo
1.3.2 Un cambiamento filosofico: la lenta morte del fondazionismo
1.3.3 Il perpetuarsi di stereotipi sorpassati
1.4 Il predominio dei modelli di «conflitto» tra scienza e religione
1.4.1 La religione nemica della scienza
1.4.2 La scienza come nemica della religione
1.4.3 Verso una soluzione del conflitto?
1.5 Come affrontare il problema

2. La ricerca dell' ordine
2.1 La dottrina della Creazione
2.1.1 La creazione: breve analisi teologica
2.1.2 La minaccia dello gnosticismo
2.1.3 Tre modelli di creazione

2.1.4 La creazione e il tempo
2.1.5 Creazione ed ecologia
2.2 Aspetti della creazione: l'ordine
2.2.1 L'ordine creato e l'uniformità della natura
2.2.2 Ordinamento e leggi di natura
Ordine e caos
Le leggi naturali: basi teoriche
Dio e le leggi naturali
Considerazioni filosofiche sulle leggi naturali
L'analisi dell'ordine: il caso di Linneo
Ordine e meccanismo: da Newton a Paley
Sulla simmetria nella fisica e nella matematica
Il significato religioso dell'ordine naturale
2.3 Aspetti della creazione: la bellezza
2.3.1 Gli aspetti religiosi della bellezza
2.3.2 La bellezza nelle scienze naturali
2.4 Conclusione

3. L'investigazione del mondo
3.1 Sperimentazione e rivelazione: fondamentalmente divergenti?
3.1.1 Le scienze naturali: la sperimentazione
3.1.2 Religione: la rivelazione
3.2 Linterpretazione dell'esperienza
3.2.1 Pierre Duhem tra teoria ed esperienza
3.2.2 L'esperienza può invalidare la dottrina? Un caso tipico
3.3 Una via di mezzo? Lordine della natura e la teologia naturale
3.3.1 Tre approcci alla teologia naturale
3.3.2 Teologia naturale e teologia rivelata
Obiezioni teologiche alla teologia naturale
Obiezioni filosofiche alla teologia naturale
Obiezioni contro la teologia naturale dal punto di vista storico
3.3.3 Scienza naturale e teologia naturale: il principio antropico
3.4 Creazione e interpretazione biblica
3.4.1 Linterpretazione agostiniana della Bibbia e delle scienze
3.4.2 Tipi di interpretazione biblica
3.4.3 Ladattamento e i dibattiti copemicani
3.4.4 Gli evangelicali e le scienze naturali
3.5 Inferenza alla migliore spiegazione
3.5.1 La spiegazione migliore: analisi di un caso
3.5.2 Spiegazione ed escatologia: una prospettiva teologica
3.6 Conclusione

4. La realtà del mondo

4.1 Il realismo, ossia l'affermazione di una realtà indipendente
4.1.1 La critica di Michael Dummett al realismo
4.1.2 La critica di Bas van Fraassen al realismo
4.1.3 Una risposta a Dummett e a van Fraassen
4.1.4 Il dibattito teologico sul realismo
4.2 Realismo critico nella scienza e nella teologia: opinioni convergenti
4.2.1 La realtà esiste indipendentemente dalla nostra attività mentale
4.2.2 L'intelligibilità del reale

4.2.3 Il rapporto tra termini teorici e osservabili
4.2.4 La funzione di una comunità interpretante
4.3 Conclusione

5. La rappresentazione del mondo
5.1 Analogie tra scienza e religione
5.1.1 L'uso dell'analogia nelle scienze
Pensiero analogico e spiegazione scientifica
I limiti dell'analogia: la «selezione naturale»
Analogie errate: neodarwinismo e selezione
Guardare attraverso un vetro scuro: i limiti delle analogie
5.1.2 L'uso delle analogie nella teologia
5.1.3 L'uso delle analogie nella scienza e nella religione
5.2 Analogie e visualizzazione: complementarità di scienza e religione
5.2.1 Niels Bohr e la complementarità
Le origini della complementarità: da Einstein a Heisenberg
Bohr formula il principio di complementarità
La complementarità e l'indispensabilità dei concetti classici
5.2.2 Complementarità e teologia
Prime riflessioni su teologia e complementarità
Bohr, Barth e Torrance sulla complementarità
La complementarità e la genesi della cristologia classica
5.3 Conclusione

Al posto della conclusione oltre il conflitto

Bibliografia
Indice dei nomi
Indice dei passi biblici
Indice degli argomenti

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VOCI FUORI DAL CORO - Intellettuali che considerano il darwinismo poco convincente

william a dembski 120

L'Autore WILLIAM A. DEMBSKI  ha ottenuto un Ph. D. in matematica dall'Università di Chicago, e un Ph.D. in filosofia dalla University of Illinois di Cicago. Ha conseguito anche la laurea in teologia e psicologia. Ha ricevuto due borse di studio dalla fondazione nazionale per le scienze, ed è attivamente senior fellow presso il Discovery Iistitute Center for the Renewal of Scienze and Culture. Dopo il dottorato ha lavorato presso l'Università di Chicago, il Massachusetts Institute of Technology, la Princeton University e la Northwestern University. Dembski ha scritto numerosi articoli specialistici. Tra i suoi libri ricordiamo Intelligent Disign,  Il ponte fra scienza e teologia (Caltanissetta, Alfa & Omega 2007)


RETROCOPERTINA

La teoria evolutiva darwiniana ha finito per assumere un'aura di invincibilità, soprattutto all'interno dei circoli intellettuali elitari. Eppure, gli ultimi anni hanno visto svilupparsi critiche sempre più sofisticate alle idee propagandate sotto il nome del darwinismo. L'insoddisfazione per la teoria darwiniana sembra che stia per raggiungere un punto di rottura, dal momento che un numero sempre crescente di intellettuali, tra i quali vi sono filosofi, biochimici, biologi, avvocati, giornalisti e teologi, individua seri problemi con l'ortodossia imperante.
In Voci fuori dal coro il Maserati col filosofo William A. Dembski ha raccolto saggi di prominenti intellettuali che trovano poco convincenti uno o più aspetti del darwinismo. Mentre coloro che mettono in discussione il darwinismo sono spesso accusati, nelle celebri parole del biologo Ricard  Dawkins, di essere ignoranti, stupidi, pazzi, o profondamente malvagi. I saggi misurati e provocatori in Voci fuori dal coro rendono evidente il fatto che le critiche al darwinismo non possono essere liquidate con tanta facilità. I contributori a questo volume sono investigatori seri e scettici, le cui obiezioni sollevano inquietanti interrogativi circa la validità dell'ideologia darwiniana, e i loro argomenti rivelano l'opera di uno spirito analitico veramente aperto. Il risultato è un libro forte e di innegabile potenza intellettuale.

"In questo provocatorio volume, biologi, matematici e fisici, come pure teologi e altri intellettuali [...] sostengono, come scrive il curatore Dembski, che "la stragrande maggioranza delle prove va contro il darwinismo". Gli autori dei saggi invocano la matematica e la statistica a supporto delle loro teorie, secondo la quale una "causa intelligente è necessaria a spiegare almeno parte della bio-diversità" [...]. Chiunque sia interessato a questi dibattiti e alle loro implicazioni per l'educazione troverà questa raccolta una lettura importante".
"Publishers Wewkly"

"Una raccolta di saggi molto acuti [...]. Queste donne e questi uomini sostengono le loro opinioni con pensieri argomenti di alta qualità.
LIONEL TIGER, "New York


RICONOSCIMENTI

  È doveroso un elogio a quanti hanno contribuito a quest'opera con i loro scritti provocativi e illuminanti. Gli articoli contenuti nel libro sono stati composti specificamente per quest'opera, fatta eccezione per i saggi di Phillip Johnson e David Berlinski, e per l'intervista di Marcel- Paul Schutzenberger.
  Vorrei ringraziare Fr. Richard John euhaus e i direttori di «First Things» per avermi concesso di ripubblicare il saggio di Johnson (apparso nel fascicolo di ottobre/novembre 1990) e per aver voluto aprire le pagine della rivista alle critiche verso il darwinismo.
  Un ringraziamento va a Dennis Wagner, direttore di Access Reaserch Network (ARN), per aver concesso la ristampa dell'intervista a Schutzenberger, inizialmente pubblicata sulla propria rivista «Orìgins & Design» (primavera 1996, voI. 17, n. 2). Fu Paul Nelson, direttore di questa rivista, a incaricare David Berlinski della traduzione.
  Desidero ringraziare i curatori di «Commentary» per aver concesso il permesso di ristampare il saggio di Berlinski The Deniable Darwin (apparso nel giugno del 2006), insieme alle riposte ai critici in Denying Darwin (titolo dato da «Commentary- alle lettere in riposta al saggio di Berliski, pubblicate nel settem bre 2006).
  Esprimo gratitudine anche agli autori che hanno concesso la ristampa delle loro lettere di critica al saggio di Berlinski, segnatamente H. Allen Orr, Richard Dawkins, Daniel. C. Dennett, Arthur Shapiro, Paul R. Gross e Eugenie C. Scott.
  Vorrei inoltre porgere i miei ringraziamenti a John Wilson, direttore di «Books & Culture», che ha curato la prefazione in cui, con prezioso contributo, contestualizza questa raccolta di saggi nel più ampio panorama della discussione culturale. «Books & Culture», al pari di «First Things» e «Cornmentary», rappresenta un modello di riferimento sulla conduzione del dibattito inerente il darwinismo: discussione informata senza censure.
  Merita infine una menzione Jeremy Beer, caporedattore di 151 Books, che ha partorito questo progetto e che, soprattutto, ha avuto il coraggio di affrontare le critiche che inevitabilmente si scatenano quando si mette in discussione il darwinismo.
  Nell'edizione del 7 aprile 2003 di «Harvard Crirnson», Richard T. Halvorson, allora neolaureato, scrisse: «Dobbiamo rifiutare di inchinarci ai falsi idoli della nostra cultura. La scienza non trarrà beneficio dalla canonizzazione di Darwin, né dalla trasformazione del darwinismo in un articolo di fede secolare. Dobbiamo rifiutarci di considerare la scomunica come una valida maniera di confrontarci con le critiche: la domanda più importante che una società possa porsi è quella che le viene proibita». Con questo volume, l'Intercollegiate Studies Institute prosegue nella sua lunga e celebrata tradizione di affrontare le domande proibite, e di rifìutarsi, in questo modo, di inchinarsi alle false divinità della nostra cultura.


PREMESSA
JOHN WILSON

Da anni la «New York Review of Books» invia una comunicazione pubblicitaria in cui si chiede - con caratteri color rosso acceso - «Sei un intellettuale?». Ho notato con piacere che il sottotitolo di Voci fuori dal coro è Intellettuali che considerano il darwinismo poco convincente. "Intellettuale" è un termine perfetto che sta attraversando un periodo difficile, particolarmente fra i conservatori, che lo utilizzano quasi sempre in tono dispregiativo.
  Un intellettuale può essere, ma non necessariamente è, uno specialista. on tutti gli accademici sono intellettuali; non tutti gli intellettuali sono accademici. Essere un intellettuale significa possedere contemporaneamente una mente curiosa e la volontà di mettere in discussione l'opinione consolidata. Ma intellettuale, malgrado la pessima tendenza ormai in voga, non è sinonimo di scettico. Il sano scetticismo è indubbiamente essenziale per la vita intellettuale, ma non deve diventare fine a se stesso. C'è una realtà di cui dobbiamo tutti dar conto, una realtà che sollecita la nostra comprensione.
  Dal momento che state leggendo Voci fuori dal coro, ci sono ottime possibilità che la vostra risposta alla domanda di YRB sia affermativa. E probabilmente sapete già che il libro che tenete fra le mani è pericoloso, e che potrebbe mettervi nei guai. Mettendo in discussione il darwinismo, andrete ad aggiungervi a tutti quegli squinternati che hanno violato i tabù imposti da coloro che indirizzano l'opinione pubblica.
  In molti settori, la riprovazione degli illuminati non avrà alcuna ripercussione su di voi. Tuttavia, se insegnate in una scuola superiore o in un'università, potreste pagare un prezzo elevato. (Falsa teatralità?) Niente affatto. L'arte di stilare liste nere è praticata con grande maestria e spietatezza nel mondo accademico). È chiaro che la ferocia della resistenza non fa altro che sottolineare la necessità di un dissenso informato. L'arroganza, quasi comicamente iperbolica, della comunità darwiniana, ben documentata nell'introduzione di WilIiam Dembski a questo volume, è indicativa di un malessere maggiore. Come ha osservato Steve Fuller nel suo nuovo libro Kuhn vs. Popper. The Struggle for the Soul of Science:

La visione di Popper, secondo cui un non-scienziato può rimproverare alla scienza di non aver tenuto fede ai propri principi pubblicamente espressi, è raramente riscontrabile oggi in ambito accademico. Coloro che hanno ereditato la convinzione da guerra fredda di Kuhn, secondo cui la normale scienza è un baluardo in un mondo instabile, non saranno sorpresi di scoprire che oggi i filosofi sono più propensi a criticare i evoluzionisti per aver profanato le stenosi dell'evoluzionismo, che a criticare gli evoluzionisti per aver trasgredito alle più generali norme scientifiche
- un'attività per la quale Popper era famoso.

  Ma c'è un altro pericolo più insidioso a cui ogni lettore di questo libro è potenzialmente esposto. Il ruolo del dissenziente può essere pagato a caro prezzo, ma può risultare anche molto affascinante. Come sarebbe semplice, dopo aver letto un libro come il presente, gonfiarsi di orgoglio, di dogmatismo verso il «fatiscente edificio della teoria evoluzionistica», e cadere nell'arroganza tipica del peggiore darwinismo.
  Se siete davvero degli intellettuali, e non quelli che Solzenicyn definisce «superficiali», al termine di questo libro avrete più domande che risposte. Non accetterete passivamente le affermazioni degli autori qui raccolte, fra loro già tanto diverse; le sottoporrete allo stesso vaglio critico adottato nei confronti del darwinismo.
  Vi domanderete, tanto per cominciare, cosa s'intenda precisamente per "darwinismo" - o anche per "evoluzione", una parola notoriamente sfuggente. Si tratta della nozione della vita come semplice incidente cosmico, prodotto del caso e della selezione naturale?
 
Se è così - e questo è un aspetto essenziale della dottrina dei più autorevoli propugnatori del darwinismo - non c'è ragione di non buttarla a mare.

  E per quanto riguarda la discendenza comune? «L'evoluzione - scrive Richard Dawkins nell'introduzione a The BestAmerican Science and Nature Writing 2003 - è uno dei dati più saldamente definiti di tutta la scienza. La nozione della nostra parentela con scimmie, canguri e batteri è al di là di qualunque dubbio intellettuale». Non esistono forse prove inconfutabili del fatto che - in questo senso limitato ma tutt'altro che insignificante - l'evoluzione sia reale, per quanto possa essere aperta a discussione l'adeguatezza della selezione naturale come suo motore primario? (Persino Richard Darwkins ogni tanto ha ragione).
  Che dire di scienziati come Simon Conway Morris, autorevole paleobiologo di Cambridge, che nel suo libro Life's Solution. Inevitabile Humans in a Lonely Universe sostiene che l'evoluzione della vita rivela uno schema, una direzione fondante, in cui egli ravvisa «la ricchezza di una Creazione»? Nulla di questa «complessità e bellezza», aggiunge, «presuppone, né tanto meno prova, l'esistenza di Dio; ma tutto è congruente». Ha ragione? Se sì, perché? E se non è così, perché no? Parte del vostro compito, come lettori di Voci fuori dal coro, è di leggere quest'opera in rapporto con altri libri, come Life's Solution o Perspectives on an Evolving Creation, una raccolta di saggi a cura di Keith B. Miller di recente pubblicazione.
  Dal momento che vi ho appena fornito un accenno di bibliografia, lasciate che concluda con uno dei miei libri preferiti sul darwinismo - ingiustamente trascurato dalla letteratura specialistica. Si tratta di un piccolo libro per bambini, Yellaw and Pinh, scritto e illustrato da Wiliam Steig, scomparso nell'autunno del 2003 all'età di novantacinque anni. Steig, le cui vignette apparsero sul « ew Yorker- sin dal 1939, era molto noto per i suoi libri per bambini (fra cui Shreh!, da cui è stato tratto il celebre film).
  Yellaw and Pinh fu pubblicato nel 1984 e ristampato nel 2003, solo pochi mesi prima della scomparsa di Steig. È la storia, come ci raccontano le prime righe, di «due piccole figure fatte di legno [...] che un giorno si trovano stese al sole su un vecchio giornale. Una era bassa, grassa, e dipinta di rosa; l'altra era alta, magra, e dipinta di giallo». Si domandano come siano arrivati lì - in effetti, come abbiano avuto origine.
  Pink guarda il suo compagno - «ammirava il colore di Yellow, la sua testa ben cesellata, tutta la sua figura» - e sentenzia: «Qualcuno deve averci fatto».
Al contrario, risponde Yellow: «Io dico che siamo un caso, siamo solo capitati in qualche modo». E cominciano a discutere, ciascuno sostenendo le proprie argomentazioni con convinzione.
  Non voglio anticipare il resto del racconto, rovinandovi così la sorpresa. Mi limiterò a dire questo: sull'argomento in questione, la piccola fiaba di Steig è molto più penetrante di tutta la massa di libri che si sono accumulati nel mio studio. Spero che metterete questo nella vostra libreria, non troppo lontano da Voci fuori dal coro.

INDICE

Riconoscimenti
Premessa (John Wilson)

Introduzione: I miti del darwinismo (William A. Dembski)

PARTE PRIMA: CRISI DI CERTEZZE
1. conti non tornano: Perché il darwinismo non riesce a ispirare sicurezza (Robert C. Koons)
2. L'evoluzione come dogma: L'instaurazione del naturalismo (Phillip E. Johnson)
3. I miracoli del darwinismo: Intervista del 1996 a «La Recherche» (Marcel-Paul Schutzenberger)

PARTE SECONDA: L'INVASIONE CULTURALE DARWINISTA
4. Darwin incontra gli orsi Berenstain: L'evoluzione come visione globale del mondo ( ancy R. Pearcey)
5. Insegnare le pecche del neodarwinismo (Edward Sisson)
6. Non si accettano imitazioni: La rivalità fra naturalismo e legge naturale (J. Budziszewski)
7. Riviste specializzate: Assicurano la qualità o sostengono l'ortodossia? (Frank J. Tipler)

PARTE TERZA: ABBANDONARE IL TERRENO DARWINIANO
8. Uno scienziato cattolico di fronte al darwinismo (Michael J. Behe)
9. Un viaggio intellettuale anti-darwiniano: Ordine biologico:
proprietà intrinseca della materia (Michael J. Denton)

10. Perché non sono darwinista (James Barham)

PARTE QUARTA: CONTROLLARE I LIBRI
11. Perché l'evoluzione non supera l'esame della scienza (Cornelius G. Hunter)
12. La teoria evolutiva di Darwin e le scienze della vita nel XXI secolo (Roland F. Hirsch)
13. Ingannare il millennio: Il crescente debito di chiarezza del naturalismo scientifico (Christopher M. Langan)
14. Darwin è confutabile (David Berlinski)

Collaboratori

Indice analitico

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LA GUERRA GIUDAICA - VOLUME 1 e 2

Giovanni VitucciL'Autore GIOVANNI VITUCCI , è stato professore all'università di Roma. Ha scritto due libri: L'imperatore Probo e Il regno di Bininia, oltre a molti articoli su problemi storici e istituzionali dell'età repubblicana e imperiale.

L'Autore NATALINO RADOVICH è professore di filologia all'Università di Padova. Ha scritto un Profilo di linguistica slava, un Glossario dello slavo ecclesiastico antico, e studi sui rapporti tra la letteratura bizantina e la letteratura russa antica.


FLAVIO GIUSEPPE
, testimone oculare,
descrive come Vespaviano e poi Tito
effettuano una carneficina di 1.100.000 morti a Gerusalemme nel 70 e.v.

La Guerra giudaica1 2

RISVOLTO COPERTINA

Nato a Gerusalemme nel 37 dopo
Cristo, Flavio Giuseppe discendeva da una famiglia di grandi sacerdoti ebrei. Per qualche tempo, diresse la resistenza del suo popolo contro i romani: poi cadde prigioniero, collaborò con i nemici, predisse l’ascesa al trono di Vespasiano; e per tutta la vita fu combattuto fra il profondo amore per il Dio di Israele, il tempio di Gerusalemme, i riti amorosamente coltivati e conservati, e la convinzione che la Provvidenza aveva ormai scelto l'immenso, maestoso e armonico impero di Roma.

  La guerra giudaica, scritto prima in aramaico poi in greco, è uno dei libri più drammatici della storiografia universale. Il lettore moderno vi trova lo stesso paesaggio di città, di campagne e di deserti, dove pochi decenni prima aveva predicato Gesù Cristo: penetra nel Tempio, apprende i riti e le abitudini degli Esseni, la filosofia politica degli Zeloti, conosce lo stesso mondo che ci è stato recentemente rivelato dai manoscritti del Mar Morto. La prima parte del libro è dedicata ai delitti che funestarono la famiglia di Erode; e l'intreccio tra la passione per il potere e gli amori e gli odi egualmente sanguinari fra parenti ricorda le tragedie storiche di Shakespeare.

   Ma il cuore dell'opera
è la lotta del piccolo popolo ebreo, guidato dalla fazione degli Zeloti, contro le legioni di Vespasiano e di Tito. Una delle più terribili tragedie della storia di ogni tempo rivive davanti ai nostri occhi: esempi di coraggio disperato, di straordinaria astuzia guerriera e di folle fanatismo rivoluzionario: scene di battaglia, lunghissimi assedi, fame, saccheggi, prigionieri crocifissi, inermi massacrati, gli ultimi difensori che si uccidono a vicenda con le spade, fino al momento - che Flavio Giuseppe rievoca lacrimando - in cui il Tempio, simbolo della tradizione ebraica, viene avvolto dalle fiamme di un incendio inestinguibile.

  Questa edizione traduce, nell'appendice a cura di Natalino Radovich, anche i frammenti dell'antica versione russa della Guerra giudaica, che mancano nel testo greco. In alcuni di questi frammenti, appare Gesù Cristo: secondo alcuni studiosi, si tratterebbe della più antica testimonianza d'ambiente ebraico intorno al Messia.

INTRODUZIONE

  Giuseppe (più tardi, quando ebbe la cittadinanza romana, Flavio Giuseppe) appartenne a quella generazione di giudei cui, mentre si appressavano al «mezzo del cammino », toccò di vedere la distruzione di Gerusalemme e la rovina del tempio. A Gerusalemme egli era nato fra il 13 settembre del 37 e il I7 marzo del 38: troppo tardi per rendersi conto dell'ansia disperata di cui la città fu preda intorno al 40, quando da Roma arrivò l'ordine di collocare nel tempio, e fame oggetto di culto, un'immagine di Caligola. Superata, all'avvento di Claudio, la grave tensione, la vita era ripresa nella più o meno generale rassegnazione agli incomodi del dominio romano, e Giuseppe potè intraprendere gli studi in un'atmosfera meno agitata. Più tardi, rievocando nell'ultima pagina dell' Archeologia quei suoi studi e tutta la sua formazione spirituale, egli distinse tra lo studio della grammatica e della lingua greca (della quale tuttavia confessava di non aver raggiunto una pronuncia perfetta: la sua lingua materna era l'aramaico) e quella che chiamava la paideia epichtòrios, paideia propriamente giudaica: una paideia, aggiungeva, nella quale, per ammissione dei suoi connazionali, andava innanzi ad ogni altro. In ogni modo, la preparazione di Giuseppe fu adeguata al suo elevato rango sociale; la sua era infatti una delle famiglie più cospicue, appartenente per parte di padre all'alta nobiltà sacerdotale mentre per parte di madre egli si gloriava di discendere dalla famiglia reale degli Asmonei In questa preparazione lo studio della Legge aveva una parte di primo piano, e non v'é ragione di non prestargli fede quando egli aggiunge di aver fatto, grazie alla sua non comune memoria e intelligenza, tali progressi, che al tempo in cui era solo un giovinetto di quattordici anni alcuni sommi sacerdoti e altre personalità di primo piano si recarono da lui a consultarlo

Il quindicesimo anno di vita fu speso in una diretta sperimentazione delle regole teorico-pratiche seguite dalle tre sette che allora tenevano il campo, i Farisei, i Sadducei e gli Esseni, con l'intenzione di prepararsi ad una scelta. Dai rapidi cenni della Vita (2,10) si ricava l'impressione che si sia trattato di una frequentazione cursoria, con una permanenza meno breve presso gli Esseni, cui Giuseppe sembra alludere quando narra di essersi sottoposto a un duro tirocinio, passando attraverso una serie di prove molto severe. Assai più lunga fu invece l'esperienza ascetica vissuta nei tre anni successivi, quando si ritirò nel deserto a far vita di penitenza; il fatto che Giuseppe ricorda anche il nome del maestro che gli fu allora di guida lascia pensare che per lui si trattò di un impegno superiore al normale, e di un'adesione spirituale che i posteriori contatti con il mondo greco-romano non avrebbero potuto cancellare. Comunque, quand'egli fece ritorno in città, fu alla setta dei Farisei che andò la sua preferenza piuttosto che a quella dei Sadducei, verso cui era in genere orientata l'aristocrazia delle grandi famiglie sacerdotali, e il giovane Giuseppe continuò a esercitare il suo ingegno nel lavoro d'interpretazione della Legge e il suo zelo nel praticarne i precetti.

Una prova di zelo esemplare il giovane ia diede nel 64 quando intraprese un viaggio a Roma per perorare la causa di alcuni sacerdoti deferiti qualche anno prima al tribunale imperiale dal procuratore M. Antonio Felice, quello di cui Tacito ricorderà con frase efficacissima che tiranneggiò i sudditi come solo un individuo di estrazione servile poteva fare2. Nel ricordare l'episodio, Giuseppe (Vita 13 sgg.) si limita ad osservare che le imputazioni erano di scarsa rilevanza, mentre sembra assai probabile che negli indiziati il funzionario romano avesse fiutato degli esponenti del movimento di resistenza, astenendosi peraltro, per una qualche ragione prudenziale, dall'applicare direttamente i suoi poteri coercitivi. Il viaggio di Giuseppe, anche se si svolse in condizioni più fortunose del solito per un drammatico naufragio in mare aperto, si concluse felicemente. Egli sbarcò a Pozzuoli, ove poté assicurarsi l'appoggio di un attore di origine giudaica, un tale Alituro, che era nelle grazie di Nerone sia, possiamo pensare, per il suo talento artistico, sia (e questo lo dice Giuseppe) perché godeva delle simpatie di Poppea, e l'imperatrice non solo assicurò il proscioglimento degli imputati, ma colmò anche di doni Giuseppe.

Quando questi fece ritorno a Gerusalemme (nell'autunno del 65, a quel che sembra) trovò che la situazione creata dai gruppi di resistenza antiromana si avviava a grandi passi verso la rottura. La tensione, cominciata oltre cent'anni prima ai tempi della presa di Gerusalemme e della profanazione del tempio da parte di Pompeo, era cresciuta di pari passo con l'ingerenza dei romani nelle cose di Giudea, provocata sia dal protrarsi della lotta fra il sommo sacerdote Ircano II e suo fratello Aristobulo (cui più tardi subentrò il figlio Antigono), sia dalle ripercussioni che in terra d'Oriente ebbero le vicende della guerra fra cesariani e pompeiani. Contro tale ingerenza, che nel 47, per volere di Cesare, aveva portato ad affiancare (di fatto, a sovrapporre) ai tradizionali poteri del sommo sacerdote quelli di un « viceré» con la nomina dell'idumeo Antipatro, era sorto in Galilea un movimento nazionalistico di resistenza con a capo Ezechia, capo-stipite di una famiglia di patrioti. Ma poco dopo, nello stesso anno 47, la sua banda venne battuta da un corpo di spedizione agli ordini di uno dei figli di Antipatro, Erode, il quale non si fece scrupolo di passarlo per le armi. Accennando a questo episodio (Bell I 204) Giuseppe chiama Ezechia (capo brigante) e i suoi uomini, con una nomenclatura che rifletteva il punto di vista dei romani, per i quali erano latrones i provinciali che cercavano di opporsi con le armi in pugno al loro dominio.

 

Ma da un punto di vista diverso, e non meno valido salvo che rispecchiava il pensiero dei vinti, ben altro che un delinquente comune era stato Ezechia, e per la sua morte i Sadducei avevano sollecitato il sommo sacerdote Ircano II a istruire un regolare processo. Insabbiato questo processo per l'intervento di Sesto Giulio Cesare, un procugino del dittatore che teneva allora il comando delle forze romane di stanza nella Siria, l'impresa contro Ezechia era diventata il punto di partenza di una fortunata ascesa che avrebbe fatto di Erode, sotto la protezione di M. Antonio e poi di Augusto, uno dei maggiori potentati del suo tempo. Era perciò naturale che i nazionalisti accomunassero Erode nel loro odio contro i romani; e fu da questi spiriti di intransigente difesa dei valori del giudaismo che prese allora l'avvio il movimento di resistenza degli Zeloti, di cui divenne poi animatore Giuda, figlio di Ezechia, l'alfiere della rivolta scoppiata nel 6 d., quando la Giudea cessò di essere un protettorato e venne direttamente assoggettata al dominio romano. Ispirato inizialmente al dovere dell'ubbidienza verso il solo Jahvé (e, dunque, non verso l’'usurpatore» Erode né, tanto meno, verso i romani), il movimento zelotico si era poi arricchito di motivi di carattere economico-sociale. Infatti all'acquiescenza, in linea di massima predominante presso i ceti più elevati, che dalla pax Romana si vedevano propiziato il godimento di antichi privilegi, si era contrapposta l'azione degli attivisti a sostegno delle masse più umili, ansiose di novità e, magari, di un rivolgimento totale da realizzare con una lotta concepita in termini di guerra di religione.  

Allorché nel 66 la situazione, dopo aver subito un continuo deterioramento, diventò insostenibile per l'azione provocatoria del governatore Gessio Floro, e a Gerusalemme presero a serpeggiare le fiamme della rivolta, fu Menahem, figlio di Giuda e nipote di Ezechia, quello che assunse e per qualche tempo tenne il comando delle operazioni. Il massacro della guarnigione romana aveva reso ormai inevitabile una spedizione punitiva delle truppe di stanza nella vicina provincia di Siria; ma queste forze, quando già sembrava che stessero per impadronirsi di Gerusalemme, vennero travolte assieme al legato Cestio Gallo in un'inaspettata quanto umiliante disfatta. La guerra voluta dagli estremisti, rappresentati oltre che dagli Zeloti anche dai cosiddetti sicari, era ormai alle porte, e coinvolse assieme agli altri il nostro storico.

Questi dovette avervi fin da principio una parte di primo piano, anche se molti importanti particolari della sua azione restano in ombra. Ciò dipende anche dalle discrepanze fra il racconto che egli ne fece nel Bellum e quello dato nella Vita oltre vent'anni più tardi (ved. appresso). Ad ogni modo, é soltanto nella Vita (17 sgg.) che Giuseppe dà qualche cenno sulla posizione da lui assunta di fronte al problema della guerra dal momento del suo ritorno da Roma fino allo scoppio delle ostilità: una posizione che lo vide allineato con i maggiorenti dei Farisei in una cauta (perché molto pericolosa) polemica contro le mene dei bellicisti, nel vano sforzo di richiamare costoro a una più realistica valutazione dei pericoli verso cui spingevano il paese. Ma poi l'inopinato disastro della spedizione punitiva di Cestio Gallo sopraggiunse a rendere incontenibile l'esaltazione dei fautori della guerra; questi presero il sopravvento e nel sinedrio, anche se con scarso entusiasmo, si deliberarono i provvedimenti richiesti dallo stato di guerra, in vista dell'immancabile ritorno offensivo dei romani. A Giuseppe, ignoriamo per quali particolari considerazioni, ma certo in grazia della prudenza cui appariva ispirato il suo atteggiamento, venne subito affidato un incarico di rilievo; nel racconto di Bell. II 568 quello di assumere il comando delle operazioni difensive nel settore della Galilea, mentre, secondo quanto narra il cap. 29 della Vita, egli fu chiamato a far parte di una commissione di tre sacerdoti inviati in Galilea per dar ordine ai patrioti di deporre le armi e uniformarsi alla linea di cauto attendismo decisa a Gerusalemme.

Nelle due notizie si é creduto di poter cogliere una grande divergenza, tanto da considerare come abusiva l'azione di comando esercitata in seguito da Giuseppe nella Galilea. Ma questa teoria si rivela poco convincente; infatti da quanto viene riferito nella Vita pare debba ricavarsi non la natura dell'incarico affidato a Giuseppe, ma il primo compito assegnatogli nell'esercizio delle sue attribuzioni, premessa indispensabile all'addestramento degli uomini e all'apprestamento delle opere difensive. Tale esercizio, che in partenza poteva fare affidamento sul sentimento patriottico della popolazione, rimasta per lo più sorda ai richiami dell'ellenizzazione, nei primi tempi venne reso assai arduo dallo scoppio di gravi episodi d'insubordinazione: se si considera che a darcene notizia é lo stesso Giuseppe, e con una lunga e dettagliata esposizione, é difficile dubitare della gravità della situazione che egli si trovò a fronteggiare. Nel suo racconto, se solo a prezzo di molti stenti e pericoli gli riuscì di affermare la sua autorità nei centri principali della regione, come Sepphoris, Tiberiade e Tarichee, ciò avvenne per le mene di Giovanni di Giscala, un esponente della resistenza locale che gli diede molto filo da torcere, fino a cercare di provocare la sua destituzione. È un racconto, questo di Giuseppe, che appare attendibile anche in vari particolari, ma che sorvola, naturalmente, sul punto più importante: l'arrivo da Gerusalemme di un comandante superiore (a un certo momento rimasto solo per la partenza degli altri due colleghi con cui era arrivato, cfr. Vita 77) non fu visto di buon occhio dai patrioti della Galilea, anche perché essi non tardarono a constatare che si trattava di un uomo non senza riserve verso gli ideali della resistenza, e che non credeva nella vittoria final. Era un difetto per niente trascurabile, capace anzi di neutralizzare i pregi di un comandante, anche il più accorto e valente di tutti quale Giuseppe si vantava di essere (cfr. Bell. III 144); ed é notevole, per concludere su questo punto, rilevare che il comitato dei Settanta, da lui istituito come organo consultivo di governo, gli serviva in realtà per tenere in pugno come ostaggi i notabili del paese.

In simili condizioni non dovevano essere gran cosa gli apparecchi difensivi che Giuseppe era riuscito a realizzare in Galilea, il settore che per ragioni geografiche era esposto a ricevere per primo l'urto dei romani. In Bell. II 572 sgg. egli dà l'elenco delle città che vennero fortificate, e il numero... (continua)


INDICE

Volume I

Introduzione
Bibliografia

TESTO E TRADUZIONE
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo

Commento
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo

Volume II

TESTO E TRADUZIONE
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
Commento
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo

Cartine

Tavole genealogiche

Appendice
IL TESTO RUSSO ANTICO DELLA GUERRA GIUDAICA a cura di Natalino Radovich
Introduzione
Abbreviazioni
Testi
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo

Note

Indice dei nomi propri di persona e di luogo

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NUOVE EVIDENZE CHE RICHIEDONO UN VERDETTO

Josh McDowellL'Autore - Josh McDowell (nato il 17 Agosto 1939) è un cristiano apologista, evangelista, e scrittore. È all'interno dell'enturage Evangelica tradizione protestante, ed è autore o co-autore di circa 115 libri. Il suo libro più noto "Prove che richiedono un verdetto", che si è classificato 13° in Christianity Today lista della maggior parte dei libri evangelici influenti pubblicati dopo la seconda guerra mondiale. Come praticante di apologetica cristiana, gli scritti di McDowell si sono concentrati su come affrontare le sfide alla fede, domande poste dai non cristiani, dubbi di fede, e le religioni non cristiane. McDowell tende a presentare argomenti positivi per raccomandare la fede in Gesù Cristo, sottolineando prove storiche e legali per stabilire l'autenticità dei testi biblici e la divinità di Cristo.


RETROCOPERTINA

La Bibbia è affidabile dal punto di vista storico?

Ci sono prove credibili che Gesù sia Dio?

Il cristianesimo resisterà agli attacchi dei critici del ventunesimo secolo?

I cristiani devono affrontare oggi delle sfide sempre maggiori per dimostrare che la loro fede è sia importante che credibile.

In "Nuove Evidenze: che richiedono un verdetto!" Josh McDowell unisce i due precedenti best-seller in un unico volume, conservando la loro difesa classica della fede ma  rispondendo alle nuove domande che la cultura di oggi ci pone.

Il libro ci offre:

- Una nuova ricerca documentata dalle evidenze archeologiche degli ultimi vent'anni.

- Altri capitoli che mettono in luce la ricerca del Gesù storico ed espongono le principali debolezze del "Jesus Seminar".

- Una sezione interamente nuova che affronta temi come la natura della verità, le risposte al postmodernismo, allo scetticismo, all'agnosticismo, al misticismo, la certezza della visione cristiana del mondo e la conoscibilità della verità.

- Un'organizzazione efficiente per un'agevole consultazione.

- Un formato attraente con un'impaginazione che agevola il lettore, con tabelle, schemi, diagrammi e supplementi.

"Nuove Evidenze: che richiedono un verdetto!" ti fornirà una difesa efficace per questo decennio ed oltre.

Josh McDowell è un oratore di fama mondiale, uno scrittore ed un rappresentante itinerante di Campus Crusade for Christ.

Ha studiato al Wheaton College e al Talbot Theological Seminmy; ha scritto più di quarantacinque libri, compreso il classico  A Ready Delense; è comparso in numerosi film, video e serie televisive. Josh e sua moglie Dottie hanno quattro figli.


PREFAZIONE

Il cristianesimo è credibile?

C'è un fondamento intellettuale per la fede in Gesù Cristo come Figlio di Dio?
Gli studiosi nel corso dei secoli, così come gli studenti e le persone adulte, possono rispondere a questa domanda con un altisonante "Sì!". È proprio di questo che tratta NUOVE Evidenze che richiedono un verdetto di Josh McDowell.

Josh ha lavorato come rappresentante itinerante di Campus Crusade dal 1964. Più di sette milioni di studenti e professori in più di settecento campi in ottantaquattro diversi paesi sono stati illuminati, incoraggiati, aiutati e sfidati dal suo insegnamento ispirato da Dio e dalla sua testimonianza. La sua esperienza nel parlare ad incontri fra studenti, a piccoli e grandi eventi, a lezioni tenute in aule e centinaia di sedute di consulenza e di dibattiti, insieme ad una laurea cum laude ottenuta presso il Talbot Theological Seminary e alla sua continua ricerca sulle evidenze storiche della fede cristiana, gli danno credito per parlare e scrivere con autorevolezza sulla credibilità del cristianesimo.

Una volta, un avvocato chiese a Gesù:

«Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?' Gesù gli disse: 'Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e il primo comandamento'» (Matteo 22:37, 38).

Dio ci ha creato con la capacità di pensare, di acquisire conoscenza e di discernere la verità.

Dio vuole che usiamo le nostre menti.

L'apostolo Pietro ammonisce: «ma glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori. Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni» (1 Pietro 3:15).

Per questo motivo, il ministero di Campus Crusade per Cristo pone l'enfasi sull'addestramento dei cristiani a sperimentare e condividere la vita abbondante ed emozionante offerta a tutti quelli che mettono la propria fede in Gesù Cristo. Il Leadership Training Institutes (Istituti per l'addestramento dei leaders), il Lay Institutes for Evangelism (Istituto laico per l' evangelizzazione), l'Institutes of Biblical Studies (l'Istituto per gli studi biblici), e altri programmi di addestramento hanno preparato centinaia di migliaia di persone a fornire motivazioni valide, convincenti, storiche e documentate della loro fede in Gesù Cristo.

Durante i quarantacinque anni della mia testimonianza della Buona Notizia del Salvatore, all'interno del mondo accademico, ho incontrato pochissime persone che hanno sinceramente considerato le evidenze e poi negato che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e il Salvatore degli uomini. Per me la prova che conferma la deità del Signore Gesù Cristo è schiacciante e conclusiva per ogni persona che cerca in modo onesto la verità. Tuttavia, non tutti, nemmeno la maggior parte di coloro ai quali ho parlato, Lo hanno accettato come Salvatore e Signore.

Questo non perché non erano capaci di credere, semplicemente non volevano credere! Ad esempio, uno psichiatra brillante, ma confuso, venne ad Arrowhead Springs per una consulenza. Mi confessò sinceramente che nella sua vita non aveva mai preso in considerazione in modo onesto le affermazioni di Gesù per paura che ne sarebbe rimasto convinto e, di conseguenza, avrebbe dovuto cambiare la sua vita.

Altre persone celebri che si dichiaravano atee, inclusi Aldous Huxley e Bertrand Russel, hanno rifiutato di affrontare intellettualmente i fatti storici relativi alla nascita, alla vita, agli insegnamenti, ai miracoli, alla morte e alla resurrezione di Gesù di Nazareth. Quelli che lo hanno fatto, ad esempio C.S. Lewis, C.E.M. Joad e Malcolm Muggeridge, hanno trovato le evidenze così convincenti da accettare il verdetto che Gesù è davvero chi diceva di essere, il Figlio di Dio e il loro Salvatore e Signore.

Uno studio attento condotto in preghiera sul materiale contenuto in questo libro preparerà il lettore a fare una presentazione intelligente e convincente della Buona Notizia. Un'ultima parola di cautela, tuttavia: non dare per scontato che la persona comune abbia dubbi sulla deità di Gesù Cristo. La maggior parte delle persone, in molte culture, non hanno bisogno di essere convinte della Sua deità, né del loro bisogno di Lui come Salvatore; hanno, piuttosto, bisogno di riceverLo come Salvatore e seguirLo come Signore.

Quindi, sarà il cristiano stesso a trarre benefici dalla lettura di Nuove Evidenze che richiedono un verdetto. Infatti, questo libro rafforzerà la tua fede in Cristo e, allo stesso tempo, ti fornirà evidenze che ti renderanno capace di condividere la tua fede in maniera più efficace con gli altri.

«Poi disse a Tommaso: 'Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel costato; e non essere incredulo, ma credente'. Tommaso gli rispose: 'Signor mio e Dio mio!' Gesù gli disse: 'Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!'» (Giovanni 20: 27-29).

William R. Bright
Presidente e Fondatore
Campus Crusade for Christ International
Arrowhead Springs
San Bernardino, CA 92414

HA CAMBIATO LA MIA VITA

Tommaso D'Aquino scrisse: "In ogni anima c'è sete di felicità e significato."
Da adolescente ho semplificato quest'affermazione. Voglio essere felice e dare un significato alla mia vita. Volevo le risposte a tre domande basilari: chi sono? Perché sono qui? Dove andrò? Sono queste le domande più difficili della vita. Credo che il 90% delle persone di quarant'anni e più giovani non siano in grado di rispondere a queste domande. Ma io avevo sete di sapere che senso avesse la vita. Quando ero un giovane studente iniziai a cercare le risposte.

Nel posto in cui sono cresciuto sembrava che tutti fossero religiosi. Pensai di trovare le risposte diventando religioso, così iniziai a frequentare la chiesa. Mi ci dedicai al 150 %. Andavo in chiesa mattina, mezzogiorno e sera. Ma credo di aver sbagliato chiesa perché mi sentivo più vuoto quando ero lì dentro che quando ero fuori. Lunica cosa che guadagnai dalla religione furono settantacinque centesimi alla settimana: mettevo nell'offertorio quindici centesimi e prendevo un dollaro così da potermi comprare un frappè!

Fui allevato in una fattoria in Michigan, e la maggior parte dei contadini erano molto pratici. Mio padre che aveva una fattoria mi insegnò: "Se uno non lavora, taglia corto con lui."

Così tagliai corto con la religione.

Poi pensai che la cultura potesse essere la risposta alla mia ricerca di felicità e significato. Così mi iscrissi all'università. Che delusione! Sono stato forse in più università io nella mia vita di qualunque altra persona nella storia. Puoi trovare un sacco di cose in un'università, ma iscriverti lì per trovare felicità e significato nella vita è in pratica una causa persa. Sono sicuro che ero di gran lunga lo studente meno amato della facoltà della prima università che ho frequentato. Ero solito attaccare bottoni con i professori nei loro studi alla ricerca di risposte alla mie domande. Quando mi vedevano arrivare avrebbero voluto spegnere le luci, tirare giù le tapparelle e chiudere la porta a chiave così da evitare di parlare con me. Mi resi conto presto che l'università non mi avrebbe dato le risposte che stavo cercando. I membri della facoltà e i miei compagni di studio avevano gli stessi problemi, le stesse frustrazioni e le stesse domande insolute sulla vita che avevo io. Pochi anni fa vidi uno studente che camminava nel campus universitario con una scritta dietro la schiena: "Non seguitemi, sono perso!" Era così che mi sembravano tutti quelli dell'università.

La cultura non era la risposta!

Allora mi dissi che la via giusta doveva essere il prestigio. Mi sembrava giusto trovare una causa nobile, danni anima e corpo ad essa e diventare così famoso. Le persone con maggior prestigio all'interno dell'università, quelli che tenevano i cordoni della borsa, erano i capi degli studenti. Così mi candidai per diversi uffici di studenti e fui eletto. Era bello conoscere tutti all'interno del campus, prendere le decisioni importanti, e spendere il denaro dell'università come volevo. Ma ben presto quel brivido finì come tutte le cose che avevo già provato. Ogni lunedì mattina mi svegliavo con un mal di testa dovuto al modo in cui avevo passato la sera precedente. Il mio atteggiamento era: Rieccoci, altri cinque giorni noiosi davanti a me.

Tutta la mia felicità girava intorno a quelle tre sere di feste: Venerdì, Sabato e Domenica. E poi, il solito circolo di noia iniziava daccapo. Mi sentivo frustrato, a volte persino disperato. Il mio obiettivo era quello di trovare la mia identità e uno scopo nella vita. Ma qualsiasi tentativo mi lasciava vuoto e senza risposte.

In quel periodo notai un piccolo gruppo di persone all'interno del campus, otto studenti e due professori, che avevano qualcosa di diverso. Sembrava sapessero qual era la direzione della loro vita e avevano una qualità che ammiravo molto nelle persone: la convinzione. Mi piaceva molto stare insieme a persone convinte, anche se le loro convinzioni non erano anche le mie. C'è una certa dinamica nella vita delle persone che hanno convinzione e a me piace quella dinamica.

Ma c'era qualcos'altro in quel gruppo che catturò la mia attenzione: l'amore. Quegli studenti e professori non solo si volevano bene l'un l'altro, ma volevano bene e si prendevano cura delle persone fuori dal loro gruppo. Non solo parlavano dell'amore ma si impegnavano ad amare. Era qualcosa di completamente nuovo per me; e volevo averlo anch'io. Così decisi di fare amicizia con loro.

Dopo circa due settimane ero seduto attorno al tavolo dell'unione studentesca e parlavo con alcuni membri di quel gruppo. Ben presto l'argomento della conversazione divenne Dio. Mi sentivo abbastanza insicuro su questo argomento, così tirai fuori una grande arroganza per nascondere l'insicurezza. Ero stravaccato sulla sedia con l'aria di qualcuno a cui non poteva importarne di meno. "Il cristianesimo, ah!" esclamai. "Ma quella è roba per i deboli, non per gli intellettuali."

Nel profondo volevo davvero quello che avevano loro.

Ma, con il mio orgoglio e con la mia posizione all'interno dell'università, non volevo che sapessero che volevo quello che avevano loro. Così mi voltai verso una delle ragazze del gruppo e dissi: "Dimmi, cosa ha cambiato la tua vita? Perché sei tanto diversa dagli altri studenti ed insegnanti?"
Mi guardò dritto negli occhi e disse due parole che non mi sarei mai aspettato di sentire in una conversazione intelligente in un campus universitario: "Gesù Cristo."
Gesù Cristo?" scattai io. "Non mi parlare di queste sciocchezze. Sono stufo di religione, Bibbia e chiesa".
Lei subito replicò: "Signore, non ho detto religione, ho detto Gesù Cristo."
Colpito dal coraggio della ragazza e dalla sua convinzione, mi scusai per il mio atteggiamento. "Ma sono stufo e stanco della religione e della gente religiosa," aggiunsi. "Non voglio avere niente a che fare con loro. "
Allora i miei nuovi amici mi lanciarono una sfida a cui non potevo credere. Sfidarono me, uno studente di giurisprudenza ad esaminare dal punto di vista intellettuale le affermazioni che Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Pensavo fosse uno scherzo. Quei cristiani erano proprio stupidi. Come poteva il cristianesimo, una cosa tanto inconsistente, porsi di fronte ad un'indagine intellettuale? Risi della loro sfida.
Ma essi non si arresero. Continuarono a sfidarmi giorno dopo giorno, e finalmente mi misero con le spalle al muro. Mi infastidì talmente tanto la loro insistenza che alla fine accettai la sfida, non per provare qualcosa ma per confutare ciò che essi sostenevano. Decisi di scrivere un libro che si prendesse gioco del cristianesimo. Lasciai l'università e iniziai a girare gli Stati Uniti e l'Europa per raccogliere evidenze che dimostrassero che il cristianesimo era un inganno.

Un giorno mentre ero seduto in una biblioteca a Londra, in Inghilterra, udii una voce dentro di me che mi diceva:

"Iosh, tu non hai nemmeno un bastone al quale appoggiarti."

La misi subito a tacere. Ma quasi ogni giorno iniziai a sentire quella voce interiore. Più cercavo, più sentivo quella voce. Tornai negli Stati Uniti e all'università, ma non potevo dormire la notte. Andavo a letto alle dieci e rimanevo sveglio fino alle quattro del mattino, lottando contro le evidenze schiaccianti che stavo raccogliendo che dimostravano che Gesù Cristo era il Figlio di Dio.

Mi resi conto che non ero onesto intellettualmente parlando. La mia mente mi diceva che le dichiarazioni di Cristo erano proprio vere, ma la mia volontà era spinta in un'altra direzione. Avevo messo tanta enfasi sulla ricerca della verità, ma non volevo seguirla ora che la vedevo. Iniziai a sentire la sfida personale che Cristo faceva a me in Apocalisse:

«Ecco io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me».

Ma il cristianesimo mi sembrava una negazione dell'ego, il modo più veloce per rovinarsi tutto il divertimento.
Sapevo di dover risolvere quel conflitto interiore perché mi stava portando alla pazzia. Mi ero sempre considerato una persona dalla mentalità aperta, così decisi di sottoporre le dichiarazioni di Cristo all'esame finale. Una notte nella mia casa di Union City, Michigan, alla fine del mio secondo anno di università, diventai un cristiano. Qualcuno potrebbe dire: "Come sai che sei diventato cristiano?" Ero lì! Mi trovai da solo con un amico credente e insieme pregammo quattro cose che stabilirono la mia relazione con Dio.

Per prima cosa dissi: "Signore Gesù, grazie per essere morto sulla croce per me." Mi resi conto che seppure fossi stato l'unica persona sulla faccia della terra, Cristo sarebbe comunque morto per me. Voi potreste pensare che fu l'irrefutabile evidenza intellettuale che mi portò a Cristo. No, l'evidenza fu solo il modo che Dio usò per varcare la porta della mia vita. Ciò che mi portò a Cristo fu la consapevolezza che Egli mi aveva amato talmente tanto da morire per me.

La seconda cosa che dissi in preghiera fu: "Confesso che sono un peccatore." Nessuno doveva dirmelo. Sapevo che c'erano cose nella mia vita che erano incompatibili con un Dio santo e giusto.

La Bibbia dice: «Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Giovanni 1:9). Così dissi: "Signore, perdonami."
Per terza cosa dissi: "In questo momento, nel modo più totale che conosco, apro la porta della mia vita e metto la mia fiducia in Te come Salvatore e Signore. Prendi il controllo della mia vita. Cambiami dall'interno verso l'esterno. Fa di me il tipo di persona che volevi fossi quando mi hai creato."

L'ultima cosa che dissi in preghiera fu: "Grazie per essere entrato nella mia vita."

Dopo che ebbi pregato, non accadde nulla. Non ci fu nessun fulmine. Non mi spuntarono le ali di un angelo. Anzi, se proprio accadde qualcosa fu che mi sentii peggio dopo quella preghiera, quasi un malore fisico. Avevo paura di aver preso una decisione emotiva di cui mi sarei pentito razionalmente. Ma più che questo, avevo paura di cosa avrebbero pensato i miei amici quando lo avrebbero scoperto. Mi sentivo veramente come se avessi perso la testa.
Ma nei diciotto mesi seguenti la mia intera vita fu trasformata. Uno dei maggiori cambiamenti avvenne nel modo in cui guardavo le persone.

A volte trovavo mia madre nel fienile, distesa nel letame dietro le mucche. Lì mio padre l'aveva picchiata con un tubo fino a che non riusciva più ad alzarsi. Bollivo di rabbia mentre giuravo a me stesso: "Quando sarò abbastanza forte, lo ucciderò."

Durante il periodo dell'università avevo fatto i piani per i successivi venticinque anni della mia vita. Il mio obiettivo maggiore era quello di diventare il governatore del Michigan. Avevo programmato di raggiungere il mio scopo usando le persone per ascendere la scala del successo politico, vedevo le persone come strumenti. Ma dopo che ebbi creduto in Cristo, il mio modo di pensare cambiò. Invece di usare gli altri per servire me stesso, volevo essere usato per servire gli altri. Concentrarmi sugli altri, invece che su me stesso, fu un cambiamento straordinario nella mia vita. Un'altra area che cominciò a cambiare fu il mio brutto temperamento. Andavo su tutte le furie facilmente, anche se qualcuno mi guardava solamente. Ho ancora le cicatrici per aver quasi ucciso un uomo durante il mio primo anno di università. Questo temperamento era talmente radicato che non cercavo coscientemente di cambiarlo. Ma un giorno, davanti ad una crisi che normalmente mi avrebbe fatto perdere le staffe, mi resi conto che il mio brutto temperamento non c'era più. Non sono perfetto in questo, ma quel cambiamento nella mia vita è stato forte e significativo.
Forse il cambiamento più significativo avvenne nel campo dell'odio e dell'amarezza. Ero cresciuto pieno di odio, soprattutto verso un uomo che odiavo più di ogni altra persona sulla faccia della terra. Disprezzavo tutto ciò che quest'uomo rappresentava. Mi ricordo come da piccolo stavo nel mio letto la notte e tramavo come uccidere quell'uomo senza essere preso dalla polizia.

Quell'uomo era mio padre.

Durante la mia infanzia e adolescenza mio padre era l'ubriaco del paese. Raramente l'ho visto sobrio. I miei amici a scuola scherzavano su come mio padre stava disteso sul marciapiede nel centro del paese, rendendosi ridicolo davanti a tutti. I loro scherzi mi ferivano profondamente, ma non lo feci mai sapere a nessuno. Ridevo con loro. Tenevo nascosto il mio dolore. A volte trovavo mia madre nel fienile, distesa nel letame dietro le mucche. Lì mio padre l'aveva picchiata con un tubo fino a che non riusciva più ad alzarsi. Bollivo di rabbia mentre giuravo a me stesso: "Quando sarò abbastanza forte, lo ucciderò." Quando papà era ubriaco e qualcuno veniva a farei visita, lo prendevo per il collo, lo trascinavo nel fienile e lo legavo. Poi parcheggiavo il suo furgone dietro al silo e dicevo a tutti che era andato ad una riunione, così non poteva mettere in imbarazzo la nostra famiglia. Mentre gli legavo le mani e i piedi, allentavo un pò la corda intorno al collo, sperando che nel tentativo di liberarsi si sarebbe strozzato.
Due mesi prima del mio diploma, rientrai a casa dopo esser uscito con una ragazza e sentii mia madre piangere. Corsi nella sua stanza e lei si sedette sul letto.

"Figlio mio, tuo padre mi ha spezzato il cuore", disse. Mi abbracciò e mi strinse a sé. "Ho perso la voglia di vivere. Tutto ciò che voglio è vivere fino al tuo diploma, poi voglio morire."

Due mesi dopo mi diplomai e il venerdì successivo mia madre morì. Credo che morì di crepacuore. Odiavo mio padre per quello. Se non fossi andato via da casa per l'università, dopo il funerale, avrei potuto ucciderlo.
Ma dopo aver deciso di mettere la mia fiducia in Gesù come Salvatore e Signore, l'amore di Dio inondò la mia vita. Egli prese l'odio per mio padre e lo capovolse. Cinque mesi dopo essere diventato cristiano, mi ritrovai a guardare mio padre dritto negli occhi e dire:
"Papà, ti voglio bene."

Non volevo amare quell'uomo, ma lo feci. L'amore di Dio aveva cambiato il mio cuore.
Dopo essermi trasferito all'università di Wheaton, fui vittima di un grave incidente stradale causato da un uomo ubriaco. Per la convalescenza dopo l'ospedale andai a casa e mio padre venne a trovarmi. Stranamente, era sobrio quel giorno. Sembrava a disagio, camminava avanti e indietro per la stanza.

Poi esplose: "Come puoi voler bene ad un padre come me?"
Dissi: "Papà, sei mesi fa ti odiavo, ti disprezzavo. Ma ora ho messo la mia fede in Gesù Cristo, ed Egli ha cambiato la mia vita. Non posso spiegare tutto, papà. Ma Dio ha portato via l'odio che avevo nei tuoi confronti e lo ha sostituito con l'amore."

Parlammo per circa un'ora, poi lui disse: "Figlio mio, se Dio può fare nella mia vita quello che Gli ho visto fare nella tua, allora voglio dargliene l'opportunità. " Pregò: "Dio, se Tu sei davvero Dio e se Gesù è morto sulla croce per perdonarmi per quello che ho fatto alla mia famiglia, ho bisogno di Te. Se Gesù può fare nella mia vita ciò che Gli ho visto fare nella vita di mio figlio, allora voglio credere in Lui come Salvatore e Signore." Udire mio padre fare questa preghiera fu una delle gioie più grandi della mia vita. Dopo aver creduto, ci vollero dai sei ai diciotto mesi perché la mia vita iniziasse a cambiare. Ma la vita di mio padre cambiò proprio davanti ai miei occhi. Era come se qualcuno lo avesse toccato e avesse acceso una luce in lui. Toccò l'alcool solo una volta dopo quel giorno. Portò il bicchiere solo vicino alle labbra e basta, dopo quarant'anni di alcolismo! Non ne aveva più bisogno. Quattordici mesi dopo, morì a causa delle conseguenze dell'alcolismo. Ma in quel periodo di quattordici mesi, più di cento persone nella zona intorno al mio piccolo paese diedero la loro vita a Gesù Cristo in seguito al cambiamento che videro nell'ubriaco del paese, mio padre.
Puoi ridere del cristianesimo. Puoi fartene scherno e riderei sopra. Ma funziona. Se credi in Gesù, comincia a guardare i tuoi atteggiamenti e le tue azioni, Gesù Cristo lavora per cambiare le vite. Il cristianesimo non è qualcosa che devi inghiottire per forza. Tu hai la tua vita e io ho la mia. Tutto ciò che posso fare è dirti quello che io ho imparato e sperimentato, dopo di che cosa farai con Cristo è una tua decisione.

Forse la preghiera che io ho fatto ti aiuterà: "Signor Gesù, ho bisogno di Te. Grazie perché sei morto sulla croce per me. Perdonami e purificami. Proprio in questo momento mi affido a Te come Salvatore e Signore. Fa di me la persona che volevi io fossi quando mi hai creato. Nel nome di Cristo. Amen."
JOSH McDOWELL

SOMMARIO

Sommario
Prefazione
Proemio
Guida all'uso
Spiegazione del formato generale
Ringraziamenti

Egli ha cambiato la mia vita
Come la relazione con Cristo ha trasformato la vita dell'autore

Introduzione
Una fede basata sui fatti. Una fede intelligente. Idee sbagliate sul cristianesimo. Opinioni generali celate dietro tali idee.

PARTE PRIMA: IL CASO BIBBIA

1 L'unicità della Bibbia
Una persona intelligente che cerca la verità di certo leggerà e prenderà in considerazione un libro con le qualifiche storiche della Bibbia.
Qualifiche uniche che pongono la Bibbia al di sopra di ogni altro libro mai scritto.

2 Come ci è arrivata la Bibbia
I materiali utilizzati. Le divisioni della Bibbia. Perché proprio trentanove libri nel Vecchio Testamento e ventisette nel Nuovo? Egli apocrifi? Perché non altri libri?

3 Il Nuovo Testamento è affidabile storicamente?
Le analisi effettuate su tutta la letteratura antica per determinarne l'affidabilità. Come si può confermare il Vecchio Testamento? Ritrovamenti archeologici che confermano il Nuovo Testamento.

4 Il Vecchio Testamento è affidabile storicamente?
Esame bibliografico. Esame di evidenza intrinseca. Evidenze archeologiche che dimostrano la veridicità del Vecchio Testamento.

PARTE SECONDA: Il CASO GESÙ

5 Gesù, figura storica
Documentazioni storiche extrabibliche su Gesù di Nazareth.

6 Se Gesù non è Dio, allora merita un oscar
Il carattere di Cristo e le Sue dichiarazioni di essere Dio. Enfasi su fonti secolari e giudaiche.

7 Significato della deità: il trìlemma- Signore, simulatore o squilibrato?
Se ciò che il Nuovo Testamento racconta di Gesù è preciso storicamente, ci restano solo tre scelte logiche sulla Sua identità.

8 Una colonna della deità: le profezie dell' Antico Testamento adempiute nella persona di Cristo
Illustrazione delle probabilità che tutte le profezie si potessero adempiere in un solo uomo in risposta a chi afferma criticamente: "Non è che una coincidenza". Enfasi sulle fonti giudaiche che sono una risposta alle accuse: "Questo è il modo in cui la vedono i cristiani, ma i giudei?"

9 Una colonna della deità: la resurrezione. scherzo o storia?
Questa parte sulla resurrezione di Cristo, ampiamente documentata, rifiuta le teorie che vogliono screditare il miracolo della resurrezione.

10 Una colonna della deità: La grande dichiarazione
L'ipotesi "se... come" applicata a Cristo: "Se Dio si fosse fatto uomo, come sarebbe stato?"

Citazioni e riflessioni di grandi cristiani e non cristiani sulla persona, il carattere, la vita e la morte di Gesù di Nazareth, e sul Suo grande impatto sul mondo da duernila anni:

PARTE TERZA: IL CASO CRISTIANESIMO

Sezione 1°. Introduzione
Questa sezione tratta l'ispirazione della Bibbia, l'anti-soprannaturalismo e l'archeologia. Tutti e tre gli argomenti si riferiscono all'ipotesi documentari sta e alla Critica delle forme. Di conseguenza, sono trattate all'inizio piuttosto che alla fine delle due sezioni seguenti.

11 La Bibbia viene da Dio?
La prima parte prima presenta la tesi in base alla quale la Bibbia è storicamente precisa. Si discute poi la tesi sull'affidabilità della Bibbia in quanto ispirata da un Dio perfetto.

12 Il presupposto dell'antì-soprannaturalismo
Una presentazione dei presupposti sia dei documentaristi che dei critici delle forme.
Spesso le conclusioni che pretendono di essere obiettive storicamente sono condizionate da visioni del mondo soggettive.

13 L'archeologia e la critica della Bibbia
Una discussione sui contributi e sulle influenze dell'archeologia alla critica.

Sezione 2°. Ipotesi documentarista
La materia della critica letteraria applicata al Pentateuco viene esaminata mettendo in evidenza Mosé quale autore degli scritti in esame.

14 Introduzione all'ipotesi documentarista
Qual è l'ipotesi documentarista? Cosa sono i documenti "JEDP"?

15 Introduzione alla critica della Bibbia
Definizione della critica biblica e spiegazione delle diverse scuole di critica.

16 Introduzione al Pentateuco
Lo scopo e l'importanza dei primi cinque libri.

17 Lo sviluppo dell'ipotesi documentarista
Una descrizione delle varie teorie documentariste e delle loro revisioni moderne.

18 Le regole fondamentali
L'ambientazione orientale antica fornisce vari principi da applicare all'Antico Testamento.

19 I presupposti dei documentaristi
Un'analisi dei quattro presupposti documentaristi basilari:
(1) La priorità dell'analisi delle fonti rispetto all'archeologia;
(2) una visione naturalista della storia e della religione
di Israele;
(3) la teoria in base alla quale non esisteva la scrittura ai tempi di Mosè; e
(4) la visione mitologica della narrativa dei patriarchi.

20 Le conseguenze della critica radicale superiore
Una discussione sui risultati della visione della storia di Israele come non storica, fraudolenta e naturalistica.

21 L'evidenze della paternità mosaica
Le testimonianze intrinseche ed estrinseche della paternità mosaica del Pentateuco.

22 Il fenomeno dei nomi di Dio
I vari usi dei nomi di Dio (Elohim, Yahweh, ed altri) messi in prospettiva.

23 La ripetizione presunta di resoconti e contraddizioni
Si dice che certe storie nel Pentateuco siano ripetute, e che altre abbiano dettagli contraddittori

24 Incongruenze

La scrittura in terza persona e il racconto della morte di Mosè sono elementi incongruenti col fatto che Mosè è l'autore del Pentateuco.

25 La diversità intrinseca
Una discussione sulla diversità di contenuto, di stile e di lingua.

26 Conclusioni sull'ipotesi documentarista

Sezione III. La critica biblica e il Nuovo Testamento
Esame dei principi basilari della critica formale. Risposte pratiche ai presupposti basilari e alle conclusioni. La ricerca moderna del Gesù storico.

27 Introduzione alla Critica delle forme del Nuovo Testamento
Discussione sulla critica delle forme, il suo scopo e i suoi sostenitori.

28 Lo scetticismo storico
a Esame dell'attendibilità dei racconti sul Gesù storico.

29 Gesù otto il fuoco
Un esame delle ricerche storiche su Gesù e il traguardo del Jesus Seminar.

30 Conclusioni sulla critica delle forme
Uno sguardo al contributo e al limite dell'approccio della critica delle forme.

31 Teologia moderna e critica della Bibbia di C.S.Lewis

PARTE QUARTA: VERITÀ O CONSEGUENZE         
        
Nota personale dell'autore         
  32 La natura della verità         
  33 La conoscibilità della verità         
  34 Risposte al postmodernismo        
  35  Risposte allo scetticismo         
  36 Risposte all'agnosticismo         
  37 Risposte al misticismo         
  38 Certezze e convinzioni         
  39 Un'apologia dei miracoli         
  40 La storia è conoscibile?   
    

Bibliografia  
      

Note biografiche di autori scelti   
     

Indice degli autori
        

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Le quattro leggi spirituali
        

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ANTICHITÀ GIUDAICHE - Giuseppe Flavio - Vol. I e II

moraldi

L'Autore LUIGI MORALDI (1915-2001), professore emerito di Lingue semitiche all'Università degli Studi di Pavia, considerato uno dei più importanti studiosi del Cristianesimo antico, è stato autore di contributi fondamentali sullo gnosticismo e sugli Apocrifi del Nuovo Testamento, nonché esegeta tra i più autorevoli dei manoscritti di Qumran. Ha curato numerosi volumi dei Classici delle Religioni editi da Utet.


GIUSEPPE FLAVIO

La prima edizione integrale 
in italiano delle Antichità Giudaiche
con 1'essenziale commento scientifico 
di Luigi Moraldi 


«Il migliore scrittore
che mai abbiano avuto gli ebrei,
il solo stimato dai romani e dai greci»
Voltaire, Dizionario filosofico

«Giuseppe Flavia è, per alcuni versi,
un nostro contemporaneo»
Luciano Canfora

Molte sono le motivazioni che possono spingere uno studioso a scrivere di storia. Tra queste, le ragioni, profondamente radicate, che mossero l'autore delle Antichità Giudaiche furono il bisogno di ordinare in uno scritto eventi ai quali egli prese personalmente parte e il fascino della grandezza di utili imprese rimaste neglette», Imprese ed eventi del passato da mettere in luce «a beneficio di tutti». Nato a Gerusalemme nel 37 d.C., Tito Flavio Giuseppe era figlio di una nobile famiglia di sacerdoti e ricevette un'educazione raffinata, che gli permise di assumere, negli anni della guerra giudaica, l'importante carica di governatore militare di Galilea. Dopo essere sopravvissuto, unico fra i ribelli, all'assedio della fortezza di Jotapata (nei pressi di Nazaret), fu condotto a Roma, dove divenne l'intellettuale di punta alla corte dell'imperatore Vespasiano guadagnandosi così, tra i contemporanei ebrei, la fama di traditore e apostata. Nelle Antichità Giudaiche, suo capolavoro e scritto più ambizioso, Giuseppe si cimenta nell'enorme impresa di presentare alla sua nuova patria romana le antiche vicende del suo popolo e della sua terra d'origine, a partire dalla creazione del mondo, per arrivare fino all'età della casata Giulio-Claudia e alle guerre combattute durante il regno di Nerone.

Gli ultimi dieci dei venti libri di cui è composta l'opera costituiscono una fonte irrinunciabile per far luce sugli eventi dell'antico Israele nelle età ellenistica e romana, che in molti casi Giuseppe è il solo storico a narrarci. Dalle eroiche vicende militari legate alla rivolta dei Maccabei. passando attraverso gli intrighi della dinastia di Erode, fino ad arrivare agli anni di tensione politica e di fermento religioso in cui vissero e predicarono Giovanni Battista e Gesù Cristo, le Antichità Giudaiche raccontano luoghi ed epoche che furono teatro di svolte epocali per la storia del mondo antico.

1 VOLUME (Presenrazione)

I primi dieci libri dei venti di cui è composta l'opera corrono paralleli alla narrazione biblica del Pentateuco e dei Libri Storici, e costituiscono un'irrinunciabile raccolta di materiale di confronto per lo studio della storia del canone vetero-testamentario. Dalla creazione del mondo secondo la Genesi fino alla cattività babilonese e alle profezie di Daniele a Babilonia, Giuseppe ripercorre il momento in cui il mito delle origini del mondo si fonde con la realtà storica dell'antico Israele.

2 VOLUME (Presenrazione)

Gli ultimi dieci dei venti libri di cui è composta l'opera costituiscono una fonte irrinunciabile per far luce sugli eventi dell'antico Israele nelle età ellenistica e romana, che in molti casi Giuseppe è il solo storico a narrarci. Dalle eroiche vicende militari legate alla rivolta dei Maccabei. passando attraverso gli intrighi della dinastia di Erode, fino ad arrivare agli anni di tensione politica e di fermento religioso in cui vissero e predicarono Giovanni Battista e Gesù Cristo, le Antichità Giudaiche raccontano luoghi ed epoche che furono teatro di svolte epocali per la storia del mondo antico.

Lato A - Copertina Vol. I

GIUSEPPE FLAVIO
ANTICHITÀ
GIUDAICHE
a cura di Luigi Moraldi

"Vedendoli così stranamente impazziti, Dio pensò di non doverli distruggere, visto che dall'eccidio dei primi non avevano ancora imparato a fare senno. Gettò in loro la discordia delle lingue, facendoli parlare lingue diverse, e tale varietà li rese l'un l'altro ìnìntellegìbìlì. Il luogo ove fabbricarono la torre adesso si chiama Babilonia per la confusione sorta nella parlata primitiva allora comprensibile a tutti; gli Ebrei infatti chiamano "babel" la confusione". (pag. 67)

volume primo

Lato A - Copertina Vol. II

GIUSEPPE FLAVIO
ANTICHITÀ
GIUDAICHE
a cura di Luigi Moraldi

"In quel tempo visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani". (pag. 1116 - 1117)

volume secondo

Dal Vol. II - Morte di Giacomo fratello carnale di Gesù Cristo (pag. 1246 - 1247)

Dinastia da Anano, martirio di Giacomo fratello di Gesù

IX, Venuto a conoscenza della morte di Festo, Cesare inviò Albino80 come procuratore della Giudea. Il re poi allontanò Giuseppe dal sommo sacerdozio e gli diede come successore nell'ufficio il flglio di Anano, il quala di chiamava anch'egli Anano | Del vecchio Anano81 si dice che fu estremamente felice; poiché ebbe cinque figli e tutti, dopo di lui, godettero di quell’ufficio per un lungo periodo, divenendo sommi sacerdoti di Dio; un fatto che non accadde mai ad alcuno dei nostri sommi sacerdoti. | Il più giovane Anano che, come abbiamo detto, designato al sommo sacerdozio, era una persona di indole franca e oltremodo adirata. Seguiva la scuola dei Sadducei, che, in verità, quando sedevano in giudizio erano più insensibili degli altri Giudei, come già82 accennato.

Con il carattere che aveva, Anano pensò di avere un’occasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggi: così convocò i giudei del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo83, fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo, e serti altri, con l’accusa di avere trasgredito la legge, e li consegnò perché fossero lapidati. | Ma le persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti della legge si sentirono offese da questo fatto. Perciò inviarono segretamente (legati) dal re Agrippa supplicandolo di scrivere una lettera ad Anano che il suo primo passo non era corretto, e ordinando gli di desistere da ogni ulteriore azione.

Alcuni di loro andarono a incontrare Albino che era in cammino per Alessandria informandolo che Anano non aveva alcuna autorità a convocare il Sinedrio senza il suo assenso. | Convinto da queste parole, Albino inviò una lettera sdegnata ad Anano minacciandolo che ne avrebbe portato la pena dovuta. E il re Agrippa , a motivo delle sua azione depose Anano dal sommo pontificato che aveva da tre mesi, sostituendolo con Gesù figlio di Damneo.

 

83. Giacomo ... e certi altri: si tratta dei primi membri dell’incipiente comunità giudeo-cristiana; non vi sono dubbi sull’autenticità del testo: è il più antico inquadramento storico del martirio di Giacomo, spiega l’assenza del legato, e il suo sdegno per il grave atto compiuto: cfr. Atti 12:17; 15:13; 21:18; non solo, ma illumina la brevità delle parole di Luca, autore degli Atti degli Apostoli. Su Giacomo vedi anche L. MORALDI, Apocalissi gnostiche cit. pp. 34-61

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