VOL. X - STORIA CRIMINALE DEL CRISTIANESIMO: Il XVIII secolo e uno sguardo sul periodo successivo
L'Autore Karlheinz Deschner (Bamberga, 23 maggio 1924) è uno storico e scrittore tedesco. Si è distinto principalmente per le sue opere storiografiche di natura critica nei confronti della chiesa cattolica e del cristianesimo, in particolare la sua Storia criminale del cristianesimo, prevista in 10 tomi.
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Retrocopertina
Dio cammina nelle scarpe del Diavolo. Questo pensiero ha determinato il mio lavoro, la mia vita», scrive Karlheinz Deschner nel primo volume della «Storia criminale del Cristianesimo», che appare nel 1986. Ispirato da questa immagine, Deschner aveva offerto la «Storia criminale» alle edizioni Rowohlt già nel 1970: 320 pagine che dovevano uscire nel 1973. In seguito sarebbero diventate qualcosa di molto più grande: un'opera monumentale, prevista in dieci volumi. E adesso, più di un quarto di secolo dopo l'uscita del primo volume, egli l'ha completata.
Dalla preistoria pagana ed ebraica del cristianesimo, attraverso la Chiesa antica, fino alle crociate; dalla caccia alle streghe nel medioevo, attraverso il genocidio in America Latina fino alla conclusiva separazione di Chiesa e stato, l'Opus magnum di Deschner presenta in circa 6000 pagine un incomparabile lavoro di ricerca. Scritti in modo brillante, questi dieci volumi espongono, grazie ad intensi studi, fatti accertati che non vengono contestati neanche dagli avversari di Deschner.
Il presente decimo volume è dedicato al tramonto del papato e alla graduale separazione di Chiesa e stato, nella preistoria della quale vengono di nuovo versati, in continui conflitti, fiumi di sangue, come per esempio nella lotta del potere cristiano e di quello temporale per la Scandinavia, oppure, più a sud, nelle battaglie del principe Eugenio, il «custode della cristianità» assetato d'oro. Anche questo volume conferma con il suo piacere del dettaglio, con la sua esattezza e il suo rigore critico, come Deschner possa essere a buon diritto considerato il «pensatore più intransigente dell'ambito culturale di lingua tedesca» (Die Weltwoche) - e il più importante critico della Chiesa del nostro tempo.
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Ma ammettiamo - così scrissi già molto tempo fa e adesso vorrei ripeterlo, non solo perché mi fruttò un processo (archiviato per irrilevanza penale) ... - ma ammettiamo che gli ideali del vangelo siano assai elevati e che non si possano condannare la Chiesa e i cristiani perché non realizzano questi ideali del tutto, non a metà o, se volete, ancora meno. Ma si concepisce il concetto di umano, troppo umano in maniera eccessivamente ampia quando secolo dopo secolo, millennio dopo millennio si realizza esattamente il contrario, in breve, quando per tutta la propria storia ci si dimostra come la quintessenza, l'incarnazione personificata e l'assoluta vetta della criminalità della storia universale! Una criminalità accanto alla quale perfino un ipertrofico aguzzino come Hitler appare quasi come un galantuomo, poiché egli almeno predicò fin dall'inizio la violenza e non, come la Chiesa, la pace! ...
... Dove altro esiste questa miscela soffocante di ululati di lupi e fiautate invocazioni di pace, annunci natalizi e roghi ardenti, leggende sacre e storie di carnefici? Dove le universali tiritere sull'amore e l'odio che inghiotte praticamente ogni cosa? Dove una religione che per amore uccide, per amore tortura, per amore rapina, estorce, disonora, calunnia e condanna? È diventata la grande, beatificante prassi del Cristianesimo, la peste dilagante dei millenni. In una parola: il Cristianesimo è diventato l'Anticristo. Quel diavolo che ha dipinto alle pareti, era lui stesso! Quel male che ha preteso di combattere, era lui stesso! Quell'inferno del quale ha agitato la minaccia, era lui stesso! Di tutti i mali è diventato il male peggiore: non perché gli altri fossero stati meno cattivi, ma perché non poterono esserlo così a lungo, così intensivamente, perché non raggiunsero un tale potere sul popolo, il quale attraverso stregonerie, attraverso latino e menzogne, con pathos pastorale, i gesti della sacralità, gli orrori e le delizie dell' aldilà, si lasciò incantare e sbigottire e trascinare a qualsiasi crimine, poiché accadeva solo in nome di Dio (e a nome loro), il quale permetteva tutto, rendeva tutto facile, tutto possibile, lavandosi le mani nell'innocenza, salvando la propria pelle, riempiendo la propria saccoccia ...
K. Deschner, ivi (p. 164-65)
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PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA
di Carlo Pauer Modesti
Come spiega lo stesso Deschner nella postilla di questo volume, la Storia criminale del Cristianesimo si ferma sulla soglia della Rivoluzione francese. Per l'Autore, con un infarto alle spalle, corrisponde all' orizzonte dei novant' anni, vissuti con generosità intellettuale, quantunque segnati dall'ansia per l'instabile condizione economica di outsider, e di cui si può leggere una breve ricognizione nell' intervento che chiude le pagine di questo libro. Un testo inevitabilmente conclusivo dunque, di cui tra i vari capitoli, mentre stampa e tv officiano perinde ac cadaver le gesta del nuovo Pontifex maximus italo-argentino, non si può non prendere spunto per qualche considerazione il VI°, intitolato "Il declino del papato".
I
I lettori più appassionati - da quando tredici anni or sono fu dato alle stampe il primo volume dell'edizione italiana - hanno seguito un lungo racconto della religione cristiana concepito, programmaticamente, a partire dai conflitti, dalle divisioni, dagli scismi e dalle guerre benedette sotto l'insegna della croce, sventolata da entrambe le parti in lizza. Le discussioni "accese" trapelano già dalla letteratura canonica (vangeli, atti, lettere), quali reliquie imbarazzanti di un'origine e di una "chiesa antica" lontana gli anni luce dall'immagine idilliaca patrocinata dai papi romani del millennio susseguente. Lo scontro durissimo del gruppo gerosolimitano con "l'alieno" Paolo è passato alla storia - mediante l'aggiunta di saccarosio - come "Incidente di Antiochia", la cui fonte primaria, peraltro, è Paolo stesso (cfr. Gal. 2,11).
Che cosa rivelano all'indagine storica questo e altri snodi "controversi" della vicenda? Molto semplicemente che a Giacomo, il maggiore dei fratelli di Gesù e capo della comunità primitiva, le deviazioni estreme della predicazione paolina non piacciono poiché per nulla coerenti con gli insegnamenti di suo fratello (cfr. Mt. 10,5). Al centro della disputa c'è proprio la contraffazione dell'immagine e del significato del defunto Gesù, oggetto della contaminazione "visionaria" di Paolo, sospetto portatore sano di agenti patogeni greco-romani, cioè di una prospettiva teologica blasfema anticamera del politeismo. L'opposizione di Giacomo, detto anche il Giusto, è originata dalla profonda fede nel monoteismo ebraico, la stessa di suo fratello che MAI si sarebbe proclamato una parte di quell'ircocervo che più tardi convergerà nel dogma trinitario niceno, sintesi obbligata dell'aspro conflitto sulla "natura del cristo" e sui significati messianici della predicazione gesuana, contesa avviata trecento anni prima per l'appunto dal folgorato di Damasco.
Oltre all'annichilimento del Gesù storico, di cui si avvia la riscoperta progressiva dal XVIII sec., uno dei prodotti più atroci di questo pastiche paolin-teodosianio è, çava sans dire, la persecuzione degli ebrei, contrassegnata da un lungo filo nero che, per l'eterogenesi dei fini, s'intreccia con il Mein Kampf e dirompe nell'orrore dei campi nazisti a metà del XX secolo. L'altro effetto bieco, edificato sulla base dell'interpolazione di Mt. 16,18, è il regno del papa e il ruolo stesso del suo indiscutibile\infallibile monarca, rigettato dalla Chiesa orientale (1054) e smascherato definitivamente da Lutero (1517), che nel suo programma teologico pone come arco di volta la restaurazione del potere sovrumano e imperscrutabile di Dio. Secondo il monaco agostiniano, infatti, il Signore è ridotto a un burattino nelle mani del sedicente vicario, il quale in suo nome mercanteggia salvezza e perdono, giudicando in Terra con la "confortevole" prassi: due pesi e due misure.
La lunga opera di prosciugamento dell'autorità divina, di corruzione e mondanizzazione della chiesa, aveva raggiunto l'apoteosi negli anni che vanno da Gregorio VII, autore del Dictatus papae (1075), a Bonifacio VIII, ideologo della bolla Unam Sanctam (1302), cioè l'epoca durante la quale si definisce e s'impone l'identificazione di un'organizzazione politica (la curia romana) con lo stesso concetto di Dio. In buona parte la legiferazione autocratica di Roma è conseguente alle reciproche scomuniche tra Leone IX e Michele I Cerulario, e contro Bisanzio si propone l'intento di consolidare il potere in occidente, trasformando definitivamente la chiesa universale (ormai spaccata in due) in un impero teocratico governato da un sovrano assoluto, del quale ineluttabilmente si arriva a delineare per la prima volta la personale infallibilità. L'esito di tale operazione non è quello auspicato. Com'è noto, a cavaliere dei secoli XIV e XV, la cristianità vede apparire sulla scena due e poi anche tre papi simultaneamente.
Per porre un argine all'assurda circostanza, l'imperatore Sigismondo di Lussemburgo convoca il Concilio di Costanza (5 novembre 1414), suggellato dal rogo di Jan Hus (1371-1415), teologo boemo seguace delle tesi riformatrici del collega britannico John Wyclif (1320-1384). Mentre il papa ritorna a essere uno (Martino V) e il concilio si pronuncia affermando (vanamente) la propria superiorità sul pontefice, sotto le ceneri di Hus arde la brace della critica radicale al papato che deflagra - cento anni dopo - provocando lo scisma della riforma protestante. Lo scontro è violentissimo, Lutero accusa il papa di essere l'Anticristo previsto da Paolo in 2Ts. 2,3: "L'uomo iniquo, figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio additando se stesso come Dio". La dura e violenta reazione di Roma, che ha perduto l'Oriente e ora l'Europa settentrionale, passa simbolicamente dall' Alpe trentina, supportata dall'unico elemento positivo che è la coincidenza dello scisma con l'invasione cristiana del "Nuovo Mondo", durante la quale in un primo momento il cattolicesimo ha la meglio, forte degli eserciti spagnolo e portoghese al cui seguito sbarca una torma di agguerritissimi missionari.
Tuttavia, "Il declino del papato" è irreversibile e tra XVIII e XIX secolo gli eventi precipitano, fino alle cannonate del 20 settembre 1870 a Porta Pia e all'ingresso delle truppe piemontesi nella Roma di Pio IX, asserragliato contro il mondo e consapevole che tutto è perduto, perciò costretto, davanti alla perdita dello Stato e del potere temporale, a corazzare la sua persona e blindare il papato come mai nessuno prima di luinei precedenti mille anni. Dopo l'ennesimo delirio mariano, Mastai Ferretti pubblica l'enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864), nella quale attacca e condanna senza appello "le mostruose enormità delle opinioni che segnatamente dominano in questa nostra età" diffuse da "pestiferi libri, libelli e giornali sparsi per tutto il mondo, [che] illudono i popoli e maliziosamente mentiscono", additando poi la "cospirazione di avversari contro il cattolicesimo e questa Sede Apostolica" che ardiscono di propugnare "la libertà di coscienza". Contro di essa, Pio IX si scaglia richiamando l'intervento del predecessore Gregorio XVI, il quale nell'enciclica Mirari vas (1832) aveva già scritto: "Quell' assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza". Allegato della Quanta cura è il ed. Sillaba, un elenco "dei principali errori dell' età nostra", ovvero un compendio del rifiuto assoluto e definitivo della modernità. La mannaia clericale si abbatte con la solita violenza sull'umanità condannando il razionalismo, la libertà religiosa, il socialismo, il comunismo, la laicità dello stato e del diritto, l'autonomia morale dell'individuo, il liberalismo e il progresso. Stretto nella morsa letale dell'illuminismo, della rivoluzione scientifica, politica e industriale, Pio IX allestisce un concilio d'emergenza (il Vaticano I aperto 1'8 dicembre 1869) - il primo dopo Trento (1545-1563) - con l'obiettivo di fissare dogmaticamente il primato e l'infallibilità del papa, ultimo baluardo del potere cattolico arroccato dietro le mura leonine.
A questo punto la Chiesa e il papa s'identificano, fino a fondersi in un'agenzia politico-economica servita da un consiglio d'amministrazione di stretta nomina curiale, per sopravvivere in un mondo dove scema rapidamente, fino a scomparire del tutto, l'autorità minacciosa della morale cattolica, privata del tutto delle sue armi infantili come la paura dell' inferno. Il Vaticano del XX secolo è allora obbligato, nonostante gli strepiti del Sillaba, a mendicare accordi politici con i governi (meglio se dittature) per tentare d'imporre attraverso le legislazioni dei Paesi dove è discretamente presente la propria nefasta dottrina medievale (magari come "religione di Stato"), provando - attraverso la subdola azione di politici corrotti nei parlamenti e ben pronti a tradire il mandato laico - a trasformare il peccato in reato penale, il catechismo in legge civile. Intanto, facilitato dalle moderne tecnologie e convinto assertore del celebre detto nemico "Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla montagna", il papa si vende come surrogato di Cristo in giro per il mondo, rilanciando un inedito culto papolatrico e cercando di attizzare i bassi istinti della pietà popolare.
L'anziano Roncalli, promotore del secondo concilio Vaticano, dà il la con il viaggio del 4 ottobre 1962 a Loreto e Assisi, ovviamente a bordo di un treno presidenziale italiano, accompagnato dal Presidente del Consiglio Fanfani. Lungo il percorso, ali di folla scortano il passaggio del convoglio segnando un trionfo oltre ogni previsione. L'idea di Giovanni XXIII - formatosi come ambasciatore di Pacelli in Bulgaria, Grecia, Turchia e nella Francia di Vichy - è di accogliere le nuove forme della comunicazione nella società di massa, andando oltre il primo passo del documentario Pastor Angelicus, dove Pio XII recitava la parte di se stesso provando a contrapporre, con gli stessi mezzi della propaganda di celluloide, la propria immagine a quelle di Hitler e Mussolini che avevano imperversato sugli schermi attraverso le produzioni UFA e Luce nel decennio precedente. Il successore Montini - già inviso a Pacelli e creato cardinale dall'amico Roncalli - accelera decisamente, approdando a Gerusalemme in un viaggio di forte impatto mediatico (4-6 gennaio 1964), mentre è in corso la faticosa prosecuzione del concilio. Seguiranno Bombay, New York (con discorso all'ONU), Fatima, Istanbul, Bogotà, Ginevra, l'Uganda e infine l'ultimo viaggio dal 26 novembre al 5 dicembre 1970 nelle Filippine (a Manila fu oggetto di un attentato da parte di un fanatico boliviano) e poi: Samoa, Sidney, Giacarta, Hong Kong e Colombo (Sri Lankà), Poca cosa al confronto della pop-star Karol J6zefWojtyla, che tra il gennaio 1979 e l'agosto 2004 realizza 103 viaggi col nome di Giovanni Paolo II (1978-2005), di cui fra gli altri nove nella "sua" Polonia, otto in Francia, sette negli USA, cinque in Messico e Spagna, quattro in Brasile, Portogallo e Svizzera. Nel 1998 riesce a visitare una stremata Cuba, ma la "separata" Russia e la strategica Cina restano ambitissime mete inaccessibili, la Pechino di Matteo Ricci (1552-1610) è un lontano inarrivabile ricordo.
Appena oltre venti sono invece i viaggi internazionali del successore Benedetto XVI, protagonista di un pontificato all'ombra del gigante dello spettacolo mediatico (e di cui fu mastino dell'ortodossia), segnato da "incidenti" memorabili e imbarazzanti "smentite", e che sorprende il mondo quando improvvisamente l' 11 febbraio 2013, di fronte a un attonito Collegio cardinalizio, annuncia in latino: "Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. [ ... ] Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell' animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro". È un suggello del lungo "declino del papato"?
II
Il pontificato di Ratzinger (2005-2013) prosegue l'azione di restaurazione post-conciliare avviata da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Il tentativo del teologo Benedetto XVI è tanto ardito, quanto inevitabile e - dal suo punto di vista - onesto intellettualmente: ripristinare l'autorità incontestabile della Verità cattolica su tutte le altre "verità", espressione della "dittatura del relativismo" che affligge la cultura contemporanea, propugnando Urbi et Orbi l'intransigenza politica della Santa Sede a proposito di "valori non negoziabili". La proposta indecente è riassunta dallo stesso papa nel ribaltamento del celebre adagio di Hugo Grotius et si Deus non daretur, in veluti si Deus daretur, cioè tutti (specie gli atei e gli agnostici) devono agire come se Dio esistesse, ed è ovvio che per Dio s'intenda quello della Chiesa cattolica. Le parole - adeguate ai tempi - sono solo apparentemente diverse da quelle di Gregorio XVI e Pio IX, il significato è il medesimo: la coscienza individuale ha un limite e non solo per i cattolici. Infatti, le indicazioni del papa romano su questioni morali essenziali provengono dall'unica agenzia universale super partes perché governata dall'infallibile "vicario di Cristo" e dunque dirette all'umanità tutta. Benedetto XVI, in materia di "libertà di coscienza" smentisce così il giovane Joseph Ratzinger quando, all'indomani del Concilio Vaticano II, scriveva: "Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dell' autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell'autorità ecclesiastica."
In sostanza, divenuto papa, Ratzinger si rende conto che per arrestare il declino della funzione attribuitagli dal conclave così com'è venuta a disegnarsi nei secoli, fino all'assolutismo definito dogmaticamente nella Pastor Aeternus, il "successore di Pietro" (col macigno di Mt. 16) deve rinnegare Pietro, il quale aveva chiaramente affermato: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (cfr. At. 5,29), parole "sante" che il quarantenne teologo bavarese alla fine degli anni Sessanta si guardò bene dal negare.
Il "gran rifiuto" va dunque iscritto all'interno di questo irriducibile conflitto tra sacra scrittura e magistero della gerarchia ecclesiastica romana. La crociata di Benedetto XVI fallisce con la deposizione delle armi, ritenute evidentemente inadeguate per affrontare la società globale pienamente secolarizzata del XXI secolo, quando la teologia economica, che si autocertifica come "scienza", in nome del monoteismo liberista s'è scrollata di dosso ogni altra teologia insieme ai relativi custodi, ivi compreso il pontefice romano. Per tenere insieme magistero e scritture, il papa nel corso della sua storia è stato trasformato illusoriamente in un superuomo, così che il monito di Pietro "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini", potesse magicamente apparire rispettato. Se, infatti, il papa è un po' più che uomo e un po' meno che Dio, quando in At. 5,29 si parla di "uomini", si deve intendere tutti tranne uno, l'ibrido tra uomo e Dio che è appunto "il santo padre". Con le dimissioni di Ratzinger, che qualche dubbio angoscioso su questa situazione l 'ha certamente avuto, il mito crolla e di là dagli imbarazzanti tentativi dei molti commentatori codini, la tragica resa dell' Il febbraio è una ferita teologica insanabile. Come la kriptonite con Superman, la potenza travolgente della globalizzazione ha schiantato il papa, novello Icaro bruciato dal Sole. Di qui al mimetismo inautentico del neoeletto e astuto gesuita Bergoglio, il passo è breve. Ed è un passo indietro. Richiudere il vaso di Pandora scoperchiato dall'incauto predecessore e ripercorrere le orme del carisma personale alla Wojtyla, per tentare di occultare la crisi irreversibile del papato, peraltro ora esposto alla divertita curiosità dell'Orbe attraverso la circolazione d'inedite fotografie che ritraggono DUE ineffabili Vescovi di Roma vestiti di bianco. Su questo, Fatima ha taciuto ...
Roma 20 settembre 2013
INDICE
- Prefazione all'edizione italiana
- Notizie sull'autore e sua bibliografia
- Nota all'edizione italiana
Storia criminale del Cristianesimo - tomo X
CAPITOLO I - Dalla storia scandalosa del nord
« ... Perché non c'è autorità se non da Dio, e dovunque ne esista una, essa è stabilita da Dio...».
- Morte e assassinio delle Élite,
- L'Unione di Kalmar (l397),
- Il Bagno di sangue di Stoccolma (1520),
- Gustavo I Vas a e «la pura parola di Dio»,
- La situazione danese,
- Guerra dopo guerra (2) ovvero «Guidare e governare come un re cristiano»,
- Note,
CAPITOLO II - Carlo XXII, re per grazia divina (1697-1718) e la Grande guerra del nord (1700-1721)
«... di buon umore» ovvero «... così che caddero come pecore al macello»,
- «Signore Gesù vivo per Te ...»,
- La guerra come «sport del re»,
- «Una piccola armata di cappellani militari svedesi era sempre presente»,
- Note,
CAPITOLO III - «Più luminoso del sole», un'occhiata al cristianesimo ortodosso
La «città santa» di Mosca, «la terza Roma»,
- Tortura, impalamento, decapitazione, preghiera ovvero «Siamo tutti uniti nell'amore cristiano!»,
- «Nel Tuo nome, Signore ...» ovvero I veri Nomi del Signore,
- Il «Periodo dei Torbidi»,
- Rivolta dopo rivolta; trono e altare ovvero «...li indebolì fino al midollo»,
- Note,
CAPITOLO IV - Il principe Eugenio, «nobile cavaliere», e la Guerra di successione spagnola,
Il principe Eugenio e «i nostri valori cristiani»,
- Passaggio alla casa d' Asburgo,
- Attacco nella capitale,
- «"Genio" per la guerra», «pazzia contro la pace»,
- I valori cristiani rendono bene,
- Ore fatali sui mucchi di cadaveri,
- Il capo degli alti traditori,
- Note,
CAPITOLO V - La Guerra dei sette anni
L'onnipotenza dello stato contro il potere centrale vaticano,
- Gallicanesimo, episcopalismo, giansenismo e assolutismo statale,
- Guerra perfino tra il papa e l'imperatore cattolico,
- Ancora la tradizione delle crociate?,
- La «rivoluzione diplomatica»,
- Sulla guerra umanizzata dell'epoca illumini sta,
- Ipocrisia in entrambi i campi,
- Note,
CAPITOLO VI - Il tramonto del papato
Nella palude del nepotismo,
- Crescente ostilità con la Francia cattolica,
- Il re cristianissimo umilia Innocenza Xl (1676-1698),
- «... il candidato più degno»,
- Altre «degne» figure del Sacro collegio,
- «... un'unica via crucis»,
- Note,
CAPITOLO VII - La persecuzione dei gesuiti. Lotta di potere interna
In Portogallo,
- In Francia,
- In Spagna,
- Meglio la guerra contro una grande potenza che un papa gesuita,
- Note,
CAPITOLO VIII - Il giuseppinismo - «Rivoluzione dall'alto»?
Le Chiese nazionali fino a Giuseppe II,
- La «madre del giuseppinismo»,
- Giuseppe
II ovvero «Il ridimensionamento dei grandi ...»,
- Certificati di tolleranza e «riduzione dei monaci»,
- «Questo puzza di dispotismo ...»,
- Note,
CAPITOLO IX - La povertà come fenomeno di massa nell'epoca dell'assolutismo
«... e una fitta tenebra grava sul paese»,
- Lasciate che i bambini vengano a me,
- «La disciplina del bastone»,
- Margini di guadagno,
- «Chi ama il prossimo suo come se stesso, non possiede più del prossimo suo» (il dottore della Chiesa Basilio),
- Deve essere uno strano piacere,
- Note,
- Postilla
- Herrnann Gieselbusch - Una miscela irresistibile: Karlheinz Deschner e Rowohlt
- Letteratura critica utilizzata
- Abbreviazioni
- Indice dei nomi
- Storia criminale del Cristianesimo. Panoramica dei volumi dall'I al IX
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