ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO

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ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO (249)

IL PROCESSO DI GESU' - Giorgio Jossa


RETROCOPERTINA

Chi ha condannato a morte Gesù, il sinedrio giudaico di Gerusalemme o il prefetto romano Ponzio Pilato? Per quale motivo Gesù è stato condannato: per motivi religiosi (la bestemmia) o per motivi politici (laesa maiestas)? Questa condanna è stata emessa nel rispetto delle forme legali o il processo si è svolto in una cornice di sostanziale illegalità? E la condanna è da ritenersi fondamentalmente giusta, o Gesù è stato vittima di un clamoroso errore giudiziario? A queste domande il volume di Giorgio Jossa offre una risposta che si distingue per competenza e grande equilibrio, fondata su una conoscenza non comune delle fonti originali, non soltanto neotestarnentarie ma anche giudaiche e profane, e su un confronto costante con i risultati della ricerca attuale e meno recente.

PREMESSA


Il processo penale di Gesù di Nazaret dinanzi al sinedrio giudaico e al governatore romano è uno di quegli avvenimenti della storia universale che non finiscono mai di interpellare drammaticamente la coscienza umana. Problemi storici, giuridici, politici, teologici, filosofici si uniscono e si intrecciano in un insieme straordinariamente complesso che richiama l'interesse non soltanto degli esegeti neo testamentari e degli storici del cristianesimo antico, ma anche degli storici del diritto (è di due anni fa l'ultimo libro di studiosi romanisti dedicato al processo) e degli studiosi della politica e della filosofia. Anche a prescindere dagli scritti che, pur in maniera estremamente suggestiva, utilizzando soprattutto il vangelo di Giovanni, esaminano la vicenda non nel suo carattere storico, ma nel suo carattere esemplare, paradigmatico (come il celebre L'assassinio di Cristo di W. Reich1 o il recente Il «crucifìge!» e la democrazia di G. Zagrebelsleyi;2 non si contano i libri che, dai diversi punti di vista, sono stati scritti su di esso. Il carattere del tutto particolare della documentazione in nostro possesso accresce ulteriormente questa complessità. Siamo informati abbastanza diffusamente sullo svolgimento del processo; molto più certamente che non su altri famosi processi del passato, da q uello di Socrate a quello di Paolo. Ma le nostre fonti, che sono quasi esclusivamente i quattro vangeli canonici di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, oltre ad essere più di una volta in contrasto l'una con l'altra, hanno una natura del tutto particolare. Esse presentano un amalgama così forte di informazione storica sulla vicenda di Gesù e di interpretazione di fede della sua persona da parte della comunità dei discepoli che la loro utilizzazione per una ricostruzione attendibile del processo ne risulta estremamente difficile.
Chi è che ha condannato a morte Gesù, i giudei (e più esattamente il tribunale giudaico del sinedrio di Gerusalemme) o i romani (e cioè il prefetto romano della Giudea Ponzio Pilato)? E per quale motivo Gesù è stato effettivamente condannato? Per motivi schiettamente religiosi: empietà, bestemmia, falsa profezia, o per motivi principalmente politici: ribellione, sedizione, lesa maestà? Questa condanna (del sinedrio e di Pilato) è stata emessa nel rispetto scrupoloso delle forme legali o il processo si è svolto in una cornice di sostanziale illegalità? E la condanna è da considerarsi fondamentalmente giusta o Gesù è stato vittima di un clamoroso errore giudiziario? Per non parlare di tutti quei problemi storici particolari dei quali è costellata la narrazione dei vangeli: la figura inquietante di Giuda Iscariota (un venale traditore o un politico deluso?), la data esatta della morte di Gesù (il 14 o il 15 del mese di Nisan?), il luogo di riunione del sinedrio (nella città alta o nel recinto del tempio?), il ruolo di Erode Antipa nel processo (decisivo o del tutto marginale?), la figura singolare di Barabba (un volgare assassino o un eroe della resistenza?) e così via.
Su tutti gli aspetti del processo di Gesù il lettore italiano possiede in realtà un testo che, pur risalendo agli anni '60, conserva ancor oggi la sua validità: quello dell'esegeta neotestamentario cattolico]. Blinzler, Il processo di Gesù, Brescia I966 (rist. 2001; quarta edizione tedesca aggiornata, I969). Per la completezza e l'accuratezza della indagine storica, che non trascura alcun particolare del processo, questo libro rimane infatti insuperato. E, benché altri studi notevoli siano usciti nel frattempo (in particolare quello di A. Strobel, Die Stunde der Wahrheit, Tiibingen I980; e ora anche l'opera monumentale di R. E. Brown, La morte del Messia, Brescia I 999), chiunque voglia una informazione esauriente su tutti i dettagli del processo è ancora ad esso che deve fare ricorso. Ma ci sono almeno due motivi che fanno ritenere non del tutto inutile una nuova trattazione del problema: l'opportunità di una presentazione che, senza perdersi nella selva dei numerosi temi collaterali e riducendo al minimo i riferimenti bibliografici, esponga in maniera sintetica e possibilmente con chiarezza quelli che sono gli aspetti centrali dello svolgimento del processo; e l'esigenza di una trattazione più avvertita delle difficoltà esegetiche del testo dei vangeli di quanto non fosse l'opera di Blinzler, ancora troppo poco sensibile, per la situazione dell'esegesi cattolica del tempo, alle peculiarità di quel testo.
Il lettore comune dei vangeli vuol sapere infatti anzitutto da chi, in che modo e per quale motivo secondo quei testi Gesù è stato condannato a morte; ma non può non chiedersi nello stesso tempo qual è il grado di attendibilità che riconoscono gli studiosi al racconto dei vangeli.3
Ma naturalmente, se tutto questo legittima un ennesimo tentativo di fornire una esposizione storica credibile dei principali problemi del processo di Gesù, significa necessariamente che anche questa esposizione non pretende di essere nulla più che una ragionevole ipotesi.4

Napoli, marzo 200I.

NOTE

1 Milano 1972 (p. 209:« on ha nessuna importanza se i particolari storici del racconto dei vangeli sono autentici o meno. Sarebbero veri anche se una larga parte della razza umana avesse fantasiosamente elaborato una leggenda simile. La storia di Cristo è la vera storia dell'uomo stesso anche se nemmeno un particolare di essa si verificò effettivamente. Anche se Cristo non fosse mai esistito, la sua tragedia sarebbe sempre ciò che effettivamente rappresenta»).

2 Torino 1995 (p. 11: «Noi ci rivolgiamo alla narrazione evangelica con l'interesse di chi vi cerca eventi e personaggi paradigmatici il cui significato trascende la storia sacra e investe l'esperienza umana come tale ... Da questo punto di vista, non di fatti umani storicamente verificati né di eventi divini ci appaiono allora fatte le Scritture, ma di spirito umano consolidato in duemila anni di colloquio con le generazioni che vi si sono riconosciure»).

3 Una esigenza analoga, di offrire una presentazione sintetica, ma criticamente fondata, dei principali problemi del processo di Gesù, muove anche il recente volume di S. Légasse, Le procès de Jésus. L'bistoire, Paris 1994. Ma una certa mancanza di equilibrio nel trattare con relativa ampiezza problemi abbastanza marginali (come il ruolo storico della figura di Giuda) e con singolare rapidità questioni invece essenziali (come il valore di Mc. 14, 61-62) e uno scetticismo esagerato sul contenuto storico delle fonti evangeliche, che porta a negare attendibilità a troppi episodi dei vangeli (il processo notturno davanti al sinedrio, il ricorso di Pilato all'amnistia pasquale), non consentono a mio parere all'autore di raggiungere il suo scopo.

4 Per una migliore comprensione dello svolgimento del processo giudaico ripubblico in appendice, con il cortese consenso dell'editore, il saggio sul sinedrio di Gerusalemme apparso nella Miscellanea di studi in onore di Salvatore Pricoco.

INDICE

9 Premessa

Capitolo 1

13 L'azione di Gesù

15 1. La situazione della Palestina

20 2. Il carattere dell'azione di Gesù

26 3. Gli avversari di Gesù

Capitolo 2

35 Le fonti del processo

35 1. Le fonti non cristiane

38 2. I quattro vangeli

47 3. Marco, Luca o Giovanni?

Capitolo 3

57 Il processo davanti al sinedrio

57 1. L'arresto di Gesù e il ruolo di Giuda

61 2. La critica di Lietzmann al racconto di Marco

72 3. Un processo religioso

80 4. La domanda di Caifa e la risposta di Gesù

89 5. Il motivo della condanna: la bestemmia

Capitolo 4

99 Il processo davanti a Pilato

99 1. Un processo politico

110 2. La figura di Pilato

114 3. Il carattere apologetico dei vangeli

112 Conclusione

Appendice

123 Il sinedrio di Gerusalemme nei processi di Erode e di Giacomo

126 Il processo di Erode

131 Il processo di Giacomo

141 Indice delle fonti

145 Indice degli autori

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IL PREZZO DELLA DIVERSITÀ - Una minoranza a confronto con la storia religiosa in Italia negli scorsi 100 anni - INDICE

prezzodiversita 430






LIBRO

IL PREZZO DELLA DIVERSITÀ
- Una minoranza a confronto con la storia religiosa in Italia negli scorsi 100 anni

INDICE

Prefazione
Abbreviazioni

CAPITOLO PRIMO
CRISTIANESIMO E CRISTIANITÀ: STORIA ITALIANA
I cristiani e la grande apostasia
Appendici
1. L’attesa escatologica

CAPITOLO SECONDO
LE ORIGINI NEGLI STATI UNITI
Perché il nome «testimoni di Geova»?
Perché negli Stati Uniti?

CAPITOLO TERZO
L'INIZIO A PINEROLO
La situazione religiosa in Italia
I viaggi di Russell in Italia
Sorge il gruppo di Pinerolo
Si forma la prima congregazione o comunità
Tracce dell'evangelizzazione
Il primo obiettore di coscienza
«L' odissea di un obbiettore»
Difficoltà interne

CAPITOLO QUARTO
DURANTE LA DITTATURA
Piccoli sviluppi organizzativi
Un congresso a Pinerolo
Indagini all'estero
Piccoli gruppi
Direzione dell' opera, riunioni, evangelizzazione
Adottato il nuovo nome
Una campagna lampo
Provvedimenti delle autorità di Pubblica Sicurezza
«I più pericolosi»
L'istigazione da parte del clero
«La grande retata
I rapporti del coordinatore dell'O.V.R.A
Davanti al Tribunale Speciale
In prigione e al confino
L'opera in tempo di guerra
Appendici
1. Un pastore valdese che ebbe «molta simpatia» per i Testimoni
2. «Una vera alleanza» fra Vaticano e fascismo
3. Il Tribunale Speciale fascista

CAPITOLO QUINTO
LA PERSECUZIONE DEI TESTIMONI DI GEOVA IN EUROPA
In Spagna
In Austria
In Germania
Una 'tentata collusione'?
«L'ordine del terrore»
Nessun sostegno alle dittature
Appendici
1. Le chiese e la seconda guerra mondiale

CAPITOLO SESTO
DOPO LA GUERRA: UN VENTENNIO DI LOTTA PER LA LIBERTÀ RELIGIOSA
Riorganizzata l'opera
I missionari in Italia
TI primo congresso del dopoguerra
Espulsi i missionari
Una lunga lotta per la libertà di evangelizzazione
Tentativi per impedire le riunioni di culto
Due importanti sentenze 153
Appendici
1. Il nuovo «braccio secolare»
2. In difesa dell' euangelizzazione

CAPITOLO SETTIMO
LE RIUNIONI DELLE COMUNITÀ E I CONGRESSI
I congressi
Congresso nazionale «Adoratori uniti»
Congresso internazionale «Eterna buona notizia»
Congresso internazionale «Pace in terra»
Congresso «Vittoria divina»
Congresso «Fede vittoriosa»
Speciali congressi di distretto e a carattere internazionale »
Congressi internazionali in Europa
Appendici
1. Alcuni commenti pubblicati dalla stampa

CAPITOLO OTTAVO
EVANGELIZZAZIONE ALLE PORTE
Pubblicazioni per l'evangelizzazione
I «pionieri»
Gli anziani o sorveglianti
Espedienti per ostacolare 1'evangelizzazione
Evangelizzazione nei luoghi pubblici
Uso delle stazioni radiotelevisive e dei giornali
Evangelizzazione nelle carceri
Evangelizzazione estesa ai sordi e ai ciechi
Evangelizzazione in diverse lingue
1'evangelizzazione a San Marino
Sostenuta 1'opera in Albania
Una testimonianza di vita
Appendici
1. Euangelizzazione «di casa in casa»

CAPITOLO NONO
LA «CASA BETEL»
Sviluppi edilizi
La famiglia Betel
Sorveglianza della filiale
Riconoscimento legale dell'organizzazione
L'attività tipografica
Organizzato il trasporto delle pubblicazioni bibliche
Soccorsi in tempo di calamità
Soccorsi all' estero
Appendici
1. «Dio ama il donatore allegro»

CAPITOLO DECIMO
UNA SORPRENDENTE OPERA DI COSTRUZIONE
Riunioni in case private
I primi locali presi in affitto
Le prime Sale del Regno
Inizia la costruzione di Sale
Opposizione del clero
Collaborazione fraterna nel campo edile
Le Sale delle Assemblee
Forte opposizione a Treviso e a Prato
TI complesso di Ceprano
I risultati di un impegno comune

CAPITOLO UNDICESIMO
LA BIBBIA, IMPRESCINDIBILE TESTO DI RlFERlMENTO
Una breve storia della Bibbia in Italia
La Bibbia tradotta in latino
La Bibbia «soccombe sotto l'esegesi»
Nascita del volgare italiano
I primi volgarizzamenti della Bibbia
La proibizione della Bibbia in volgare nel medioevo
I volgarizzamenti si moltiplicano
1471: La Bibbia in italiano a stampa
Provvedimenti contro la Bibbia a stampa
La Bibbia italiana nell'epoca della Riforma
il Concilio di Trento e le traduzioni in volgare
La Bibbia all'indice
La Bibbia «non si proibisce al popolo impunemente»
La Bibbia, questa 'sconosciuta'
La traduzione di Antonio Martini
La Bibbia in Italia nell'Ottocento
Traduzioni italiane del XX secolo
La Bibbia resta la «grande sconosciuta»
Diciannove secoli di traduzione in Italia
La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture
Una traduzione 'addomesticata'?
A proposito di traduzioni della Bibbia 'manipolate'
La Bibbia, il principale libro di testo dei testimoni di Geova
Appendici
1. Bibbia in volgare e momenti della cultura artistico-letteraria italiana
2. Il nome divino nelle Bibbie in italiano
3. Alcune caratteristiche della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture»
4. «Questo significa il mio corpo» (Matteo 26:26)
5. «La Parola era un dio» (Giovanni 1:1)
6. «Prima che Abraamo fosse ... » (Giovanni 8:58)

CAPITOLO DODICESIMO
I TESTIMONI DI GEOVA, CRlSTIANI NEUTRALI
Testimoni neutrali in Italia
Neutrali sotto la dittatura
Dopo la seconda guerra mondiale
Neutralità politica
«Degni di ammirazione»
Appendici
1. Le Scritture, i primi cristiani e il servizio militare

CAPITOLO TREDICESIMO
I TESTIMONI DI GEOVA E LA QUESTIONE DEL SANGUE
Convegni sulle trasfusioni di sangue
«li caso Oneda»
Perché accusati di omicidio volontario?
Persecuzione religiosa?
Prove del pregiudizio nelle sentenze
Le strutture pubbliche, responsabili ma non colpevoli?
Conclusione della vicenda giudiziaria
Altri casi di minorenni392
Trasfusioni imposte con la violenza a maggiorenni
Ordinanze sindacali
Alterne vicende
Altri convegni sulla questione del sangueI Comitati di assistenza sanitaria
Appendici
1. La proibizione del sangue nelle Scritture e nella storia
2. Il rifiuto delle trasfusioni e la legge
3. I gravi rischi delle emotrasfusioni
4. Alternative alle trasfusioni
5. Il rifiuto delle trasfusioni a confronto col diritto alla vita

CAPITOLO QUATTORDICESIMO
I TESTIMONI DI GEOVA E LA FAMIGLIA
Unità familiare
L'educazione dei figli
Divertimento e svago
Se la famiglia è religiosamente divisa
Quando i coniugi si separano
Famiglie riunite
Niente di nuovo sotto il sole
Appendici
1. Ciò che dicono i giudici

CAPITOLO QUINDICESIMO
«QUESTO ERAVATE ALCUNI DI VOl»
Potere su chi fa uso di tabacco, alcol e droga
Aiutati coloro che avevano problemi con la giustizia
Abbandonata l'immoralità
I princìpi cristiani trasformano le persone violente
La nuova personalità
«La verità vi renderà liberi»
Appendici
1. L’espulsione dalle comunità

CAPITOLO SEDICESIMO
TEMPO DI OPPOSIZIONE E DI CRESCITA
L'opposizione dal vertice
Restrizioni mascherate
Intensificata diffamazione
Importanti vittorie legali in Italia ed Europa
Opposizione e sviluppo
Due sacerdoti e una suora si convertono
Appendici
1. Quanto credibili per gli esperti?

CAPITOLO DICIASSETTESIMO
OPPOSIZIONE ALL'INTESA
Spiegato il ventennale ritardo
Quando una vera libertà religiosa?

CAPITOLO DICIOTTESIMO
UNA PECULIARE CONFESSIONE COSTITUZIONALMENTE LEGITTIMA
Appendici
1. Rispettosi dello Stato

UNA STORIA DIMENTICATA
I discepoli all'opera
Disprezzati e perseguitati


Avvenimenti importanti della storia moderna dei testimoni di Geova in Italia
Indice dei nomi
Indice dei testimoni di Geova e associati
Indice dei luoghi

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IL PREZZO DELLA DIVERSITÀ - Una minoranza a confronto con la storia religiosa in Italia negli scorsi 100 anni - IL LIBRO

PREFAZIONE

Una minoranza a confronto
con la storia religiosa in Italia negli scorsi 100 anni

Lo scopo di questa pubblicazione è quello di proporre al lettOre una narrazione corretta circa l'origine e la storia del movimento dei testimoni di Geova in Italia - narrazione basata prevalentemente su documenti e fatti - e un approfondimento dei motivi per cui è stato ed è tuttora al centro di critiche spesso pesanti, e del fondamento delle critiche stesse. Questa storia è stata corredata di un'abbondantissima documentazione attinta presso L'Archivio Centrale dello Stato, presso l'Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri e presso vari Archivi di Stato provinciali, ai quali va un sentito ringraziamento per la gentile e fattiva collaborazione. Con questi documenti del periodo fascista e del dopoguerra fino al 1975, si è potuto ricostruire la storia del movimento su un fondamento di notevole accuratezza, che speriamo sarà apprezzata anche dagli studiosi e dai lettori non Testimoni, tanto più che essa è stata sviluppata nel contesto generale della storia religiosa in Italia. Per essi saranno di particolare interesse i riferimenti bibliografici e i documenti citati. Si tenga presente che quasi tutta la documentazione privata dei singoli Testimoni come pure quella presso gli uffici rappresentativi del gruppo, operanti prima del 1945, venne sequestrata e in parte dispersa dal regime dittatoriale. Perciò la documentazione rinvenuta presso gli archivi pubblici consente di completare la loro storia con vari particolari e date altrimenti sconosciuti.

Le vaste ricerche di archivio si sono protratte per alcuni anni. È stato molto stimolante verificare che i racconti di episodi remoti, accaduti anche oltre novant'anni fa, hanno trovato puntuale conferma nella documentazione rinvenuta. Per quanto riguarda il periodo fascista, comprensibilmente, i documenti delle autorità riportano le dichiarazioni dei testimoni di Geova rielaborate con termini burocratici e riferiscono sulle loro vicende riflettendo il pregiudizio degli uomini del regime. Anche i comportamenti e le dottrine dei Testimoni vi sono spesso male interpretati. Nonostante tale pregiudizio dei compilatori, la documentazione ha un grande valore probatorio perché da essa emergono comportamenti dei testimoni di Geova che, riprovati allora, oggi sono una testimonianza della loro lealtà alla Bibbia e del coraggio che li rese capaci di resistere ai regimi oppressivi. Al lettore non sfuggirà certamente come la storia del gruppo è stata contrassegnata da una continua battaglia legale da cui sono scaturite - qui citate solo in parte - centinaia di decisioni giurisprudenziali, anche a livello europeo, che riguardano la libertà di riunione, di evangelizzazione, il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare e di rifiutare terapie indesiderate, il diritto all'eguale libertà delle confessioni in relazione alla costruzione di edifici di culto e a varie esenzioni e agevolazioni attribuite dall'ordinamento a diverse, ma non a tutte, le confessioni, la questione della separazione fra coniugi di diversa fede e dell'affidamento dei loro figli.

Oltre a ciò, sono citati numerosi pareri di giuristi e sociologi. Per cui riteniamo, ci sembra non presuntuosamente, che gli studiosi, per effettuare un'analisi obiettiva del panorama religioso degli scorsi cento anni, e dello sviluppo della libertà religiosa, non potranno prescindere dalla documentazione e dalle fonti qui raccolte. Molte informazioni interessanti e anche inedite sono contenute nelle note in calce e nelle appendici che raccomandiamo all'attenzione del lettore. Tanto per anticipare, dovrebbero essere inediti, per citarne soltanto alcuni che i cultori della storia ecclesiastica apprezzeranno, i documenti rinvenuti in ASMAE (citati nel cap. 6) da cui risulta che la Segreteria di Stato della Santa Sede fece pressioni a fine degli anni' 40 e all'inizio degli anni '50 del secolo scorso per modificare l'art. 11 del trattato di amicizia italo-americano che pareva concedere troppe libertà ai culti acattolici, e per espellere dal paese i missionari protestanti americani.

Non sfuggirà neppure il continuo raffronto, che potrebbe sembrare assillante, tra le prassi di culto dei testimoni di Geova con quelle delle chiese tradizionali. Lo scopo tuttavia è evidente, quello cioè di sottolineare che lo Stato, nella sua laicità, non dovrebbe fare valutazioni nel campo delle dottrine religiose e, meno ancora, discriminare i gruppi in base alle loro diversità cultuali. Si prega di considerare la narrazione alla luce di alcune considerazioni che possono essere condivise. La prima, per dirla con le parole del noto sociologo Bryan Wilson: «L'opposizione alle nuove religioni risale al lontano passato. Nel mondo romano, la nuova religione dei cristiani fu condannata e i suoi seguaci furono perseguitati. Furono accusati di spezzare le famiglie, di nutrire scopi veniali, di partecipare a orge sessuali. Si diceva inoltre che cercassero di infiltrarsi nelle élites della società per perseguire sinistri intenti politici. Nel corso dei secoli si sono sentite esattamente le stesse accuse man mano che le autorità statali condannavano i quaccheri, i metodisti, i salvazionisti e i Testimoni di Geova» (B. Wilson, «Tolleranza religiosa e diversità religiosa», in Futuribili, 2-3, 1999, p. 46).

Occorre dunque essere cauti nel respingere a priori la storia di un gruppo e nell'etichettarlo negativamente. Atteggiamenti diversi, ma positivi, possono scaturire da piccoli gruppi che originariamente sono stati oggetto di sole critiche (si pensi a chi ha avuto il coraggio di sostenere l'obiezione di coscienza al servizio militare anche sotto le dittature). Tenendo presenti le illuminanti parole di Norberto Bobbio, «il nerbo dell'idea di tolleranza è il riconoscimento dell'egual diritto a convivere che viene riconosciuto a dottrine opposte, e il riconoscimento, da parte di chi si ritiene depositario della verità, del diritto dell'errore» (per il solo uso di «armi spirituali», e l'intolleranza «civile» che prevede l'intervento del «potere pubblico» per limitare tutti coloro «che contrastino ai dogmi della religione» [La libertà religiosa, Feltrinelli, Milano, 1967, pp. 8, 9]).

Un sentito ringraziamento va al personale dei vari Archivi consultati e, in particolare, agli amici Luca Zucchini, che ha curato gli approfondimenti e la stesura dei capitoli 5 e 11, e Antonio Delrio, che ha profuso validi pareri sulla ricerca, e a quanti hanno collaborato con i loro suggerimenti e consentito di raccogliere le notizie concernenti la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova e di promuovere la pubblicazione di questa storia. Sono anche riconoscente ai familiari che hanno collaborato sopportando il mio sottrattivo impegno.

Paolo Piccioli
Empoli, maggio 2010

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

L'autore e amico Paolo, scomparso nel settembre 2010, pochi mesi dopo aver redatto la prefazione alla prima edizione di questo volume e pochi giorni dopo averne tenuto tra le mani la prima copia stampata, non ha potuto vedere la realizzazione di due desideri che gli stavano a cuore: la rapida distribuzione del volume (che ha già visto anche la pubblicazione di una versione succinta in lingua tedesca iniziata ancora insieme e poi portata a termine dallo scrivente") e l'integrazione di diversi indici per agevolare la ricerca e l'uso della mole di informazioni così scrupolosamente raccolte. Le instancabili premure di Biagio Martino, sostenuto da diversi collaboratori, meritano l'esplicita riconoscenza nostra. Abbiamo anche apprezzato lo spirito positivo dei familiari dell'autore, la moglie Elisa e la figlia Ilaria. Auspichiamo perciò l'accoglienza benevola dei lettori anche per questa seconda edizione aggiornata e abilmente ampliata.

Max Wornhard
Empoli e Berna (Svizzera), maggio 2014

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IL PLURALISMO CONFESSIONALE NELLA ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE - Atti del convegno di studi: Roma 3 giugno 1986

Il tema che devo trattare è quello del pluralismo istituzionale: un tema di teoria "generale riferito alle confessioni religiose. Quindi viene immediatamente alla ribalta la questione delle confessioni religiose come ordinamenti giuridici.

È noto che la teoria delle confessioni religiose come ordinamenti giuridici autonomi risale ai giuristi tedeschi dell'ottocento, ma è stata teorizzata principalmente da Santi Romano. I giuristi tedeschi dell'ottocento si trovavano in Stati che erano passati dal regime di controllo delle confessioni religiose ad un regime di mero riconoscimento, confinante quasi con un regime di libertà assoluta. Dunque si posero i problemi di che cosa fossero le entità associative costituite dalle confessioni religiose, e vi è un filone di pensiero, di cui il rappresentante più importante fu Gneist, nel senso che si trattasse di associazioni di carattere spontaneo e indipendenti dallo Stato. Nella teorica di Santi Romano la confessione religiosa si presenta come ordinamento giuridico, e, si soggiunge,ordinamento giuridico originario. Che cosa si volesse dire con questo termine era chiaro, e ancor oggi la relativa nozione è in circolazione: un ordinamento giuridico indipendente dallo Stato per quanto riguarda la genesi, i fini, la vita e gli strumenti.

Qualcuno aggiunse anche ordinamento «sovrano». Il termine poi riapparirà nel Trattato tra l'Italia e la Chiesa Cattolica e poi nell'art. 7 della Costituzione italiana, ma è un termine avente valore molto dubbio, ed è discusso da due punti di vista: primo, se si possa effettivamente accettare e riconoscere alle confessioni religiose il carattere della sovranità; secondo, più radicale, è quello di coloro che negano la stessa validità della nozione di sovranità a cominciare da Kelsen fino ad arrivare ai giorni nostri. La presenza di questi dubbi spiega perché poi si preferisca solamente dire che gli ordinamenti giuridici religiosi sono ordinamenti originari; nella originarietà essendo compreso ciò che si vorrebbe poi comprendere nella sovranità, ossia il non avere superiori.

Perché ordinamenti giuridici? Perché presentano tutti e tre i caratteri che si predicano normalmente per gli ordinamenti giuridici: hanno una normazione propria indipendente dalla normazione di qualsiasi altro ente, hanno un'organizzazione propria e hanno una plurisoggettività. Sul fatto della plurisoggettività non vi è discussione, salvo quanto adesso passiamo a dire in ordine all'individuazione degli ordinamenti religiosi. Per quel che riguarda la normazione è pacifico che il nucleo centrale di essa è costituito dagli articoli di fede: quindi la normazione può anche essere confliggente con la normazione propria di altri ordinamenti giuridici, principalmente quelli statali, ed in fatto, per gli ordinamenti religiosi, lo è in molti punti (rapporti sia di diritto privato che di diritto pubblico).

Il punto più delicato degli ordinamenti giuridici religiosi è dato dall'organizzazione, perché l'esperienza dimostra come esistano ordinamenti religiosi i quali hanno un' organizzazione unitaria, onde si presentano verso l'esterno con una organizzazione esponenzialepropria, in grado di intrattenere rapporti giuridici con le organizzazioni di altri ordinamenti giuridici. Per converso, esistono degli ordinamenti giuridici religiosi anche importanti i quali non hanno una organizzazione unitaria, ma hanno solo delle organizzazioni locali, quasi sempre addirittura allo stato disaggregato, nel senso che constano di una pluralità di templi, di monasteri, di subassociazioni, tra loro non collegati e non aventi autorità sovraordinate, salvo, talvolta, autorità sempre locali, proprio in casi estremi coincidenti con ambiti statali. Questa è la situazione, per esempio, di alcune grandi religioni, come quella islamica o come quella buddista, che ha reso e rende tanto difficili i rapporti tra gli Stati in cui questi ordinamenti religiosi si presentano e le confessioni religiose medesime.

Tuttavia questa particolarità propria degli ordinamenti giuridici religiosi non è tale da incidere sulla struttura ordinamentale delle confessioni. Infatti una volta che si ammetta che la nozione di ordinamento giuridico serve a spiegare il concorso di normazioni a cui un soggetto giuridico appartenente a più ordinamenti è assoggettato, oltre che l'agire istituzionale di gruppi costituiti e organizzati con potestà di normazione, occorre dire che l'unità dell'organizzazione dell' ordinamento giuridico è una proprietà di carattere meramente eventuale: anche se vi è organizzazione per elementi disaggregati, se vi è il gruppo con normazione autogena vi è ordinamento. Anzi si ricorda che, secondo Romano, esistono ordinamenti giuridici diffusi i quali sarebbero caratterizzati dalla quasi mancanza di organizzazione. Un esempio è quello del «brokers»: un ordinamento giuridico composto di esperti i quali applicano una normazione supernazionale del tutto propria, addirittura talora contrastante con la normazione degli Stati, ma che tuttavia esistono in piccole organizzazioni locali e sono, praticamente, accettati da tutti gli Stati appunto in quanto hanno una consistenza supernazionale.

Per quanto riguarda gli ordinamenti religiosi c'è poi un ulteriore problema, che correntemente viene chiamato «della dimensione». Quando è che una confessione religiosa ha valenza di ordinamento giuridico? Un piccolo gruppo di persone che professano una fede religiosa propria può ritenersi ordinamento giuridico originario? Questo punto, più di interesse sociologico che di interesse giuridico, si ricollega alla questione, di carattere generale, di quando l'elemento pluri-soggettività di un ordinamento giuridico possa dirsi avente consistenza tale da costituire base di un ordinamento giuridico.

Però il problema esiste, e può dirsi che un ordinamento giuridico confessionale esiste in quanto afferma sé stesso come esistente. Tale essendo in fatto. È il fatto che domina questo elemento della struttura ordinamentale, non esistendo nessuna norma giuridica in nessun ordinamento giuridico che determini il problema della dimensione. Per cui un gruppo di poche persone che pratichino una religione che può essere anche importante in paesi lontani, non costituisce ordinamento giuridico: è solo un'associazione lecita, quasi sempre associazione di fatto; ma la cosa non cambierebbe anche se nel Paese ove esiste fosse un'associazione riconosciuta. È invece ordinamento giuridico la confessione religiosa esistente nel Paese lontano, ed ivi operante, se ha dimensione consistente.

In altri termini una confessione religiosa è ordinamento se così è valutabile in termini sociologici. Termini che hanno come parametro di riferimento, più che la dimensione locale, quella mondiale, oltre che giudizi valutativi di qualità e di rilevanza sociale. Occorre aver presente che gli ordinamenti giuridici religiosi operano, oggi come oggi, tutti nell' ambito di altri ordinamenti giuridici originari e, si dice, sovrani, quali sono gli Stati. Nell'attuale vicenda storica lo Stato è ancora considerato l'ordinamento giuridico originario più importante. Nella realtà non è più così: lo Stato anche sta tramontando, la esperienza statale è sul declino, ma questo è un altro discorso. Sta di fatto che, nell'ambito degli ordinamenti giuridici originari statali, operano questi altri ordinamenti originari che sono gli ordinamenti religiosi e altri.

Le situazioni possibili dei rapporti tra gli ordinamenti statali e gli ordinamenti confessionali sono parecchie. Esaminando i fatti, vi può essere una situazione di totale reciproca ignoranza. E una vicenda piuttosto frequente; si prenda per esempio l'ordinamento della confessione buddista, ammesso che sia un ordinamento e non invece un aggregato di ordinamenti. L'ordinamento della confessione buddista è in situazione di reciproca ignoranza rispetto agli ordinamenti degli Stati dell'Europa occidentale; la situazione si risolve cioè in termini meramente personali, nel senso che la libertà di religione di chi appartiene alla confessione è riconosciuta negli Stati dell'Europa occidentale, ma rispetto alla confessione non c'è nessun rapporto giuridico.

Invece può accadere che dei rapporti giuridici siano raffigurabili. È qui sempre il fatto - perché in questa materia quello che ha rilevanza è sempre il fatto - cioè l'esperienza storica che ci mostra come siano state seguite tre diverse espenenze.

La più antica, quella degli Stati europei del settecento, è il controllo: lo Stato assume di avere la potestà di controllare i comportamenti degli ordinamenti giuridici religiosi. Che questa vicenda abbia assunto coloriture e contenuti diversi, dipende dalla storia dei singoli Stati, però è un'esperienza esistita. La seconda esperienza, quasi contemporanea, è quella della indipendenza assoluta degli ordinamenti giuridici religiosi rispetto a quelli statali: la più grossa e significativa è quella degli Stati Uniti d'America, in quanto, da quando questo Paese si è data una costituzione, ha sempre riconosciuto l'assoluta indipendenza delle confessioni religiose, tanto che esse fossero allo stato diffuso, quanto che si organizzassero nella forma dell' associazione, quanto che si organizzassero in forme più complesse come avvenne per la religione cattolica.

C'è un' esperienza intermedia, che è quella che, con un termine approssimativo, si può chiamare «del riconoscimento»: lo Stato chiede che la confessione religiosa sia riconosciuta in qualche modo con un atto amministrativo del proprio apparato.

Su queste tre esperienze si snoda la vicenda dei rapporti tra gli Stati occidentali e le confessioni religiose: da tener presente che l'esperienza più ricca di materiale è proprio quella del riconoscimento perché il riconoscimento si può avere, a seconda dei diritti positivi, in maniere profondamente differenziate. Essendo un problema di diritto positrvo e non di teoria generale è chiaro che sono le normazioni positive a disporre secondo propri criteri.

Se questa è la schernatica, in termini di teoria generale, degli ordinamenti delle confessioni religiose e dei rapporti tra essi e gli Stati, la questione è di vedere che cosa avviene nello Stato italiano. Del tema parleranno molto più ampiamente i relatori che seguiranno; qui sembra opportuno toccare ancora alcuni dei problemi generali.

Come è noto nella nostra Costituzione abbiamo gli articoli 7, 8 e 19 che trattano la materia. L'art. 7 riguarda solo la confessione cattolica; l'art. 8 sembra si voglia riferire alle confessioni religiose, ma in realtà si riferisce alle «organizzazioni» delle confessioni religiose e dice che le confessioni si possono organizzare secondo «i propri statuti» in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. Si noti bene che, presa testualmente, la norma è assolutamente pleonastica, perché una volta che l'art. 18 Costo ammette l'assoluta libertà di associazione, nel senso che i limiti che pone alla libertà di associazione sono quelli del non contrasto con la legge penale, della associazione segreta (ha aggiunto la legge 17, purché avente scopi politici) e dell'organizzazione paramilitare, è chiaro che tutte le confessioni religiose, in quanto si presentino come associazioni e siano associazioni, entrano completamente nel disposto dell' art. 18. Quindi cosa vuol dire organizzazione secondo i propri statuti? E se la confessione religiosa non ha statuti? E se la confessione religiosa non ha un' organizzazione centrale?

Il 3° comma dell' art. 8 parla delle intese come strumento attraverso cui la Repubblica Italiana procede al riconoscimento delle confessioni religiose. La norma è invece importante perché determina la procedura base per il riconoscimento della confessione religiosa.

Però c'è poi l'art. 19, che è un testo sommamente ambiguo, perché dopo aver parlato della libertà individuale di professione di fede, soggiunge che è riconosciuta anche una libertà di culto, pubblico o privato, purché i riti non siano contrari al buon costume. E qui suppongo si dirà che cosa vuol dire contrario al buon costume.

L'art. 19 è un articolo ambiguo, perché per una parte enuncia, applicativamente, una specie di libertà di manifestazione del pensiero; per un'altra reitera l'enunciato della libertà di associazione di cui all'art. 18. Che cosa avviene quindi nella pratica? Avviene che lo Stato non ha mai, in Italia, dominato il fenomeno religioso; per cui accanto a confessioni religiose che sono riconosciute o con intese adesso o con leggi speciali prima, esistono confessioni religiose che hanno il carattere della associazione di fatto, cioè non sono riconosciute; poi c'è quella stranissima figura delle associazioni religiose straniere riconosciute come persone giuridiche straniere tutte le volte in cui ci sia un trattato internazionale di reciprocità. Il che significa fare entrare da una strada traversa queste confessioni religiose che invece dovrebbero entrare attraverso la strada principale.

Ma qual è la strada principale? Purtroppo non è legislativamente fissata, perché ancora abbiamo in vigore la legge del 1929, la 1159. Questa legge, va ricordato, non si occupa delle confessioni religiose in quanto tali, ma degli «istituti religiosi» di religioni diverse dalla religione cattolica. Or non necessariamente una confessione religiosa deve esprimersi in un proprio ente esponenziale, mentre può esservi un «istituto religioso» elemento facente parte dell' organizzazione di una confessione religiosa non avente proprio ente esponenziale.

In altre parole c'è una lacuna enorme nella legge 1159: il riconoscimento del carattere di confessione religiosa dovrebbe essere conferito ad una confessione la quale lo chieda tramite un proprio ministro, e lo Stato non dovrebbe fare altro che «prendere atto» dell' esistenza della confessione. Invece questo non accade. Esistono una serie di normative secondarie di applicazione, come quella sul riconoscimento dei ministri del culto, come quella sulla celebrazione dei matrimoni, come quella sulla assicurazione dei ministri del culto di altre religioni diverse dalla cattolica, come quella relativa al regime tributario degli edifici di culto, ecc., cioè tutti atti normativi che regolano conseguenze del riconoscimento della confessione religiosa. Ma, nella pratica, queste norme vengono applicate attraverso una via traversa; si presuppongono o il «riconoscimento» del carattere di associazione di persona giuridica straniera, o attraverso normative speciali su certe confessioni religiose, o attraverso - in astratto - il riconoscimento di un'associazione come confessione religiosa.

Quindi abbiamo una normativa zoppa. Il principio costituzionale non è osservato e non è sviluppato nelle sue conseguenze. Il che può non meravigliare se si considera che la medesima evenienza si ha per il principio della libertà di associazione: se si confronta la legislazione italiana in materia di associazione con quella di altri Stati, si nota subito che da noi c'è l'associazione riconosciuta e l'associazione non riconosciuta, mentre la norma costituzionale comporterebbe l'eliminazione in radice della differenza: se un' associazione c'è non deve essere riconosciuta da nessuno. Senza dire che nella pratica sono molto più importanti le associazioni non riconosciute: basta pensare che sono associazioni non riconosciute i partiti politici e i sindacati, cioè associazioni che praticamente sono dei pubblici poteri aventi lo stesso rango dello Stato. Orbene, l'accettare la distinzione tra associazioni riconosciute e associazioni non riconosciute significa disapplicare il principio di cui all' art. 18 della Costituzione.

Per cui, concludendo, si può dire che la normativa costituzionale da noi non ha avuto sviluppi. La vigenza della legge 1929 n. 1159 è una vigenza che non si può tollerare, perché, a tutto concedere, anche se si potesse dire che non è anticostituzionale, certamente presenta una lacuna di tale dimensione che non si può neanche dire conforme alla Costituzione, non conosce l'istituto della presa d'atto dell' esistenza della confessione religiosa quale che essa sia.

Con questo ho delineato i tratti di teoria generale della materia.

INDICE

Premessa 5

RELAZIONI

Prof. Massimo Severo Giannini, Il pluralismo istituzionale 9

Prof. Pietro Rescigno, Il pluralismo religioso-ideologico 21

Prof. Sergio Lariccia, La libertà delle confessioni religiose diverse dalla cattolica 41

Prof. Piero Bellini, I rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica 83

Prof. Pasquale Colella, La Chiesa cattolica e lo Stato italiano di fronte al fenomeno delle sette religiose: riflessioni su un recente documento vaticano 113

INTERVENTI

Dott.ssa Maria Gabriella Belgiorno De Stefano 135

Dott. Giorgio Bouchard 142

Dott. Domenico Jervolino 145

Avv. Roberto Lorenzini 148

Prof. Giovanni Puoti 160

Prof. Giorgio Sacerdoti 166

Dott. Massimo Siclari 177

Prof. Augosto Sinagra 183

Prof. Pietro Spirito 189

Prof. Francesco Zanchini 198

Prof. Sergio Lariccia 205

Prof. Piero Bellini 211

Prof. Pasquale Colella 214

Prof. Massimo Severo Giannini 217

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IL PENTATEUCO


RETROCOPERTINA

Col volume dedicato al Pentateuco, l'Iintroduzione allo studio della Bibbia giunge a conclusione, in un senso, si potrebbe dire, anche emblematico. Il Pentateuco costituisce il cuore della Bibbia ebraica, ma la bibbia cristiana certo non si lascerebbe pensare prima dei cinque libri che la inaugurano, così che se il Pentateuco è il fondamento della vita e del pensiero della comunità ebraica, in assenza di esso, d'altra parte, il nuovo testamento resterebbe incomprensibile.
La guida alla lettura fornita da Fèlix Garcìa Lòpez si distingue da altre opere analoghe per accompagnare l'esposizione chiara e rigorosa dei problemi sollevati dal Pentateuco - e da una storia della ricerca tanto fruttuosa quanto avvincente - a un interesse teologico sempre vivo che mette in risalto i molteplici e fecondi percorsi teologici rintracciabili nei libri del Pentateuco e ripresi negli altri scritti della Bibbia ebraica come anche nel Nuovo Testamento.
Come si è osservato, il volume di Fèlix Garcìa Lòpez - nell'edizione originale giunto in pochi mesi alla seconda edizione - mostra d'essere un'opera completa che si fa apprezzare per il raro equilibrio e lo stile scorrevole e trasparente, pur presentandosi come libro che nasce dalla scuola e serve alla scuola.

PREFAZIONE

Con questo volume l'Introduzione allo studio della Bibbia giunge a compimento. L'introduzione nacque quindici anni fa per iniziativa dell'Asociaciòn Biblica Espaiiola come contributo fornito da un gruppo di specialisti spagnoli al settore specifico della letteratura d'introduzione alla Bibbia e si sviluppò in continuità storica con un'opera significativa, il Manual Biblico della Casa de la Biblia, redatto da biblisti spagnoli della generazione precedente.
Intendeva offrirsi tanto al mondo universitario quanto al lettore colto interessato alla Bibbia. L'opera, che consta di undici tomi, si completa dunque oggi con il volume dedicato al Pentateuco, curato da Félix Garda Lopez, docente di Antico Testamento alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università di Salamanca. Certo è curioso, e forse significativo, che l'ultimo volume pubblicato riguardi proprio i primi cinque libri della Bibbia. Come direbbe qualsiasi collaboratore dell'opera, si tratta di un' «inclusione», ossia di un finale che inevitabilmente torna a essere un inizio.
Se infatti è vero che l'opera è ormai completa, altrettanto certo è che non sarà mai terminata. E in realtà da questo momento inizia la revisione di ogni singolo volume finalizzata all'aggiornamento. È questo l'impegno del gruppo editoriale responsabile dell'intera opera, cui spetta un'altra gradita incombenza, quella dei ringraziamenti. Anzitutto all'Asociaci6n Biblica Espahola, che a suo tempo approvò il progetto oggi completato. In secondo luogo agli autori di ogni singolo volume, i quali con grande competenza hanno prodotto un'opera pregevole, una vera e propria pietra miliare nella storia della produzione biblica spagnola.
Poi all'Editorial Verbo Divino, per le cure profuse in ogni singolo volume dell'opera. Infine, e soprattutto, ai lettori, i quali in castigliano - ma anche in italiano e in portoghese brasiliano, lingue in cui l'opera è stata tradotta - hanno accolto e continuano ad accogliere con benevolenza e simpatia il nostro lavoro, e ai quali assicuriamo la nostra disponibilità ad aggiornare e migliorare l'opera intera. Ma questo avverrà in un prossimo futuro. Ora ciò che conta è gioire, perché abbiamo finalmente tra le mani un'opera completa, ed esprimere questa gioia con un grazie!

Natale 2002
José Manuel Sànchez Caro
Coordinatore del Consiglio di Direzione

PREMESSA

Negli ultimi quindici anni gli studi sul Pentateuco hanno subito un cambiamento radicale. Il paradigma creato dalla teoria documentaria ha finito per sgretolarsi, ma non si è ancora affacciato un nuovo paradigma. Regna lo sconcerto, se non addirittura la confusione. Vi è chi pensa che tutto serva, ma anche, al contrario, che nulla abbia valore.
Durante la preparazione di quest'opera mi sono trovato spesso a dover ribattere a chi mi provocava sull'opportunità o meno di scrivere un libro sul Pentateuco in un mondo saturo di libri superflui. Mi sono poi dovuto porre seriamente alcune questioni metodologiche fondamentali.
Dovevo prescindere dagli studi storico-critici, tanto screditati in determinati settori? Era meglio scommettere esclusivamente sugli studi letterari o teologici, come pretendono altri? Quale indirizzo prendere in questo momento?
Sono sempre stato convinto che escludere non sia una buona strada da seguire. Meglio integrare che sopprimere. Dopo un'analisi delle opere più significative, classiche e recenti, presento un bilancio della storia della ricerca (cap. II, 5) proponendomi quattro obiettivi: 1. partire dal testo finale, valorizzando più il testo in sé che non ciò che vi sta dietro; 2. integrare, ove possibile, gli studi sincronici e quelli dia cronici; 3. studiare il testo dal punto di vista letterario e teologico, senza trascurarne la base storica; 4. non considerare mai risolte le questioni in discussione.
Queste le principali caratteristiche che contraddistinguono la mia opera. Il Pentateuco costituisce il cuore della Bibbia ebraica ed è una parte essenziale della Bibbia cristiana. Questa semplice costatazione dovrebbe stimolarne la lettura. Tuttavia non basta il desiderio di leggere il Pentateuco. Per farlo ci vuole un certo impegno. Come pure per leggere il volume che il lettore ha tra le mani.
Ciononostante sono certo che quanti vi si impegneranno trarranno grande ricchezza dalla sua lettura. Ovviamente mi riferisco alla lettura del Pentateuco. Alla fin fine, questo libro non è altro che un'introduzione a questa lettura: «Beato colui che si compiace nella torà di Jahvé» (Sal. I).


Festività di san Gerolamo 2002.
Félix Garda Lòpez


INDICE DEL VOLUME

Sommario
Prefazione
Premessa
Abbreviazioni e sigle

Capitolo I
Caratteristiche del Pentateuco
1. Nomi
2. Narrazioni e leggi
a) La narrazione biblica
b) Le leggi
3. I personaggi
a) Jahvé
b) Abramo
c) Giacobbejlsraele
d) Mosè
4. Tempo e spazio
a) La dimensione temporale
b) La dimensione spaziale
5. Problemi specifici
a) Doppioni e ripetizioni
b) Linguaggio, stile e teologia
c) Tetrateuco, Pentateuco, Esateuco ed Ennateuco
Bibliografia

Capitolo II
L'interpretazione del Pentateuco
1. Periodo precritico
2. Studi storico-critici classici
a) Critica letteraria
b) Critica della forma e della tradizione: Hermann Gunkel, Gerhard von Rad e Martin Noth
3. Studi storico-critici recenti
a) Un nuovo modello di ipotesi dei frammenti?
Rolf Rendtorff ed Erhard Blum
b) Un nuovo modello di ipotesi dei complementi?
Hans Heinrich Schmid, Martin Rose e john Van Seters
c) Combinazione tra l'ipotesi documentaria e le ipotesi dei frammenti e dei complementi: Erich Zenger
d) Corpi giuridici e strati narrativi: Eckart Otto
4. Studi letterari
a) Il metodo retorico

b) Il metodo narrativo
c) Il metodo semiotico
5. Bilancio e intenti
Bibliografia

Capitolo III
Il libro della Genesi
I. Introduzione
1. Racconti, genealogie e formule t6led6t
2. Sfondo storico e sociale
3. Teologia
4. Struttura e divisioni
II. «Storia delle origini» (1,1-11,26)
1. Elementi formali e tematici
2.Toledot dei cieli e della terra (1,1-4,26)
a) Creazione e peccato originale (1-3)
b) Caino e Abele. Cainiti e setiti (4)
3.Toledot di Adamo (5,1-6,8)
a) Dieci generazioni (5)
b) Unione tra gli «esseri divini» e gli umani (6,1-8)
4.Toledot di Noè (6,9-9,29)
a) Diluvio, benedizione e alleanza (6,9-9,17)
b) Maledizione di Canaan (9,18-29)
5.Toledot dei figli di Noè (10,1-11,9)
a) Elenco delle nazioni (10)
b) La torre di Babele (11,1-9)
6.Toledot di Sem (11,10 26)
III. «Storia dei patriarchi» (11,27-50,26)
1. Racconti, itinerari e promesse
2.Toledot di Terah. Storia di Abramo (11,27-25,11)
a) Introduzione (11,27-32)
b) Un itinerario singolare (12,1-22,19)
c) Conclusione (22,20-25,11)
3.Toledot di Ismaele (25,12-18)
4.Toledot di Isacco. Storia di Giacobbe (25,19-35,29)
a) Giacobbe a Canaan. Fuga a Harran (25,21-34; 27-28)
b) Giacobbe a Harran. Fuga a Canaan (29,1-32,3)
c) Incontro di Giacobbe con Esaù e permanenza a Canaan (32,4-35,29)
5.Toledot di Esaù/Edom (36,1-37,1)
6. Toledot di Giacobbe. Storia di Giuseppe (37,2-50,26)
a) Storia di Giuseppe (37; 39-45)
b) Giacobbe/Israele in Egitto (46-50)
Bibliografia

Capitolo IV
Il libro dell'Esodo
I.Introduzione
1. Tratti letterari
a) Racconti e leggi
b) Struttura e divisioni
2. Sfondo storico e sociale
a) Affidabilità dei dati biblici
b) Storicità di Mosè
c) L'esodo e il Sinai
3. Questioni teologiche
a) Qual è il suo nome? Jhwh, il Dio che salva
b) Chi è Jahvé? Conoscenza e sovranità di Jhwh
c) Relazione tra il Dio dell'esodo e il Dio del Sinai
II. L'uscita dall'Egitto (1,1-15,21)

1. Progetti del faraone e di Jahvé di fronte all'oppressione d'Israele (1,1-7,7)
a) L'oppressione d'Israele in Egitto (1)
b) Nascita e giovinezza di Mosè. Fuga in Madian (2)
c) Piano divino di salvezza (3-4)
d) Rifiuto e conferma del piano divino (5,1-7,7)
2. Scontro tra Jahvé e il faraone (7,8-11,10)
a) Il racconto delle piaghe (7,14-11,10)
b) Le «piaghe» nelle tradizioni profetiche e deuteronomico-deuteronomiste
3. Liberazione d'Israele (12,1-15,21)
a) La pasqua (12,1-14.21-28.43-50)
b) Gli azzimi (12,15-20; 13,3-10)
c) I primogeniti (I3,1-2.11-16)
d) Il racconto del mare (14,1-31)
e) Il cantico del mare (15,1-21)
4. L'esodo, paradigma permanente
III. Dal mare al Sinai (15,22-18,27)
1. Elementi e struttura
2. Acqua, manna e quaglie (15,22-17,7)

a) Le acque di Mara (15,22-27)
b) La manna e le quaglie (16)
c) L'acqua dalla roccia (17,1-7)
3. Sconfitta di Amalek (17,8-16)
4. Incontro di Mosè e Israele con Ietro (18)
IV. Sul Sinai (19-40)
1. I monti sacri
2. Alleanza, teofania e legge (I9,I-24,11)
a) L'alleanza (19,3-8; 24,I-11)
b) La teofania (19,10-25; 20,18-21)
c) La legge
3. Il santuario, il vitello d'oro e l'alleanza (24,12-40,38)
a) Il vitello d'oro e l'alleanza (32-34)
b) Il santuario (25-31; 35-40)
Bibliografia

Capitolo V
Il libro del Levitico
I. Introduzione
1.Tratti letterari
a) Leggi, racconti, parenesi e formule introduttive
b) Struttura
2. Prospettiva storico-sociale
3. Concezione teologica
II. Legge sui sacrifici e sulle offerte (1-7)
1. Principi di base e strutturazione
2. Olocausti, offerte vegetali e sacrifici di comunione (1-3)
a) Olocausto (1,2-17)
b) Offerta vegetale (2,1-16)
c) Sacrificio di comunione (3)
3. Sacrifici di purificazione e di riparazione (4- 5)
a) Sacrifici di purificazione (4,1-5,13)
b) Sacrifici di riparazione (5,14-26)
4. Leggi e istruzioni complementari (6-7)
III. Consacrazione sacerdotale. Primi sacrifici e offerte (8-10)
IV. Legge di purità rituale (11-15)
1. Elementi formali e tematici
2. Animali puri e impuri (11)
3. Persone pure e impure (12-15)
a) Impurità e purificazione della puerpera (12)
b) Malattie cutanee e infezioni su abiti ed edifici (13-14)
c) Secrezioni corporee (15)
V. Il giorno dell'espiazione (16)
VI. Legge di santità (17-26)
1. Stato della questione
2. Elementi e struttura
3. Chiave teologica
Bibliografia

Capitolo VI
Il libro dei Numeri
I. Introduzione
1. I brani e il loro montaggio letterario
2. Sfondo storico
3. Tratti teologici
II. Nel deserto del Sinai.
Preparativi per la marcia (1,1-10,10)
1. Censimento e organizzazione degli israeliti (1-4)
a) Censimento delle tribù (I)
b) Disposizione dell'accampamento (2)
c) Organizzazione e censimento della tribù di Levi (3-4)
2. Leggi diverse e benedizione sacerdotale (5-6)
3. Offerte dei capi e norme per i leviti (7-8)
4. Celebrazione della pasqua e ultimi preparativi prima della marcia (9,1-10,10)
III. Dal deserto del Sinai alle steppe di Moab (10,11-2
1,35)

1. Gli elementi e loro struttura
2. Dal Sinai al deserto di Paran (10,11-12,16)
a) Partenza dal deserto del Sinai (10,11-36)
b) Prime difficoltà (11-12)
3. A Qadesh e dintorni (13,1-20,13)
a) Gli esploratori della terra (13-14)
b) Leggi per vivere nella terra promessa (15 )
c) Diritti e doveri dei sacerdoti e dei leviti (16-18)
d) Impurità e morte: la legge della giovenca rossa (19)
e) Morte e acqua (20,1-13)
4. Da Qadesh sino alle steppe di Moab (20,14-21,35)
IV. Nelle steppe di Moab (22-36)
5. Balaam e Baal-Peor (22-25)
a) La pericope di Balaam (22-24)
b) L'incidente di Baal-Peor (25)
2. Disposizioni relative al possesso della terra (26- 31)
3. Prime occupazioni e ultime disposizioni (32-36)
Bibliografia

Capitolo VII
Il libro del Deuteronomio
I. Storia della ricerca
1. Studi storico-critici
a) Critica letteraria
b) Critica della forma e della tradizione: Heinrich August Klostermann e Gerhard von Rad
c) Critica della redazione: Martin Noth, Georges Minette de Tillesse e Gottfried Seitz
2. Studi letterari: Norbert Lohfink, Robert M. Polzin e Timothy A. Lenchak
3. Origine e autore del Deuteronomio
a) Origine settentrionale: Adam C. Welch, Gerhard von Rad ed Ernest W. Nicholson
b) Origine gerosolimitana: Ronald E. Clements, Moshe Weinfeld e Rainer Albertz
4. Il Deuteronomio e i trattati d'alleanza
5. Deuteronomio, Esateuco e Pentateuco: Eckart Otto
6. Bilancio
II. Introduzione
1. Tratti letterari
a) Forme di base
b) Struttura e divisioni
2. Sfondo storico e sociale
3. Teologia
III. «Queste sono le parole».
Primo discorso di Mosè (1,1-4,43)
1. Introduzione (r,r-5)
2. Dal Horeb a Moab. Sguardo retrospettivo (r,6-3,29)
3. Sguardo in prospettiva verso la terra promessa (4,r-40)
IV. «Questa è la torà».

Secondo discorso di Mosè (4.44-28,68)
1. Elementi e suddivisioni
2. «Questa è la torà. Queste sono le norme, i comandi e i decreti» (4,44-48)
3. «Ascolta, Israele, le leggi e i decreti» (5,I-II,32)
a) L'alleanza del Horeb, il decalogo e la mediazione di Mosè (5)
b) Un Dio, un popolo e una terra (6,1-9,6)
c) Rottura e «rinnovo» dell'alleanza (9,7-10,11)
d) Esigenze dell'alleanza (10,12-11,32)
4. «Queste sono le leggi e i decreti» (12,1-26,16)
a) Struttura
b) Unità, fedeltà e purità di culto (12,2-14,21)
c) Obblighi religioso-sociali (14,22-15,23)
d) Ordinamento delle feste (16,1-17)
e) Legge sulle autorità (16,18-18,22)
f) Ordinamento giuridico (19-25)
g) Offerta delle primizie e delle decime (26,1-15)
5. Conclusione del secondo discorso (26,17-28,68)
a) Ratifica dell'alleanza (26,17-19)
b) Cerimonie sui monti Garizim ed Ebal (27)
c) Benedizioni e maledizioni (28,1-68)
V. «Queste sono le parole dell'alleanza».
Terzo discorso di Mosè (28,69-32,52)
1. L'alleanza di Moab (28,69-30,20)
2. Ultime disposizioni e annuncio della morte di Mosè (31-32)
VI. «Questa è la benedizione».
Benedizioni e morte di Mosè (33-34)
1. Benedizioni di Mosè (33)
2. Morte di Mosè (34)
Bibliografia

Capitolo VIII
Composizione del Pentateuco
1. Prospettiva sincronica
2. Prospettiva diacronica
a) Passi preesilici indipendenti
b) Redazioni deuteronomiste e scritto Sacerdotale
c) Composizione del Pentateuco
Bibliografia

Capitolo IX
Il Pentateuco e la Bibbia
1. Presupposti ermeneutici
2. La Torà e la Bibbia ebraica
3. Il Pentateuco, la Bibbia ebraica e la Bibbia cristiana

a) Creazione del mondo e dell'uomo
b) Liberazione/salvezza
c) Alleanza
d) Legge
e) Promesse
Bibliografia

Indice analitico
Indice dei passi biblici
Indice degli autori moderni

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IL PENSIERO CRISTIANO DELLE ORIGINI


RETROCOPERTINA

Questo libro è qualcosa di più di una storia obiettiva e serena dello sviluppo teologico dei primi secoli. Se chiarezza e concisione, documentazione e senso della prospettiva fossero le sue sole qualità, l'opera non andrebbe al di là dell'ideale, seppur rara, impresa scientifica. Ciò che invece lo caratterizza rispetto al «genus» della «Dogmengeschichte» e che ne costituisce il pregio maggiore è ad un tempo l'armoniosa tessitura e il doppio versante metodologico.
Il libro è infatti solcato, nella sua mappa, da due generi di direttive che ne determinano i punti di riferimento e ne fissano la materia: quella disgiuntiva, cronologica (che divide il pensiero preniceno da quello postniceno) e geografica (che distingue il pensiero latino da quello greco); e quella congiuntiva, in cui lo sviluppo omogeneo delle definizioni dogmatiche viene efficacemente messo in luce, sia in senso orizzontale (lo sviluppo dei dogmi attraverso le epoche) sia in senso verticale (lo sviluppo del dogma al suo proprio interno).
La compattezza del volume non impedisce l'emergere, con chiarezza, di un filo conduttore. Anche se quest'opera non si domanda esplicitamente quale sia il «principio interpretativo» o la formula teorica unitaria sotto la quale assumere i vari fenomeni del pensiero cristiano delle origini (come hanno fatto Harnack e Werner, rispettivamente con la teoria dell'ellenizzazione e della de-escatologizzazione del cristianesimo), articola purtuttavia una chiara risposta quando riconosce il ruolo unificante, costante e salutare, della regola della fede.

Aspetti e problemi
della moderna storia dei dogmi

« Scrivendo questo libro - avverte il Kelly nella prefazione alla prima edizione - il mio modesto scopo è stato quello di offrire agli studiosi e a quanti altri vi s'interessano, uno schema generale dello sviluppo teologico che ha avuto luogo nella Chiesa dei Padri ». Bisogna tener presente a ogni istante questa dichiarazione dell'autore per valutare correttamente la sua opera e non rischiare di rimanere ingiustamente delusi dalla sua lettura.

L'intento eminentemente pratico-scolastico -nel senso migliore del termine - della presente opera è confermato dalla rinuncia a quelle lunghe e impegnative trattazioni preliminari sul significato della storia dei dogmi, sul metodo, sul rapporto tra dogma e teologia, ecc., che occupano invece solitamente un posto di rilievo nei grandi manuali di storia dei dogmi di origine tedesca. Il titolo stesso dell'edizione originale, Early Cbristian Doctrines, indica la volontà dell'autore di mantenere una certa indipendenza di fronte al genere fortemente tipizzato della Dogmengeschichte, rimanendo piuttosto nell'alveo della tradizione anglicana (rappresentata in questo campo per oltre mezzo secolo dalla Early History of Cbristian Doctrine di Bethune-Baker)1 la quale preferisce parlare di «dottrine» anziché di «dogmi», secondo una terminologia che richiama da vicino quella del Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana di J. H. Newman.

Senza teorizzare al di là delle intenzioni dell'autore questa scelta di vocabolario, è lecito far notare come essa abbia il vantaggio di evitare la contrapposizione tra dogma e teologia abbracciando l'uno e l'altra.

La questione del rapporto tra dogma e teologia era stata posta in maniera acuta e brillante dallo Harnack all'inizio del suo Lehrbuch der Dogmengeschichte2. Ma sia lui che il suo discepolo F. Loofs3 si erano poi sottratti alla logica di tale distinzione, mantenendo alle loro opere il titolo di Dogmengeschichte, nonostante risultasse fortemente riduttivo rispetto al reale contenuto delle loro trattazioni.

La cosa va tenuta presente in quanto coinvolge una questione fondamentale per ogni storia del pensiero cristiano. Il dogma è l'esponente o la base della teologia? Harnack, che sollevò per primo questo problema, fonda l'intera sua ricostruzione sulla prima alternativa. «I dogmi - scrive - sono il prodotto della teologia e non viceversa e la teologia, in linea generale, fu il prodotto dello spirito del tempo»4.

Se non che i dogmi, una volta costituiti e sanciti dalla Chiesa, tendono ad assoggettare la teologia riducendola al rango assai modesto di difesa e baluardo del dogma e loro avvocato difensore. Subirebbe, in altre parole, la sorte di una madre che viene fatta schiava dai figli che ha messi sul trono. Questo spiegherebbe perché Origene, che dal punto di vista teologico fu il padre del dogma trinitario, venne poi condannato in nome dello stesso dogma.

Una tale interpretazione della dialettica tra dogma e teologia ha indubbiamente un suo fascino, soprattutto se confrontata con un certo tipo di interpretazione ecclesiastica di vecchio stampo secondo la quale all'origine (come base!) c'è il dogma rivelato, già precostituito, che rappresenta la sostanza della fede, alla quale la teologia non darebbe se non la forma, lavorando semplicemente alla sua formulazione e alla sua promulgazione.

Ma c'è un terzo modo di concepire il rapporto, secondo cui il dogma è, nello stesso tempo, ma in gradi diversi di esplicitazione, base ed esponente della teologia, suo punto di partenza e suo coronamento. Chi ammette questo terzo modo non concluderà che le definizioni dommatiche siano frutto della teologia e non della rivelazione, solo perché Nicea e Calcedonia vengono dopo gli Apologisti e Origene.

Come si vede, il problema della priorità tra teologia e dogma non è che un modo particolare di formulare l'altro problema più vasto e più famoso: quello dello sviluppo o della creazione dei dogmi. Se lo si accenna in questa sede, nonostante la cura del Kelly di tenerlo fuori dalla sua preoccupazione di storico, è perché di fatto egli non è, né poteva essere, neutrale di fronte a tale problema. Studiare, anzi, la sua collocazione all'interno di esso significa scoprire il principio che dà coerenza e unità a tutta la sua ricostruzione del pensiero cristiano antico.

Da cento anni circa a questa parte si sono venuti delineando due modi diversi di fare la storia della dottrina o dei dogmi cristiani. Il primo modo, il più noto, è quello portato avanti in seno al protestantesimo dal genere della Dogmengeschichte, legato ai nomi di A. von Harnack, di F. Loofs, di M. Werner e di altri ancora.

La caratteristica fondamentale di questo tipo di manuale è l'assunzione di un principio interpretativo, alla luce del quale l'intero sviluppo del dogma è visto e giudicato5. Ricordiamo tre casi paradigmatici.

A. von Harnack scorgeva tale principio interpretativo nella progressiva ellenizzazione del messaggio cristiano, parallela a una sua degiudaizzazione. «Nel suo concetto e nel suo sviluppo - egli scriveva - il dogma è l'opera dello spirito ellenico che lavorò sul terreno del Vangelo»6. Nelle edizioni della sua Dogmengeschichte successive alla prima egli lamentava il fatto che i suoi critici avessero falsato su questo punto il suo pensiero, eliminando o sottovalutando la sua precisazione «sul terreno del V angelo ». Ma si può dire che tale precisazione modifichi sostanzialmente il problema? Se il dogma è frutto dello spirito greco che lavorò sul Vangelo, il Vangelo è promosso, tutt'al più, al ruolo di causa materiale, ma non sarebbe mai, in ogni caso, la causa formale della teologia della Chiesa; sarebbe locus theologiae, il terreno della teologia, non locus theologicus, cioè il criterio e la fonte della teologia.

Dopo Harnack la ricostruzione del dogma antico nella quale è più evidente l'assunzione di una teoria dello sviluppo del dogma è l'opera di M. Werner7. Werner mantiene la tesi di Harnack dell'ellenizzazione del cristianesimo, ma la integra con un altro grande principio emerso nel frattempo in primo piano, negli studi sulle origini del cristianesimo, ad opera di A. Schweitzer: l'escatologismo. La dommatica della Chiesa è frutto dell'ellenizzazione, ma l'ellenizzazione non è che l'altra faccia o, se si vuole, la conseguenza della descatologizzazione del messaggio evangelico. La mancata realizzazione della parusia, a dire di Werner, avrebbe indotto i pensa tori cristiani ad elaborare un sistema di dottrine che mettessero la Chiesa in condizione di inserirsi nell'establishment culturale del tempo. Si tratta di una estensione al tempo e alla teologia della Chiesa di quella «escatologia consequenziale» che A. Schweitzer (al quale apertamente il Werner si richiama) aveva applicato per spiegare il Nuovo Testamento e, in particolare, la formazione dell'idea di una storia della salvezza8.

Pur non presentandosi esplicitamente come una storia dei dogmi, merita di essere ricordata a questo punto, come terzo esempio di una ricostruzione sistematica del pensiero cristiano antico, l'opera di H. A. Wolfson, The Philosophy of the Cburcb Fatbers9. Egli vede lo sviluppo delle principali dottrine cristiane (Trinità e Incarnazione) come un momento dell'evoluzione della filosofia antica mediato dal pensiero di Filone Alessandrino. La cesura tra mondo antico e cristianesimo è stemperata in una serie di passaggi indolori e il cristianesimo appare come il continuatore e l'erede, ben più che l'antagonista o anche semplicemente il partner della filosofia greca10.

Questi tentativi di illuminare dall'alto di un'idea o di un principio l'intero sviluppo del pensiero cristiano antico, a giudizio pressoché unanime degli studiosi di oggi, sono falliti e sono falliti soprattutto per la loro incapacità di configurarsi come criteri storici e per la loro tendenza a introdurre una dommatica in seno alla stessa storia del dogma. Di fronte a questi risultati, un noto storico protestante ha commentato: «Solo là dove c'è una tradizione dottrinale della Chiesa, dommaticamente stabilita, come nel cattolicesimo e nell'anglicanesimo, il cammino della ricerca va avanti incontrastato, senza tuttavia essere in grado di elaborare punti di vista nuovi e decisivi»11.

Questo ci introduce a parlare del secondo modo con cui è possibile fare (e si è fatta in realtà) la storia del dogma. Secondo il giudizio, a mio parere esattissimo, dello studioso appena citato esso è comune ai cattolici e agli anglicani ed è caratterizzato dall'accettazione del principio di tradizione. Tra gli anglicani l'esempio pio riuscito e pio noto, prima del Kelly, è dato dalla già ricordata Early History of Christian Doctrine di J. F. Bethune-Baker e tra i cattolici dalla Histoire des dogmes dans l'antiquité chrétienne di J. Tixeront12.

Questi manuali si propongono un obiettivo pio modesto. Si preoccupano molto pio di ricostruire lo sviluppo del dogma che non di fornire, in sovrappiù, anche una teoria dello sviluppo; si sforzano di fare la storia del dogma, pio che l'interpretazione della storia del dogma. La lettura di questi ultimi manuali è senza dubbio meno affascinante e al loro apparire essi non hanno suscitato quell'alone di interesse e di dibattito teologico spesso fecondissimo che ha accompagnato alcune celebri storie dei dogmi tedesche dell'Ottocento e del primo Novecento. Qual è allora il loro scopo e il loro vantaggio? Esso può forse essere sintetizzato con un concetto: l'oggettività. Mi rendo conto che l'oggettività, in questo campo, è essa stessa qualcosa di estremamente « soggettivo» e variamente valutabile. Non si può misconoscere, tuttavia - l'esperienza stessa si è incaricata di dimostrarlo -, che l'assunzione di un principio di interpretazione, oltre a costituire una specie di letto di Procuste per la storia dei dogmi, ha significato anche spalancare la porta al soggettivismo, soprattutto a quel soggettivismo che deriva allo storico da una apertura troppo confidente agli indirizzi culturali ed esegetici in voga al momento in cui scrive. Sotto questo profilo, il genere della Dogmengeschichte ha ricalcato, per taluni aspetti, la vicenda e le oscillazioni della Leben-Jesu Forschung. La teologia liberale di stampo ritschliano ha prodotto la Dogmengeschichte di Harnack (e in parte di Loofs), e la scuola escatologica quella di Werner, esattamente come, in epoca anteriore, la filosofia hegeliana della storia aveva prodotto le varie storie dei dogmi di F. Ch. Baur (Tubingen, 1847), di G. Thomasius (Erlangen, 1874-76) e di altri ancora. Forse sarebbero maturi i tempi per una Geschichte der Dogmengeschichten, per una «Storia delle storie dei dogmi» che assolvesse, in questo campo, lo stesso compito chiarificatore che assolse lo Schweitzer con la sua Geschichte der Leben-Jesu-Forschung13. Questo tipo di soggettivismo che ha reso sempre problematico il ricorso alle grandi storie dei dogmi di estrazione liberale, se non è assente del tutto (sarebbe illusorio crederlo), è certamente meno accentuato nei manuali che rinunciano a un principio di interpretazione personale che non sia quello della tradizione.

A questo punto il nostro discorso si può concentrare sull'opera del Kelly. La sua posizione su alcuni dei problemi sollevati nelle pagine precedenti è espressa nella prefazione della prima edizione inglese, quando scrive: «Non ho tentato di definire la natura intrinseca dell'ortodossia14 né di determinare l'incidenza dell'ellenismo sul Vangelo originario... ma mi sono contentato di esporre le dottrine in se stesse con tutta la comprensione e l'imparzialità possibile».

Che l'autore abbia conseguito alla perfezione questo suo intento è stata l'opinione unanime degli studiosi di patristica. La concisione e la chiarezza fanno del suo volume un ideale libro di testo per lo studio della patristica e, possiamo aggiungere, anche l'unico oggi disponi.

bile sul mercato che possa assolvere tale compito, se intendiamo patristica nel suo significato specifico di studio delle dottrine dei Padri, per il quale si distingue tanto dalla patrologia che dalla storia della letteratura cristiana antica. Anche lo studioso e il ricercatore vi ricorrono sempre con frutto quando hanno bisogno di abbracciare in un rapido sguardo d'insieme un problema, una dottrina, un periodo dello sviluppo del pensiero patristico. Lo sforzo di ripensa mento personale e di essenzializzazione dell'enorme materiale realizzato dall'autore fa sì che chi vi ricorre dopo aver letto più diffusi lavori monografici su un dato argomento abbia l'impressione di ritrovare tutto nelle sue pagine.

L'intera materia è solcata da due grandi coordinate che ne determinano una distribuzione logica ed efficace guanto storicamente valida: la coordinata cronologie a che divide il pensiero preniceno da quello postniceno e la coordinata geografica che distingue il pensiero latino da quello greco15. (Assente, purtroppo, come nella maggior parte di lavori del genere, resta il pensiero patristico orientale pure non estraneo, specie quello siriaco, allo sviluppo del dogma). Un vantaggio di questa disposizione è di mettere in evidenza immediatamente il diverso contributo della teologia greca e di quella latina e la loro diversa reattività di fronte alle dottrine evangeliche. Nonostante certe felici (ma quanto consapevoli?) anticipazioni terminologiche dei latini, e in particolare di Tertulliano, l'elaborazione della dottrina trinitaria e più ancora di quella cristologica appare opera soprattutto dei greci, mentre la dottrina della Chiesa, della grazia e dei sacramenti ha trovato il suo epicentro, almeno dopo Nicea, in occidente tra i latini. La ragione di ciò non può essere ricondotta totalmente alla presenza in tale momento tra i latini di quel genio che si chiama Agostino, ma va anche ricercata nel diverso grado di applicabilità del bagaglio filosofico greco ai due ordini di dottrine. All'interno di questa grande suddivisione, il Kelly è riuscito a distribuire la materia in unità organi- che susseguentisi in maniera logica e armoniosa, in modo da riflettere il più fedelmente possibile il reale svolgersi della riflessione teologica all'interno di una dottrina (Trinità, cristologia, soteriologia, ecc.) e la vitale connessione delle varie dottrine tra loro. Una riserva va forse avanzata per la trattazione dell'escatologia posta tutta intera alla fine e, non si capisce perché, sotto forma di Epilogo. Sul problema dell'escatologia, oltre questo rilievo sulla sua collocazione, ci sarebbe forse da avanzarne un altro relativo al contenuto stesso. Essa è trattata, infatti, più alla stregua del tradizionale De novissimis che non alla luce della più recente problematica escatologica elaborata dagli studi biblici. La sintesi che Kelly ci offre in tale Epilogo è, come al solito, impeccabile per la capacità di individuare e dare il giusto rilievo ai tempi forti di una dottrina, compito particolarmente arduo in questo caso, mancando il solito riferimento a controversie e definizioni conciliari che si hanno invece in altri campi. Ma il taglio scelto lascia fuori del tutto uno degli aspetti più interessanti legati alla escatologia: la concezione cristiana del tempo e della storia e quindi anche della storia della salvezza16.

Interessante e nuovo è il metodo usato dal Kelly per la documentazione. Egli sceglie per ogni autore, o momento della sua ricostruzione, i testi più significativi dei Padri, li riassume fedelmente nel testo, riportando talora nella lingua originale i termini e le formule di maggior rilievo, limitandosi a dare in nota la sola citazione della fonte antica. Il risultato è che si ha veramente l'impressione che siano i Padri a spiegare essi stessi con parole proprie il loro pensiero. I casi di autori moderni inseriti nel vivo della discussione e della ricostruzione storica si contano letteralmente sulle dita. In compenso, alla fine di ogni capitolo è fornita una « nota bibliografica» generalmente ben selezionata17.

Si tratta di un metodo senza dubbio semplificatore, ma tutt'altro che di comodo. Esso è anzi fra tutti quello che costringe l'autore ad assumersi la maggior quantità di lavoro e a lasciarne il meno al lettore. Ciò che viene offerto è un materiale già predigesto.

Naturalmente c'è un pericolo anche in ciò e non è mancato chi lo ha fatto osservare18. Il pericolo di semplificare troppo le questioni, ricadendo così, per tutt'altra via, nel rischio del soggettivismo. Pur riconoscendo infatti all'autore, in grado sommo, acume interpretativo dei' testi, informazione bibliografica e sforzo di obiettività, ad ogni istante quello con cui il lettore si trova ad essere confrontato sono in fondo le soluzioni e le scelte interpretative dell'autore, senza una possibilità di verifica immediata che non passi attraverso la lettura dell'intera bibliografia riunita a fine capitolo, ciò che non potrebbe sostituire, in ogni caso, il compito di una confrontazione capillare delle opinioni. Coloro per i quali il libro del Kelly costituisce il primo e l'unico strumento di accostamento del pensiero patristico (e sono i più, trattandosi di un lavoro largamente adottato come testo scolastico in seminari ed università) dovranno guardarsi dal credere che esista ormai un accordo di massima su tutte le questioni della teologia patristica. Il dibattito, al contrario, è più che mai vivace e aperto su molti punti anche centrali dello sviluppo del pensiero cristiano antico e la scienza storica è ben lontana ancora dall'averlo rischiarato in tutte le sue pieghe.

Nella seconda edizione inglese del libro, resasi necessaria (cosa assai significativa per questo genere di libri!) ad appena un anno di distanza, l'autore raccoglieva questa obiezione, riconoscendo l'urgenza di una maggiore discussione sulle soluzioni dottrinali, ma aggiungeva di non ritenere che ciò fosse compito di un lavoro storico come quello che egli aveva voluto scrivere. Forse la risposta ultima è che si è trattato di una scelta e come ogni scelta anche questa ha comportato una rinuncia: la rinuncia ad una maggiore problematizzazione che, se avrebbe arricchito e vivacizzato il discorso, difficilmente avrebbe permesso di mantenere inalterata la chiarezza e la sobrietà, le qualità cioè più volentieri ammirate nel manuale del Kelly.

Personalmente, sono incline ad attribuire maggiore rilevanza a un'altra obiezione: quella del punto di partenza della storia del dogma19. Il Kelly inizia la sua ricostruzione del pensiero cristiano antico con l'era sub-apostolica, fuori cioè del Nuovo Testamento, dopo aver premesso dei prolegomena sull'ambiente culturale e religioso in cui nasce il cristianesimo. Motivi che possono avvalorare questa scelta ve ne sono certamente. Tuttavia, credo he abbia ragione il Grillmeier quando afferma che una storia del dogma oggi non possa prescindere da un quadro, sia pure introduttivo e sommario, delle dottrine del Nuovo Testamento. A suo modo, tenuto conto cioè del punto in cui era a suo tempo la teologia biblica, un tale innesto tra teologia biblica e teologia ecclesiastica fu tentato già dal Tixeront20. Fare diversamente potrebbe equivalere a risalire un fiume in esplorazione e fermarsi prima di essere giunti alla sua sorgente. Ciò che lo esige non è tanto la necessità di mostrare la continuità o la di scontinuità tra kerygma e dogma – che esigerebbe un di spiegamento ben maggiore di mezzi e di spazio -, ma piuttosto un'altra considerazione. Oggi sappiamo che c'è un processo di teologizzazione del kerygma ben anteriore all'explicit del Nuovo Testamento ed è sommamente istruttivo studiare i caratteri e la direzione di tale processo per essere in grado di meglio valutarlo quando esso ci si ripresenta nella teologia della Chiesa. Il cosiddetto processo di ellenizzazione o di ontologizzazione della eristologia, per fare un esempio, richiede una diversa valutazione, una volta costatato che esso è già in atto e, per così dire, canonizzato all'interno del Nuovo Testamento nel passaggio dalla cristologia della primitiva comunità palestinese alla cristologia del giudaismo ellenistico e da questa alla cristologia della comunità ellenistica della gentilità21.

Probabilmente, una saldatura di questo tipo tra teologia neotestamentaria e teologia patristica farebbe apparire inesatto, o almeno assai sommario, il luogo comune che oppone la cristologia del Nuovo Testamento a quella della primitiva Chiesa come una cristologia storico-salvifica o funzionale a una cristologia ontologica.

C'è una cristologia ontologica nel Nuovo Testamento, come, d'altra parte, c'è una cristologia funzionale nella Chiesa patristica. Il bisogno di integrazione e di saldatura, del resto, è reciproco. Anche il biblista, infatti, si rende sempre meglio conto della necessità di spingersi verso il tempo della Chiesa, se vuole capire il senso e la direzione di certi processi o anche di certi concetti rilevati e seguiti nell'arco della rivelazione neotestamentaria. Ne è un esempio lo spazio sempre maggiore che il lessico del Kittel è venuto via via riservando, nei suoi articoli, alla letteratura sub-apostolica22.

Rimanendo sempre nell' ambito delle considerazioni di metodo, c'è un altro aspetto del lavoro del Kelly che mi pare utile mettere in rilievo perché aiuta a scoprire una dimensione più profonda che non sia quella della semplice ricostruzione storica. A prima vista - si è detto - il lavoro si presenta come un digestum della teologia patristica, il cui pregio maggiore sembra essere quello di abbracciare il maggior numero di dati e di problemi nel minor spazio possibile; minore, in ogni caso, in confronto con tutti i manuali confratelli che lo hanno preceduto, compreso quello di Bethune-Baker. Ma ciò non dà ragione della vera indole del libro e della sua ragion d'essere e, oltre tutto, da solo basterebbe appena a compensare i rischi e gli inconvenienti fin troppo noti di questo come di ogni altro manuale. Tale ragion d'essere è da scorgere, a mio avviso, in una dimensione essenziale del pensiero teologico antico che per tal 'via - e soltanto per essa - può essere messa in luce e compresa: la sua continuità. Una continuità che - con una terminologia stereotipata, ma sempre efficace - potremmo definire orizzontale e verticale nello stesso tempo. La continuità orizzontale (quella per la quale non esiste soluzione o cesura di sorta tra una regione e l'altra della teologia), COS1 caratteristica del pensiero patristico, è messa in evidenza in questa sintesi del Kelly (per quanto ciò è possibile una volta che si è perso il sentimento della globalità del mistero cristiano ed è sopravvenuta la lottizzazione del discorso teologico in «trattati»), in quanto i vari dogmi - Trinità, cristologia, soteriologia, ecclesiologia, dottrina sacramentaria, ecc. - sono qui esaminati e innestati l'uno sull'altro in modo più ravvicinato e più capillare che in qualsiasi altro tipo di ricostruzione d'insieme23.

La continuità verticale - quella cioè che unisce i vari stadi successivi di sviluppo all'interno di ogni singolo dogma (e per la quale, appunto, si ha diritto di parlare di « sviluppo» dei dogmi) - è posta fortemente in risalto dal ruolo che l'autore assegna, nello svolgimento del pensiero patristico, alla Tradizione della Chiesa. Questa costituisce, a mio avviso, l'anima nascosta e il filo conduttore che dà unità a tutta la sintesi. Da questo punto di vista, non è neppure del tutto esatto affermare che questo tipo di manuale di storia dei dogmi non presenta alcun principio di interpretazione. forse è più esatto dire che tale principio esiste, anche se diverso da tutti quelli cui si è accennato in precedenza, ed è appunto il riconoscimento del ruolo della Tradizione nello sviluppo della dottrina cristiana. La diversità di tale principio, per rispetto a ogni altro, è che esso non è applicato retrospettivamente a partire da una certa situazione culturale moderna, ma è vivo e operante nella coscienza stessa di coloro che di quella stessa dottrina furono i protagonisti dello sviluppo.

Secondo W. Miinscher - che può essere considerato il fondatore del genere della Dogmengeschichte liberale - la storia del dogma ha per scopo quello di mostrare le «innumerevoli mutazioni che l'elemento teorico della religione cristiana ha registrato dalla sua fondazione in poi»24. Questa definizione mal si applicherebbe al manuale del Kelly, il quale mostra piuttosto la continuità e lo sviluppo organico delle dottrine cristiane che non il loro supposto ricambio nel passaggio da un'epoca all'altra. In questo senso si diceva all'inizio che egli, pur evitando di impegnarsi in una ennesima discussione sul problema dello sviluppo o della creazione dei dogmi, non resta neutrale di fronte ad esso. Il riconoscimento della Tradizione costituisce per se stesso una presa di posizione su tale problema.

Quando parlo del ruolo della Tradizione nella ricostruzione del Kelly non mi riferisco naturalmente al breve capitolo dei Prolegomena in cui si tratta della dottrina dei Padri intorno alla Tradizione, quanto piuttosto alla applicazione di tale principio da parte dell'autore nel ricostruire e valutare le dottrine dei Padri. Un'applicazione, invero, assai discreta, quasi un atteggiamento e un punto di riferimento, più che una tesi chiaramente formulata alla maniera dei Deuteprinzipien dell'ellenizzazione o della descatologizzazione. Essa, tuttavia, non sfugge al lettore attento che non ricorre soltanto fugacemente, per semplice consultazione, a qualche pagina del libro, ma lo legge di un sol fiato e per intero.

Uno degli indici più manifesti del ruolo assegnato alla «traditio Ecclesiae» è il diverso peso che assume la testimonianza di origine ecclesiale, cioè dei pastori della Chiesa, rispetto a quella delle fonti apocrife, popolari o para-ecclesiastiche. Su questo punto, il manuale del Kelly differisce da quelli di Harnack e di Werner allo stesso modo che, sul piano letterario, la Gescbicbte der altkir-chlichen Literatur di Bardenhewer differisce dalla Gescbicbte der altchristlicher Literatur di Harnack25.

Quando il nostro autore afferma che se la gnosi non è arrivata a soppiantare la Tradizione, ciò è dovuto « in larga misura a un attaccamento indefettibile alla regola di fede come essa era formulata nella liturgia, nella catechesi e nella predicazione» (p. 176), viene a riconoscere alla Tradizione vivente della Chiesa un ruolo attivo nella storia del dogma. Si potrebbe verificare ancor meglio il ruolo attribuito alla Tradizione e alla «fides Ecclesiae» analizzando l'intero capitolo IV che tratta della dottrina trinitaria nel primo e secondo secolo. Taluno potrebbe perfino avere l'impressione che esso non faccia emergere nella loro reale dimensione le incertezze che caratterizzano i primi passi della teologia cristiana in questa direzione, per es. negli Apologisti greci, e che la preoccupazione di seguire il «filone centrale» della Tradizione lasci fatalmente nell'ombra delle impostazioni «laterali» del problema trinitario che pure hanno avuto la loro importanza nello svolgimento della riflessione teologica26.

Mi pare, tuttavia, che a parte questi inconvenienti, in parte inevitabili data l'indole del manuale, non si possa negare la fondatezza del punto di vista del Kelly quando mette in evidenza la coesistenza, a una certa fase dello sviluppo di una dottrina, di un dato di fede tradizionale della Chiesa (magari non formulato o mal formulato) con il silenzio o, addirittura, con l'assenza di ogni riflessione teologica cosciente su quel dato stesso. È a questo punto e su questa ammissione che si decide il problema della continuità o discontinuità tra kerygnra e dogma, il problema del rapporto tra base ed esponente nella teologia, per tornare al linguaggio di Harnack.

Le mie riflessioni si sono limitate fin qui al metodo dell'opera. Si potrebbe, volendolo, impostare una discussione anche sui suoi contenuti. Ma la ritengo di scarsa utilità ai fini della comprensione del libro. Il lettore già versato in materia potrà non riconoscersi in questa o quella soluzione adottata dall'autore. L'importante, tuttavia, è che, pur trattandosi di una storia dei dogmi, il motivo di un eventuale dissenso non è quasi mai di natura confessionale. Questo non solo testimonia della rara obiettività storica dell'autore, ma attesta, altresì, quale enorme patrimonio comune le varie confessioni cristiane - e in particolare quella cattolica e quella anglicana - possiedano nel Pensiero cristiano delle origini.
RANIERO CANTALAMESSA

NOTE

1. Edita per la prima volta a Londra nel 1903 l'opera ha avuto numerose edizioni e ristampe fino ai nostri giorni.

2. A. von Harnack, Lebrbucb der Dogmengescbicbte, Tùbingen, 1931, vol. I, pp. 12 ss.

3. F. Loofs, Leitladen zum Studium der Dogmengescbicbte, 5° ed. riveduta da K. Aland, Halle, 1950, vol. I, p. 9.

4. Harnack, op. cit., p. 12.

5. Cfr. A. Grillmeier, Ilellenisierung - judaisierung des Cbristentums als Deuteprinzipien der Gescbicbte dcs kirchlichen Dogmas, in «Scholastik», XXXIII (1958), pp. 321-355, 528-558

6. Harnack, op. cit., p. 24.

7. M. Werner, Die Entstebung des christlicben Doginus problemgescbicbtlicb dargestellt , Bern-Leipzig, 1941; 2° ed., Tiibingen, 1954; edizione inglese ridotta: Tbe Formationof Cbristian Dogma. An Historical Study of lts Problem, London, 1957.

8. Cfr. O. Cullmann, lleil als Gcschicbte, Tubingen, 1965; trad. it. Il mistero della redenzione nella storia, Bologna, 1966. pp. 31·78.

9. Carnbridge, Mass., 1956.

10. Interessante a questo proposito notare la collana della quale l'opera fa parte e che porta il titolo: Struttura e suiluppo dei sistemi filosofici da Platone a Spinoza.

11. C. Andrcsen, Zur Dogmengescbicbte der alten Kircbe, in «Thcolonische Litcrannzeitung», LXXXIV (1959), p. 82. Lo stesso studioso ribadiva questo concetto recensendo il volume del Kelly: «Il lavoro del Kelly dimostra per l'anglicanesimo. come fa il manuale di storia dei dogmi di Schrnaus per il cattolicesimo, che le maggiori possibilità di ricostruzione per la storia dei dogmi si hanno là dove il principio della tradizione perdura inoppugnato, come norma teologica domrnatica» («Theologische Literaturzeitung». LXXXV [1960], p. 597).

12. Il manuale del Tixeront in 3 voll. (fino al sec. IX) vide la luce in un momento difficile per coloro che all'interno della Chiesa cattolica tentavano di fare un discorso storico sul dogma (la prima edizione risale al 1904!) ed ebbe non poco merito nel dare alla storia del dogma diritto di cittadinanza nell'insegnamento cattolico della teologia, come notò P. Batiffol in un Auant-Propos premesso alla 7° edizione del volume III (Paris, 1928). L'opera ha raggiunto nel 1930 la sua 11° edizione e non è stata mai del tutto sostituita, nonostante i tentativi di B. J. Otten, A Manual of tbe History of Dogmas, 2 voll., London, 1917, e quello più noto di F. Marin-Sola, L'évolution homogène du dogme catboliquc , 2 voll., Paris, 1924, al quale è stato rimproverato di accentuare molto più l'«omogeneità» che non l'«evoluzione» e di non dare, perciò, il dovuto rilievo all'elemento storico dei dogmi e del loro sviluppo. Il nuovo manuale cattolico di storia dei dogmi, l'Handbuch der Dogmeugeschichte , a cura di M. Schmaus e A. Grillmeier, Herder, 1950 ss. dovrebbe abbracciare in 5 volumi tutta la storia del dogma. Il periodo patristico è trattato in fascicoli rnonografici brevi ma ben informati (usciti già quelli sulla crisrologia di J. Liebaerr, sul battesimo e l'unzione di B. Neunheuser. sulla creazione e la provvidenza di L. Scheffczvk). Di particolare interesse, dal punto di vista di una rifiessione sul senso del dogma e del suo sviluppo storico, è l'ultimo fascicolo: G. Soll, Dogma und Dogmenentuncklung, Freiburg, 1971.

13. Tubingen, 1906; l'opera era apparsa però in prima edizione nel 1902 con il titolo: Von Reimarus zu Wrede. Eine Darstellung der Leben-Jesu-Forscbung. Quello che per il momento esiste come «Storia delle storie dei dogmi» non va molto oltre gli articoli di enciclopedie e le introduzioni, talune ampie e ben informate, premesse alle grandi storie dei dogmi. Si veda]' Auer, Dogmengeschichte, in Lexikon fur Tbeologie und Kircbe, Freiburg, 1959, voI. III, pp. 463-470, e W. Schneemelcher, Das Problem der Dogmengescbichte, in «Zeitschr. f. TheoI. u. Kirche», XLVIII (1951), pp. 63-89.

14. Con questa frase l'autore allude alla problernatica suscitata da W. Bauer, con il suo studio Rechtglaubigkeit und Ketzerei im dltcsten Cbristentum, Tiibingen, 1964 (1°ed. 1934) il quale rovescia la credenza comune secondo cui l'ortodossia precede l'eresia, sostenendo che l'ortodossia è posteriore nel cristianesimo all'eresia e non appare che alla fine del secondo secolo per la forza catalizzatrice della Chiesa di Roma. Le forme primitive di cristianesimo sono più vicine a quelle che in seguito saranno considerate eresie che non a ciò che in seguito si configurerà come ortodossia. La reazione venutasi a creare nei confronti di questa tesi radicale che riduce eresia e ortodossia a pure categorie storiche vuote di contenuto dottrinale, ha portato alla soluzione di H. E. W. Turner, Tbe Pattern 01 the Cbristian Truth, London, 1954, il quale parte proprio dall'analisi della natura profonda dell'ortodossia e della eresia e tenta di chiari me il rapporto studiando l'unità e la diversità, gli «elementi fissi» e gli «elementi flessibili» del cristianesimo primitivo (pp. 26-35), senza tuttavia ritornare alla visione tradizionale, anteriore al Bauer, di una ortodossia dai caratteri unitari e ben definiti, cui si opporrebbe la varietà delle eresie. È significativo che il Kelly definisca la cristologia ebionita e adozionista (il Cristo puro uomo) e la cristologia docetista (il Cristo solo Dio) come «soluzioni unilaterali» («Onesided Solutions») e non « soluzioni eretiche».

15. Un'interessante alternativa a questo criterio di distribuzione è costituito dal piano della Histoire des doctrines chrétiennes avant Nicée di T. Daniélou, di cui sono usciti due volumi: La théologie du [udéo- cbristianisme Paris, 1958 e Message éoangélique et culture bellénistique , Paris, 1961. (Un terzo volume su «Le monde latin» è in preparazione). In tale piano la divisione non è per epoche cronologiche, ma piuttosto per ambienti vitali e culturali in cui il messaggio evangelico si incarna: l'ambiente giudeo-cristiano e l'ambiente ellenistico. La difficoltà tuttavia in questo caso è determinare la vera natura del cosiddetto giudeo cristianesimo.

16. Anche tra gli studi segnalati nella nota bibliografica non c'è che: il libro di O. Cullmann, Cbristus und die Zeit, Zurich, 1962; trad. it., Cristo e il tempo, Bologna, 1965, che contempli questo aspetto per di più quasi esclusivamente limitato alla Scrittura. Un buon complemento, più direttamente attinente all'epoca patristica, può essere dato dalla lettura di J. Daniélou, Le mystère de l'bistoire, Paris, 1953; di C. Andresen, Logos und Nomos, Berlin, 1957, soprattutto pp. 354·372; di A. Luneau, L'bistoire du salut cbez les Pères de l'Eglise , Paris, 1964, e di L. G. Patterson, God and History in Early Cbristian Thought, New York, 1967.

17. Qualcuno (cfr. C. Andresen, in «Theologische Litcraturzcitung», cit., p. 598) ha creduto di scorgere nelle scelte bibliografiche dell'autore una prevalenza della produzione francese su quella tedesca, deducendone implicitamente una certa valutazione circa la collocazione teologica dell'opera. Ma mi pare a torto. Semmai si deve notare come il Kelly abbia saputo trar profitto dalla vastissima e talora eccellente produzione della Chiesa anglicana, specie nel settore che riguarda la dottrina trinitaria e la cristologia (evidente soprattutto l'influsso di G. Prestige, God in Patristic Tbougbt, London, 1936; trad. it., Dio nel pensiero dei Padri, Bologna, 1969), produzione, a mio parere, non sempre valorizzata come merita nel continente.

18. Cfr. D. Nineham, in «Journa! of Ecclesiastica! History», X (1959) p. 93.

19. Cfr. A. Grillmeier, in «Theologische Revue», LVII (1961), col. 116.

20. Tixeront, op. cit., voI. I, pp. 62-118. Il titolo che l'autore dà a questo capitolo è significativo: Le premier état du dogme cbrétien: la prédication de Jésus et des Apàtres. Anche il manuale di Schmaus e Grillmeier comporta all'inizio di ogni trattato una introduzione biblica: vedi per es. quella sulla cristologia curata da P. Lamarche.

21. Cfr. per es. R. H. Fuller, Tbe Foundations 01 New Testament Cbristology ; London, 1965, pp. 242 ss., e anche F. Hahn, Christologiscbe Hobeitstitel. lbre Gescbicbte im [rùben Cbristentum, Gottingen, 1964

22. La tendenza a non assolutizzare troppo il limite che separa la letteratura canonica del Nuovo Testamento da quella sub-apostolica si nota anche negli scritti del Cullmann; ma l'esempio più significativo si ha nel Kvrios Cbristos di W. Bousset (Gortingen, 1913), che fa terminare con Ireneo la sua ricostruzione della cristologia biblica.

23. È questo forse il vantaggio maggiore che il manuale di storia dei dogmi o, in genere, una storia globale del pensiero cristiano antico come questa del Kelly presenta rispetto alle trattazioni monografiche delle singole dottrine come quella di J, Lebreton relativa alla Trinità, quella di A. Grillmeier sulla cristologia (Cbrist in Cbristian Tradition, London, 1965), di J, Rivièrc. sulla redenzione, di H. Rondet sulla grazia, ecc. Queste rnonografie che in campo cattolico sono state coltivate a preferenza dei manuali di storia dei dogmi, hanno, in compenso, il vantaggio di mettere in miglior rilievo la continuità verticale, vale a dire lo svilupp «cronologico della riflessione all'interno di una singola dottrina, non dovendo ricorrere ai «tagli» in sezioni più o meno estese necessari nelle trattazioni generali,

24. W. Miinscher, Handbuch der christlicben Dogmengeschicbte, Marburg, 1797, vol. I, pp. 3-4.

25. È nota la controversia sul modo di concepire la storia della letteratura dei primi secoli che oppose Bardenhewer ad Harnack e che si esprime nel diverso aggettivo usato per tale letteratura: «cristiana» per Harnack, «ecclesiastica» per il cattolico Bardenhewer. Se sul piano letterario la visione di Harnack appare più giustificata di quella del suo avversario, la cosa è diversa, evidentemente, quando si tratta della storia delle dottrine, perché in questo caso l'autorità di chi le rappresenta non è un elemento accidentale.

26. Mi riferisco soprattutto alla ricostruzione dell'origine della dottrina trinitaria messa in luce da G. Kretschmar nel suo noto libro: Studien zur frùbcbristlichen Trinitatstbeologie, Tiibingen, 1956,. in cui fa risalire l'inizio della teologia trinitaria all'angelologia giudaica rielaborata nella liturgia cristiana primitiva. Daniélou ha dimostrato che Krerschmar ha colto un aspetto reale della teologia trinitaria primitiva, un aspetto tuttavia, che non è proprio di tutta la teologia cristiana, ma solo di quella del giudeo-cristianesimo: cfr. La théologie du Judéochristianisme, cit., pp. 167-198.


INDICE DEL VOLUME

Introduzione all'edizione italiana, di Raniero Cantalamessa

Prefazione alla prima edizione

Prefazione alla seconda edizione

PARTE PRIMA: PROLEGO

I. L'ambiente
1.L'epoca patristica
2.Gli orientamenti religiosi nell'impero romano
3.La filosofia greco-romana
4.Il neoplaronismo
5.Il giudaisrno
6.La via gnostica

II. Tradizione e Scrittura
1.La norma della dottrina
2.Il periodo primi rivo
3.Irenco c Tcrrulliar:o
4.Il terzo e quarto secolo
5.L'appello ai Padri

III. Le Sacre Scritture
1.L'Antico Testamento
2.Il canone neotestamentario
3.L'ispirazione della Scrittura
4.L'unità dei due Testamenti
5.Tipologia e allegoria
6. La reazione antiochena


PARTE SECONDA: LA TEOLOGIA PRENICENA

IV. La Triade divina
1.Un solo Dio creatore
2.La fede della Chiesa
3.I Padri Apostolici
4.Gli Apologisti e il Verbo
5.Gli Apologisti e la Trinità
6.Ireneo

V. Il trinitarismo del terzo secolo
1.Introduzione
2.Ippolito e Tertulliano
3.Il monarchianismo dinamico
4.Il monarchianismo modalistico
5.La teologia romana
6.Clemente e Origene
7.L'influenza di Origene

VI. Gli inizi della cristologia
1.Soluzioni unilaterali'
2.La cristologia pneumatica
3.Gli Apologisti e Ireneo
4.Il contributo occidentale
5.La scuola di Alessandria
6.L'oriente dopo Origene

VII. L'uomo e la sua redenzione
1.L'epoca sub-apostolica
2.Gli Apologisti
3.La teoria della ricapitolazione
4.L'occidente nel terzo secolo
5.La dottrina dell'uomo in oriente
6.Le opinioni orientali sull'opera di Cristo

VIII. La comunità cristiana
1.Gli inizi dell'ecclesiologia
2.Le antiche concezioni sui sacramenti
3.Gli sviluppi della dottrina della Chiesa
4.Il battesimo nel terzo secolo
5.Lo sviluppo della dottrina eucaristica
6.La disciplina penitenziale

PARTE TERZA: DA NlCEA A CALCEDONIA

IX. La crisi nicena
1.La vigilia del conflitto
2.L'insegnamento di Ario
3.La teologia di Nicea
4.Le conseguenze di Nicea
5.Il partito niceno e Atanasio
6.Gli antiniceni

X. La dottrina della Trinità
1.Il ritorno all'«homoousion»
2.L'«homoousion» dello Spirito: Atanasio
3.L'«homoousion» dello Spirito: i Cappadoci
4.I Cappadoci e la Trinità
5.La Trinità in occidente
6.Il contributo di Agostino

XI. La cristologia nel quarto secolo
1.Introduzione
2.Gli ariani ed Eustazio
3.La cristologia di Atanasio
4.L'eresia di Apollinare
5.La reazione ortodossa
6.La cristologia antiochena

XII. L'accordo cristologico
1.Il nestorianesimo
2.Cirillo di Alessandria
3.Da Efeso all'unità
4.La controversia di Eutiche
5.L'occidente e Leone
6.L'accordo di Calcedonia

XIII. L'uomo caduto e la grazia di Dio
1.L'origine dell'anima
2.Atanasio e la caduta
3.I Padri greci
4.L'occidente prima di Agostino
5.La dottrina di Pelagio
6.Agostino e il peccato originale
7.Grazia e predestinazione
8.Lo sviluppo dottrinale in occidente
9.L'oriente nel quinto secolo

XIV. L'opera di salvezza di Cristo
1.La chiave della soteriologia
2.Atanasio
3.I Padri greci del quarto secolo
4.L'occidente nel quarto secolo
5.Agostino
6.L'oriente nel quinto secolo

XV. Il corpo mistico di Cristo
1.L'ecclesiologia in oriente
2.L'oriente e la sede romana
3.Dottrine occidentali: llario e Optato
4.Dottrine occidentali: Agostino
5.L'occidente e il primato romano

XVI. Sviluppi della dottrina dei sacramenti
1.Teoria generale
2.Il battesimo
3.Confermazione o cresima
4.La penitenza
5.La presenza eucaristica
6.Il sacrificio eucaristico

PARTE QUARTA: EPILOGO

XVII. La speranza cristiana

1.La tensione nella escatologia
2.Le concezioni escatologiche del secondo secolo
3.Lo sviluppo del dogma
4.Origene
5.La risurrezione dei corpi nel pensiero posteriore
6.Parusia e giudizio nel pensiero posteriore
7.La vita eterna

Indice dei nomi

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IL PENSARE DELL'APOSTOLO PAOLO

RETROCOPERTINA

Negli studi riguardanti Paolo, di regola, vengono presi in considerazione il suo pensiero e la sua teologia. Ma oggi l'interesse degli studiosi ha cominciato a volgersi a Paolo che «fa teologia», considerando non tanto il prodotto quanto il processo produttivo. Si entra nel suo atelier di scrittore, per cogliere in atto la sua attività di «comunicatore» verso le comunità. Questo lavoro mira a far conoscere il pensatore Paolo, pensatore occasionale eppure coerente. Quale coerenza emerge da un pensare teologico espresso non in trattati sistematici, bensì in forma epistolare, segnato dalla varietà dei destinatari e dalla diversità degli intenti dell'apostolo? Quale la linea retta percorsa dalla sua mente?
Si può cogliere un centro dottrinale attorno a cui egli avrebbe costruito il castello del suo pensiero: per esempio la giustificazione sola fide oppure la dottrina cristologica, l'evento di Cristo morto e risorto o l'unione mistica dei credenti in lui? Il volume è complementare a La teologia di Paolo, di cui costituisce il seguito logico: l'occasionalità, allora evidenziata, non è a scapito della coerente unitarietà di carattere ermeneutico, che ora viene messa in luce.

INDICE


Indice generale
Abbreviazioni
Introduzione

PARTE PRIMA
CARATTERISTICHE FORMALI DEL PENSARE DI PAOLO

Capitolo I
Un pensare teologico

Capitolo II
A partire da:
1 - EREDITÀ BIBLICO-GIUDAICA
2 - UOMO DEL MONDO GRECO
3 - UN TEOLOGO ANTIOCHENO?

Capitolo III
In forma epistolare

Capitolo IV
Un pensare provocato

Capitolo V
Un pensare «provocatorio» e dialogico

Capitolo VI
Un pensare «occasionale»

Capitolo VII
Un pensare motivante e argomentante

Capitolo VIII
Un pensare ermeneutico o interpretativo

PARTE SECONDA
PAOLO PENSA E INTERPRETA IL VANGELO DI CRISTO

Capitolo IX
Un vangelo della gratuita elezione divina (1Ts 1-3)

1 - PENSARE L'ESPERIENZA
2 - DALLA CATEGORIA DELL'ELEZIONE A QUELLA DELLA VOCAZIONE

3 - FUNZIONALITÀ DELL'ELEZIONE DIVINA NEL PENSARE DI PAOLO
4 - SVILUPPI DEL SUO PENSARE NELLA 1CORINZI


Capitolo X
Un vangelo della croce (ICor 1-4)

1 - A CORINTO
2 - INTERPRETAZIONE DELL'EVENTO DI CRISTO SUB SIGNO CRUCIS

3 - DAL PENSARE INTUITIVO AL PENSARE ARGOMENTATIVO
4 - DAL PAOLO RAZIOCINANTE AL PAOLO APOCALITTICO: RIDEFINIZIONE DELLA SAPIENZA


Capitolo XI
Un vangelo della libertà dei gentili (Gal)

1 - ACCREDITAMENTO DEL SUO VANGELO E DI LUI EVANGELISTA (GAL 1-2)
2 - ESPOSIZIONE DOTTRINALE DEL SUO VANGELO (GAL 2,15-21)
3 - GIUSTIFICAZIONE «RAZIONALE» DEL SUO VANGELO I CHIAVE CRISTOLOGICA
4 - ARGOMENTAZIONE SCRITTURISTICA (3,6-4,31)


Capitolo XII
Un vangelo dell'apocaIisse dell'imparziale giustizia di Dio (Rm 1-4)

1 - L'lNTUS LEGERE DI PAOLO (1,16-17)
2 - L'ARGOMENTO A PARI E IL RISVOLTO NEGATIVO DELLA MEDAGLIA (1,18-3,20)
3 - DIFESA DIALETTICA DA OBIEZIONI E FRAINTENDIMENTI (3,1-8)
4 - PARITÀ DI GIUDEO E GRECO NELLA SOTTOMISSIONE AL PECCATO (3,9-20)
5 - ESPOSIZIONE DEL VANGELO DELL'IMPARZIALE GIUSTIZIA DI DIO (3,21-31)
6 - ARGUMENTATlO SCRIPTURISTICA (c. 4)


Capitolo XIII
Il vangelo per i giustificati: vita nuova e fondata speranza (Rm 5-8)

1 - ESPOSIZIONE PROGRAMMATICA (5,1-11)
2 - L'AZIONE DI CRISTO FONDATI VA DELLA NUOVA ESPERIENZA DEI GIUSTIFICATI (RM 5,12-21)
3 - DIATRIBA: LIBERTÀ RESPONSABILE DAL PECCATO E DALLA LEGGE (C. 6 E 7,1-6)
4 - PAOLO PRECISA E RrBADISCE LA SUA VALUTAZIO E DELLA LEGGE MOSAICA (7,7-25)
5 - L'ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA: VITA NUOVA NELLO SPIRITO E GEMENTE SPERANZA NELLA GLORIA (RM 8)


Capitolo XIV
Il vangelo della fedeltà di Dio a Israele (Rm 9-11)

1. LE LINEE GENERALI DEL SUO PENSARE
2. LIBERTÀ DEL DIO ELEGGENTE E VOCANTE (C. 9)
3. L'ANACRONISMO DELL'ISRAELE INCREDULO PER FEDELTÀ ALLA LEGGE (9,30-10,21)
4. E COSÌ TUTTO ISRAELE SARÀ SALVATO (c. 11)

Capitolo XV
Il vangelo della morte liberante e oblativa di Cristo

1. MORTE COME EVENTO LIBERANTE:
2. MORTE COME DONO D'AMORE
3. INTERTESTUALlTÀ GRECO-ROMANA, GIUDAICA E CRISTIANA POSTPAOLINA

Capitolo XVI
Il vangelo di Cristo risuscitato come primizia (1Ts 4,13-18 e 1Cor 15)

1. «SE CREDIAMO CHE GESÙ MORÌ E RISORSE ... » (1Ts 4,14)
2. «CRISTO RISUSCITATO DA DIO PRIMIZIA DI QUELLI CHE SONO MORTI» (1 COR 15,20)
2.1. Refutatio della tesi dei negatori (vv. 12-19)
2.2. Probatio della propositio (vv. 20-28)
2.3. Prima espansione dell'argomento (vv. 35ss)
2.4. Seconda espansione (vv. 50ss)
2.5. Confronto tra 1Ts 4 e 1Cor 15

Capitolo XVII
Il vangelo di liberazione per una vita di libertà nello Spirito (Gai 5-6/ Rm 6-8)

1. VANGELO DI LIBERAZIONE E DI LIBERTÀ RESPONSABILE
2. V ANGELO DI LIBERAZIONE DALLA «CARNE» E DI VITA UOVA NELLO SPIRITO
3. IL VANGELO: «NON SIETE SOTTO LA LEGGE, MA SOTTO LA GRAZIA» (RM 6,14)

Capitolo XVIII
Il vangelo di Cristo configura l'evangelista Paolo (2Cor)

1. NELLA COMUNICAZIONE EPISTOLARE CON LA CHIESA DI CORINTO
2. L'EVANGELISTA PAOLO A IMMAGINE DEL VANGELO DI CRISTO CROCIFISSO E RISORTO
3. FORZA E DEBOLEZZA, VITA E MORTE, GLORIA E UMILIAZIONE, ONORE E VERGOGNA

Conclusione: IL VANGELO DI IERI E DI OGGI

Indice degli autori citati
Indice generale

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IL NOME DI DIO NEL NUOVO TESTAMENTO + 2 DVD con 1050 immagini sul Nome su tutta la Terra

RETROCOPERTINA LIBRO

Il nome di Dio non finisce mai di suscitare delle reazioni, positive o negative. Per esempio, alla fine del mese di agosto del 2008 il Vaticano ha raccomandato al suo gregge di non far più uso del vocabolo Yahvé nei canti liturgici, ma di conformarsi alla tradizione “storica” dei Giudei e dei Cristiani di non pronunciare il nome divino ad alta voce. Numerosi canti dovranno così essere modificati per cancellare ogni menzione del Nome (Yahvé o Geova).
Questa notizia illustra molto efficacemente l'avversione che la cristianità manifesta nei confronti del nome di Dio, un'avversione che non è recente ma che percorre tutta la sua storia, fin dai primi secoli. Tale avversione, come dimostra Didier Fontaine in questo saggio, porterà i copisti cristiani perfino ad emendare il testo del Nuovo Testamento e della Settanta, sostituendo il nome divino, che vi compariva in caratteri ebraici, con Kyrios, un termine greco più universale e quindi più gradito ai cristiani d'origine pagana rispetto a Geova, un nome considerato barbarico e che identificava il Dio cristiano con quello dei disprezzati giudei.
Al contrario, le Sacre Scritture non contengono nessuna ambiguità nei confronti del Nome.
Esse insistono con l'importanza di invocare il nome di Dio, di lodarlo, di rifugiarvisi in tempo di sconforto. Contrariamente alle affermazioni del Magistero, né gli Israeliti, né i cristiani si sono astenuti dell'usare il Nome.
Gérard Gertoux lo ha dimostrato molto bene in un volume pubblicato da queste stesse edizioni, “Storia del Nome di Dio”. In effetti, è solo a partire dal momento in cui il culto cristiano si è progressivamente corrotto che la riluttanza ad usare il nome divino si è fatta via via sempre più forte, fino al punto che, scomparso dalle traduzioni, l'Occidente lo ha completamente dimenticato.
Per comprendere in quali circostanze storiche e culturali il cristianesimo si è allontanato dalle sue origini ed ha cessato di far menzione del Nome, il presente studio si concentra sul periodo apostolico e post-apostolico.
Quale era l'eredità culturale dei primi cristiani? Conoscevano il Nome? Lo usavano? Come sono arrivati a non pronunciare più il nome divino e addirittura ad eliminarlo dai loro scritti, al punto che oggi non vi si trova più?
Il DVD allegato invece, contiene circa 900 im- magini del nome sparse in tutta la terra, e dimostrano ai nemici denigratori di Yahvé o Geova, che il nome era conosciuto e usato nei secoli passati!
Questo studio, che concilia il rigore scientifico con l'accessibilità di lettura, permetterà di sensibilizzare il pubblico italiano al problema della presenza originale del nome divino nel Nuovo Testamento e darà un senso alla dichiarazione di Gesù: “Sia santificato il tuo nome”.


PREFAZIONE di
GÈRARD GERTOUX

Il nome di Dio è un oggetto di studio affascinante. Elemento centrale della maggior parte delle religioni dato che i cristiani iniziano la loro preghiera del Padre Nostro con “Sia santificato il tuo nome” e le sure del Corano iniziano con “nel nome di Dio”, il nome di Dio è allo stesso tempo completamente ignorato, al punto che il credente è incoraggiato a rendere un culto ad un Dio anonimo, il dio sconosciuto dei greci. Per uno strano paradosso il nome di Dio, essendo onnipresente, passa inosservato. Le religioni moderne hanno adottato il principio centrale dei culti misterici, prodotto di circoli gnostici e cabalistici, il nome di Dio è il Nome. D’altronde gli ebrei moderni chiamano D-io: Hashem “Il Nome”, nella stessa maniera con cui gli egiziani del passato chiamavano il loro dio supremo: Amon “il [nome] nascosto”.

E’ tuttavia facile verificare che il nome divino appare circa 7000 volte nella Bibbia ebraica nella forma del tetragramma YHWH, il famoso nome di quattro lettere, secondo Giuseppe Flavio composto, in effetti, da quattro vocali. Il testo biblico, Romani 10:13 che cita Gioele 2:32, insiste sull’invocare il nome di Dio per avere la salvezza.

Didier Fontaine ha condotto un’inchiesta appassionante per comprendere come mai questo nome, così sacro, ha cessato di essere pronunciato durante il periodo che va dal 35 al 135 della nostra era. Il processo di Gesù costituisce uno degli elementi determinanti per comprendere quest’enigma. In effetti, i capi religiosi giudei non volevano essere degli assassini, dunque hanno voluto condannare legalmente questo compatriota che consideravano come un impostore. Il principale capo d’accusa utilizzato, prima di appigliarsi al crimine di lesa maestà della legislazione romana, fu il crimine di bestemmia. La bestemmia era un crimine codificato, infatti Levitico 24:16 prevedeva la lapidazione per chiunque pronunciava il nome di Dio in maniera ingiuriosa. D’altronde nel primo secolo qualche giudeo-cristiano, come Stefano, fu lapidato per questo motivo.
Didier Fontaine, ricercatore appassionato, è riuscito a rendere semplice un argomento diventato complesso.


PREFAZIONE all'
EDIZIONE ITALIANA

Il nome di Dio non finisce di suscitare reazioni, positive o meno. Alla fine di agosto del 2008 il Vaticano ha raccomandato al suo gregge di non far più uso del vocabolo Yahvé nei canti liturgici, ma di conformarsi alla tradizione “storica” dei Giudei e dei Cristiani di non pronunciare il nome divino ad alta voce. Numerosi canti dovranno così essere modificati per cancellare ogni menzione del Nome (Yahvé o Geova). Questo illustra senza ambiguità l’attitudine della cristianità davanti al nome di Dio: nessun attaccamento. Essa non l’ha mai amato.

Le Sacre Scritture non hanno alcuna ambiguità. Insistono con l’importanza di invocare il Nome (Sofonia 3:9), di lodarlo (Salmo 113:1, 135:1), di rifugiarvisi in tempo di sconforto (Salmo 116:4, Proverbi 18:10). Contrariamente alle affermazioni del Magistero, né gli Israeliti, né i cristiani si sono astenuti di far uso del Nome. In un volume già apparso in questa collana, Storia del Nome di Dio, Gérard Gertoux l’ha dimostrato molto bene. In effetti, è solo a partire dal momento in cui il culto si è corrotto che una reticenza via via sempre più grande rispetto al Nome si è fatta sentire.

Per comprendere in quali circostanze il cristianesimo si è allontanato dalle sue origini ed ha cessato di far menzione del Nome, il presente studio si concentra sul periodo apostolico. Quale eredità culturale e cultuale possedevano i primi cristiani? Conoscevano il Nome? Come sono arrivati a non pronunciare più il nome divino? A non impiegarlo del tutto?

Il nome divino nel Nuovo Testamento è sicuramente un argomento polemico. Infiamma ed alimenta le controversie perché il suo epilogo spiega come Gesù è stato identificato con Dio. Ora, compromettendo un pilastro della fede cristiana”, suscita le più vivaci reazioni.

La presente edizione, che appare oltre un anno dopo quella francese, ha beneficiato di numerosi arricchimenti. Alcune parti sono state rivedute, riscritte o rese più chiare. L’apparato di note è stato verificato e completato con l’apporto degli studi più recenti. Il terzo capitolo è stato ampliato con un’importante esposizione sulla distinzione tra kyrios (Signore) e ho kyrios (il Signore) nella Settanta. Quest’utilizzo è messo in evidenza anche nei Padri apostolici. L’appendice è stata considerevolmente arricchita per servire come punto di partenza al lettore desideroso di seguire le ricerche: in effetti, gli oltre duecentotrenta versetti biblici dove il nome divino forse era presente in origine sono stati analizzati sotto un duplice aspetto: l’impiego o meno dell’articolo davanti al termine kyrios (un indice relativamente affidabile verso il tetragramma originale), e le varianti testuali concernenti l’uso dell’articolo, o dei termini kyrios, christos, theos, tutte molto significative in quanto alle esitazioni cristologiche caratteristiche del periodo di transizione tra il giudeo-cristianesimo e il pagano-cristianesimo. Più critica, l’appendice è stata riscritta in maniera di non escludere una rilettura dell’Antico Testamento in certe occasioni, e menziona i versetti dove, escludendo la menzione kyrios e il principio kyrios = tetragramma, il nome divino non è stato restaurato nelle versioni che ripristinano il Nome.

Spero che questo studio permetterà di sensibilizzare il pubblico italiano al problema della presenza originale del nome divino nel Nuovo Testamento. Approfitto dell’occasione per ringraziare calorosamente l’editore italiano di avermi concesso una tale opportunità, ed a Sara e Stefano Pizzorni di avervi lavorato diligentemente. Ci tengo ad esprimere loro la mia calorosa riconoscenza, non solo per il loro contributo, ma anche e soprattutto per le qualità cristiane che hanno manifestato a mia moglie e a me.

Il presente studio possa glorificare il Nome, e incitare sempre più persone a seguire i passi del Signore Gesù Cristo.

Didier Fontaine, Settembre 2008

INTRODUZIONE

Il lettore della Bibbia talvolta è confuso da una constatazione imbarazzante: il Vecchio Testamento è molto differente dal Nuovo. Il primo racconta delle tumultuose relazioni tra YHWH e un popolo che egli ha eletto a discapito di tutti gli altri, popolo “dal collo duro”, le cui peregrinazioni caotiche non sono certo un motivo di vanto. E’ il racconto di spietate guerre incessanti, di conquiste, di stermini. Le bassezze dei re si susseguono alla narrazione dei massacri. Alla fin fine questa nazione, tranne che per la rivelazione del Dio Uno e l’alleanza che ha contratto con Lui, fa una ben misera figura. In seguito si stabilisce una nuova alleanza, il cui “resoconto” costituisce un Nuovo Testamento. Il Dio che vi è rappresentato non ha nome. Lo si chiama con il titolo di “Signore”. E’ un Padre benigno e pieno d’amore che ci rivela il Cristo. Ben differente, in apparenza, dalla divinità nazionale della Prima Alleanza, questo “Dio buono” dando la sua grazia a tutta l’umanità, è universale.

Nel secondo secolo della nostra era la constatazione di questa separazione era già fonte di confusione e di conflitti, come ne testimonia la celebre eresia di Marcione, secondo cui il Dio dell’Antico Testamento, divinità malvagia e inferiore, non poteva in nessun caso essere quello del Nuovo. Per gli ebrei d’oggi, la Bibbia è formata dalla Torah, dagli Scritti e dai Profeti: non ci sono dunque due divinità differenti, ma solo il Dio Uno, YHWH, dal nome impronunciabile. Per quanto riguarda i cristiani per molto tempo si sono adattati al Vecchio Testamento – con fatica, bisogna dirlo – leggendo solamente dei pezzi scelti, e utilizzando ogni sorta di messali che non contenevano che il Nuovo Testamento e i Salmi. Ai nostri giorni, se la lettura liturgica o quella personale ha compiuto un’evoluzione nel senso di un approccio più completo alle Scritture, questa sfocia invariabilmente in un latente imbarazzo.

Ciò nonostante si potrebbero superare questa difficoltà, perché la storia mostra che giudaismo e cristianesimo sono madre e figlia. Il loro legame è viscerale. Come dunque, in questa epoca di intolleranza e fanatismo, spiegare queste disparità? L’esistenza di una Bibbia ebraica, e di una Bibbia cristiana? Le differenze tra YHWH e “il Padre”?

Lo scopo di quest’opera è di mettere in risalto una delle spiegazioni della rottura tra giudei e cristiani. Una spiegazione fra le altre, certo, ma che a nostro avviso è così importante che da essa ne derivano tutte le altre. Si tratta della questione del nome divino e del suo trattamento nella Bibbia, in particolare nel Nuovo Testamento. Sovrabbondante nei testi dell’Antico Testamento – vi compare circa 7000 volte – scompare del tutto nel Nuovo Testamento (almeno dai manoscritti che ci sono pervenuti): Dio è designato dai sostantivi “Dio”, “Padre” o “Signore”. Il nome divino nella Bibbia ha sempre suscitato delle reazioni diverse e questo è molto indicativo. E’ incontestabile che questo nome appaia nel Vecchio Testamento: lo s’incontra, più che ogni altro nome, sotto le quattro lettere YHWH, in ebraico hvhy. Una superstizione giudaica (diventata tradizione) ha diffuso l’idea che questo Nome era “troppo sacro per essere pronunciato”, così come la vocalizzazione di questo Nome, da molto tempo, pone un problema e contribuisce alla ricerca di sostituti: Eterno, Signore, YHWH o YHWH-Adonai compaiono spesso al posto del glorioso nome divino.

Nel Nuovo Testamento, dunque, Dio viene chiamato frequentemente (Kyrios), Signore. Perché non lo si chiama più con il suo nome hvhy ? Il Nome è imbarazzante o è lo spirito di un universalismo sincretico che lo suggerisce? E’ tanto più curioso che nella Bibbia, Dio afferma che il suo Nome deve durare di generazione in generazione, conservarsi all’infinito, essere proclamato fra tutte le nazioni. Se dunque il Dio degli Ebrei voleva che il suo nome fosse conosciuto in tutta la terra, perché non ha fatto in modo che esso fosse preservato, e questo a partire dalla sua vocalizzazione? Si potrebbe logicamente pensare che se questa vocalizzazione si è persa, semplicemente non è importante. E’ dunque opportuno oggi usare un nome ricostruito, e restituito almeno nel Vecchio Testamento dove esso compare incontestabilmente? Ecco le due domande che saranno alla base della nostra analisi.

Tuttavia noi concentreremo la nostra attenzione su un problema più delicato, che è quello del nome divino nelle Scritture greche cristiane, in risposta all’opera di Lynn Lundquist, The Tetragrammaton and the Christian Greek Scriptures.1 Come abbiamo accennato precedentemente, in effetti, nessun manoscritto del Nuovo Testamento riporta il tetragramma, nome proprio per eccellenza del Dio d’Israele. Tra rottura e continuità gli scritti neotestamentari lasciano dunque un sensazione strana per quel che riguarda la loro eredità: il nome sacro di Dio non è ripreso che sotto la forma ellenizzata di un titolo assai comune all’epoca, (Kyrios). Ora, il problema sorge dalla confusione nell’impiego di questo titolo. (Kyrios) può infatti indicare tanto YHWH che Gesù Cristo. Questo ha inevitabilmente generato una notevole confusione sull’identità di Gesù, che è stato assimilato, attraverso questo titolo comune di Signore, a Dio stesso… A nostro avviso questa confusione sull’identità di Cristo è direttamente legata alla presenza originale del tetragramma nel Nuovo Testamento.

Qui sosterremo la tesi che Gesù ed i suoi discepoli conoscevano ed impiegavano il Nome, e che gli scritti dei primi cristiani2 contenevano il tetragramma in caratteri ebraici. Fu soprattutto il diffondersi del messaggio evangelico alla Gentilità ellenistica che causò la perdita d’interesse per il Nome e, pertanto, la sua scomparsa totale nella trasmissione dei testi. Vedremo che questa “scomparsa” è nel caso specifico un termine ingannevole.

Il problema del nome divino nel Nuovo Testamento ha un inso­spettabile potenziale polemico. Ne saremo coscienti nel corso di tutta la nostra ricerca, non dimenticando mai che in un certo senso tocca l’essenza stessa del cristianesimo. Per di più questo sog­getto necessita di conoscenze specifiche che sono spesso assenti o, comunque, confuse agli occhi del non specialista. Ora quello che è confuso finisce per diventare una mezza verità. Sarà dunque giudizioso soffermarci innanzi tutto sulle seguenti questioni:

- Innanzitutto accenneremo all’impiego del nome divino nei tempi biblici e al problema della sua vocalizzazione (nei capitoli 1 e 2), soggetti che non interessano direttamente la nostra problematica, ma che permettono che la sua trattazione si liberi di informazioni e di analisi approssimative sulle quali è impossibile costruire qualunque ragionamento. Inoltre, non rimettendo in questione la presenza del nome divino nel Vecchio Testamento, le polemiche che tuttavia circondano la sua vocalizzazione e restituzione nelle nostre traduzioni sono molto rivelatrici,

- In secondo luogo, ci serviremo della testimonianza della Settanta. Alcuni considerano questa testimonianza senza valore; altri, al contrario, la ritengono una prova, o quasi. Senza collocarsi in questi due estremi, analizzeremo dunque in cosa questa traduzione delle scritture ebraiche, che impiegavano i cristiani, ci illumina sul comportamento nei confronti del Nome, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento.

In effetti, il lettore impaziente che pensa di avere abbastanza dimestichezza con i risvolti del nome divino nella parte ebraica della Bibbia può recarsi direttamente al capitolo 4, perché è in questo capitolo che inizieremo a raccogliere gli indizi del suo uso all’epoca di Gesù e dei suoi discepoli. Il capitolo seguente risponderà alla domanda che sorge naturalmente all’esame degli indizi: se Gesù ed i suoi discepoli hanno veramente impiegato il Nome, per quale ragione non appare nel testo del Nuovo Testamento?

Rispondere precisamente a questa domanda richiede di esaminare le condizioni di trasmissione di questo testo. In generale, il credente pensa che il testo che egli scopre nella sua versione biblica è assolutamente degno di fiducia, per la buona ragione che questa Parola è considerata come “ispirata”. Ma è, anche questa, una mezza verità, che ignora quali epoche turbolente ha attraversato il testo che ha sotto gli occhi (capitolo 6) dato che i primi due secoli della nostra era sono disseminati di avvenimenti uno più grave dell’altro: la rovina di Gerusalemme nel 70, le persecuzioni dei cristiani, demarcazione e poi rottura del cristianesimo dal giudaismo, seconda rivolta giudaica e seconda rovina di Gerusalemme… non sono che alcuni dei trascorsi di questo periodo agitato. Senza parlare delle controversie cristologiche che apparvero da che il messaggio evangelico uscì dalla Palestina (capitolo 7). E’ il rendersi conto di questo contesto che permette di collocare il problema del nome divino in seno alle Scritture greche cristiane nella sua corretta prospettiva. In quel periodo, il cristianesimo si definiva, allo stesso tempo, con una contraddizione interna ed un’apertura all’esterno. La proclamazione orale si fissa per iscritto. Un canone si costituisce. Le eresie sono smascherate. Un sentimento ortodosso si forma e il movimento esce dalla sua culla. Si proietta nell’oikouménè.3 Cambia di capitale. Cambia Dio?

NOTE

1 Word Resources, Inc, 1998, 2 ed. La nostra risposta non tratterà tuttavia punto per punto gli argomenti di Lundquist, poiché sono poco numerosi ed essenzialmente attaccano la Traduzione del Nuovo Mondo facendo disinformazione circa il suo comitato di traduzione (cfr. Stafford: 1-54, Mazzaferro, The Lord and the Tetragrammaton…). Il nostro obiettivo non è polemico quanto fornire la presentazione (in nessun caso, la soluzione) del problema al pubblico italiano.
2 In quest’opera i primi cristiani sono indifferentemente chiamati “giudeo-cristiani” o “ebrei cristiani”. La nozione di “giudeo-cristianesimo” indica una realtà di un’incredibile diversità che ha originato numerosi studi a volte contradditori. Da qui si impone questa precisazione terminologica: senza voler descrivere né risolvere questa nozione intenderemo per “giudeo-cristiani” gli immediati discepoli di Gesù, ed i primi Ebrei converti fino al 70. Per “pagano-cristiani” intenderemo invece i discepoli di Gesù non Ebrei.
3 “La terra abitata

INDICE

Prefazione di Gérard Gertoux
Prefazione all’edizione italiana
Introduzione

1. L’impiego del Nome nei tempi biblici

2. Signore, Yahweh o Geova?

La sostituzione
Le ragioni della sostituzione
Il problema della vocalizzazione
Il problema etimologico

3. La testimonianza della Settanta
Interesse di questa traduzione
Presenza del Nome divino
La distinzione tra ,rioj e o` ku,rioj
Lettura sinagogale e uso privato
Alcuni pregiudizi

4. Gesù, i primi cristiani e il Nome
Quali lingue si parlavano in Palestina nel I secolo?
Impiego del Nome da parte di Gesù
Impiego del Nome da parte dei cristiani

5. Ispirazione e conservazione delle Scritture
Ispirazione divina
Preservazione
Alcuni esempi di critica testuale

6. Un periodo agitato
Giudeo-cristiani e pagano-cristiani
Il cristianesimo dei Padri apostolici
Apostasia ed Eresie

7. Controversie & Corruzioni
L’influenza della filosofia greca
Alcune cause della divinizzazione di Cristo
Controversie & Corruzioni
Alcune varianti
Lo studio di Bart Ehrman
Nota su Giovanni 1:1

Conclusioni
Appendice: Versetti biblici dove il Nome potrebbe essere ripristinato
Ringraziamenti
Abbreviazioni
Fonti fotografiche


Abbiamo inoltre raccolto in 2 DVD audio/video, oltre 1050 foto
che mostrano come veniva usato nei secoli passati,
il nome di J
eH
oWaH

RETROCOPERTINA

Guardando l’universo visibile, il salmista Davide fu spinto a scrivere :“I cieli dichiarano la gloria di Dio... Non ci sono detti, e non ci sono parole; non si ode voce da parte loro”. Eppure il loro “splendore”, la loro “potenza” e la loro “gloria” lasciano senza fiato le creature umane oneste intelletualmente
In modo simile, questi 2 DVD contengono oltre 1050 foto di manufatti sui quali è riportato il Nome di colui che ha fatto i cieli e la terra. Benchè “non si ode la voce da parte loro”, nei passati secoli, hanno reso testimonianza all'umanità che il nome del “solo vero Dio” era "YHWH" [Devoto-Oli:Geova].
Avrete modo di vedere come nei secoli passati, in 35 nazioni della terra, il nome del “solo vero Dio”, YHWH
, veniva usato estesamente in tutte le attività umane. OGGI invece, ci sono addirittura grandi istituzioni religiose che cercano in tutti i modi di nasconderlo o ignorarlo!


LIBRO DVD LIBRO + DVD

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IL MISTERO DI DIO È COMPIUTO - Commento all'apocalisse di San Giovanni

sergio-gabrielli-120   L'Autore  Sergio Gabrielli (Firenze, 1939-2007) fu intellettuale poliedrico e appassionato. Medico specialista in pneumologia -  e autore di opere sulle affezioni dell'apparato respiratorio -  affiancò alla pofessione l'esercizio della pittura: molti suoi dipinti, che ne attestano le qualità di brillante originale allievo di Pietro Annigoni, sono ospiti in chiese  (Santa Maria Scandicci, Badia a Settimo, San Pietro a Radicofani) ed edifici pubblici Palagio di parte Guelfa,  Casa di Dante).
    Come biblista e storico della Chiesa, ha pubblicato una traduzione italiana del Qohelet,  l'oratore, Firenze 2004) del cantico dei cantici (La più bella canzone scritta da Salomone, Firenze 2005), il saggio le trombe dell'apocalisse (Arezzo, 1994; insignito del premio Fiorino d'Oro per la saggistica 1998) e, con la nostra casa editrice, Pio XII: tutta la verità (Firenze 2007).


PREFAZIONE

    Prima di morire (Russell) aveva pubblicato come "International Bible Students Association" (I.B.S.A.) sei volumi intitolati Studi sutte Scritture, pieni zeppi di citazioni bibliche e dei suoi commenti sulle medesime. Nel primo, Il Piano delle età (1886), ripeteva ed arricchiva quello che aveva già scritto nei Tre mondi con Barbour. Nel secondo, Il tempo è vicino (1889), illustrava la sua cronologia fino al 1914. Nel terzo, Venga il Tuo Regno (1890), spie­gava le profezie di Daniele secondo la tradizione che faceva capo a Wyclif­fe e a Miller, adattandone però la cronologia.
    In appendice a questo volu­me pubblicò la sua interpretazione della struttura architettonica della grande piramide, contando i pollici delle sue gallerie e traducendoli in anni per trovare una conferma extrabiblica alla validità dei suoi calcoli. Nel quarto, Il giorno detta vendetta o La battaglia di Armagheddon (1897), parlava dei suoi tempi e del loro inesorabile avanzare verso l'anarchia uni­versale. Nel quinto, Riconciliazione fra Dio e l'uomo (1899), illustrava il valore del sacrificio di riscatto di Cristo per tutta l'umanità e come questo adempiva gli antichi riti della legge di Mosè. Nel sesto, La nuova creazio­ne, che uscì nel 1904, parlava della Chiesa cristiana, delle regole che essa deve seguire per essere accettata da Dio come vera Chiesa e dei suoi fon­damentali princìpi.
    
Russell, nonostante le insistenze dei suoi seguaci, non aveva ancora scritto il settimo volume, quello sull' Apocalisse. Riteneva che non tutto di quel libro misterioso gli fosse chiaro e che quindi non potesse compiere un lavoro soddisfacente. Quando morì lasciò un'avviata società editoriale con varie filiali in America e in altri paesi del mondo. I suoi seguaci ave­vano preso il nome di "Associazione internazionale degli Studenti Biblici" con sede principale a Brooklyn (New York), dove esisteva il loro "taber­nacolo", un edificio in cui vivevano i membri della direzione della "Torre di guardia".
     Insieme a tutto ciò Russelliasciò, morendo, anche il pesante fardello delle sue profezie ancora inadempiute e la delusione delle attese di molti Studenti Biblici per il 1914. Ai suoi funerali parteciparono innu­merevoli persone e molti oratori si alternarono per celebrare le sue lodi di Cristiano. A un certo punto della cerimonia funebre si fece largo tra la folla una donna velata che andò a deporre sulla bara i fiori preferiti dal Pastore: un mazzolino di mughetti. Era sua moglie.

     Ho seguito fedelmente il pensiero del Pastore attraverso le sue nume­rose pubblicazioni per ricostruire il settimo volume degli Studi sulle Scrit­ture: infatti, salvo marginali completamenti compiuti dagli Studenti Biblici e scritti in corsivo nel testo, gran parte di questa laboriosa opera di ricomposizione ripercorre scrupolosamente gli scritti originali di Russell.

     Quand'era in punto di morte gli fu chiesto: "E il settimo volume?". Rispose: "Qualcun' altro lo scriverà".

Firenze aprile 2001                                                      
SERGIO GABRIELLI  
                                                                                     

     Ho curato una nuova edizione di questo volume per una maggiore coe­renza agli insegnamenti degli Studenti Biblici rimasti fedeli al pensiero del pastore Russell. Il testo originale del pastore è rimasto intatto. Alcune modifiche sono state invece apportate alla parte del commento all'Apoca­lisse che lui non sviluppò. In questa mi sono attenuto strettamente a ciò che oggi molti Studenti Biblici insegnano al riguardo.

      Con fede nel Signore e Salvatore Gesù Cristo

Firenze aprile 2007                                                     
SERGIO GABRIELLI


INDICE

STUDIO I
LE SETTE CHIESE
MESSAGGIO ALLA CHIESA DI EFESO - MESSAGGIO ALLA CHIESA DI SMIRNE - MESSAGGIO ALLA CHIESA DI PERGAMO - MESSAGGIO ALLA CHIESA DI TIATIRA - MESSAGGIO ALLA CHIESA DI SARDI - MESSAGGIO ALLA CHIESA DI FILADELFIA - MESSAGGIO ALLA CHIESA DI LAODICEA - L'ORA DELLA TENTAZIONE     21

STUDIO II

I SETTE SIGILLI PRIMO SIGILLO - SECONDO SIGILLO - TERZO SIGILLO - QUARTO SIGILLO - QUINTO SIGILLO - SESTO SIGILLO - SETTIMO SIGILLO     59

STUDIO III

LE SETTE TROMBE PRIMA TROMBA - SECONDA TROMBA - TERZA TROMBA - QUARTA TROMBA - QUINTA TROMBA O PRIMO GUAIO - SESTA TROMBA O
SECONDO GUAIO - SETTIMA TROMBA O TERZO GUAIO     107

STUDIO IV

L'ANTICRISTO E IL CRISTO LA DONNA E IL DRAGO - LA BELVA CHE SALE DAL MARE - LA BELVA CHE SALE DALLA TERRA - L'IMMAGINE DELLA BELVA - IL CRISTO - LA MIETITURA E LA VENDEMMIA     133

STUDIO V

LE DIECI PIAGHE PRIMA PIAGA O PRIMO MESSAGGIO - SECONDA PIAGA O SECONDO MESSAGGIO - TERZA PIAGA O TERZO MESSAGGIO - QUARTA PIAGA O PRJMA COPPA - QUINTA PIAGA O SECONDA COPPA - SESTA PIAGA O TERZA COPPA - SETTIMA PIAGA O QUARTA COPPA - OTTAVA PIAGA O QUINTA COPPA - NONA PIAGA O SESTA COPPA - DECIMA PIAGA O SETTIMA COPPA - LA BATTAGLIA FINALE     163

STUDIO VI

LA CADUTA DI BABILONIA     203

STUDIO VII

IL REGNO DI DIO PRJMA VEDUTA: SATANA È LEGATO PER MILLE ANNI- SECONDA VEDUTA: LA CADUTA DEI GOVERJ'l1 E IL REGNO DEI SANTI - TERZA VEDUTA: IL REGNO BEATO E LA FINE DEL MALE - QUARTA VEDUTA: IL TRONO DELLA GIUSTIZIA E LA PROVA DEL MONDO PER OTTENERE LA VITA - QUINTA VEDUTA: LA CITTÀ SANTA, LA SPOSA DELL'AGNELLO - SESTA VEDUTA: LA NUOVA GERUSALEMME - SETTIMA VEDUTA: IL FIUME DELL'ACQUA DI VITA     219 

CHI ERA CHARLES TAZE RUSSELL?
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IL MISTERO DELL'INIQUITÀ

RETROCOPERTINA

Quest'opera, scritta da Thomas Helwys nel 1612 e tradotta per la prima volta in italiano, è uno dei primi testi in difesa della libertà di religione e di coscienza.
L'edizione originale fu inviata dall'autore al re Giacomo I, accompagnata da un appello manoscritto che rivendicava per tutti il diritto di praticare liberamente la propria religione. Si tratta dunque di un documento di grande importanza per capire la genesi storica di problematiche fondamentali per la cultura e il pensiero occidentali.

AL LETTORE

Il timore dell' Altissimo (per mezzo dell' opera della sua grazia) ci ha finalmente aiutato a vincere il timore dell'uomo che fino ad oggi ci aveva paralizzato. Grazie alla guida della Parola e dello Spirito di Dio i nostri cuori e mani sono stati rafforzati per confessare il nome di Cristo dinanzi agli uomini, e per dichiarare con franchezza al principe e al popolo le loro trasgressioni, affinché tutti possano ascoltare e vedere la loro spaventosa condizione e pentirsene per ritornare al Signore, prima che il decreto sia adempiuto, e giunga per loro il giorno della visitazione, e perché siano a loro manifeste le cose che appartengono alla loro pace e che ora ignorano. Diciamo a nostra giustificazione che quanto abbiamo ora scritto in questo libro con umile lealtà dinanzi al nostro signore il re, lo abbiamo fatto perché Dio ci insegna a presentare suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti per il re nostro signore (1 Tm 2:1-2). Ci insegna altresì la Bibbia che Dio nella sua grazia celeste (per la quale lo stesso re governa) vuole che il re sia salvato e giunga alla conoscenza della verità; questo vogliamo anche noi, umili servitori del re, poiché siamo obbligati ad adempiere con tutta l'anima e il corpo tutti i nostri doveri per la salvezza del re, anche a rischio delle nostre vite. Perché se noi vedessimo che la persona del re è in pericolo, sia per una cospirazione privata che per un attacco diretto, saremmo obbligati a procurare la salvezza e preservare la vita del re, anche a costo delle nostre stesse vite, e se non lo facessimo saremmo passibili di essere condannati come traditori.
Quanto più siamo obbligati a procurare la preservazione e la redenzione del corpo e dell' anima del nostro signore, il re, vedendo che si trova in un così grande pericolo spirituale. Se qualcuno si scandalizza perché avvertiamo il re di questo pericolo è perché non ama il re; se a scandalizzarsi è il re contro noi, suoi servitori, allora il re non ama se stesso. Anche se il re e tutti quanti si offendono contro di noi (Dio non voglia), noi invece sappiamo che Dio ci approverà perché con tutte le nostre forze abbiamo fedelmente obbedito al suo comandamento di esortare tutti gli uomini in tutti i luoghi, perché si pentano, e ciò è la nostra speranza e la nostra consolazione. Fino ad oggi noi abbiamo (come è nostro dovere) confessato il nome di Cristo dinanzi agli uomini con i nostri scritti, da oggi (con l'aiuto di Dio) siamo pronti a confessarlo con le nostre parole (considerandolo nostro dovere), senza timore (con l'assistenza della grazia di Dio) di quelli che possono uccidere il corpo ma non possono fare altro. Dobbiamo confessare che fino ad oggi abbiamo mancato in questo nostro dovere verso Dio e il suo popolo, ma ora siamo pronti, perché il Signore ci dà la forza, a essere sacrificati per la proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo, e per il servizio della vostra fede, piuttosto che continuare a mancare ai nostri doveri verso Dio e verso di voi.
Questo solennemente promettiamo a Dio e a voi. In noi è presente il desiderio di farlo, ma non si trova in noi la capacità di realizzare questo servizio e dovere. Noi sentiamo che la legge della nostra carne si ribella fortemente contro la legge della nostra mente. Però la nostra fiducia e speranza sono poste nella sola grazia di Dio che realizzerà in noi quello che da parte nostra è impraticabile. Per questo diciamo come l'Apostolo Paolo: "Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dell'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la nudità, il pericolo o la spada?" No, in queste cose il Signore in cui confidiamo ci fa vincitori (Rom 8:31, 35, 37). Anche se "il nostro uomo esteriore perirà" (2 Cor 4:16), o soffrirà molte afflizioni (e saremmo dei folli se non ce le aspettassimo), il popolo di Dio giudicherà la verità cui rendiamo testimonianza, e rifletterà con cuore saggio e santo sul buon mandato che abbiamo ricevuto, un comandamento a rendere testimonianza e questo facciamo ora, anche se saremo sempre indegni di un tale servizio. Ascoltiamo quel che il Signore dice, "Uscite da essa, o popolo mio" (Ap 18:4), e se lo Spirito che governa tutti quelli che ascoltano dicesse: "Venite", non andremmo tutti?
Se la parola del Signore ordinasse di chiamare gli arcieri contro Babele, e a tutti quelli che tirano d'arco di accamparsi contro di lei tutti attorno perché nessuno scampi e abbia dunque come castigo il doppio del male che ad altri ha inflitto (Ger 50:59; Ap 18), risparmieremmo noi le nostre frecce, anche se sono deboli? Se lo Spirito del Signore dicesse: "Tutti voi che amate il Signore, non tacete" (Is 62:12), dovremmo rimanere in silenzio perché non siamo eloquenti? No, no, abbiamo già trascurato i nostri doveri per troppo tempo, e adesso, assistiti dalla grazia non osiamo più tacere. Per questo ora noi gridiamo così dinanzi a tutti voi, popolo di Dio, dicendo: "Babilonia è caduta, è caduta! Uscite da essa, uscite" (Ap 18:2,4), perché se partecipate ancora ai suoi peccati, avrete anche voi una parte delle sue piaghe. Pertanto diciamo: "Chi ha sete, venga: chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita" (Ap 22:17). Chiamiamo dunque tutti i valorosi arcieri che tirano d'arco a cingere d'assedio la grande città. Preghiamo tutti quelli che amano il Signore di non tacere, di non dare tregua al Signore finché non avrà restaurato Gerusalemme per fare di essa la lode del mondo. Non cesseremo di pregare affinché il Signore illumini la vostra intelligenza, faccia risuscitare gli affetti delle vostre anime e dei vostri spiriti, perché possiate tutti voi dedicarvi a queste cose, diretti dalla Parola e dallo Spirito, e non più dai falsi profeti, che fino ad oggi vi hanno ingannati e sedotti, che profetizzano pace quando la guerra e la distruzione sono alle porte, e perché il Signore riporti alla luce voi e loro e siate condotti alla salvezza e alla liberazione. Amen.
Tho Helwys

Le materie principali di cui tratta questo libro

L'affermazione, con le prove necessarie, che questi giorni corrispondono alla grande tribolazione di cui parlò Cristo (Mt 24,15), quando l'abominio della desolazione sarebbe stato istaurato nel luogo santo.

Che si è verificato un allontanamento generale dalla fede e una completa desolazione della vera religione.

Che la profezia della prima bestia (Ap 13) si compie sotto il dominio spirituale e il governo papisti.

Che la profezia della seconda bestia si compie sotto il dominio spirituale e il governo degli arcivescovi e dei signori vescovi.

Come i re devono odiare la prostituta e abbandonarla a se stessa.

Quali grandi poteri e autorità, quali onori e nomi e titoli, Dio abbia dato al re.

Che il Signore ha dato al re un regno terreno con tutti i poteri mondani a cui nessuno può opporsi, ma tutti devono ubbidire volontariamente in tutte le cose o soffrire la dovuta punizione.

Che solo Cristo è il re d'Israele e siede sul trono di Davide e che il re deve essere un suddito di questo regno.

Che nessuno dovrebbe essere punito con la morte o imprigionato per trasgredire le ordinanze spirituali del Nuovo Testamento, e che tali offese dovrebbero essere punite soltanto con la spada spirituale e le censure.

Che, siccome la gerarchia papista afferma a parole di non potere errare, e che la stessa pretesa di essere senza errore è sostenuta con i fatti dalla gerarchia degli arcivescovi e dei signori vescovi, entrambi si smentiscono vicendevolmente.

Sarà mostrata la falsa professione del cosiddetto Puritanesimo e dunque svelato il falso profeta.

Sarà confutato il doppio argomento falso che usano per giustificare la loro pretesa opposizione a quello che dicono di combattere.

Sarà mostrata la falsa professione del cosiddetto Brownismo, scoperti i suoi falsi profeti e la loro falsa separazione dal mondo.

Sarà mostrata la loro vana e subdola distinzione tra una falsa chiesa e nessuna chiesa (sul quale poggia l'intera loro costruzione) e la vera chiesa.

Saranno confutati alcuni errori nel libro di Robinson sulla giustificazione della separazione.

Che non potrà essere salvato un uomo che giustifichi qualunque errore o falsa via, neppure per ignoranza.

Che le parole del nostro Salvatore Cristo in Matteo 10, "se vi perseguitano in una città fuggite in un'altra" sono state gravemente travisate, contro il significato chiaramente mostrato da Cristo.

INDICE

Introduzione
Al Lettore

Libro I
Libro II
Libro III
Libro IV

Appendice
Postfazione
Bibliografia

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