ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO

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ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO (249)

GLI ALBORI DEL CRISTIANESIMO - GLI INIZI A GERUSALEMME - 2 Paolo, apostolo dei gentili


RETROCOPERTINA

Il secondo tomo del vol. 2 degli Albori del cristianesimo è dedicato interamente a Paolo. A un capitolo iniziale che fissa per quanto sia possibile la cronologia della vita e della missione paoline, segue una parte dedicata alla figura del Paolo missionario: alla sua identità di apostolo e di apostolo dei gentili, con la strategia e le tattiche che gli sono proprie per acquisire alla nuova fede - anche grazie a una nutrita schiera di collaboratori - nuove terre e nuove comunità.
In questa parte James Dunn
è sempre mosso anche dall'esigenza di illustrare quale sia l'idea di chiesa all'origine dell'impresa di Paolo e come di fatto si presentino le comunità sia fondate da Paolo sia con cui questi entra in rapporto. Sullo sfondo così delineato in tutti gli aspetti storici, culturali e sociali, si approfondiscono le varie fasi della missione di Paolo nell'Egeo e al tempo stesso si illuminano le lettere inerenti ai diversi periodi e ai diversi luoghi dell'attività apostolica di Paolo.
Conclude questo secondo tomo un capitolo dedicato espressamente alla lettera ai Romani e al testamento dell'apostolo riportato negli Atti degli Apostoli, entrambi testi con cui giunge al termine la grande avventura di quello che spesso si
è tentati di chiamare «secondo fondatore del cristianesimo».

INDICE(L'Opera è in 3 volumi - l'INDICE di questo volume è quello rosso)

9 Premessa

13 Abbreviazioni e sigle

Parte sesta
SCRIVERE LA STORIA DEGLI ESORDI DEL CRISTIANESIMO

Capitolo 20
21 La ricerca della chiesa storica

Capitolo 21
68 Le fonti

Parte settima
LA PRIMA FASE

Capitolo 22
147 Gli inizi a Gerusalemme

Capitolo 23
186 La comunità più antica

Capitolo 24
254 Gli ellenisti e la prima espansione

Capitolo 25
333 La comparsa di Paolo

Capitolo 26
387 La missione di Pietro

Capitolo 27
425 Crisi e conflitti

tomo 2Parte ottava
APOSTOLO DEI GENTILI

Capitolo 28
523 Date, mete e distanze

Capitolo 29
543 L'apostolo Paolo

Capitolo 30
619 Le chiese di Paolo

Capitolo 31
678 La missione egea: prima fase

Capitolo 32
763 La missione egea: seconda fase

Capitolo 33
872 Si chiude un capitolo

tomo 3 Parte nona
LA FINE DEGLI INIZI

Capitolo 34
987 La passione di Paolo

Capitolo 35
1087 Il Pietro senza voce

Capitolo 36
1106 Catastrofe in Giudea

Capitolo 37
1134 Il retaggio del gruppo di spicco della prima generazione

1205 Bibliografia

1279 Indici


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GLI ALBORI DEL CRISTIANESIMO - GLI INIZI A GERUSALEMME - 1 La prima fase


RETROCOPERTINA

Secondo volume degli Albori del cristianesimo, Gli inizi a Gerusalemme affrontano il periodo compreso tra il 30 e il 70 d.C., molto più esteso dei probabili tre anni della missione di Gesù. Questi due periodi e due argomenti - la missione di Gesù e la prima generazione del movimento che ebbe inizio con Gesù - sono probabilmente i temi e i tempi più approfonditi di tutta la storia delle origini cristiane.
In questo nuovo volume James Dunn dà ancora una volta prova delle sue capacità di dominare pienamente sia le fonti primarie anche non cristiane sia la sterminata letteratura secondaria dedicata alle origini della chiesa, mantenendosi attento al particolare ma non per questo perdendo di vista l'insieme. Senza essere mai presi in uno stile pedantesco, in questo primo tomo si viene di pagina in pagina condotti attraverso gli episodi e le figure salienti delle origini cristiane: dalla pentecoste ai dodici, a Pietro, Giovanni e Giacomo, dalle credenze riguardo a Gesù agli ellenisti e a Stefano, fino alla comparsa di Paolo e alle basi della sua missione.

INDICE (L'Opera è in 3 volumi - l'INDICE di questo volume è quello rosso)


9 Premessa

13 Abbreviazioni e sigle

Parte sesta
SCRIVERE LA STORIA DEGLI ESORDI DEL CRISTIANESIMO

Capitolo 20
21 La ricerca della chiesa storica

Capitolo 21
68 Le fonti

Parte settima
LA PRIMA FASE

Capitolo 22
147 Gli inizi a Gerusalemme

Capitolo 23
186 La comunità più antica

Capitolo 24
254 Gli ellenisti e la prima espansione

Capitolo 25
333 La comparsa di Paolo

Capitolo 26
387 La missione di Pietro

Capitolo 27
425 Crisi e conflitti

tomo 2 Parte ottava
APOSTOLO DEI GENTILI

Capitolo 28
523 Date, mete e distanze

Capitolo 29
543 L'apostolo Paolo

Capitolo 30
619 Le chiese di Paolo

Capitolo 31
678 La missione egea: prima fase

Capitolo 32
763 La missione egea: seconda fase

Capitolo 33
872 Si chiude un capitolo

tomo 3 Parte nona
LA FINE DEGLI INIZI

Capitolo 34
987 La passione di Paolo

Capitolo 35
1087 Il Pietro senza voce

Capitolo 36
1106 Catastrofe in Giudea

Capitolo 37
1134 Il retaggio del gruppo di spicco della prima generazione

1205 Bibliografia

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GIGANTI - Le prove storiche di un'antica esistenza in sardegna e nel mondo


RETROCOPERTINA

Secondo la teoria evolutiva sostenuta dalla comunità scientifica internazionale e dal mondo accademico, l'Uomo avrebbe acquisito una maggiore altezza a seguito di una lenta evoluzione durata migliaia di anni. Numerose evidenze dimostrano tuttavia che, in un passato ormai remoto, uomini di dimensioni superiori a quelle attuali hanno vissuto sul nostro pianeta interagendo perfino con gli altri esseri umani.
Per la prima volta viene presentata in ambito europeo una ricerca storica completa che raccoglie le testimonianze sull'esistenza dei "Giganti". L'autore, avvalendosi di uno stile chiaro e facilmente accessibile, cerca di far luce su un tassello dimenticato della Storia dell'Umanità, proponendo una versione storica in netto contrasto con la teorie ufficiali sostenute dall'Establishment scientifico.


PREFAZIONE

Secondo la Teoria dell'Evoluzione biologica della specie umana, appoggiata dal mondo accademico e dalla comunità scientifica internazionale, l'Uomo si sarebbe evoluto da un ominide di piccole dimensioni simile alla scimmia, aumentando la propria statura fisica lungo il corso di un processo durato millenni. Sebbene non vi siano mai state prove inequivocabili della validità di questa ipotesi, essa è stata assunta come verità storica assodata e viene tuttora insegnata nelle scuole. Numerose evidenze storiche paiono invece suggerire che in un passato ormai remoto siano vissuti uomini di dimensioni straordinarie, di molto superiori a quelle attuali. Questi uomini, descritti da molteplici fonti scritte e orali provenienti da tutto il mondo, avrebbero interagito per un periodo con gli esseri umani di normale altezza.
Il presente lavoro si prefigge di dimostrare come l'esistenza dei Giganti sia documentata da numerosissime fonti antiche e moderne, imponendosi come autentica realtà storica. Le tante notizie sui ritrovamenti di Giganti non possono al giorno d'oggi più essere ignorate, ma la dimostrazione di loro esistenza in un passato assai remoto confuterebbe le teorie sull'evoluzione e la Preistoria dell'Uomo, stravolgendo le Scienze Antropologiche e causando serie ripercussioni sull' Archeologia, la Storia e molte altre branche della conoscenza ufficiale.
Lo studio delle antiche cronache mette in luce una Storia assai diversa rispetto a quella diffusa e insegnata in tempi moderni, e meraviglia che la cultura odierna ignori buona parte delle antiche testimonianze. Questa ricerca pone in evidenza la necessità di riscrivere la storia delle origini dell'Uomo con maggiore rispetto verso le tradizioni millenarie, patrimonio inestimabile quanto le moderne teorie e scoperte. Mi rendo perfettamente conto di quanto sia ambizioso, nella fatti specie, lo scopo di un libro che esce così tanto dal coro dell'ufficialità; non ci sarà pertanto da meravigliarsi se verrà criticato e discusso dagli attuali rappresentanti del mondo accademico: è stato il prezzo da pagare, da sempre, ogni qual volta si è trattato di riaffermare una scomoda verità.
Alcuni sosterranno che quella dei Giganti è solo una leggenda, ma la quantità di testimonianze sulla loro remota esistenza è talmente imponente da imporla come verità storica. Le cronache ci giungono dal passato attraverso i testi sacri delle principali religioni, le antiche civiltà, gli autorevoli storici e gli autori classici mentre quelle del presente provengono da testimoni oculari viventi che affermano di avere visto i corpi o parte di essi. Tutti pazzi o bugiardi? Sarà molto difficile per chiunque far passare tutti per visionari.
Altri affermeranno che sono stati tutti fenomeni di gigantismo patologico, ma tutte le testimonianze che abbiamo raccolto non parlano in nessun caso di malattia, mentre si fa addirittura riferimento a interi popoli composti da Giganti. È indubbio che esistano forme patologiche di gigantismo, ma sono assai rare: più diffuse sono invece le ben più gravi forme di nanismo mentale, che impediscono a molti di accettare la verità dei fatti.
Dopo diversi anni di studio e ricerca, mi sono reso conto che la quantità di documenti sui Giganti era tale da giustificare una pubblicazione volta a raccoglierli e divulgarli, in modo tale da rendere possibile una loro analisi comparata. Il fatto che le molte testimonianze siano derivate da autori distanti nel tempo, nello spazio e nelle finalità, ritengo sia una riprova della loro validità storica.
Benché abbia cercato di realizzare una ricerca a 3600 al fine di reperire quante più prove possibili da tutto il mondo, ho dovuto soffermarmi in maniera particolare sulla Sardegna, in cui le tracce dei Giganti paiono essere - limitatamente all'area mediterranea - più abbondanti che altrove. Molti sardi affermano di aver visto i loro corpi e io stesso ho avuto occasione di parlarci e convincermi della loro sincerità. Se valutassimo le loro deposizioni isolatamente la loro credibilità verrebbe probabilmente messa in dubbio, ma se le confrontiamo con testimonianze analoghe rilasciate da personaggi illustri del nostro passato, l'intera questione assume tutta un'altra attendibilità. Questo fatto mi ha convinto dell'urgenza di colmare la lacuna costituita dalla mancanza di una ricerca storica adeguata.
Ritengo che l'argomento in esame sia degno del massimo interesse, non solo per via dell' enorme fascino che esercita, ma soprattutto per la notevole importanza storica, scientifica,
antropologica e archeologica che esso riveste nella prospettiva di far luce sui punti oscuri della Storia dell'Uomo. Gli storici e gli archeologi si sono rivelati incapaci di fare le dovute ricerche su tali misteri, radicati come sono su idee preconcette che hanno avuto l'unico scopo di provocare una vera e propria "imbalsamazione" dell'indagine storica. Per dirla con le efficaci parole di Peter Kolosimo, "la colpa è dei faraoni dell'archeologia che dormono i loro sonni senza sogni nei sarcofaghi delle scuole, dei musei, degli uffici, mentre la ricerca prosegue ad opera di gruppi non fasciati di ufficialità, che si muovono come avventurieri della scienza senza poter sperare in appoggi, in riconoscimenti, neppure in un cenno d'incoraggiamento".
L'autore


INTRODUZIONE

C'è luce abbastanza per quelli che non desiderano che di vedere, e oscurità abbastanza per quanti hanno una disposizione contraria.
B. Pascal

L'Uomo moderno ha cercato in tutti i modi di conoscere le proprie origini e la Storia è ricca di personaggi che hanno dato un contributo a questa causa. Scienza e religione hanno tentato di soddisfare i quesiti sull' origine dell'Uomo e della vita, e si ritiene comunemente che la prima sia fondata su verità inappuntabili e dimostrabili mentre la seconda si basi su credenze che appartengono alla sfera dell'irrazionale.
Un serio e obiettivo ricercatore non potrà tuttavia mancare di osservare come la cosiddetta Scienza abbia liquidato questioni di tale importanza con supposizioni, come quella di Darwin e del Big Bang, le quali vengono insegnate nelle scuole e spacciate per verità almeno sino a quando una teoria migliore non sarà in grado di sostituire la precedente.
Quando Charles Darwin pubblicò la sua Origine delle Specie, nel 1859, la tesi evoluzionista da lui ipotizzata era incompleta e presentava degli anelli mancanti che lui sperava si sarebbero trovati, prima o poi, per confermarne la validità. Egli non fu mai completamente convinto della sua idea e, quando nel 1872 fu pubblicata l'ultima edizione dell' opera, nutriva ancora molti dubbi. Sebbene sino ad oggi gli anelli mancanti non siano stati trovati, la sua teoria gode d'ampi consensi e suscita notevole influenza nell'intero mondo accademico.
Il prof. Corrado Malanga, docente di chimica all'Università di Pisa noto in tutto il mondo, scrive: "Le incertezze sulla vera evoluzione umana sembrano non comparire minimamente nei testi canonici usati all'Università, dove si tenta, sempre più disperatamente, di convincere lo studente che tutto è sotto il controllo della "scienza". La spudoratezza della scienza moderna, che si esprime attraverso i suoi oracoli (i docenti universitari), sembra non aver limiti.»1
In realtà, scienziati ed archeologi hanno sempre trovato oggetti anacronistici che rivelano la comparsa di una civiltà evoluta assai prima rispetto ai tempi da loro indicati, ma tali reperti, chiamati ooparts (out of piace artifacts, ossia al di fuori d'ogni logica e convenzionale collocazione), sono stati rifiutati e nascosti con l'oscurantismo di una Chiesa medioevale. Storia, Scienza ed Archeologia ufficiali sono assimila bili sotto quest'aspetto a veri e propri credo cui gli adepti aderiscono in maniera dogmatica e assolutistica, ridicolizzando o peggio nascondendo qualunque scoperta "scomoda" in quanto capace di compromettere la teoria dominante. Tali dottrine, oggi spacciate per verità assolute, anziché contribuire a svelare le origini dell'Umanità le hanno celate. Non a caso, l'astronomo Fred Hoyle ebbe modo di affermare che gli scienziati «devono riconoscersi per ciò che sono, sacerdoti di una religione non molto popolare», mentre il premio Nobel per la Fisica Max Planck osservò che «una nuova teoria scientifica non trionfa mai perché riesce a convincere i suoi avversari e li illumina, ma piuttosto perché i suoi avversari muoiono per vecchiaia e cresce una nuova generazione che ha familiarità con quella teoria».
La maggior parte delle persone che ha fede nella Scienza ritiene che essa sia sempre sostenuta da prove obiettive, nonché da un metodo rigoroso che ha l'unico scopo di rivelare la verità dei fatti. Peccato che numerose evidenze dimostrino il contrario. Per fare un solo esempio, gli scienziati hanno avuto molte prove a sostegno del fatto che l'uomo sia comparso assai prima rispetto alle datazioni ufficiali e il libro Archeologia proibita: la storia segreta della razza umana di Michael A. Cremo e Richard Thompson illustra moltissimi casi di tracce e resti umani in strati geologici vecchi di milioni di anni, risalenti a un tempo in cui l'Uomo, secondo le scienze ufficiali, non sarebbe dovuto esistere. Gli autori di questa pubblicazione, divenuta un vero e proprio bestseller, hanno documentato il fatto che gli scienziati, di fronte a prove dello stesso identico valore, hanno privilegiato quelle a sostegno di una certa loro versione preconcetta delle origini dell'Uomo, tralasciando arbitrariamente tutte le altre. I dati forniti da Cremo e Thompson consentono di farsi un'idea ben precisa del monopolio assoluto delle verità operato dalla Scienza. Michael Cremo ebbe a scrivere a riguardo:

A questo punto ci si chiederà per quale ragione, se i dati da noi raccolti e divulgati mostrano quanto detto, non se ne senta allora parlare. La ragione di ciò è dovuta a un inevitabile e pressoché naturale processo di "filtraggio della conoscenza" da parte del moderno mondo scientifico, ieri come oggi. In altri termini, è come se il mondo accademico, da sempre e per definizione istituzionale e conservatore, costituisse un vero e proprio "filtro" per le idee e le scoperte scientifiche nuove. Nella misura in cui si conformi a tale "filtro", che risulta necessariamente e "fisiologicamente" formato da concetti "fissi" e "tradizionali", qualsiasi nuovo elemento è destinato a "passare" con maggiore o minore rapidità senza eccessivi problemi, e verrà così facilmente inserito in libri di testo, discusso dagli scienziati ed esibito nei musei. Ma se un dato non si adatta al "filtro" con tutto il suo contesto di idee fisse, esso verrà allora per forza di cose contrastato, rigettato, dimenticato, ignorato e magari perfino soppresso a bella posta. E non lo vedrete mai menzionato in testi accademici, oggetto di conferenze o dibattiti a livello scientifico e tanto meno inserito nel patrimonio museale (anche se potrebbe rimanervi sepolto e ignorato nei magazzini con i tanti "pezzi" non destinati ad essere esibiti in quanto dichiarati "di minore importanza" e di cui nessuno sa né saprà così mai nulla). In campo archeologico, tale particolare processo di "filtraggio della conoscenza" sta andando avanti in questi termini da almeno 150 anni, come anche solo pochi esempi varranno a dimostrare.2

L'autore si esprime in merito alla teoria darwiniana sostenendone la totale falsità, soprattutto basandosi su ritrovamenti di esseri simili a noi apparsi tra 100.000 e 2 miliardi di anni fa. Egli cita anche i Veda, antiche scritture appartenenti a una tradizione millenaria, osservando come le prove da lui presentate siano assolutamente coerenti con tali testi, per buona pace di un Establishment scientifico conservatore ed oscurantista, timoroso di perdere le certezze su cui si basa il proprio potere accademico. In tale contesto, ribadisce l'importanza della Tradizione: «Non sarà mai tardi quando gli scienziati della nostra epoca, dominati da un'arroganza antiscientifica, comprenderanno che la Tradizione, probabile eredità di conquiste scientifiche acquisite in un passato senza ricordo, va considerata con maggiore rispetto ed attenzione ...».
Garret Hardin, professore emerito di Biologia presso l'Università di Santa Barbara in California, notò che chi mette in dubbio la teoria di Darwin «attira automaticamente su di sé lo sguardo sospettoso degli psichiatri», mentre il filosofo e critico culturale William Irving Thompson scrisse nel suo libro Appunti sul pianeta Terra: «Come una volta chiunque criticasse il potere del clero rischiava la dannazione, oggi chiunque critichi la Scienza rischia a sua volta di essere accusato di irrazionalismo e d'insania».
Quanto è stato affermato sinora riguardo alla Scienza, è valido parimenti per la Storia ed è triste constatare come anch'essa non sia una materia di studio obiettiva, sostenuta dall'unico proposito di documentare la verità, ma risenta invece di propositi ideologici della cultura dominante. È noto che, ad esempio, nel caso in cui vi siano dei Paesi coinvolti in un conflitto, la Storia venga scritta dai vincitori e mai dai vinti. Similmente, gli storici ufficiali, nel compilare i testi che attualmente vengono studiati nelle scuole, hanno preso in considerazione solo ciò che faceva loro comodo, ignorando tutto il resto.
L'archeologia, il cui obiettivo è lo studio delle antiche civiltà, dovrebbe essere una materia di studio atta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte; ma poiché la storia non è obiettiva, anche l'archeologia risente dello stesso problema e gli archeologi mostrano solo quel che rientra in un disegno storico precostituito, rigettando tutto ciò che vi si oppone. Non trattandosi di una scienza perfetta come la matematica, in cui tutto è governato da leggi inflessibili, l'attività degli archeologi dovrebbe essere paragonabile a quella di investigatori che cercano sempre nuove prove. Eppure, anziché mantenere una continua capacità d'aggiornamento, si sclerotizzano su idee preconcette.
Una tendenza che appare con sempre maggiore evidenza nei tempi odierni, anche a causa di studiosi apparentemente meno ortodossi, è quella di interpretare arbitrariamente le testimonianze degli antichi attribuendo loro un significato simbolico: tutto ciò che non può essere compreso e spiegato con l'attuale conoscenza viene rifiutato e fatto passare per fantasia. Questa forma mentis affonda le sue radici nell' llluminismo, momento storico e culturale in cui la Tradizione è stata sminuita in luogo della ragione quale unico strumento capace di dare risposta ai quesiti dell'Uomo. Leggendo le antiche cronache possiamo osservare come gli storici scrivessero sempre nel rispetto delle notizie tramandate dai predecessori, mentre dal Settecento in poi è avvenuta un'interruzione nel passaggio di questa conoscenza da una generazione all' altra. Il problema è che molte delle testimonianze ricorrenti nelle opere del passato possono rivelare fatti realmente accaduti e, rifiutandole solo perché apparentemente paiono inspiegabili, si pongono pesanti limiti all'indagine storica.
L'esempio che fa al caso nostro è costituito dai molti passaggi contenuti nella Bibbia nei quali si narra di un tempo in cui la Terra era abitata da uomini molto alti. Denis Saurat, autore de L'Atlantide e il regno dei giganti, osserva acutamente che le notizie bibliche relative ai Giganti «... hanno tutte le caratteristiche di citazioni, di episodi storici autentici. Esse, infatti, sono precise e concrete; non sono necessarie alla tesi storica o mitologica; non provano nulla; si presentano come fatti; sono inserite in capitoli con i quali non hanno quasi nessun riferimento, e se venissero soppresse nulla sarebbe perso della narrazione; sono brevissime, gettate a casaccio, senza importanza particolare; provengono da redattori diversissimi nel tempo e nello spazio e spesso senza relazione fra loro». In effetti, non vi era alcun bisogno di parlare dei Giganti per suffragare la dottrina e se gli episodi sui Giganti non fossero stati reali, essendo questi ultimi in stretta connessione con la storia del popolo ebraico, non vi sarebbe stata alcuna ragione di inserirli nella narrazione.
Come avremo modo di vedere più avanti, la Bibbia non è l'unico testo antico a trattare l'argomento. Il fatto che esso sia ricorrente in differenti fonti scritte sacre e profane, opere d'autori di diversa provenienza, è una conferma della sua attendibilità storica e dunque è necessario valutare le antiche storie conferendo loro il giusto peso e valore, senza credulità o faciloneria ma anche con una buona dose di rispetto.
Prima di passare all'esposizione sistematica di tutte le testimonianze sull' esistenza dei Giganti nel passato, vista la singolarità dell' argomento che ci accingiamo a sviluppare, ci
sembra opportuno fare una premessa che possa sollevare il lettore dalle anguste limitazioni imposte da Scienza e Storia canoniche, sia allo scopo di collocare gli eventi nel giusto contesto storico, sia a quello di proporre una possibile spiegazione e chiave di lettura del fenomeno.

NOTE

1. Tratto da uno studio del professore intitolato l Giganti: mito del passato, realtà del presente, pubblicato su internet nel 2004.
2. Quello che la Scienza preferisce ignorare. Scoperte, tradizione, establishment accademico, articolo di Cremo pubblicato nel 2002 dalla rivista Archeomisteri.

INDICE

Nota dell'Editore
Prefazione
Introduzione
La nascita della civiltà
Il calcolo del tempo
Il Diluvio universale
Costruzioni megalitiche: antiche vestigia dei Giganti
Le tradizioni religiose
Le testimonianze degli autori classici
I Giganti nel mondo: opinioni, tradizioni antiche e scoperte
I Giganti in Italia e in Sardegna: testimonianze e ritrovamenti
Conclusioni
Bibliografia

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GIACOMO, FRATELLO DI GESÙ


RETROCOPERTINA

Giacomo, fratello del Signore, svolse un ruolo di grande rilevanza all'interno del movimento diGesù nel periodo immediatamente successivo alla morte del capo carismatico, e godette per un certo periodo di autorità e prestigio non inferiori a quelli attribuiti a Pietro e Paolo.
Perché allora
- dopo essere stato anche punto di riferimento di molte tradizioni eterogenee - cadde nell'oblio?

INTRODUZIONE: QUALE GIACOMO?

In italiano, il nome Giacomo si presenta come la traduzione del latino Iacobus e del greco Iakpbos, che a loro volta traducono l'ebraico ya'aqou. Le ricorrenze di quest'ultimo termine nella Bibbia ebraica (cfr. Gen 25,26) sono generalmente rese in greco con Iacob e in latino con Iacob, forme indeclinabili, che in italiano diventano Giacobbe; mentre negli scritti cristiani il termine viene reso declinabile con l'aggiunta della desinenza (-os per il nominativo greco; -us per il nominativo latino) e in italiano diventa Giacomo1
Negli scritti del Nuovo Testamento, sono almeno cinque i personaggi designati con il nome di Iakobos = Giacomo. Il primo è Giacomo figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni, che era pescatore nel lago di Gennesaret e di lì fu chiamato a seguire Gesù (Mc 1,19-20: «E, procedendo un poco più avanti, [Gesù] vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e suo fratello Giovanni, che stavano anch' essi sulla barca, rassettando le reti; e subito li chiamò; e quelli, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con gli operai, lo seguirono»; cfr. Mt 4,21-22). In quanto membro del gruppo dei Dodici, egli partecipò attivamente alla vita pubblica di Gesù: insieme a Pietro e al fratello Giovanni fu testimone oculare della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37; Lc 8,51); della trasfigurazione di Gesù sul Tabor (Me 9,2; Mt 17,1); dell'angoscia di Gesù al Getsemani (Mc 14,33; Mt 26,) I). Fu messo a morte da Erode Agrippa I nel 44 ca. durante una persecuzione contro i seguaci di Gesù a Gerusalemme (At 12,1-2: «In quel tempo il re Erode si mise a maltrattare alcuni membri della chiesa; fece morire di spada Giacomo, fratello di Giovanni»).
Un secondo Giacomo è il figlio di Alfeo, anch'egli uno dei Dodici (Me 3,16-19: «Così, dunque egli [Gesù] costituì i Dodici: Simone, cui diede il nome di Pietro; Giacomo di Zebedeo e Giovanni, fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di boanérges, vale a dire "figli del tuono"; e poi Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, che poi lo tradì»; cfr. Mt 10,2-4).
Un terzo Giacomo, che in Mc 15,40 porta il soprannome di «il piccolo» (gr. ho mikros), viene menzionato nei racconti della passione per identificare una certa Maria, presentata come madre di Giacomo, la quale è testimone dell' esecuzione capitale di Gesù (Me 15,40: «C'erano pure alcune donne, che stavano osservando da lontano; tra di loro: Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il piccolo e di Ioses, e Salome, le quali lo avevano seguito e servito quando era in Galilea, e molte altre che erano salite a Gerusalemme con lui»; cfr. Mt 27 ,56) e del sepolcro vuoto (Me 16,1: «Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salome
comprarono degli aromi per andare ad ungerlo»; cfr. Le 24,10). Il soprannome «il piccolo», che poteva riferirsi o alla bassa statura2 oppure alla giovane età, doveva servire con ogni probabilità a distinguere il personaggio da altri che portavano lo stesso nome di Giacomo; l'uso, che si impose più tardi, di distinguere tra i Dodici un Giacomo il maggiore (il figlio di Zebedeo) e un Giacomo il minore (il figlio di Alfeo) aprì poi la possibilità per l'identificazione, attestata già in epoca patristica, di Giacomo il piccolo con Giacomo di Alfeo.

Un quarto Giacomo è menzionato due volte come padre di Giuda, uno dei Dodici (Lc 6,13-16: «Fattosi giorno, chiamò a sé i suoi discepoli, ne scelse dodici e diede loro il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro e Andrea, suo fratello; Giacomo e Giovanni; Filippo e Bartolomeo; Matteo e Tommaso; Giacomo di Alfeo e Simone, soprannominato lo Zelota; Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che poi lo tradì»; cfr. At 1,13). Come si può notare, la lista dei Dodici di Luca, ripresa in At 1,133 , non coincide esattamente con quella di Marco e Matteo: a parte l'ordine, il Taddeo di Mc 3,18 e Mt 10,3 diventa in Le 6,16 e At 1,13 Giuda di Giacomo. È probabile che il nome attestato da Luca sia quello originario, come conferma anche Giovanni, il quale, nel contesto dei discorsi di addio che Gesù rivolge ai suoi discepoli poco prima di recarsi al di là del torrente Cedron, dove sarà arrestato in seguito al tradimento di Giuda Iscariota, riferisce di una domanda posta al maestro da «Giuda, non l'Iscariota» (Gv 14,22)4 .
La sostituzione, che troviamo attestata già in Marco e che sarà poi ripresa dalla tradizione successiva5 , del nome di Giuda di Giacomo con Taddeo o Lebbeo, secondo alcune varianti testuali - appellativi che presentano una sfumatura vezzeggiativa - fu dovuta verosimilmente alla preoccupazione di evitare possibili confusioni con l'altro Giuda, l'Iscariota appunto, che, per il suo clamoroso gesto di tradimento, avrebbe prevedibilmente concentrato su di sé l'attenzione dei lettori/ascoltatori, rendendo in questo modo piuttosto problematico ogni riferimento ad un altro personaggio dello stesso nome nel gruppo dei Dodici senza il costante e faticoso ricorso a precisazioni e spiegazioni che permettessero di distinguerlo dal più famoso omonimo.
Il quinto ed ultimo personaggio di nome Giacomo ci è presentato nelle fonti antiche con gli epiteti tradizionali di «fratello del Signore» e di «giusto». Gesù, come testimoniano i vangeli canonici, doveva avere «fratelli» e «sorelle»; l'evangelista Marco, ripreso da Matteo, riporta addirittura i nomi di quattro fratelli di Gesù, mentre menziona soltanto in modo generico le sue sorelle, di cui non fornisce né il numero né i nomi (Mc 6,3: «Non è forse il carpentiere, il figlio di Maria e il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? e le sue sorelle non sono forse qui, presso di noi?»; cfr. Mt 13,55-56). Giacomo, fratello del Signore, doveva, dunque, essere un membro della famiglia di Gesù6 .
È di quest'ultimo Giacomo che ci occuperemo qui. Anche se è relativamente poco conosciuto, soprattutto se lo si confronta con altri personaggi del cristianesimo delle origini, come ad esempio Pietro o Paolo, che hanno sempre goduto, e tuttora godono, all'interno della tradizione cristiana di una notorietà incomparabilmente maggiore, Giacomo il giusto svolse un ruolo estremamente importante nel contesto del movimento di Gesù nel periodo immediatamente successivo alla morte violenta del capo carismatico. Le informazioni storicamente attendibili su di lui sono piuttosto scarne e non sempre facili da valutare; in compenso, la sua vicenda ha fornito lo spunto per la formazione di alcune linee di tradizione più o meno leggendarie, che hanno usato e valorizzato il personaggio nei modi più diversi, attraverso la selezione, la modificazione e la rielaborazione creativa dei dati storici, per rispondere alle domande e venire incontro alle esigenze dei gruppi che progressivamente si andavano diversificando all'interno del movimento di Gesù.
Così troviamo Giacomo e i familari di Gesù in competizione con Pietro e il gruppo dei discepoli più stretti nel delicato momento di transizione immediatamente successivo alla morte del capo carismatico per risolvere il problema di chi ne fosse il successore, e quindi il vero erede (cap. 1); Giacomo e la comunità di Gerusalemme si trovarono a dover affrontare forti tensioni e contrasti con Paolo, sceso in campo in modo imprevisto e promotore di una missione ai gentili senza imposizione della circoncisione e dell'osservanza della legge mosaica (cap. 2); la morte violenta di Giacomo fornì lo spunto per il formarsi di una ricca tradizione agiografica relativa al suo martirio, che si sviluppò in ambienti diversi (cap. 3); dopo la sua morte, Giacomo conobbe una certa fortuna e diventò il personaggio di riferimento per i cristiani di origine giudaica, che gli attribuirono un' autorità e un primato particolari; anche gli autori gnostici si appropriarono di Giacomo, fratello del Signore, e lo «addomesticarono» secondo le esigenze delle loro dottrine, facendone un anello della catena di tradizione esoterica che li univa al Rivelatore, in contrapposizione alla catena di tradizione pubblica e verificabile, rappresentata dalla successione dei vescovi, cui faceva riferimento la Grande chiesa7 (cap. 4); a Giacomo è attribuita una Lettera che è entrata a far parte del canone delle Scritture cristiane e, an- che se verosimilmente non fu scritta direttamente da lui, tuttavia veicola gli insegnamenti e i valori fondamentali della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme da lui guidata (cap. 5); infine, Giacomo fu coinvolto nelle discussioni sul problema dei fratelli e delle sorelle di Gesù, che sorse in concomitanza con gli sviluppi della riflessione sulla verginità perpetua di Maria; in questo contesto si affermerà la tesi di Girolamo (fine sec. IV), secondo la quale Giacomo sarebbe non un fratello, bensì un cugino di Gesù; questa tesi, destinata ad influenzare e condizionare pesantemente tutta la tradizione successiva, finirà per ridimensionare in modo radicale l'importanza e l'autorità riconosciute a Giacomo nei secoli precedenti, e a relegarlo nel ruolo di figura marginale (cap. 6).


NOTE

1Come si sia originata la forma del nome nelle lingue moderne (Giacomo in italiano, dove la labiale b/v dell'ebraico, del greco e del latino è sostituita dalla nasale m, che ritroviamo anche nello spagnolo Jaime, nell'inglese [ames, ecc.) non è molto chiaro.
Un'ipotesi verosimile è che lo sviluppo Iacobus > Iacomus derivi da una nasalizzazione della vocale o con assimilazione alla labiale successiva (forma intermedia "lacombuss, cui avrebbe fatto seguito la semplificazione del gruppo consonantico mb attraverso la perdita della labiale b. Un caso analogo di sostituzione della labiale b/v con la nasale m nel passaggio dall'ebraico al greco si ha, ad esempio, nel toponimo ebraico yavneh, che diventa in greco iamneia.

2Nel famoso episodio raccontato da Le 19,1-10, Zaccheo, che era basso (gr. mikros) di statura, è costretto a salire su un albero per vedere Gesù.

3Com'è noto, Luca è l'autore sia del terzo vangelo sia degli Atti degli apostoli.

4I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono detti «sinottici» perché hanno grosso modo la stessa struttura e gli stessi contenuti e possono essere presentati su tre colonne parallele, che permettono di cogliere con uno sguardo d'insieme le parti comuni e quelle
specifiche di ciascun testo. Già nell'Ottocento, la critica filologica, sviluppatasi soprattutto nelle università tedesche, aveva studiato i rapporti fra i tre vangeli sinottici, giungendo alla conclusione che il vangelo di Marco sarebbe quello più antico e che i vangeli di Luca e Matteo dipenderebbero da esso. TI quarto vangelo, invece, quello di Giovanni, che presenta una struttura e contenuti alquanto diversi, sarebbe indipendente dai sinottici. Quando i vangeli discordano su un certo elemento, come avviene, ad esempio, nel caso del nome di uno dei Dodici (Taddeo per Mc 3,18 e Mt 10,3; Giuda di Giacomo per Le 6,16) si fa ricorso, per valutare la storicità di una testimonianza, a diversi criteri, tra i quali figura anche quello cosiddetto dell'attestazione multipla: quando un dato è attestato da più fonti indipendenti, esso ha maggiori probabilità di essere storico rispetto al dato che è attestato da una sola fonte. Nel caso in questione, il nome di Taddeo è attestato da una sola fonte (Mt 10,3 non rappresenta una seconda fonte, perché dipende da Me), mentre quello di Giuda è attestato da due fonti indipendenti (Le e Gv).

5Di un discepolo di Gesù di nome Giuda di Giacomo, oltre alla testimonianza di Luca e di Giovanni, non si hanno più notizie nella tradizione successiva, mentre di Taddeo conosciamo l'attività missionaria a Edessa, in Siria-Mesopotamia, raccontata negli Atti di Taddeo apocrifi; inoltre, su di lui ci fornisce alcune informazioni anche il primo storico della chiesa, Eusebio di Cesarea (sec. IV) nella sua Storia ecclesiastica (1,13; 2,1,6-8).

6Sul problema dei fratelli e delle sorelle di Gesù si veda più avanti, capitolo 6.

7Con questo termine si indica, per contrasto con i diversi gruppi minoritari e particolari, il settore maggioritario del cristianesimo nascente, che attraverso un complesso processo di organizzazione e istituzionalizzazione, sarebbe poi diventato, a partire dal sec. IV, il cristianesimo ufficiale.

INDICE

Introduzione: quale Giacomo?

I. Giacomo, Pietro e la successione di Gesù

La testimonianza di Paolo
Liste di apparizioni del Risorto
La testimonianza del Vangelo degli ebrei
Gesù sconfessa i propri familiari
Il problema della successione di Gesù

II. Giacomo, Paolo e la missione ai gentili

«Ebrei» ed «ellenisti»
L'assemblea di Gerusalemme
Una storia alternativa del confronto tra Giacomo e Paolo

III. Il martirio di Giacomo

La notizia di Flavio Giuseppe
Le rielaborazioni cristiane della morte di Giacomo

IV. La fortuna di Giacomo: i cristiani di origine giudaica e gli gnostici

I cristiani di origine giudaica
Gli gnostici

V. La lettera di Giacomo

Problemi storici e letterari
Il messaggio della Lettera di Giacomo

VI. Giacomo, i fratelli di Gesù e la verginità di Maria

Fratelli/sorelle di Gesù come figli di Maria e Giuseppe nati dopo Gesù
Fratelli/sorelle di Gesù come figli di Giuseppe da un precedente matrimonio
Fratelli/sorelle di Gesù come cugini

Conclusioni. L'eredità di Giacomo

Indice dei nomi

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GESU' DI NAZARET E PAOLO DI TARSO - Confronto storico


RETROCOPERTINA

Dal punto di vista cronologico la distanza di Paolo da Gesù è di pochi anni, perché Paolo è poco più giovane di Gesù. Ma la distanza culturale, sociale e teologica è inversamente proporzionale alla vicinanza di tempo. L'uno vive nei villaggi, l'altro abita le metropoli; uno parla aramaico, l'altro usa il greco; Gesù esprime la cultura orale, Paolo dà inizio alla letteratura cristiana; e lo stigma dell'iniziatore è in Paolo tanto prepotente che qualcuno l'ha definito «l'inventore del cristianesimo». In realtà Paolo non si è appiattito su Gesù, né si è distanziato da lui fino a ignorarlo. Discontinuo, senz'altro, rispetto al Nazareno perché vissuto in un altro ambiente geografico, linguistico e culturale, missionario non nella piccola Galilea, ma nel cuore dell'impero romano e proteso alla conquista spirituale dei gentili, animato da un'incrollabile fede nel crocifisso risorto condivisa con i diversi gruppi di credenti del primo trentennio. AI Gesù evangelista del regno di Dio corrisponde il Paolo evangelista di Cristo morto, risuscitato e venturo. In una parola, l'annunciatore è diventato l'annunciato, come ha ben detto Bultmann. Il volume mette in parallelo il ritratto e l'annuncio dei due personaggi, dapprima attraverso il loro ambiente di vita, poi analizzando il loro pensiero. Un percorso storico che, nell'analisi accurata dei testi, si trasforma in un esemplare saggio di interpretazione.

INTRODUZIONE

Calcolata sui due millenni di presenza del movimento cristiano, la distanza cronologica tra Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso appare minima. Il Nazareno, nato qualche anno prima di Cristo (!), è morto, si ritiene, nel 30 o nel 33. Pochi anni più giovane, l'apostolo ha finito i suoi giorni attorno al 60. Ma la distanza culturale, sociale e teologica è inversamente proporzionale alla vicinanza di tempo. Ora il confronto tra i due, che ha alle spalle più di un secolo e mezzo di studi e ricerche, ha registrato opinioni contrastanti: si va dagli estremi di totale continuità e completa discontinuità a soluzioni intermedie proposte sotto il segno evoluzionistico di una storica transizione dall'uno all'altro.
La lontananza più estrema è nota sotto la formula assai divulgata di Paolo «vero fondatore del cristianesimo». Una voce su tutte, l'ebreo Klausner: «Questo Saul è il vero fondatore del cristianesimo come nuova religione e come chiesa»,1 Altrettanto deciso Wrede: «Paolo si deve considerare il secondo fondatore del cristianesimo», lui che «rispetto al primo ha esercitato senz'altro l'influsso più forte non l'influsso migliore»; un giudizio così motivato: Paolo «ha fatto del cristianesimo una religione della redenzione». In particolare il confronto è stato condotto sull'immagine che Gesù ebbe e manifestò di sé e la figura divinizzata che Paolo ne tracciò nella sua riflessione. Bousset, autore della monumentale ricerca Kyrios Christos, all'inizio del secolo scorso sostenne che Paolo aveva fatto del Nazareno «un essere divino però un gradino sotto Dio [ ... ], un mezzo dio» (Halbgott). Anche Bultmann si è fatto paladino della tesi di una netta dissoci azione tra il pensiero di Paolo e la predicazione di Gesù: questa per l'apostolo «è irrilevante, almeno nell'essenziale».
Agli occhi di autori ebrei in particolare, se ultimamente il Nazareno è riconosciuto come «fratello» (Ben Chorin) o «un mio grande fratello» (M. Buber), e si può parlare di una sua felice «rimpatriata», Paolo appare un ebreo andato extra moenia, passato al campo dei gentili e al mondo della cultura greca, insomma un disertore: in lui «l'antica religione teocentrica del giudaismo viene sostituita da una confessione cristocentrica» (Klausner); ha abbandonato la fedeemunà per una fede-pistis di stampo dogmatico (M. Buber). Giudizi più passionali e meno fondati scorrono sotto la penna di uno studioso dei nostri giorni, H. Maccoby, autore di un libro il cui titolo è tutto un programma: The Mythmaker (Il creatore di miti): Paolo «era un mitologista, più che un teologo»; è «l'inventore del cristianesimo»; la sua teologia è il frutto del «più grande fantasista di tutti».
Sull'altra sponda sono numerosi anche gli studiosi che, a vario titolo, riconoscono l'esistenza di una sostanziale continuità tra i due. Già il famoso Harnack dichiarava in Essenza del cristianesimo: Paolo «fu colui che meglio comprese il maestro e ne continuò l'opera», e non temeva di affermare: «è il suo discepolo», capace di fame evolvere il vangelo traendolo fuori «dall'alveo dell'ebraismo», Anche Goguel, in aspra polemica con quanti vedevano in Paolo «il vero creatore del cristianesimo» o, peggio, «il falsificatore», sostiene che «è stato, in maniera originale ma tuttavia fedelissima, il discepolo di Gesù Cristo». Assai interessante il punto di vista di Jungel sviluppato con grande suggestione nel voluminoso Paolo e Gesù: c'è, dice «totale parentela della dottrina di Paolo con quella di Gesù», perché concordano pienamente nell'annunciare «la vicinanza di Dio alla storia».
In ogni modo, un po' tutti riconoscono l'apporto positivo dell'apostolo che ha saputo dare all'orizzonte di Gesù un'apertura universalistica. Ma non mancano suoi tenaci detrattori, di cui il più famoso è senz'altro Nietzsche in L'anticristo: «Il "vangelo" morì sulla croce. Ciò che a cominciare da quel momento è chiamato "vangelo" era già l'antitesi di quel che lui aveva vissuto: una "cattiva novella", un Dysangelium [ ... ]. Alla "buona novella" seguì immediatamente la peggiore tra tutte: quella di Paolo. In Paolo si incarna il tipo antitetico alla "buona novella", il genio dell'odio, nella visione dell'odio, nella spietata logica dell'odio. Che cosa non ha sacrificato all'odio questo disangelista?».
In pratica sono state proposte tutte le possibili soluzioni del problema, riassumi bili nelle formule coordinativa e disgiuntiva: «e Gesù e Paolo», «o Gesù o Paolo», secondo che sono valutati su una linea continua di passaggio naturale dall'uno all'altro, oppure come poli contrapposti tra i quali scegliere, e in passato di regola la preferenza si è espressa in questi termini sbrigativi: «via da Paolo e andiamo a Gesù», via dal dogma dell'apostolo e ritorno alla calda e semplice religione del Nazareno. Negli ultimi decenni lo sguardo degli studiosi appare però puntato a segnalare somiglianze e, insieme, diversità, facendo un consuntivo dei punti di contatto e degli aspetti di lontananza. Il confronto comunque resta fissato non sulle due personalità religiose, come invece aveva fatto, voce isolata, Windisch, bensì sulla loro prospettiva colta nei suoi aspetti fondamentali, caratterizzanti.
Devo però constatare che ultimamente non sono stati né molti né approfonditi gli studi dedicati a tale confronto. Ora le numerose ricerche storiche di questi anni su Gesù e la New Perspective della teologia di Paolo, che ha preso avvio poco più di un ventennio fa, giustificano un nuovo tentativo: presentare un bilancio dei legami che li uniscono e delle diversità che li separano. L'approccio è rigorosamente storico, come dice anche il sottotitolo, dunque studio critico delle fonti antiche, per Gesù in primis le testimonianze evangeliche canoniche e apocrife, per Paolo le sue lettere autentiche, ma anche ascolto attento delle voci giudaiche e greco-romane di quel tempo lontano che ci fanno conoscere il mondo in cui essi hanno vissuto, senza disdegnare la ricca letteratura secondaria degli studiosi moderni che in vario modo hanno contribuito a questa mia ricerca, per questo citati in calce come segno di riconoscimento del debito contratto. Il presente contributo ha carattere sintetico; per questo qui e lì rimando il lettore ai miei precedenti studi (Gesù ebreo di Galilea, La teologia di Paolo e Il pensare dell'apostolo Paolo) dove è possibile trovare, nei singoli aspetti, notazioni più diffuse.
Infine vorrei precisare, se ce ne fosse bisogno, che in realtà un confronto storico «Gesù e Paolo» si traduce nel confronto tra una «nostra» immagine di Gesù e una «nostra» interpretazione di Paolo e del suo pensiero, l'una e l'altra criticamente vagliate sulla base delle testimonianze. Si sa che la soggettività dello storico non può essere messa tra parentesi e il suo peso si avverte in particolare quando, al di là di singole particolarità, propone una valutazione globale dei due termini a confronto e del loro rapporto: il vaglio delle fonti storiche è operazione «costruttiva», non «ricostruttiva». Dunque nessuna pretesa di supposta, ma impossibile, obiettività di natura positivistica, bensì una lettura, argomentata e motivata, di due presenze straordinarie della storia cristiana, non isolate però, bensì stelle lucenti di particolare splendore in una ricca costellazione. D'altra parte la ricerca storica afferma la sua autonomia di fronte ad altre forme di conoscenza di tipo ideologico, siano esse di carattere religioso o anche filosofico. Correttezza vuole che tutte si mantengano rigorosamente nel proprio ambito.

NOTA

1 Gli esatti riferimenti sono indicati all'interno dell'opera, soprattutto al capitolo I.

INDICE

INTRODUZIONE

ABBREVIAZIONI DI RIVISTE, ENCICLOPEDIE E COLLEZIONI

FONTI: EDIZIONI E TRADUZIONI

Capitolo 1
PROBLEMA DEI TEMPI MODERNI

1. LA PRIMA STAGIONE DELLA RICERCA (1831-1920)
2. I DECENNI 1920-1960
3. LA QUESTIONE VISTA CON GLI OCCHI DI STUDIOSI EBREI
4. GLI ULTIMI SVILUPPI

Capitolo 2
DISLOCAZIONE: DA UN MONDO A UN ALTRO

1. DISLOCAZIONE GEOGRAFICA: IL PAESANO GESÙ E IL METROPOLITANO PAOLO
2. DISLOCAZIONE DI LINGUA E DI LINGUAGGIO
3. DISLOCAZIONE SOCIO-RELIGIOSA E POLITICA

Capitolo 3
TRANSIZIONE DA GESÙ A PAOLO

1. STORIA DELLA RICERCA
2. IL QUADRO ODIERNO
2.1. Forme del movimento cristiano in Galilea
2.2. Le comunità cristiane di Gerusalemme
2.3. La comunità mista di Antiochia

Capitolo 4
DUE GRANDI CONVERTITI, DUE STRAORDINARI VISIONARI

1. «VEDEVO IL SATANA CHE CADEVA COME FOLGORE DAL CIELO»
2. «NON HO FORSE AVUTO LA VISIONE DI GESÙ, IL SIGNORE NOSTRO?»
2.1. Il Paolo precristiano
2.2. Il nuovo inizio

Capitolo 5
TEMPO E MONDO

1. «COME MAI NON SAPETE VALUTARE QUESTO TEMPO?»
1.1. L'oggi tempo di grazia
1.2. La prospettiva del domani ultimo
2. L'ORIENTAMENTO DI PAOLO
2.1. L'evento atteso è accaduto
2.2. La condizione presente
2.3. L'attesa del futuro
3. GESÙ E PAOLO: UN CONFRONTO

Capitolo 6
DIVINIZZAZIONE DI GESÙ

1. LE ATTESE GIUDAICHE DEL TEMPO DI GESÙ
2. LA RETICENZA DI GESÙ
3. GESÙ HA MOSTRATO INDIRETTAMENTE COSCIENZA MESSIANICA?
4. NONCURANZA DI PAOLO PER LA BIOGRAFIA DI GESÙ
5. «UN UOMO», «L'UOMO»
6. «IL SIGNORE»
7. «IL FIGLIO DI DIO»
8. CRISTOLOGIA FUNZIONALE
9. IL CRISTO DIVINIZZATO DI PAOLO

Capitolo 7
IL DIO DI GESÙ CRISTO

1. LE IMMAGINI DIVINE DI GESÙ
1.1. Deus adveniens, l'immagine regale
1.2. Deus praesens: l'immagine paterna
1.3. Figure convergenti e originali
2. «TEOLOGIA» DI PAOLO
2.1. Il risuscitatore del Crocifisso
2.2. Dio giusto e giustificante per fede
2.3. Dio promettente e fedele
2.4. «L'anima del monoteismo» di Paolo

Capitolo 8
«GESÙ ANNUNCIAVA IL REGNO ED È VENUTA LA CHlESA»
1. «I DODICI», SIMBOLO POLITICO
2. I SEGUACI DI GESÙ, UN GRUPPO ASOClALE
3. LE COMUNITÀ DI PAOLO
3.1. L'ekklesia
3.2. Corpo di Cristo
3.3. Fraternità
3.4. Solidarietà (koinònia e synergeia)

Capitolo 9
DISCORSO DELLA MONTAGNA, LIBERTÀ DELLO SPIRITO
1. GESÙ MAESTRO DI VITA
2. RADlCALlSMO MORALE
3. INTERPRETAZIONE OCCASIONALE DELLA LEGGE MOSAICA
3.1. Il sabato per l'uomo
3.2. Il tabù dell'impuro
3.3. «È stato detto, ma io vi dico»
3.4. Il divorzio equiparato all'adulterio
4. SGUARDO D'INSIEME
5. PAOLO, TEOLOGO DELLA GRAZIA
5.1. «Etica» della libertà
5.2. Etica della grazia, non del comandamento
5.3. Agiti dallo spirito
5.4. Pedagogia


Capitolo 10
FEDELTÀ EBRAICA
1. GESÙ PROFETA DEL POPOLO D'IsRAELE
2. PAOLO APOSTOLO DEI GENTILl PER ISRAELE
2.1. Diserzione dal mosaismo
2.2. Affermazione dell'identità abramica
2.3. La salvezza di «tutto l'Israele»

CONCLUSIONE

INDICE DELLE FONTI

INDICE DEI NOMI

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GESÙ NELLE FONTI EXTRABIBLICHE - Le antiche testimonianze sul Maestro di Galilea


RETROCOPERTINA

Gesù è veramente esistito? Quali sono le fonti extrabibliche che parlano di lui? Si tratta di fonti "affidabili" o rielaborate da una mano cristiana? Quale figura di Gesù traspare in esse? La ricerca di Van Voorst, scandita in cinque parti, risponde con chiarezza e precisione a questi interrogativi. Dopo aver bre­vemente inquadrato la questione (cap. 1), l'autore presenta e di­scute le fonti classiche che parlano del Maestro di Galilea. Diver­si sono gli autori presi in considerazione: Thallos, Plinio il Gio­vane, Svetonio, Tacito, Mara bar Serapion, Luciano di Samosata, Celso. Di ognuno si presentano i testi, verificandone l'attendibi­lità storica e letteraria (cap. 2).
Vengono quindi affrontate le te­stimonianze presenti nella letteratura ebraica: i manoscritti di Qumran, gli scritti di Giuseppe Flavio, alcuni testi della tradi­zione rabbinica e le Toledot Jeshu (cap. 3). L'autore spinge la sua indagine anche nei meandri della formazione dei testi neotesta­mentari, facendo il punto della ricerca sulle fonti da cui sarebbe­ro nati i Vangeli: la fonte Q, la fonte giovannea dei segni, le fonti proprie a Luca e a Matteo (cap. 4). Non poteva infine mancare un approfondimento sulla letteratura cristiana posteriore al Nuovo Testamento, che comprende testi apocrifi di rilievo come ilVan­gelo di Tommaso (presentato integralmente), il Vangelo di Pietro, il Vangelo segreto di Marco...(cap. 5).
Da questi documenti, Gesù emerge ora nelle vesti di un saggio, ora in quelle di un maestro autorevole, ora come mago o imbro­glione, ora come istigatore del popolo, ora come rivelatore di una conoscenza segreta. Alla fine ci si rende conto che la sua esisten­za storica, ampiamente documentata, sfugge a ogni definizione, lasciando pienamente intatto il mistero insondabile del Dio fatto uomo.

PREFAZIONE

Questo libro prende in considerazione le testimonianze antiche circa la vita, la morte e la resurrezione di Gesù tratte dalle fonti extraevangeliche. Si tratta di un argomento molto ampio, tanto che chi lo tratta si trova necessariamente a porsi dei limiti riguardo all'approfondimento del tema. Ho cercato di presentare in modo completo i brani in una traduzione moderna e di introdurre i temi più importanti concernenti l'interpretazione attuale di tali brani. A causa dell'ampiezza dell'argomento, non posso pretendere di dar conto in modo esauriente dello status della ricerca. Il lettore interessato può seguirne le tracce nelle note a piè di pagina. Mi riterrò soddisfatto se su qualche punto riuscirò ad andare al di là di questi obiettivi, per offrire uno sguardo nuovo sui problemi storici e teologici in questione.

Molte persone mi sono state d'aiuto nella realizzazione di questo libro e vorrei cogliere l'opportunità di ricordarle e ringraziarle. Il personale di redazione della William B. Eerdmans mi ha sostenuto nel percorso di sviluppo del libro. Ringrazio specialmente Daniel Harlow, mio redattore alla Eerdmans, ora al Calvin College, e Craig Evans e Bruce Chilton, curatori della collana Studi sul Gesù storico, per averrni invitato a scrivere questo volume e per avermi guidato nel farlo. Probabilmente essi non sono d'accordo su ogni parola qui contenuta, ma hanno contribuito a fare di questo saggio un libro migliore.

I miei studenti di Nuovo Testamento al Lycoming College, dove ho insegnato dal 1989 al 1999, hanno ascoltato molto di quello che è qui contenuto, ne hanno letto la maggior parte e hanno contri- buito al processo della stesura. Sono stati di continuo stimolo, e con che piacere! Tutti loro hanno avuto un'influenza indiretta sul libro, e alcuni hanno avuto un'incidenza ancora più ampia. Facendo domande alle quali non sapevo rispondere prontamente, Kay mi ha spinto ad approfondire maggiormente alcuni temi di carattere interpretativo. Mettendo in discussione il significato religioso esercitato da questi testi sui contemporanei, Herb ha focalizzato l'attenzione sul loro significato religioso nel mondo antico. e ridendo ogni qual volta menzionavo la fonte Q, Jill mi ha ricordato che non tutte le ipotesi sono così ovvie ad alcune persone come ad altre.

Le ricerche necessarie a questo libro sono state svolte, in gran parte, durante un anno sabbatico trascorso a Oxford (Inghilterra) nel 1997. La magia storica e culturale di Oxford è superata solo dalla vivacità del suo clima intellettuale. La facoltà e lo staff del Westrninster College e il suo preside mi hanno gentilmente ospitato come ricercatore ospite, e R. Joseph Hoffmann mi ha dato il benvenuto per due volte come docente ospite nel suo - vivace corso «Gesù nel pensiero contemporaneo». Christopher Rowland del Queen's College mi ha ammesso al corso universitario avanzato sul Gesù storico. Il clero e la congregazione della St. Ebbe's Church hanno accolto questo straniero nella loro vita e i docenti universitari che ne sono membri mi hanno offerto un altro punto di contatto con l'università. Non da ultimo, sono grato al Lycoming College per avermi concesso l'anno sabbatico e per aver finanziato due soggiorni di studio estivi con borse di ricerca, per lavorare a questo progetto.

Tre biblioteche e il loro personale mi hanno fornito un aiuto eccellente nella ricerca. La Burke Library dell'Union Theological Seminary a New York è stata un luogo perfetto per iniziare e con- cludere la ricerca; il responsabile principale della consultazione e dei servizi agli utenti, Seth Kasten, mi ha fornito un'assistenza tempestiva nella consultazione delle banche dati informatiche. La Bodleian Library dell'Università di Oxford è stata il magnifico centro in cui ho lavorato durante l'anno sabbatico per questo libro; le sue bibliotecarie sono state sempre gentili e disponibili ad aiutare «l'Americano che lavora su Gesù»: Christine Mason al banco delle richieste della Old Library, Mary Sheldon- Williams che sovrintende la sezione Classici e Teologia, e Jacquie Dean insieme a Liz Fisher della Lower Reserve. La Snowden Library del Lycoming College ha fornito alla mia ricerca un supporto costante di alto livello; numerose richieste di prestito interbibliotecario sono state effettuate da Marlene Neece, e non pochi nuovi acquisti da Sue Beidler. Il personale della Beardslee Library del Western Theological Seminary ha ottenuto parecchi prestiti interbibliotecari e la mia valente segretaria, Marilyn Essink, mi ha aiutato nella stesura finale del testo e dell' indice.

Ho un inesprimibile debito di gratitudine verso mia moglie Mary e verso i nostri due figli Richard e Nicholas per il loro amore e il loro sostegno. Oltre a leggere in modo critico questo libro, mentre ero a Oxford Mary ha continuato a portare da sola il peso della gestione di una casa e di una famiglia - in cui di solito i doveri vengono condivisi, anche se in modo imperfetto - con pochi attimi di tranquillità. Ciò che l'autore di un poema accolto in Pro 31 dice di una buona moglie si applica specialmente a Mary in ogni cosa che fa: «Molte donne sono state efficienti, ma tu le sorpassi tutte quante».

Questo libro è dedicato con gratitudine e grande stima ai miei due insegnanti di Nuovo Testamento presso l'Union Theological Seminary di New York J. Louis Martyn è stato un Doktorvater gentile e incoraggiante, un eccellente docente di studi biblici che trasmetteva più con l'esempio che con le regole, incoraggiando storia e teologia ad andare a braccetto. Il defunto Raymond E. Brown ha saputo combinare l'eccellenza nelle ricerche bibliche alla preoccupazione di tenere uniti i risultati degli studi con la pratica ecclesiale, influenzandomi profondamente. Lux perpetua luceat ei.

INDICE

PREFAZIONE
Abbreviazioni

I. LA RICERCA SU GESÙ NELLE FONTI EXTRABIBLICHE
Una breve storia della ricerca
È veramente esistito Gesù?
La struttura del presente saggio

II. GESÙ NELLA LETTERATURA DELL' ANTICHITÀ CLASSICA
Thallos: l'eclissi alla morte di Gesù
Plinio il Giovane: il Cristo del culto cristiano
Svetonio: Chrestus l'istigatore
Tacito: il Cristo messo a morte
Mara bar Serapion: il saggio re ebreo
Luciano di Samosata: il sofista crocifisso
Celso: Cristo il mago
Conclusioni

III. GESÙ NELLA LETTERATURA EBRAICA
Gesù è menzionato nei rotoli del Mar Morto?
Giuseppe Flavio: Gesù, un uomo saggio chiamato «Cristo»
La tradizione rabbinica: Gesù, mago e imbroglione
Le Toledot Jeshu: quanto antica è la polemica su Gesù?
Conclusioni

IV. GESÙ NELLE FONTI DEI VANGELI CANONICI
L: Gesù, maestro e guaritore autorevole
Il materiale particolare usato da Matteo: una fonte M su Gesù?
La fonte dei segni del quarto vangelo: Gesù il messia
Q: Gesù, l'inviato del regno di Dio
Gesù era un cinico ebreo?
Nessun interesse per la croce e la resurrezione?
Conclusioni

V. GESÙ NELLA LETIERATURA CRISTIANA POSTERIORE AL NUOVO TESTAMENTO
Gli Agrapha: detti sparsi di Gesù
Gli scritti di Nag Hammadi: Gesù il rivelatore della conoscenza segreta
Il Vangelo di Tommaso
Gli apocrifi del Nuovo Testamento: tradizioni e leggende su Gesù
I vangeli dell'infanzia
Il Vangelo di Pietro
Il Vangelo segreto di Marco
Le Salite di Giacomo
Conclusioni

BIBLIOGRAFIA
Fonti primarie
Fonti secondarie

INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

INDICE TEMATICO

INDICE DELLE FONTI
Fonti bibliche
Fonti classiche
Fonti ebraiche
Fonti cristiane antiche

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GESÙ MITO O REALTÀ

RETROCOPERTINA

Gesù di Nazareth è l'unico personaggio della storia umana che non è semplicemente morto per scomparire nei libri di storia. I suoi seguaci affermano che non solo è risorto dai morti ed è salito al cielo, ma che è del tutto vivo anche oggi, che la sua è una presenza reale.
I critici del cristianesimo pensano che si debba dividere il Gesù della storia dal Cristo della fede.
Ma il messaggio di Gesù Cristo è indivisibile. È un messaggio sia di storia che di fede.
Il Gesù che emerge dai Vangeli stimola e interroga l'uomo moderno fino a scuotere le fondamenta delle sue presunte certezze razionali. Nessuna critica è riuscita a smontare i Vangeli.
Semplicemente perché possiamo avere fiducia in questi testi scritti dai primi seguaci di Gesù, i quali non si erano ingannati né volevano ingannare. A differenza di molti critici sui quali allunghiamo l'ombra del nostro dubbio.


INTRODUZIONE

Il Gesù della storia e il Cristo della fede:
sono un'unica e medesima persona
o due persone differenti?

Gesù di Nazaret è l'unico personaggio della storia umana che non è semplicemente morto e poi decomposto in una tomba, per scomparire infine nei libri di storia o nell' oscurità. I suoi seguaci affermano che non solo è risorto dai morti ed è salito al cielo, ma che è del tutto vivo anche oggi, che la sua è una presenza reale nella loro vita quotidiana e nella preghiera. I critici del cristianesimo e non pochi teologi hanno tentato di risolvere il problema di questa duplice identità dividendo il Gesù della storia dal Cristo della fede. Questo Cristo della fede. Proclamato dalle chiese e dalle varie denominazioni cristiane, sperimentato dai cristiani in tutto il mondo, è stato costruito, decostruito e ricostruito a seconda delle decisioni dottrinali delle chiese e delle preferenze di sinodi, comitati e singoli individui. I dibattiti attuali su temi etici controversi sono un chiaro indicatore in questo senso. Il Cristo della fede può anche essere percepito in profondità come il Cristo personale di uomini e donne che si impegnano a mettere in pratica ciò in cui credono e conducono una vita che esemplifica l'amore verso il prossimo e la disponibilità a condividere il lieto annuncio riportato nei Vangeli e negli altri 23 scritti del Nuovo Testamento. In alcuni paesi dell'Africa e dell' Asia, i rischi sono alti: nell'ultimo secolo i cristiani sono stati torturati e uccisi in numero maggiore di ogni altro periodo della storia. Credere nel Cristo della fede e seguido è tutt'altro che una ricerca accademica.
    Il Gesù della storia, d'altra parte, è diventato un punto di conflitto tra studiosi che lo riducono a frammento di informazioni controverse, e altri i quali affermano invece che di fatto egli è la persona dell'antichità documentata nel modo più affidabile. Altri ancora, che si situano in un certo senso nel mezzo, affermano che le nostre conoscenze sono sufficienti per fidarci dei documenti, ma che questi sono troppo distanti dagli eventi per dimostrare che si sono svolti come li troviamo narrati nel Nuovo Testamento. Questo continuo dibattito ha prodotto un unico risultato, molte volte espresso in modo semplicistico specialmente nei mass media e perfino dal pulpito delle chiese: il Gesù della storia e il Cristo della fede non possono essere riconciliati. Sono due identità distinte, la prima va studiata da fonti frammentarie e discutibili, la seconda va proclamata e creduta nel modo migliore possibile.
    La questione potrebbe essere un test per il nostro senso dell'ironia. I critici e i nemici del cristianesimo amano del tutto il Gesù della storia, in quanto è qui che pensano di poter confutare le affermazioni del Nuovo Testamento. Gesù è nato a Betlemme? È risorto il terzo giorno? Questi sono argomenti solidi, storici, che molti scettici ritengono essere materia di leggende piuttosto che la base di resoconti effettivi. Al contrario, molti cristiani convinti, non amano per niente il Gesù della storia, poiché sentono che qui la loro fede personale può essere messa alla prova. Gesù ha detto veramente tutto quello che i Vangeli riportano e lo ha detto proprio così? Meglio non affrontare queste domande, o almeno così pensano. Ma la stessa natura di Gesù e del messaggio cristiano non lascia spazio ad altra scelta. Il Gesù della storia e il Cristo della fede sono due facce inseparabili della medesima moneta. Chiunque guardi una moneta può vederne solamente una faccia alla volta. Eppure è ovvio che l'altra faccia, quella invisibile, deve esistere, altrimenti la moneta non avrebbe alcun valore. Se guardiamo al Gesù della storia, sappiamo che l'altra faccia, il Cristo della fede, è pure presente, anche se non possiamo vederla. E se capovolgiamo la moneta, si verifica l'esperienza opposta. Possiamo controllare che entrambe le facce esistono, benché le esaminiamo separatamente, acquisendo diverse prospettive da ciò che vediamo. Chiunque insiste nel dire che queste due facce non formano un insieme, ma devono essere separate, sta proclamando una pericolosa falsità. Il messaggio di Gesù Cristo è indivisibile. È un messaggio sia di storia che di fede.
    L'atteggiamento prevalente di dubbio non è un fenomeno moderno. Criteri ideologici di questo genere cominciarono a prendere piede nei secoli XVIII e XIX sulla scia delle teorie post illuministiche. Nuove filosofie come l'esistenzialismo, proposero una ricerca di senso dopo le deva stazioni della Prima Guerra mondiale. Questi criteri cambiarono la teologia del continente europeo fino a renderla irriconoscibile. Non era più intellettualmente «corretto» credere nei miracoli di Gesù, a prescindere dalla loro storicità bene attestata, poiché i miracoli «non avvengono» e, come affermò un teologo di fama, non era più possibile credere nella risurrezione e ascensione di Cristo nell' epoca dei rasoi elettrici. Passo dopo passo, l'analisi storica cedette il passo all'ideologia di idee preconcette circa la natura della Bibbia e del suo messaggio. Si trattò di uno sviluppo irresistibile che ben presto si focalizzò sui quattro Vangeli. Infatti, fintantoché i Vangeli furono compresi come ciò che essi chiaramente affermano di essere, cioè racconti storici su un personaggio storico, scritti - come i documenti più antichi ci dicono - da testimoni oculari (Matteo e Giovanni) o da compagni e intervistatori di testimoni oculari (Marco e Luca), non c'era alcun motivo di mettere in discussione anche quei racconti che non potevano corrispondere alla nostra esperienza quotidiana. Una volta c'era spazio per la fiducia e la riverenza, ma ora ciò aveva ceduto il posto alla cosiddetta «ermeneutica del sospetto», dove la fede nei resoconti è vista come ingenuità e il dubbio viene salutato come atteggiamento genuino e colto. Di conseguenza era necessario che i Vangeli fossero ridatati al periodo fra gli anni Settanta e la fine del primo secolo della nostra era. Un evento fondamentale fu la causa di questa decisione. Nell'anno 30 Gesù predisse la distruzione del tempio; e i romani lo distrussero nell' anno 70. Poiché non era più ammesso che Gesù fosse considerato un vero profeta, gli studiosi dichiararono che i Vangeli dovevano essere stati scritti dopo tale evento e interpretarono la profezia di Gesù come una creazione della chiesa primitiva, che aveva il desiderio di presentare Gesù come il vero Figlio di Dio, invece di un semplice essere umano con grande facilità di parola. Se ciò sembra una caricatura, innumerevoli pubblicazioni teologiche del XX secolo e dell'inizio del XXI mostrano purtroppo che non si tratta di una caricatura. I risultati di un tale modo di argomentare sono stati impartiti a studenti di teologia, a futuri parroci e pastori d'anime e di conseguenza a ignare comunità parrocchiali e ai ragazzi di scuola nelle lezioni di religione. Perfino istituti biblici e teologici di orientamento conservatore o evangelica (per usare le etichette usuali) hanno ceduto talvolta alla tentazione di accettare le tendenze della corrente principale, invece di far fronte con le fonti alla falsificazione non storica e antistorica.
   Sicuramente tutto ciò non è una questione di una cultura «li- berale», «a metà strada», «conservatrice» o «evangelica». Etichettare gli avversari serve puramente come una comoda scappatoia per evitare un serio dibattito. La ricerca del Gesù storico, che è an- che il Cristo della fede, dipende da una buona erudizione e ciò può essere riscontrato su vasta scala. Alcuni lettori di questo libro possono ricordare l'agitazione provocata da John A.T. Robinson1 nel 1976, quando pubblicò il suo libro controcorrente Redating the New Testament (= Ridatare il Nuovo Testamento). Si trattava di un teologo arci-progressista, etichettato come una sorta di vescovo eretico, in quanto accusato di sostenere la tendenza alla moda della «morte di Dio»; ed ecco che improvvisamente sosteneva in una monografia ben documentata che ogni singolo libro del Nuovo Testamento era stato scritto prima della distruzione del tempio nell'anno 70 d.C. Dalla sera al mattino era diventato un traditore per la causa «liberale» e un nuovo eroe per i «conservatori». Eppure egli era e rimase il medesimo John A.T. Robinson di prima. Aveva soltanto scoperto che una lucida indagine testuale non può essere nascosta sotto il fardello di preconcetti ideologici. Si prenda anche il caso di Adolf von Hamack, il prototipo della teologia liberale tedesca a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Come storico dei testi, rimase fino in fondo uno studioso classico. Quando si rese conto che lui e i suoi colleghi avevano fissato la data degli Atti degli Apostoli in un' epoca troppo tardiva del primo secolo, corresse pubblicamente il suo errore e sostenne, in uno studio accuratamente argomentato, che gli Atti furono scritti ovviamente prima della morte di Giacomo, di Pietro e di Paolo, in altre parole prima del 62/64 d.C. Ciò significava che il Vangelo di Luca fu scritto ancora prima, forse già alla fine degli anni Cinquanta e che per quelli che propongono la sequenza cronologica Marco-Matteo-Luca-Atti, i Vangeli di Matteo e di Marco devono essere stati scritti negli anni Cinquanta del primo secolo, se non prima ancora. Ciò fu (ed è) un fatto sensazionale o provocatorio solo per quelli che si rifiutano di immaginare una comunità cristiana delle origini che fece la cosa ovvia di scrivere su Gesù, diffondendo il messaggio scritto come pure predicandolo a viva voce con la parola. In effetti molti storici di professione hanno ora incominciato a cambiare le loro idee.
   Per molti di loro datare i Vangeli agli anni Cinquanta o Sessanta del primo secolo d.C. non è per nulla una datazione precoce, ma ancora troppo tardiva. Si vorrebbe spiegare perché i primi cristiani ebbero bisogno di venti, trenta o perfino di quaranta anni per produrre i più antichi documenti scritti su Gesù. In altri termini, le date attorno agli anni Cinquanta del primo secolo sono il «periodo medio» più tardo che si possa concepire. Il Vangelo di Giovanni, spesso presentato come diverso dagli altri e visto al massimo come il più tardivo di tutti, è stato anch'esso recuperato dalla «discarica» delle datazioni attribuite alla seconda o alla terza generazione. Di nuovo fu John A. T. Robinson che dette l'avvio alla ricerca quando difese per questo vangelo una data di pubblicazione verso la fine degli anni Sessanta e argomentò la sua tesi in modo persuasivo nell' opera (postuma) The Priority of John, apparsa a Londra nel 1985. Studiosi europei come Klaus Berger della Università di Hei- delberg ne hanno ripreso il testimone.2
   Se ciò significa che Gesù fu in effetti un vero profeta, fedelmente documentato come tale - e molto di più ancora - dalla prima generazione dei suoi seguaci, ciò non dovrebbe rappresentare una sorpresa. È solo un segnale che indica il ritorno (a tempo già scaduto da molto) ai risultati dei primi quattro secoli della cultura cristiana, quando la gente, che aveva una conoscenza delle fonti più profonda di quanto forse possa essere la nostra, confermava l'affidabilità dei documenti storici. Non è necessario dire che con questo non si implica che automaticamente si debba accettare ogni singola tradizione sulle origini dei documenti del Nuovo Testamento. Ma ciò significa che la marea sta cambiando direzione. Non è più il tempo in cui i «conservatori» e i «tradizionalisti» devono dimostrare che la nostra conoscenza di Gesù è fondata su prove solide e risalenti agli inizi; tocca ora ai critici e ai dubbiosi presentare proposte strettamente storiche, invece di affermazioni filosofiche o ideologiche sulla natura e l'accuratezza delle fonti.
   Per dirla in altro modo, non c'è un briciolo di prova di nessun genere che i Vangeli siano stati scritti più tardi della metà del primo secolo. Appartengono alla prima generazione di testimoni e ai loro discepoli - e in verità anche ai loro avversari, che ebbero ogni occasione per discreditare le affermazioni dei cristiani per circa 300 anni, finché il cristianesimo non ottenne uno status legale nell'impero romano e lentamente acquistò i privilegi di religione imperiale. Ma dovunque guardiamo, neppure un solo racconto dei Vangeli viene rigettato come invenzione o fantasia in questi primi secoli. A quei racconti, nel peggiore dei casi, vengono date interpretazioni diverse. Il filosofo Celso, ad esempio, uno degli avversari del cristianesimo che scrisse a metà del secondo secolo, non dubita che Gesù abbia realmente compiuto dei miracoli. Semplicemente ne dà una spiegazione come il risultato di trucchi magici che Gesù avrebbe imparato da giovane mentre era in Egitto con Maria e Giuseppe. La cosa suona ridicola, ma si noti che Celso ritiene la fuga in Egitto come un fatto assodato, una cosa che molti teologi cristiani moderni trovano impossibile da ammettere.
   Oppure prendiamo in esame un altro autore non cristiano, il fariseo ebreo-romano, nonché generale e storico Giuseppe Flavio, che scrisse nell'ultimo terzo del primo secolo. Egli afferma che Gesù fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e che questo «uomo saggio, se in realtà si può chiamare uomo» (Antichità giudaiche 18, 63-64), era (considerato) il Messia. Generazioni di studiosi hanno supposto che un ebreo che non divenne cristiano non avrebbe mai potuto chiamare Gesù il Messia (o Cristo, secondo la lingua greca). Di conseguenza, la grande maggioranza degli interpreti pensano che almeno questa affermazione, se non l'intero passo su Gesù, sia un'aggiunta cristiana posteriore al testo originale. Ma si noti di nuovo, a differenza dei credenti cristiani, che Giuseppe Flavio non dice che Gesù è il Messia, ma che era il Messia. E questo è qualcosa che uno scriba cristiano non avrebbe mai asserito.
   Così di nuovo qui abbiamo uno scrittore non cristiano che accetta un' affermazione basilare dei Vangeli, ma le dà una sua personale variazione. Gesù era più di un semplice essere umano e di un maestro sapiente, in effetti fu un messia, ma quello sbagliato. Contro la maggioranza delle aspettative e delle speranze ebraiche di quel tempo, Gesù non venne con le schiere angeliche per trionfare sopra i romani e i loro collaborazionisti. Per Giuseppe egli era un messia sacerdotale, uno dei due o tre descritti in alcuni dei Rotoli del Mar Morto e che dovevano arrivare negli ultimi giorni. In ogni caso Gesù non era un guerriero pronto a combattere le sue battaglie, per creare sulla terra una pace politica. Giuseppe, che rimaneva ancora un ebreo benché scrivesse a Roma dal palazzo dell'imperatore, fa la sua scelta. Il Messia venuto dal deserto di Giudea, che aveva vinto battaglie e aveva creato la pace dopo il fallimento della rivolta ebraica contro i romani, era nient'altro che il generale romano Vespasiano, proclamato imperatore romano in Giudea nell'anno 68 d.C. Perciò, in un sol colpo, Giuseppe Flavio - come Celso - accetta e conferma una notizia dei Vangeli e ne cambia il significato. Ma quello che per uno storico è la cosa più interessante è il fatto che autori non cristiani, anzi apertamente anticristiani come Celso, non tentano di dimostrare che i Vangeli sono in errore, sebbene in quel tempo non ci fosse alcun rischio nell' attaccare i cristiani. Il fatto che si ometta di accusare i cristiani di aver falsificato le proprie fonti, è del tutto notevole. In effetti il Vangelo di Matteo riporta il più antico esempio conosciuto di una «ri-narrazione» anticristiana di un evento senza contestare il fatto centrale, cioè la tomba vuota al mattino di Pasqua.
   Nessuno era in grado di negare l'evidenza visibile, tangibile. Quindi che cosa potevano fare gli avversari? Affermare che Gesù aveva messo in scena la sua sparizione con qualche trucco di magia, proprio come Celso avrebbe più tardi tentato di spiegare i miracoli indiscussi? La cerchia attorno al sommo sacerdote si spinse a combinare un sotterfugio ancor meno convincente: diedero ai soldati romani di guardia alla tomba una buona somma di denaro, perché dicessero in giro che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù mentre essi dormivano. Il sommo sacerdote li assicurò perfino che il prefetto romano non li avrebbe puniti - la corruzione era fiorente a quei tempi, e Pilato non era contrario a rubare i fondi riservati ai sommi sacerdoti (lui e Caifa presero perfino i denari del tesoro del tempio per pagare l'acquedotto personale del prefetto). Di nuovo, l'astuzia era più disperata che ingegnosa, ma per gente che non era disposta ad accettare le conseguenze della risurrezione corporea di Gesù, valeva la pena di tentare. Toccò in primo luogo ad alcuni teologi moderni negare il fatto che la tomba fosse vuota, ma poterono e possono farlo solo negando il contesto ebraico dell' evento. Ogni ebreo che credeva nella risurrezione - e ad eccezione dei Sadducei, tutti ci credevano - si aspettava che Dio concedesse questa grazia ai suoi fedeli negli ultimi giorni. Secondo i libri di Ezechiele e di Daniele, e anche secondo uno dei Rotoli del Mar Morto giunti fino a noi, gli ebrei si aspettavano che fosse una risurrezione corporea. Se Gesù aveva ottenuto una risurrezione prima di ogni altro fedele ebreo, doveva trattarsi di una risurrezione corporea perché i suoi seguaci ebrei la credessero come veramente avvenuta. Visioni o allucinazioni sono escluse in un contesto ebraico. E questo significa anche che i discepoli come pure i loro avversari dovevano accertarsi che la tomba fosse realmente vuota. Per dirla in altre parole, la tomba vuota non è una prova della risurrezione, ma un presupposto - tanto che Paolo non la menziona neppure nel suo resoconto delle apparizioni del Risorto nella sua Prima Lettera ai Corinzi. Era un fatto semplicemente ovvio: se la tomba non fosse stata vuota, neppure Pietro, Giovanni o Giacomo sarebbero stati disposti ad accogliere con fiducia la realtà della risurrezione di Gesù.
   Questi sono solo alcuni esempi fra molti altri che dovrebbero aiutarci a comprendere lo sfondo che abbraccia una serie di domande. Non siamo i primi a porre questi interrogativi. Le prime risposte furono date dagli stessi contemporanei di Gesù, i quali, come risulta, ci hanno fornito fonti affidabili e risalenti alle origini. In altri termini, gli storici ci hanno insegnato che dobbiamo dire addio ad alcuni dei miti popolari degli studi sul Nuovo Testamento, se vogliamo avvicinarci più strettamente al Gesù della storia e al Cristo della fede a quasi duemila anni dopo che le fonti furono messe per iscritto. Questi miti hanno ricevuto nomi impressionanti. Uno di essi è la «cristologia narrativa», che significa fondamentalmente che gli ingenui membri della comunità cristiana primitiva era così sopraffatti dall'entusiasmo auto-indotto che confusero l'esuberanza della loro fede in Gesù con la realtà storica. Quindi riferirono (eriarrarono») i loro racconti e ciò che credevano di sapere (logos) su Cristo. Ma è abbastanza strano che tutti gli evangelisti, non solo il sobrio storico che è Luca, sorprendono il lettore per il loro modo circospetto di scrivere, con una sicura padronanza del loro materiale. E la postfazione redazionale del Vangelo di Giovanni («Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» [Gv 21,24]) sfida apertamente ogni tentativo di accusare i primi cristiani di una sorta di intossicazione teologicamente priva di attenzione.
   Un altro mito che si tramanda è conosciuto col nome tedesco di Gemeindetheologie, che significa letteralmente «teologia della comunità». Si suppone che ciò significhi l'esistenza di un grande numero di cristiani, ciecamente entusiasti, pii, ma intellettualmente sottosviluppati, i quali, essendo attivi in molte comunità, dettero forma, ampliarono e spesso inventarono racconti su Gesù, che poi ad un certo stadio furono editati da anonimi cervelloni. Il risultato di questo processo di «redazione» sono, a quanto si sostiene, i quattro Vangeli. Poiché abbiamo quattro Vangeli canonici, che sono opere chiaramente distinte di storia letteraria, questo processo di redazione editoriale avrebbe dovuto necessariamente ripetersi per quattro volte, in modo indipendente e caotico. Di un simile processo non è rimasta alcuna singola traccia sia nei testi, sia in qualche papiro - alcuni dei quali risalgono al primo secolo - e neppure in qualche citazione o commentario dei primi lettori. Ciò non è mai accaduto. Le varianti negli antichi papiri, gli errori degli serivani e le loro correzioni, le note a margine che scivolano nel testo e molte altre situazioni che sono tipiche di manoscritti dell'antichità (ma che si riscontrano molto meno frequentemente nei papiri del Nuovo Testamento rispetto ad altri manoscritti classici), fanno risaltare un' altra osservazione: non ci fu mai una seconda, terza o quarta edizione, corretta, emendata o ampliata, di nessuno dei quattro Vangeli dopo la loro prima pubblicazione. Al contrario si deve dichiarare, con la fiducia dello storico dell' epoca classica e della critica testuale, che i Vangeli non furono mai pubblicati in nessun' altra forma se non quella che leggiamo oggi. Selezionando i tre Vangeli di Matteo, Marco e Luca - spesso chiamati «sinottici» a causa della loro «comune visione», che deriva dal materiale condiviso e da numerose concordanze - dobbiamo riconoscere che non sono il risultato di una primitiva armonizzazione cristiana, una sorta di volantino di partito, ma sono scritti autonomi di autori autonomi, con diversità e variazioni. Per dirla schiettamente, in tutto l'intero ambito della letteratura classica, non c'è un singolo caso paragonabile in cui una storia complessa sia riportata da tre autori, che scrivono in posti diversi e con differenti destinatari di riferimento, eppure concordino con una simile notevole coincidenza. Nel momento in cui accettiamo i Vangeli per quello che sono in termini storico-letterari, cioè come esempi straordinariamente ben scritti di letteratura greca dell'epoca ellenistica, simili osservazioni non sono per niente sensazionali. Sono del tutto ovvie. Se i troppo numerosi critici dei Vangeli hanno omesso di prendere nota di queste cose, ciò dovrebbe farei pensare maggiormente a proposito dei critici che non rispetto ai Vangeli.
   In sintesi dunque c'è ogni motivo di aver fiducia sul fatto che le domande che oggi poniamo possono trovare una risposta guardando alla fonte del materiale scritto e pubblicato dai primi seguaci di Gesù Cristo

NOTE

1JOHN A.T. ROBINSON (1919-1983), vescovo anglicano di Woolwich, fu decano al Trinity College di Cambridge e un eminente studioso del Nuovo Testamento. Il volume in questione è ancora in commercio e fu ristampato nel 2000; finora non risulta tradotto in italiano [n.d.t.].

2Cf K. BERGER, lm Anfang war johannes. Datierung und Theologie des vierten Evangeliums [= In principio era Giovanni. Datazione e teologia del IV Vangelo], Stuttgart 1997. Robinson aveva preparato la sua opera sul Vangelo di Giovanni per le Bampton Lectures del 1984 all'Università di Oxford, ma morì il5 dicembre 1983, prima di poter presentare personalmente la sua tesi [n.d.t.].

INDICE

Introduzione
Il Gesù della storia e il Cristo della fede: sono un'unica e medesima persona o due persone differenti?

Capitolo I: Gesù è realmente esistito?
    A questo proposito, Cesare è esistito?

Capitolo II: Come sappiamo se i racconti su Gesù sono proprio veri?
    Come sappiamo se un racconto su di una persona dell'antichità è vero?

Capitolo III: Come nacque Gesù?
    E dove?

Capitolo IV: Che posto aveva Gesù nella tradizione ebraica?
    Qual era effettivamente la «tradizione ebraica» al tempo di Gesù?

Capitolo V: Gesù ha veramente compiuto miracoli?

Capitolo VI: Gesù morì realmente sulla croce?

Capitolo VII: Gesù è veramente risuscitato da morte?

Capitolo VIII: Che cosa pensava di essere Gesù?
    Era soltanto un uomo buono e un leader carismatico?

Capitolo IX: Scelte moderne
    Maestro dotato,filosofo cinico, Dio, mito o uomo?

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GEOVA E IL NUOVO TESTAMENTO - Quanto è importante il nome divino? - Qual'era la sua pronuncia? - Si dovrebbe ripristinare il tutta la Bibbia?

matteo-pierro-120 L'Autore Matteo Pierro è nato nel 1967 a Salerno dove vive con la moglie Nicoletta e la figlia Denise. In qualità di studioso della Bibbia è impegnato da molti anni nella collezione di t esti biblici di ogni epoca e in tutte le lingue.
Attualmente la sua biblioteca ospita oltre 650 diverse edizioni bibliche in più di 110 lingue.
   E' anche ricercatore di informazioni sulla vicenda dei Bibelforscher durante il nazismo. Ha raccolto finora oltre 2000 pagine di documenti dell'epoca, numerose testimonianze di ex deportati e decine di testi. Su questi argomenti ha scritto numerosi articoli apparsi su periodici nazionali e locali.
   Ha pubblicato "Fra martirio e resistenza. La persecuzione nazista e fascista dei Testimoni di Geova" (Actac Edizioni, Como, 1997) ricevendo positive recensioni su periodici specializzati. E' autore del saggio "I deportati delle provincie di Avellino e Salerno" e della nota "JHWH, il Tetragramma nel Nuovo Testamento", apparsa in Rivista Bìblica, edizioni Dehoniane Bologna, anno XLV, n" 2, aprile-giugno 1997.


PREMESSA

     Quando, verso la fine del 1996, mi accinsi a redigere un breve saggio sulla presenza del tetragramma nel Nuovo Testamento, non credevo minimamente che da lì a qualche anno ne avrei tratto un libro.
     Inviai l'articolo al direttore di una nota rivista cattolica di studi biblici per conoscere il suo autorevole parere in merito. La risposta mi sorprese in quanto, non solo lo trovava interessante, ma desiderava pubblicarlo sul suo periodico. Dopo la pubblicazione ho ricevuto da diversi studiosi sincere espressioni di apprezzamento. Ma ci sono state anche aspre critiche. Ho appreso che al mio articolo è stata dedicata, da una nota emittente nazionale di ispirazione cattolica, una trasmissione durata oltre un'ora. Ho anche saputo che esiste un sito Internet riservato esclusivamente a questo saggio.
     Tutto ciò mi ha piacevolmente sorpreso in quanto non avrei mai pensato che un semplice articolo potesse produrre reazioni così conrrastenti. Ho quindi deciso di approfondire l'ipotesi che avevo proposto andando Più a fondo nella ricerca. E il panorama che mi si è gradualmente dischiuso dinanzi mi porta oggi a credere che non si tratti Più di una semplice teoria ma di un fatto ben assodato. Il risultato delle mie ricerche è racchiuso in questo libro.
     Numerose persone devono essere ringraziate per l'aiuto che, in vari modi, hanno dato alla realizzazione di questo scritto. Voglio quindi esprimere la mia gratitudine a Erminia Weber Carpi, Ciro De Angelis, Felice Buon Spirito, Massimo Sorichetti, Hal Flemings, Vincent Savarino, Rolf Furuli, Mark Gipe, John Carras e Ron Rhoades sia per i loro suggerimenti e incoraggiamenti che per le indicazioni di testi utili. Vanno ringraziati, a motivo delle loro consulenze, Francesco Venale, per i testi ebraici, Plinio Gracco, per quelli latini, Giovanni Avagliano e Antonio Ruggiero per la correzione ortografica del testo. Ringrazio David Giles per la fattiva collaborazione nella stesura del libro e per avermi instillato, tanti anni fa, la passione per la profonda ricerca biblica. Un grazie particolare a mia moglie, Nicoletta, per il suo indispensabile sostegno emotivo. Infine, ma non per ultima, ringrazio mia madre per avermi, come una moderna Eunice, incamminato nella via del solo vero Dio.


INTRODUZIONE

     Chi arriva a Salerno per la prima volta non può che rimanere colpito dall'imponente acquedotto medievale che prosegue verso il suo centro storico. Ma, ad un certo punto, le arcate dell'antica via dell'acqua si interrompono per cedere il passo alle costruzioni moderne. Ovviamente, lo studioso deduce che anticamente questo acquedotto doveva raggiungere il centro dell'antica Salerno, ma che, per varie ragioni (terremoti, guerre, etc.), deve essere stato interrotto nella sua parte finale. Nel caso egli volesse avere delle prove concrete per la sua logica deduzione potrebbe cercarne di due tipi: quelle indirette e quelle dirette. Le prove indirette potrebbero essere le notizie da ricercarsi nella storiografia della città.
     Quelle dirette potrebbero trovarsi scavando dove termina l'acquedotto onde riportare alla luce le fondamenta della parte non più esistente. Naturalmente, visto che non è possibile scavare al di sotto delle attuali costruzioni, lo studioso deve basarsi esclusivamente sulle testimonianze storiche per il suo lavoro di ricerca. Comunque, alla persona comune basta la logica per dedurre ciò che è ovvio: Non si costruisce un'opera maestosa per fermarsi poco prima dell'obiettivo. Di certo non avrebbe senso concludere il contrario solo perchè non si dispone per il momento di prove dirette.
     Eppure, per quanto riguarda la presenza del nome divino nel Nuovo Testamento,1 si segue proprio questo modo di pensare. Si afferma che, non essendoci per il momento antichi manoscritti neotestamentari col tetragramma, esso non doveva comparire negli originali. Ma nella prima parte della Bibbia, nota comunemente come "Antico Testamento",2 il nome divino ricorre migliaia di volte. Per quale ragione sarebbe stato usato dall'inizio alla fine dei primi tre quarti della Bibbia, per poi scomparire bruscamente nell'ultimo quarto? Ciò non ha senso, come non ha senso concludere che i costruttori dell'acquedotto si siano fermati poco prima della fine. La logica porta a concludere che esso sia stato usato anche nella parte finale della Parola di Dio.
     Come nel caso dell'acquedotto, per il momento non è possibile avere prove dirette, cioè manoscritti originali del NT contenenti il tetragramma. Comunque, esistono numerose prove indirette della sua presenza. Lo scopo di questo libro è di portarle all'attenzione di quanti non si accontentano della spiegazione più semplice per concludere che all'inizio il Nome c'era.
     Nei primi capitoli del libro viene spiegato quanto è importante il nome di Dio, per quali ragioni oggi è così poco noto e quale pronuncia moderna sarebbe più attendibile. Negli altri capitoli vengono fornite le prove indirette della sua presenza. Esse sono: 1) La presenza del tetragramma nell'antica versione in greco dell'AT, la Settanta.3 2) La scrittura in ebraico del vangelo di Matteo. 3) L'atteggiamento di Gesù verso il nome del Padre. 4) Quello dei suoi discepoli. 5) Quello dei cristiani dei secoli successivi.
     Numerose note confortano le affermazioni fatte. Incoraggio il le ttore a non sottovalutarle, benchè possano sembrare troppe, poichè troverà in esse dei dettagli molto interessanti. Al termine, un'appendice particolareggiata documenta quanto non è stato possibile includere nelle note a piè di pagina. Evidentemente non avrò riportato tutto quello che è stato scritto su questo argomento. Per tale ragione invito il lettore di questo libro a far melo notare. Saranno anche molto apprezzati i suggerimenti, le impressioni e le critiche costruttive. Il mio indirizzo: Matteo Pierro, Salita S. Giovanni 5, 84135 Salerno, E-mai! Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. fax 089/955047.

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1.  Da ora in poi abbreviato con NT.
2.  Da ora in poi abbreviato con AT.
3.  Da ora in poi abbreviata con LXX. 

 

INDICE

Premessa   9
Introduzione   11

Cap.       I     L'importanza del nome divino nella Bibbia   13
Cap.     II     Come scomparve Il esatta pronunica del nome divino.   23
Cap.    III    Yahweh o Geova, qual è la pronuncia corretta?   35
Cap.     IV    Il tetragramma nella versione greca dell'AT   47
Cap.      V    La stesura in ebraico del vangelo di Matteo   63
Cap.    VI    Gesù e il nome divino   81
Cap.  VII     I primi cristiani e il tetragramma   89
Cap. VIII    L'atteggiamento dei cristiani post-apostolici verso il nome divino   101

Conclusione   117
              
Appendice

- Le conseguenze della soppressione del nome divino di David Giles   128
- Elenco dei mss greci che riportano il tetragramma   137
- Rotoli del Mar Morto non biblici contenenti il tetragramma   138
- Il P458 aveva in origine il tetragramma ebraico?   139
- Versioni del NT che usano il nome divino nel testo   140
- Versioni bibliche nelle quali ricorre il nome "Geova" nel testo   147
- Versioni bibliche nelle quali ricorre il nome "Geova" nelle note in calce   151
- La grafia "Geova" nella letteratura   154
- La grafia "Geova" su statue, chiese, etc.   163
- Il nome divino secondo antiche fonti   164
- Versetti del NT dove andrebbe ripristinato il tetragramma   165
- Dove ripristinare il nome divino? di David Giles   167   
- Elenco delle versioni bibliche utilizzate   171
- Bibliografia essenziale   172

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GEORGE STORRS - I SEI SERMONI


RETROCOPERTINA

I personaggi rappresentati in copertina hanno in comune molte delle loro dottrine. Essi sono, a seconda del metro con il quale vengono misurati, eretici della peggior specie o eroi che hanno preservato o riscoperto verità bibliche.
La loro negazione della trinità, dell'immortalità dell'anima, e il loro forte e vivace millenarismo, li rendono pericoloso apostati per molti, e per altri, sinceri ricercatori dell'originale messaggio biblico.
Ognuno può giudicarli secondo il proprio personale punto di vista, e nell'esprimerlo, l'avere a disposizione gli scritti originali, può aiutare a conoscere meglio un filone del cristianesimo troppo spesso filtrato dalle parti interessate.
Il primo personaggio preso in considerazione è stato il pastore C. T. Russell. I suoi numerosi scritti li potete trovare nel nostro sito, nelle sezioni: “Storia del Cristianesimo, Testimoni di Geova”, “Collane storiche” e “Libri storici dei TdG”.
Il terzo personaggio della serie è George Storrs, ricordato con onore e rispetto sia dalle varie chiese avventiste che dagli Studenti Biblici. Per molto tempo dimenticato e trascurato dai testimoni di Geova, Storrs è stato negli ultimi decenni riscoperto e incluso fra coloro che influenzarono Russell e dei suoi associati. Nel supplemento della Torre di Guardia di Sion del 1° luglio 1879, pagina 1, paragrafo 6, Russell scrisse: “Il Signore ci aiutò in molti modi nello studio della Sua parola: in questo si distinse particolarmente il nostro diletto e anziano fratello George Storrs, il quale, sia a parole che per iscritto, ci aiutò parecchio; tuttavia abbiamo sempre cercato di non divenire seguaci di uomini, per quanto buoni e saggi, ma di essere imitatori di Dio come figli diletti”.
L'opera più conosciuta di Storrs è il libro “I SEI SERMONI”. La genesi di questo libro risale alla primavera del 1842 quando Storrs predicò alla sua congregazione un sermone sullo stato dei morti e anziché svolgerlo in maniera estemporanea com'era sua abitudine lo lesse direttamente da un manoscritto affinché il suo messaggio fosse chiaro. Ne seguirono altri cinque che furono poi raccolti e pubblicati in un piccolo libro dal titolo “Una domanda: I malvagi sono immortali? In sei sermoni”. La versione che vi proponiamo è del 1856 che presentava un titolo leggermente diverso.
Quello che Storrs scrisse in questo libro influenzò notevolmente la dottrina di diversi gruppi religiosi oggi esistenti e ben conosciuti. A completare il libro troverete brevi ma accurati cenni biografici e immagini.
Quanto George Storrs sia stato importante nella storia religiosa di milioni di persone e quanto meriti di essere ricordato, vi sarà chiaro solo dopo aver letto questo libro. Azzurra7 Editrice Group è felice di aver curato questa traduzione e di averla messa a disposizione del lettore italiano.
Indipendentemente dal vostro credo religioso, questo libro non potrà mancare di avere un posto d'onore nella vostra biblioteca.

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

George Storrs è ricordato con onore e rispetto sia dalle varie chiese avventiste che dagli Studenti Biblici. Per molto tempo dimenticato e trascurato dai testimoni di Geova, è stato negli ultimi decenni riscoperto dalla Watchtower e incluso fra coloro che influirono sulla dottrina di Russell e i suoi primi associati. Russell dovette molto al pensiero di Storrs, nel supplemento della Torre di Guardia di Sion del 1° luglio 1879 (indirizzato ai lettori dell'Araldo del Mattino), alla pagina 1, paragrafo 6, Russell scrisse:
“Il Signore ci aiutò in molti modi nello studio della Sua parola: in questo si distinse particolarmente il nostro diletto e anziano fratello George Storrs, il quale, sia a parole che per iscritto, ci aiutò
parecchio; tuttavia abbiamo sempre cercato di non divenire seguaci di uomini, per quanto buoni e saggi, ma di essere imitatori di Dio come figli diletti”.

L'opera più conosciuta di Storrs è il libro “SEI SERMONI”. La genesi di questo libro risale alla primavera del 1842 quando Storrs predicò alla sua congregazione un sermone sullo stato dei morti e anziché svolgerlo in maniera estemporanea com'era sua abitudine lo lesse direttamente da un manoscritto affinché il suo messaggio fosse chiaro. Ne seguirono altri cinque che furono poi raccolti e pubblicati in un piccolo libro dal titolo “UNA DOMANDA: I MALVAGI SONO IMMORTALI? IN SEI SERMONi”. Ne seguirono varie versioni fra cui questa che vi proponiamo del 1856 che presentava un sermone aggiuntivo e un titolo leggermente diverso, cioè:
“I SEI SERMONI SULLA DOMANDA: ESISTE L'IMMORTALITà NEL PECCATO E NELLA SOFFERENZA? INOLTRE UN SERMONE SU CRISTO IL DATORE DI VITA, LA FEDE DEL VANGELO”.
Quello che Storrs scrisse in questo libro influenzò notevolmente la dottrina di diversi gruppi religiosi oggi esistenti e ben conosciuti. A completare il libro troverete brevi ma accurati cenni biografici e immagini.
Quanto George Storrs sia stato importante nella storia religiosa di milioni di persone e quanto meriti di essere ricordato, vi sarà chiaro solo dopo aver letto questo libro.
L'Azzurra7 Group è felice di aver curato questa traduzione e di averla messa a disposizione del lettore italiano.
Indipendentemente dal vostro credo religioso, questo libro non potrà mancare di avere un posto d'onore nella vostra biblioteca.
Azzurra7 Editrice

GEORGE STORRS e i SEI SERMONI
SAGGIO INTRODUTTIVO DI ROBERTO DAEN

Quando nella primavera del 1842 George Storrs informò la sua piccola congregazione di Albany che avrebbe fatto un sermone sulla condizione dei morti e il destino finale dei malvagi, voleva essere sicuro che le sue parole non fossero fraintese. Ciò che avrebbe detto era la conclusione di cinque anni di intenso studio e meditazione. Anziché usare il suo usuale metodo di svolgere i discorsi in maniera estemporanea, lesse un manoscritto:

“Poiché l’argomento trattato sarebbe stato insolito e poteva essere travisato in ciò che veniva detto, aveva deciso di fare quello che non aveva mai fatto prima – cioè leggere fedelmente tutto quello che doveva dire. Alla fine annunciò che avrebbe predicato un altro sermone sullo stesso argomento la sera del successivo giorno del Signore. La sua seconda settimana fu spesa nel suo studio alla stessa maniera che per il primo; e così fu preparato il “Secondo Discorso”; ma constatò che ce ne voleva un terzo; e così proseguì l’intera faccenda finché infine preparò e predicò il “Sesto Discorso”; e la storia della prima settimana dedicata allo studio è la storia delle sei settimane, ognuna delle quali fu spesa alla stessa maniera della prima. Tutto questo senza fare alcun riferimento a qualsiasi pubblicazione. Dopo aver finito di tenere i discorsi, diverse persone che li avevano sentiti espressero il desiderio che fossero pubblicati. Di conseguenza Storrs impiegò diverse settimane in più per preparare una seconda bozza, per fare una revisione, e predisporli per la stampa, finché furono stampati a maggio o giugno”.[1]

I Sei Sermoni furono pubblicati prima che Storrs aderisse alle idee di William Miller sul secondo avvento di Gesù. Durante il breve periodo che Storrs aderì al movimento di Miller, tra l’estate del 1842 e l’autunno del 1844, gli avventisti in generale non accolsero di buon grado le sue idee in relazione alla condizione dei morti e punizione dei malvagi:

“Dopo un po’ di tempo l’organo di stampa ufficiale delle vedute del signor Miller, “The Signs of the Time”, pubblicato a Boston, Mass., si scagliò rudemente contro un ministro che sentiva suo dovere predicare il tipo di fine che avrebbero fatto i malvagi alla stessa maniera di come si sentiva di predicare la venuta del Signore. Quel giornale diverse volte pubblicò commenti che criticavano quel ministro; poiché aveva le stese opinioni di quell’uomo, Storrs si sentì costretto a non restare in silenzio e intervenne per non lasciarlo solo. Di conseguenza, nel dicembre del 1842, spinto dalla profonda convinzione che Dio lo aveva chiamato per tale compito, fece una revisione del Sei Sermoni, pubblicò un’edizione di cinquemila copie in formato giornale nella città di New York dov’era per predicare, e lo fece distribuire attraverso gli Stati Uniti a sue proprie spese. Poche settimane dopo fece un’altra revisione e pubblicò ulteriori diecimila copie distribuendole alla medesima maniera”.[2]

Miller fu un tenace oppositore di Storrs e del Sei Sermoni, non accettò mai l’idea che l’anima potesse morire e che i malvagi non fossero destinati a soffrire eternamente in un inferno di fuoco:

È giusto e appropriato a questo punto precisare che il signor Miller si oppose continuamente alle vedute di Storrs sulla questione dell’immortalità”.[3]

Dopo l’abbandono dell’avventismo nel novembre 1844, George Storrs non volle aderire nominalmente ad alcuna denominazione religiosa, né volle fondarne una nuova, era convinto che ognuno dovesse avvicinarsi a Dio individualmente. Era un convinto sostenitore della responsabilità individuale di fronte a Dio:

“Per quanto riguarda le idee contenute nel Sei Sermoni, come ora rivisto e di molto ampliato, il signor Storrs è l’unico responsabile, e ciò in armonia col fatto che ha sempre rifiutato di permettere ad alcun uomo o gruppi di uomini, di prendersi responsabilità al posto suo per le sue vedute. Non è mai stata sua intenzione, né lo è tuttora, fondare una setta; egli ha sempre rifiutato di essere etichettato come appartenente a una chiesa di qualsiasi corpo di uomini. Comunque non fa delle sue vedute di responsabilità individuale un modello per le azioni degli altri; egli desidera che tutti agiscano in armonia con le loro convinzioni di ciò che è la verità e il dovere, in quanto responsabili verso Dio.

A questo punto potrebbe essere appropriato dire che ha svolto la sua opera dimorando nella città di Philadelphia fra il novembre del 1844 e l’aprile del 1852, impiegando praticamente tutto il suo tempo in mezzo alle persone di quella città, ma senza cercare, o permettere ad altri, di istituire un’organizzazione come fanno tutte le altre sette. Ha creduto che l’amore è il solo vincolo d’unione e che quando questo amore non riesce a tenere unite le persone, è meglio che si separino”.[4]

Alcuni anni dopo la sua prima edizione, il Sei Sermoni esce dai confini americani, il libro viene pubblicato anche in Inghilterra riscuotendo un certo interesse:

“Nel 1853 i Sei Sermoni furono pubblicati in Inghilterra e diffusi in varie parti di quella nazione, e devono avere attirato un po’ di attenzione, se sono vere le cose che hanno riferito diversi scrittori di quel luogo da ambo le parti in questione”.[5]

L’edizione del Sei Sermoni tradotta in italiano è quella del 1856 in cui è presente un sermone aggiuntivo e la biografia di Storrs. La biografia fu probabilmente dettata da lui stesso o scritta in terza persona dato che vi sono particolari della sua vita che solo lui poteva conoscere.

Non abbiamo ritenuto opportuno scrivere una biografia dettagliata di Storrs che vada oltre quella che trovate nel suo libro e che si ferma al 1855. Questa è una traduzione del “Sei Sermoni”, non una biografia. Tuttavia vogliamo accennare a ciò che accadde negli ultimi anni della sua vita.

La dottrina di Storrs si evolse nel tempo; nel 1871 risuscitò la rivista Bible Examiner che non era più stata pubblicata fin dal 1863; il giovane Charles T. Russell fu un fedele e assiduo lettore della rivista; il suo nome, quello di suo padre, e altri della classe biblica di Allegheny, appaiono diverse volte sul Bible Examiner fra coloro che inviarono lettere e ordinarono letteratura. Russell scrisse sul Bible Examiner tre articoli fra il 1876 e 1877.[6]

Sul Bible Examiner George Storrs fece anche una recensione dell’opuscolo di Charles T. Russel “Oggetto e maniera del ritorno del nostro Signore”. Pur esprimendo qualche riserva sulla bontà di stabilire date precise sul ritorno di Cristo (Storrs pensava che il ritorno fosse imminente ma che non si potesse calcolare la data esatta) in un passaggio scrisse del giovane Russell quanto segue:

“L’autore è uno dei miei autentici cari amici, è un sincero amante della verità. Non ho il minimo dubbio riguardo alla sua salda integrità e non provo nient’altro che l’assoluta convinzione che la verità che sta promulgando lo condurrà nell’opera che ha intrapreso. I suoi sacrifici in denaro e tempo attestano la sua fede”.[7]

Il Bible Examiner uscì regolarmente fino al mese di maggio del 1879, poi venne sospeso per alcuni mesi a causa della malattia di Storrs. A ottobre uscì ancora un numero, ma Storrs questa volta si ammalò gravemente e dovette interrompere definitivamente la pubblicazione del Bible Examiner. Charles T. Russell in una lettera personale del 9 dicembre 1879 offrì a Storrs gli spazi della Torre di Guardia di Sion per scrivere i suoi articoli. Gli rispose la figlia con una lettera del 14 dicembre 1879. Ecco come il tutto venne riportato da Russell nella Torre di Guardia:

“Il nostro fratello che ha diretto per tanto tempo il ‘Bible Examiner’ è noto alla maggioranza dei nostri lettori; inoltre è stato costretto da una grave malattia a sospendere la pubblicazione del suo periodico. Mentre senza dubbio egli desidererebbe, come noi, continuare la proclamazione dell’amore di Dio per tutte le sue creature, ha molta ragione di ringraziare Dio per il privilegio di aver vissuto una vita così lunga e così consacrata al Signore.

Interpretando il sentimento di molti che come me, sarebbero felici di leggere qualcosa dal nostro fratello, gli abbiamo offerto parte del nostro spazio.

La seguente lettera scritta da sua figlia il 14 dicembre 1879 sarà di vostro interesse: ‘Fratello Russell, la vostra lettera del giorno 9 è stata puntualmente ricevuta e letta a mio padre, sebbene egli sia costretto sul suo letto di malattia esausto e consumato. Egli apprezza la vostra compassione cristiana e la cortese proposta, ma in quanto allo scrivere o a redigere qualcosa egli non ha più forza né di corpo né di spirito. Non soffre più così costantemente come prima, ma è molto emaciato e bisognoso di aiuto come un bambino, è così pesante che troviamo necessario avere un uomo per sollevarlo. Gradiremmo se venisse pubblicato un comunicato sulla sua condizione nella Torre di Guardia di Sion. La vostra offerta è la prima che abbiamo ricevuto da un qualsiasi giornale, e per questo noi vi ringraziamo. Mio padre è molto paziente e rassegnato, sebbene a volte le sue sofferenze sono così grandi che desidererebbe la pace. Ieri ha compiuto 83 anni, come suppongo che voi sappiate. Egli vi saluta con amore cristiano. Vostra rispettosamente, H. W. Storrs.’

Noi - senza sollecitazione - suggeriamo a ognuno dei nostri lettori, a cui il Signore ha dato in modo generoso come suoi economi, che questa è un’opportunità - tra tante - per supplire ai bisogni dei santi”. [8]

Storrs morì il 28 dicembre 1879. Così Russell lo annunciò nelle pagine della Torre di Guardia di Sion:

“Le notizie riguardanti il fratello Storrs ci hanno raggiunto troppo tardi per fare in tempo a pubblicare un’inserzione nell’ultimo numero. Come abbiamo detto allora, era appena entrato nel suo ottantaquattresimo anno di vita ed era piuttosto ammalato. Egli era, noi crediamo, un ‘servitore fedele’ che ‘entrerà nella gioia del nostro Signore’. Piangiamo la morte di un amico e un fratello in Cristo, ma ‘non come quelli che non hanno speranza’. Il grande Liberatore è vicino e ci rassicura dicendo: ‘ho le chiavi della morte e dell’Ades”.[9]

Russell nel 1884 avrebbe pubblicato sulla Torre di Guardia di Sion due vecchi articoli di George Storrs.[10]

Durante tutta la sua vita Russell attribuì a Storrs il merito di averlo aiutato in merito al suo intendimento della Bibbia:

“Il Signore ci aiutò in molti modi nello studio della Sua parola: in questo si distinse particolarmente il nostro diletto e anziano fratello George Storrs, il quale, sia a parole che per iscritto, ci aiutò parecchio; tuttavia abbiamo sempre cercato di non divenire seguaci di uomini, per quanto buoni e saggi, ma di essere ‘imitatori di Dio come figli diletti”.[11]

Anni dopo sarebbe comparso in più numeri della Torre di Guardia, questo riconoscimento:

“A questo punto dovremmo, e lo facciamo, menzionare con gratitudine l’assistenza dataci dai fratelli George Stetson e George Storrs, entrambi ora deceduti, il secondo editore del Bible Examiner. Lo studio della Parola di Dio con questi cari fratelli ha condotto, per gradi, in pascoli più verdi e in luminose speranze per il mondo”.[12]

In molti libri, ma anche e soprattutto in enciclopedie su internet, Storrs viene definito avventista. Riguardo a questa affermazione, così risponde lo storico Bruce W. Schulz:

“Da qualche parte in uno dei commenti apparsi in questo blog o in quello più vecchio, un visitatore ha sostenuto che Storrs fosse un avventista ben rispettato. Questa affermazione ha la stessa correttezza che si avrebbe guardando gli oggetti dalla parte sbagliata del cannocchiale. Storrs scrisse quali erano le sue differenze con gli avventisti e ci dice esattamente il motivo per cui non rimase con loro dopo il 1844. Non era affatto rispettato fra gli avventisti come qualcuno sostiene. Egli fu perseguitato da un gran numero dei suoi ex compagni. Molto di questo è dettagliato nelle pagine del Bible Examiner e in articoli scritti nel giornale avventista World’s Crisis che lo attaccava con la stessa metodicità di un cecchino ben addestrato. Oggi Storrs è rispettato dagli avventisti. Ma a quel tempo no. Questo cambiamento nel considerare George Storrs è il risultato dell’aver raccontato in modo parziale la storia da parte di LeRoy Froom (un avventista del settimo giorno). Uno storico che ha colorito ed esagerato la storia per soddisfare la sua convinzione che la sua religione è l'unica vera fede.

Dovremmo dire che Storrs era un avventista quando egli stesso non si identificava come uno di loro? Perché dovremmo? Perché credeva ancora nel prossimo ritorno di Cristo? Storrs aveva più in comune con alcuni millenaristi inglesi che con gli avventisti. Lo etichetteremo allora come Millenarista? Storrs mantenne alcune delle sue simpatie metodiste. Descriveremo allora, coloro che leggevano il Bible Examiner "membri di una setta metodista?"[13]

Sebbene oggi Storrs sia onorato e rispettato dagli avventisti, così non fu durante tutta la sua vita, non accadde neanche quand’era un loro associato; in fin dei conti la sua adesione con riserva all’avventismo durò solo due anni; dal 1844 in poi fu duramente e aspramente criticato dalla stampa avventista; Storrs e i suoi collaboratori ricambiarono e sulle pagine del Bible Examiner non mancarono parole dure verso gli avventisti:

“Suppongo che vi siate accorti di certi argomenti trattati in una delle ultime assemblee degli Avventisti del New Hampshire! La povera vecchia Roma ha dei figli veramente insensati. Ebbene, non provo altro che pietà per costoro, e prego fervidamente che Dio mi mantenga libero da tale fanatismo e intolleranza”.[14]

Senz’altro furono molto più lunghi i periodi che Storrs aderì ad altre denominazioni: fino all’età di 19 anni fu nominalmente un presbiteriano; per sei anni congregazionalista; per 15 anni metodista; per 35 anni non aderì ad alcuna denominazione religiosa. Dovremmo definirlo Presbiteriano? Congregazionalista? Metodista? Uno dovrebbe essere definito in base alla fede religiosa che ha in quel determinato periodo di tempo. Quando Storrs era metodista non era ancora avventista, quando diventò avventista non era più metodista, e quando lasciò l’avventismo non era più avventista.

Molti lettori potrebbero essere incuriositi da domande come:

Che tipo di rapporti c’erano esattamente tra George Storrs e la classe biblica di Allegheny guidata da Russell? Quali dottrine Russell ereditò da Storrs? Quanto del messaggio di Storrs si può ritrovare in quello di Russell? Che cosa è rimasto oggi di quel messaggio? Crediamo che dare una risposta corretta a queste e altre domande non sia semplicemente una mera soddisfazione della propria curiosità.

Ma fare una biografia senza avere a disposizione tutti gli elementi di un puzzle, anche quelli apparentemente meno importanti, significherebbe fare un cattivo lavoro. Lo storico Bruce W. Schulz ama ripetere spesso: “la storia è nei dettagli”. Conoscere i dettagli è fondamentale per scrivere la storia correttamente. Solo avendo accesso a una mole importante di documenti contemporanei alla vita dei personaggi è possibile ricostruire con accuratezza gli avvenimenti. Inoltre non è compito dello storico giudicare se una dottrina è corretta oppure no, il suo compito è quello di spiegare come una dottrina si è sviluppata, come un gruppo religioso è arrivato a credere quello che crede, quali sono le sue radici. Tutto il resto appartiene alla sfera della spiritualità del lettore, e se lo storico invade quella sfera, non è un buon storico.

All’inizio del 2014 Bruce W. Schulz e Rachael de Vienne, probabilmente i due maggiori storici a livello mondiale della storia dei primi anni della Watchtower, pubblicheranno il loro primo volume dedicato alla nascita della Watchtower. Molte decine di pagine saranno dedicate a Storrs, con una completa ed esauriente biografia, e soprattutto sarà raccontato in quali modi gli ultimi anni della sua vita si intrecciarono con quelli del giovane C.T. Russell.[15] Avrete così risposta a quegli interrogativi che queste poche pagine non possono dare. Coloro che sono interessati ad approfondire la loro conoscenza di quel periodo storico non mancheranno di acquistare il libro di Buce W. Schulz e Rachael de Vienne appena sarà stato pubblicato.

Conoscere George Storrs è fondamentale per capire le origini delle credenze di C.T. Russell; eppure egli è solo una delle figure, fra le tante, che formano il mosaico dei personaggi che contribuirono alla formazione del credo di Russell. Il “Sei Sermoni” è solo una tappa, che ora dopo 171 anni è disponibile anche in italiano.

Roberto Daen

NOTE

[1] Six Sermons edizione del 1856, pg. 12

[2] Six Sermons edizione del 1856, pp. 12, 13

[3] Six Sermons edizione del 1856, pg. 14

[4] Six Sermons edizione del 1856, pp. 16,17

[5] Six Sermons edizione del 1856, pp. 16

[6] “Tempi dei Gentili quando finiranno?” BE ottobre 1876 pg. 27; “Avvenimenti futuri proiettano innanzi le loro ombre” parte 1, BE marzo 1877 pg. 181; “Avvenimenti futuri proiettano innanzi le loro ombre”, parte 2, BE maggio 1877 pg. 245

[7] Bible Examiner marzo 1878, pg. 166

[8] Torre di Guardia di Sion, gennaio 1880, pg. 8 (pg. 71 della ristampa)

[9] Torre di Guardia di Sion, febbraio 1880, pg. 7

[10] “La dottrina dell’elezione”, Torre di Guardia di Sion giugno 1884, pg.3 (pg. 623 della ristampa) e “La volontà di Dio”, giugno 1884, pg. 7 (pg. 631 della ristampa

[11] Supplemento della Torre di Guardia di Sion, luglio 1879 pg. 1

[12] Articolo: “Pericoli in mezzo a falsi fratelli”, Torre di Guardia di Sion, maggio 1890, pg. 3 (omesso nella pg. 1214 della ristampa) successivamente ripubblicato nel numero speciale del 25 aprile 1894, pg. 96, e nei numeri regolari del 15 luglio 1906 e del 1 giugno 1916.

[13] Estratto di un articolo apparso sul blog privato Watch Tower History2 del 26/12/2010 firmato da Bruce W. Schulz.

[14] Bible Examiner marzo 1875 p. 188

[15] È possibile leggere molti degli articoli di Bruce W. Schulz e Rachael de Vienne sul blog pubblico http://truthhistory.blogspot.it/

Gli autori hanno già pubblicato una biografia su Nelson Barbour dal titolo: “Nelson Barbour: The Millennium’s Forgotten Prophet”, acquistabile su lulu.com

INDICE

Presentazione del libro

Saggio introduttivo

Articoli della Watchtower su George Storrs

Immagini

Inizio libro

Cenni Biografici

Primo Sermone

Secondo Sermone

Terzo Sermone

Quarto Sermone

Quinto Sermone

Sesto Sermone

Cristo il datore di vita o la fede del vangelo

Addenda

Immagini di personaggi e libri citati da George Storrs


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GANDHI - Il risveglio degli umiliati

RETROCOPERTINA

È una delle rare figure che hanno saputo cambiare il mondo con la sola forza dello spirito. Ma com'è riuscito, quest'uomo fragile e dalla voce esitante, questo giovane avvocato fallito, a riunire milioni di uomini? Com'è avvenuto che le sue mille sconfitte si siano mutate in trionfo?
La vita di questo "santo laico" mostra che per non essere più umiliati bisogna prima smettere di umiliare, cambiare il proprio rapporto con l'altro. E Gandhi lo fece, dando l'esempio piuttosto che lezioni, insegnando il coraggio di cambiare se stessi prima di pretendere di trasformare l'altro.
Oggi è quanto mai attuale, perché mai come ora la violenza nel mondo è tanto minacciosa e multiforme. La sua prodigiosa contemporaneità emerge da molti fattori, tra cui l'idea di economia etica, la condanna della violenza, l'appello all'opinione pubblica, il ripudio della nozione di "potere".
Furono i voti di sincerità, castità, nonviolenza e povertà a far sì che la sua lotta non deragliasse mai? Gandhi scrisse che in lui la fede «divenne una forza vivente».
Tutti conoscono la sua storia, ma lui rimane comunque un emgma.
Sono rari i grandi uomini che non schiacciano, in un modo o nell' altro, quelli che hanno la sfortuna di essere i loro eredi. Più di ogni altro, per il livello di esigenza che imponeva a se stesso e che pretendeva dagli altri, Gandhi non poteva offrire ai suoi cari che una vita di sofferenze.
Innanzitutto ai suoi figli, che considerò sempre meno importanti di nipoti ed estranei, volentieri chiamati "figli", con gran danno dei quattro che gli aveva dato Kasturba, lei stessa vittima delle sue battaglie, che condivise senza comprenderle sempre.
Il primo martire di questa eredità funesta fu il primogenito, Harilal, il figlio meno desiderato; nato quando Gandhi aveva solo diciott'anni, per lui fu sempre soltanto una specie di fratellino ingombrante che non seppe allevare, né sostenere, consigliare o semplicemente tenere in considerazione. Per tutta la vita, questo figlio si sforzò, a modo suo, pateticamente, di farsi ascoltare dal padre, e la sua morte fu l'espressione massima delle sue tribolazioni: il 17 giugno 1948, solo pochi mesi dopo l'assassinio del padre, una coppia di passanti lo trovò ubriaco fradicio su un marciapiede di Bombay e lo portò in ospedale. Leggenda vuole che al medico che gli chiedeva il nome di suo padre Harilal abbia mormorato «Gandhi», ma che il dottore, spazientito, abbia risposto: «Ma no! Gandhi è il padre di tutti gli indiani! Come si chiama tuo padre?». Harilal
trovò comunque la forza di farsi riconoscere; chiamarono due delle sue figlie, Rami Parikh e Manu Mashruwala, e lui morì il giorno dopo. Aveva sessant'anni.
Manilal, il secondogenito, rimasto da solo in Sudafrica a ventidue anni nel 1914, sposato con una ragazza scelta dal padre, diresse Phoenix fino alla sua morte, nel 1956, all'età di sessantaquattro anni; sua figlia, Gita, e il marito sono membri del Parlamento sudafricano e si occupano ancora di Phoenix; un altro dei figli di Manilal, Arun, vive negli Stati Uniti, a Memphis, dove gestisce un Gandhi Institute.
Ramdas, il terzo figlio, è stato a lungo padrone di una succursale dei frantoi Tata a Nagpur, la grande città vicino Sevagram dove si era trasferito lasciando il "villaggio costruttivo" , quando suo padre gli aveva proibito di mandare i figli a scuola; Ramdas muore a Bombay nel 1969 all'età di settantun anni.
Il figlio minore, Devdas, giornalista poi caporedattore dello «Hindustan Times», a Delhi, il più vicino al Mahatma, è morto d'infarto a Bombay nel 1957 all' età di cinquantasette anni; uno dei suoi figli, Ramchandra, è professore, e un altro, Rajmohan, è giornalista, uomo politico, e autore di un'importante biografia" di suo nonno.
Gli assassini, Nathuram Godse e Narayan Apte, furono impiccati il 15 novembre 1949; per evitare che fosse eretto un monumento sul luogo della loro cremazione, la polizia, riprendendo un' antica tradizione moghul, ne cancellò ogni traccia e vi seminò dell'erba, anche se si dice che qualcuno sia riuscito a spargere segretamente una parte delle loro ceneri in un fiume vicino". L'ideologo che li aveva ispirati, Savarkar, a cui nessun fatto poté essere imputato, fu prosciolto.
I quattro protagonisti della battaglia contro il Raj erano tutti avvocati: Gandhi, Nehru, Jinnah e Patel. Questi ultimi due, malati da molti anni, riuscirono a restare in vita abbastanza a lungo da vedere la fine della dominazione inglese.
Jinnah morì l'11 settembre 1948, per la congiunzione di una tubercolosi e un cancro ai polmoni, nel Pakistan che governava da tredici mesi.
Patel, molto malato, lasciò il governo nel giugno del 1948 per succedere a Lord Mountbatten come governatore generale dell'India fino all' entrata in vigore della Costituzione, il 26 gennaio 1950; troppo debole per diventare, come previsto, il primo presidente dell'Unione Indiana, lasciò quest'onore a un altro compagno di vecchia data di Gandhi, Rajendra Prasad, anch'egli avvocato, conosciuto ai tempi della sua prima battaglia in India, a Champaran. Patel morì il 15 dicembre 1950.
Dei quattro padri fondatori, l'unico sopravvissuto era Jawaharlal Nehru, che restò primo ministro per quasi vent'anni, elezione dopo elezione; salvò l'India dalla carestia nel 1956 con la "rivoluzione verde". Fece eleggere sua figlia Indira Gandhi come presidente del Partito del Congresso nel 1959 e morì ancora al potere per una crisi cardiaca, il 27 maggio 1964.
Almeno altri tre personaggi meritano che si dica qualche parola sul loro destino.
Il primo intoccabile ad aver ottenuto un dottorato, l'ex studente di Cambridge, Ambedkar, partecipò ai primi governi di Nehru in qualità di ministro della Giustizia e presidente del comitato incaricato della redazione della Costituzione; convinto che l'induismo non si sarebbe mai potuto liberare dell'intoccabilità, si convertì al buddhismo poche settimane prima di morire, il 14 ottobre 1956.
La dottoressa Sushila Nayar, compagna di sempre di Gandhi, divenne ministro della Sanità dei primi governi dell'Unione, restò in politica sotto Indira Gandhi, poi si ritirò nel 1969 per creare un Istituto Mahatma Gandhi per le Scienze Mediche. È morta alla fine del 2000.
Infine, Madeleine Slade, detta Mirabehn, visse fino al 1959 nell'
dsram
da lei fondato sull'Himalaya; poi lasciò l'India per stabilirsi a Vienna, come per tornare al suo primo amore: la musica, che era stata all' origine, tramite Romain Rolland, del suo incontro con Gandhi. La conclusione della sua epopea fu la conferenza che tenne nell'ottobre del 1969 , su invito di Lord Mountbatten, all' Albert Hall di Londra, in occasione del centenario della nascita di Mohandas, davanti a 7.000 persone tra cui il principe di Galles e il primo ministro. In seguito tornò a vivere nella capitale austriaca dove morì a novant' anni, il20 luglio 1982.

L'India, senza Gandhi

Il Mahatma avrebbe avuto buoni motivi per essere fiero dell'India di oggi: è rimasta un paese unito, con un musulmano come presidente [dal 2007 il paese è guidato, per la prima volta, da una donna; N.d.R.] e un sikh primo ministro; in essa convivono 900 milioni di hindu e 140 milioni di musulmani; l'età media di sopravvivenza aumenta incessantemente, il livello scientifico e intellettuale è ineguagliabile, la sua influenza nel mondo supera ampiamente quella dell'ex potenza occupante. Le idee di Gandhi continuano a vivere attraverso la Gandhi Peace Foundation; numerose associazioni (come il Sevak Sangh, i 'servitori del villaggio') proseguono l'opera di formazione che lui aveva lanciato nei centri rurali; una Commissione per la Promozione della kbad: e delle Industrie contadine, che lui desiderava, gestisce insieme allo Stato la produzione artigianale dei villaggi, in particolare della khiidl. Tre progetti che lui aveva in mente e che Vinoba Bhave portò avanti continuarono dopo di lui: la Sarvodaya Samaj ('Società del Servizio di Tutti'), creata nel 1948, il Bhudan (bhadiin, 'dono della terra'), creato nel 1951, e il Gramdan (griimdiin, 'dono del villaggio'). Essi permisero di trasformare un quarto dei villaggi del Bihar in comunità in cui un sesto della fortuna dei proprietari era destinato a beneficio dei meno abbienti.
Più in generale, Gandhi è divenuto un elemento essenziale dell'identità indiana; dal 1995, il governo di Delhi assegna un premio Mahatma Gandhi che ricompensa un' azione a favore della pace o della nonviolenza conforme ai suoi principi.
Il comitato Nobel si pentì tanto di non avergli assegnato il premio che, quando il Dalai Lama lo ricevette nel 1989, il presidente del comitato si sentì tenuto a dichiarare che era anche un «omaggio alla memoria del Mahatma Gandhi».
Gandhi sarebbe stato inoltre felice di notare l'influenza da lui esercitata su importanti leader del movimento di decolonizzazione e di lotta contro la discriminazione. Negli Stati Uniti, Martin Luther King lo citava spesso: «Il Cristo ha fornito lo spirito e la motivazione, e Gandhi ha fornito il metodo». Come anche Nelson Mandela: «Anche se il tempo ci separa, resta tra noi un legame, quello della comune esperienza della prigione, la nostra sfida lanciata a leggi ingiuste e il fatto che la violenza minacci le nostre aspirazioni alla pace e alla riconciliazione».
Altri ancora presero il testimone della sua opera, come quello studente cinese sconosciuto che, nel maggio 1989, affrontò, in piazza Tien An Men, a Pechino, una colonna di carri armati; o come Ibrahim Rugova nel Kosovo, e ancora oggi, Aung San Suu Kyi, in Birmania, che la giunta militare al potere a Rangoon non riesce a mettere a tacere.
La sua influenza è stata ulteriormente marcata dalla sua nomina, nel 1999, a "personaggio del secolo numero due", dopo Albert Einstein, e dall' approvazione all'unanimità, da parte dell' Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 15 giugno 2007, di una risoluzione che decretava il giorno della sua nascita "giornata internazionale della nonviolenza".
Ma tutto questo non gli sarebbe di sicuro bastato. Sarebbe stato probabilmente addolorato nel vedere che niente del suo progetto di società è stato davvero tenuto in considerazione dalla classe politica indiana; che non è stato fatto niente di serio per frenare l'esodo rurale, per alfabetizzare le campagne, per attirarvi le industrie, per migliorare le condizioni di vita e allontanare i cittadini dai prodotti alla moda provenienti dall'estero. Essendo morto senza eredi il suo discepolo Bhave, la khiidi e l'arcolaio sono ormai poco più che elementi di folklore, in una società animata da una sete di modernità occidentale. In questo universo, il Mahatma non è altro che un simbolo troppo esigente di cui non bisogna parlare troppo, quello di un progetto di società che più nessuno vuole, se mai qualcuno l'ha davvero voluto. Triste ironia, Gandhi oggi è più conosciuto dalle nuove generazioni indiane per due film bolly-woodiani del 2006, che per la sua opera e la sua azione reali:
Lage Raho Munnabhai, che lo fa rivivere nel mondo contemporaneo e che ha fatto la fortuna di un neologismo oggi più popolare dello stesso Gandhi, gandhigiri - traducibile con 'gandhiano' -, e Gandbi, My Father, che ben racconta la vita di Harilal e i suoi problemi con il genitore.
Ma sarebbe ancora più afflitto nel sapere che nessuno dei problemi indiani che tentò di affrontare è stato risolto. Senza dubbio condividerebbe in parte il sentimento di Joseph Brodskij che osservava nel 1984: «Niente è cambiato in India dopo il ritiro degli inglesi, se non il colore della pelle dei suoi funzionari». Di sicuro, col triste sorriso degli ultimi anni della sua vita, stigmatizzerebbe la persistenza della povertà, l'ineguaglianza economica, la stagnazione della produttività agricola, lo sfruttamento del suolo, l'infanticidio delle figlie femmine, il matrimonio dei bambini, la reclusione delle vedove, la corruzione dell' amministrazione e del Partito del Congresso. Resterebbe indignato dall'aumento del consumo di alcolici, dalla corruzione dei costumi, dal degrado dell' ambiente, dall'immensità delle bidonville, dall'emarginazione dei dalit che si vedono rifiutare, ancora oggi, in quasi la metà dei villaggi, l'accesso a una fonte, a un tempio, a un ospedale o a un ristorante, e i cui figli, in oltre due terzi dei villaggi, non sono autorizzati a mangiare insieme agli altri nelle mense scolastiche.
Resterebbe sconvolto e costernato nel constatare che la violenza regna più che mai e dappertutto, specialmente nel Gujarat, sua terra natale, dove il governo regionale, retto dalla frangia più dura del Bharatiya J anata Party, ha lasciato infuriare, nel 2002, le peggiori insurrezioni dai tempi dell'indipendenza, nel corso delle quali più di 2.000 musulmani furono massacrati dagli hindu. Constaterebbe con desolazione che, nel mondo, la violenza prolifera, i massacri interetnici si moltiplicano, la povertà si aggrava; si rivolterebbe contro l'aumento del numero degli umiliati, degli sfruttati, del lavoro minorile, delle vittime dello sfruttamento sessuale. Si rattristerebbe nel vedere che pochi, nel mondo, credono ancora nella nonviolenza, e che lo stesso Nelson Mandela, malgrado la sua ammirazione per lui, non la utilizzò molto nella sua lotta contro l'apartheid. Prenderebbe atto del fatto che dopo di lui nessuno si è arrischiato a intraprendere una tale battaglia, se non dei terroristi pronti a fare uno sciopero della fame dopo aver lanciato le loro bombe. Sempre invano: Margaret Thatcher, ad esempio, contrariamente a Churchill, lasciò morire del loro digiuno in prigione dei militanti irlandesi condannati per atti di sangue. Gandhi osserverebbe che negli Stati Uniti nessuno osa riprendere la lotta di Martin Luther King e realizzerebbe che la maggior parte di quelli che subiscono ingiustizie e umiliazioni pensano ormai che l'accettazione della sofferenza non ha mai fatto piegare un dittatore. Resterebbe sconcertato nel sapere che il terrorismo guadagna terreno ovunque, in tutti gli Stati, su ogni continente, e che, nel suo stesso paese, Osama Bin Laden contende a Bhagat Singh il titolo di eroe degli umiliati.


Idee di un' estrema modernità

Malgrado o a causa di tutto ciò, la sua sfida al mondo rimane di una prodigiosa attualità. Prima di tutto perché la questione che lui pone resta il principale interrogativo di tutti i leader rivoluzionari: bisogna respingere tutto ciò che viene dal colonizzatore, compresa l'industrializzazione, o solo appropriarsene?
In secondo luogo perché ha visto prima di tutti gli altri l'importanza, per l'India come per il resto del mondo, del miglioramento della situazione delle campagne, del rifiuto delle bidonville, dello scambio equo tra produttori e distributori, del rispetto dell' ambiente. Inventando i rudimenti di quella che sarebbe divenuta l'economia etica, ha aperto una strada straordinaria, che riprenderanno dopo di lui tutti coloro che comprendono che la concentrazione dei mezzi di potere equivale solamente a un suicidio.
E più ancora perché ha compreso le conseguenze profonde dell'uso della violenza. Certo, non ha potuto impedire la divisione dell'India, ma almeno è riuscito, lì dove è intervenuto, a calmare quelli che erano pronti ad ammazzarsi tra loro, ma non a lasciarlo morire.
È vero, non ha potuto arrestare la barbarie di chi, come Hitler, non dava peso né alla ragione né alla propria reputazione, ma ha posto dei principi che oggi acquistano una forza tutta nuova. Molto prima di chiunque altro, Gandhi ha visto che ottenere qualcosa con la violenza significa condannarsi a fame nuovamente uso per conservarlo e svilupparlo. Ha compreso, molto prima dei leader indipendentisti, che l'indipendenza non è un fine valido, se lo sfruttamento continua.
Infine perché ha realizzato, molto prima dei leader mediatici creati dalla nascita della televisione, che era essenziale rendere partecipe l'opinione pubblica. Ha potuto così trascinare decine di migliaia di persone con lui in Sudafrica, decine di milioni in India, facendo addirittura appello all' opinione pubblica inglese contro i politici di Londra.
Oggi, con i nuovi mezzi di comunicazione, un dittatore non potrebbe nascondere a lungo al suo popolo le sue nefandezze e tutti i leader, anche i dittatori, sono bene o male sottoposti al controllo dell' opinione pubblica, nazionale o per lo meno internazionale. Dunque si potrebbe benissimo immaginare che un uomo o una donna, o anche migliaia di persone, potrebbero trascinare con sé miliardi di esseri umani in un satyiigraha planetario con slogan come «non paghiamo tasse per finanziare le armi!», «rifiutiamo di chiedere il permesso di soggiorno in un paese straniero!», «boicottiamo i prodotti che danneggiano l'ambiente!» oppure «smettetela di combattere!». Niente vieta di immaginare che un essere umano potrà un giorno più o meno lontano esercitare una sufficiente influenza e ascendente per pesare sui governi semplicemente mettendo a rischio la propria vita, o che potrà addirittura, magari, far tacere le armi intraprendendo uno sciopero della fame a oltranza in mezzo ai belligeranti.


Cambiare se stessi

L'impatto di qualcuno che dica così la verità sarebbe tanto più grande se costui avesse il coraggio di trasformare se stesso prima di pretendere di trasformare l'altro. E Gandhi sapeva, per esperienza, che ogni uomo, lui compreso, può diventare un bruto, un mostro, un assassino. Che ciascuno ha dentro di sé allo stesso tempo una bestialità smisurata e una formidabile capacità di amore. Dunque si riconosceva il diritto di predicare solo ciò che lui stesso riusciva a mettere in pratica. Mentre tutti gli altri leader rivoluzionari si accontentavano di elaborare dei piani per cambiare il mondo dalla loro scrivania, lui non voleva imporre un "uomo nuovo", ma voleva diventarlo lui stesso, e convincere poi con il suo sacrificio. Preferiva dare l'esempio piuttosto che lezioni.

Ecco, senza dubbio, l'aspetto più affascinante e importante di Gandhi: per cambiare il mondo, bisogna cambiare se stessi e avere come più alta ambizione, modesta e orgogliosa al tempo stesso, quella di dominare la propria violenza, i propri desideri, la propria sessualità, i propri sentimenti, per liberarsi di qualsiasi traccia di bestialità; poi, con l'aiuto delle pratiche ascetiche e di meditazione, ottenere un potere su di sé rinunciando al potere sulle cose; infine, e solamente infine, mettere questo potere al servizio di un ideale di un' estrema esigenza' facendone dono agli altri.

Oggi, mentre pulizie etniche e guerre di religione, mille e una divisioni, e barbarie di una portata spaventosa incombono ovunque, questa strategia della nonviolenza resta l'unica ad avere senso. Essa presuppone che qualcuno abbia il coraggio di venire a dire la verità, di viverla, di incarnarla. Ma, oggi, non si accetta più che qualcuno la gridi, tranne qualche volta i comici: come se solo la risata potesse renderla sopportabile.

La risata di Gandhi è senza dubbio ciò che chi ha incrociato la sua strada ricorda di più. Una risata di sfida, di tristezza e di compassione insieme; la risata di chi sa che il segreto della civiltà non è tanto amare il prossimo come se stessi quanto dirgli la verità, dopo aver avuto il coraggio di dirla a se stessi.

INDICE

Il Raj britannico p. 7 - Modh Vanik (1869-1888) p. 18 - Nascita a Porbandar, p. 19 - Matrimonio a Rajkot, p. 24 - La morte del padre, p. 33 - Prima ribellione: partenza per Londra, p. 34 Satavadhani (1888-1893) - p. 38 La scoperta della propria identità, p. 43 - «Vivere leggeri per arrivare a Dio», p. 47 - L'avvocato mancato, p. 51 - In mancanza di meglio, p. 53

Satyàgraba (1893-1914) 5;5 I coolie, p. 55 - L'umiliazione di Pietermaritzburg, p. 60 - Prime lotte, p. 62 - «Girmitiya Gandhi», p. 64 - «li primo chiodo sulla vostra bara», p. 66 - "Avvocato coolie", p. 70 - Nuove umiliazioni, p. 72 - Le ventisette domande, p. 74 - Scoprire Tolstoj, p. 75 - Il "quaderno verde", p. 76 - L'ombrello dell'inglese, p. 80 - L'avvocato prospera, p. 81 - Il giubileo della fame, p. 82 - Barellieri per gli inglesi, p. 84 - Abiti indiani, p. 87 - Kallenbach prende il posto di Rajchandra, p. 88 - Secondo ritorno in India: il primo Congresso, p. 90 - L'«lndian Opinion», p. 92 - Un'India immaginaria in Sudafrica, p. 95 - Prime riforme in India, p. 98 - Dai massacri all'astinenza, p. 101 - Il giuramento dell'11 settembre e il fallimento del primo satyàgraha, p. 104 - Prima ambasciata a Londra, p. 106 - Non registrarsi, p. 110 - Prima volta in prigione, p. 112 - Bruciare i documenti: il secondo satyiigraha, p. 114 - La prigione, ancora e ancora, p. 115 - Dolcezza contro brutalità, p. 118 - Contro 1"'Englishstan", p. 121 - La fattoria Tolstoj, p. 124 - Il terzo satyiigraba, p. 128 - La marcia delle donne, p. 130 - Il massacro di Durban, p. 131 - Vittoria con lo sciopero della fame, p. 134 - Fine dell'avventura sudafricana, p. 136 Hind swaraj (1914-1930) p. 141 - Dimenticare Kallenbach, p. 141- Uno sparviero affamato, p. 145- In prima linea, p. 148 - Primo lHram, p. 150 - Lo scandalo di Benares, p. 152 - Prima battaglia: l'indaco del Champaran, p. 155 - Liifram si trasferisce: Sabarmati, p. 159 - I due primi satydgraba in India: Kheda e Ahmedabad, p. 163 - Sergente addetto al reclutamento, p. 167 - Il primo soadesi, p. 170 - Il massacro di Amritsar, p. 172 - L"errore himalyano", p. 173 - Il silenzio, l'arcolaio, la dboti, p. Riunire i musulmani, p. 176 - Chiusura del caso Amritsar, p. 178- Un grande amore, p. 179 - La casta, prova «essenziale per una buona evoluzione dell'anima», p. 181 - Un satyàgraba per l'islam, p. 184 - "La legge della spada", p. 186 - L'imprudente promessa: l'indipendenza in un anno, p. 188 - L'anno del tutto o niente, p. 192 - Primo fallimento, p. 193 - Il massacro di Chauri Chaura, p. 194 - Sei anni di prigione, p. 196 - Leggere, scrivere, p. 199 - Liberazione nell'insuccesso, p. 201 - Il satydgraha di Vikom, p. 203 - In disparte, davanti alla violenza, p. 206 - Mirabehn e altre donne, p. 208 - Un anno nell'iifram, p. 212 - Nuovi viaggi, p. 218 - Prima rottura con Nehru, p. 220 - I "lavoratori silenziosi", p. 223 - Il «vangelo dei rivoluzionari», p. 226 - Scegliere una lotta, p. 227 - «Paralizzare il governo», p. 229 - Le undici richieste, p. 233 - Ultimi preparativi, p. 235 - La marcia del sale, p. 239 - Paralizzare il Raj, p. 243 - «Yerawada Palace», p. 248 Abimsà (1931-1939) - p. 251

Il Patto di Delhi, p. 252 - Difendere un terrorista ... , p. 255 - Una star a Londra, p. 257 - La capra da Mussolini, p. 259 - Ritorno a Yerawada, p. 262 - Lahin;zsii: un'etica indispensabile all'indipendenza, p. 264 - Difendere gli intoccabili loro malgrado, p. 265 - Rottura con il Congresso, p. 268 - Un «àiram nomade», p. 272 - La folle tournée, p. 274 - Primi attentati, p. 276 - L'India del polo e della caccia al cinghiale, p. 277 - Il «programma costruttivo», p. 279 - Sevagram: il villaggio sprimentale, p. 281 - «Mio figlio? Un miserabile», p. 283 - Il Mahatma fa i governi, p. 286 - Il passo falso con Jinnah, p. 289 - Il programma di Wardha, p. 291 - Ancora le donne, p. 292 - «Sushila resterà?», p. 294 - Due eiaculazioni involontarie ... , p. 296 - La nonviolenza contro Hitler, p. 299 - «Un mio amico ebreo» ... , p. 301 - Un nuovo satyiigraha?, p. 306 - Ritorno a Rajkot, «laboratorio prezioso», p. 308 - Lettera di un «amico sincero» a Hitler, p. 311 «Qui! India!» (1939-1945) - p. 314

L'indipendenza o la neutralità, p. 315 - La rottura con Jinnah, p. 317 - L'errore del Congresso, p. 320 - L'ostinazione pacifista, p. 323 - L"offerta d'agosto", p. 325 - Il "satyiigraha rappresentativo", p. 328 - «Lei non è il mostro ... », p. 330 - «Sepolto a Sevagram», p. 331 - Bose diventa Netaji, p. 333 - Tra la Germania e il Giappone, p. 335 - L'Inghilterra vacilla, p. 338 - La missione Cripps, p. 339 - «Quit India'», p. 345 - Non voglio che il Giappone vinca la guerra, p. 350 - Il palazzo-prigione, p. 354 - Netaji in Giappone, p. 355 - Traditore della patria, p. 357 - Il "governo provvisorio dell'India libera", p. 359 - «Una coppia fuori del comune», p. 361 - Ritorno a Imphal, - p. 363 - «Ma quel tizio è morto o no?», p. 364 - Faccia a faccia con l'assassino, p. 366 - La doppia integrità, p. 369 - Disfatta di Netaji, p. 370 - La pace, e poi?, p. 372 «He Rdm!» (1945-1948) 375

Le due utopie, p. 375 - «Come incanalare l'odio?», p. 379 - Scegliere Nehru, p. 381 - «L'odio è nell'aria», p. 383 - «Le fauci della morte», p. 385 - La grande carneficina di Calcutta, p. 386 - Ben oltre l'India ... , p. 389 - «I più bei momenti della mia vita»: il Noakhali, p. 391 - «La quantità di polvere ... », p. 392 - Violenza e sessualità, p. 395 - Ishwar e Allah sono i tuoi due nomi, p. 398 - «Il cammino della verità è lastricato di scheletri», p. 400 - L'offerta del 25 febbraio, p. 402 - Nel Bihar per proteggere i musulmani, p. 403 - «Sul mio cadavere», p. 405 - «Vivisezione dell'India», p. 406 - L'accordo del 2 giugno, p. 409 - Fine della paramountcy, p. 411 - Dimenticare Gandhi, p. 412 - Il miracolo di Calcutta, p. 413 - «La vita e la libertà», p. 414 - «Se Delhi affonda, siamo perduti», p. 415 - Il digiuno di Calcutta, p. 417 - Birla House, p. 420 - La scelta del Kashmir, p. 422 - «Il cuore pesante», p. 424 - La «mostruosa vivisezione», p. 426 - «L'unico sano di mente», p. 427 - «Lasciate morire Gandhi! Dateci un tetto!», p. 430 - Il Patto di Pace, p. 432 - Primo attentato, p. 433 - La promessa di Merhauli, p. 435 - L'assassinio, p. 438
Epilogo
L'India, senza Gandhi, p. 447 - Idee di un'estrema modernità, p. 450 - Cambiare se stessi, p. 452

Ringraziamenti 453

Bibliografia 455

Indice analitico 467

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