ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO

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ARTICOLI DI TUTTO IL NEGOZIO (249)

DIO ESISTE - Le riflessioni su Dio di ancuni dei più grandi filosofi e intellettuali della storia


RETROCOPERTINA

Che cosa hanno detto i pensatori più autorevoli di tutti i tempi sul divino? Nei venticinque secoli trascorsi molti pensatori di diversa estrazione hanno espresso le loro idee su Dio. In questo libro l'americano Andrew Pessin ne prende brevemente in esame novanta, a cominciare dai filosofi greci Platone e Aristotele per finire con i contemporanei Daniel Dennett e Ricard Dawkins. Molti filosofi ammettono la loro fede in Dio, soprattutto i più antichi e i medioevali, altri la negano, altri ancora si collocano in posizione intermedia, ossia credono nella divinità, ma non nella sua perfezione e infallibilità.
Di qui alcune delle questioni fondamentali alle quali non è mai stata mai trovata risposta. Come si spiega il male nel mondo? Come si concilia l'onniscienza di Dio con il libero arbitrio dell'uomo?
Secondo Cicerone, se Dio conosce gli eventi futuri in anticipo, allora non è possibile sostenere che l'uomo sia libero: non avrebbe meriti quando compie il bene né colpe quando commette cattive azioni.
Per l'illuminista Voltaire La questione è: se Dio può fare miracoli e non interviene in difesa degli innocenti, possiamo ritenerlo onnipotente? Secondo Kierkegaard invece, Dio non è conoscibile per mezzo della ragione. Il rapporto con la divinità è una questione di fede e di passione, e prescinde dalla logica.
E così via, dalla dichiarazione di Nietsche secondo cui "Dio è morto", all'affermazione di Paul Davies, sostenitore della tesi secondo cui la struttura dell'universo richiede un disegno intelligente, Dio esiste? Propone una serie di autorevoli teorie e riflessioni su un dibattito antico come il mondo stesso.

PREFAZIONE

Per tutto il corso della storia, e ancora ai giorni nostri, parecchi individui sono vissuti, e molti hanno perso la vita, in nome della loro fede in Dio.
Altrettanto numerosi sono stati coloro che hanno rifiutato in modo reciso ogni credenza in Dio e in anni recenti lo hanno fatto sostenuti da un pubblico sempre più vasto.
Sfortunatamente, e anche tragicamente, la maggior parte della gente non aveva, e non ha, un'idea ben chiara di ciò per cui vive o muore o che rifiuta. Questo perché avere un'idea chiara di quel che significa credere in Dio implica un'idea chiara di ciò che si ipotizza sia «Dio»; e avere un'idea chiara di ciò che si ipotizza sia «Dio» a sua volta implica una certa riflessione, una riflessione filosofica.
Purtroppo, la «ragione» e la «logica» non sono state sempre presenti in queste interminabili discussioni; per fortuna, tuttavia, di tanto in tanto sono riuscite a riemergere, e quando è accaduto hanno dato luogo a importanti e profonde intuizioni. Ne consegue, e non c'è da stupirsi, che il teismo - la dottrina che afferma l'esistenza di Dio - è molto più complesso di quanto si possa pensare. Ma lo è altrettanto l'ateismo, ovvero il rifiuto di tale dottrina.
Questo libro intende presentare al lettore tali intuizioni e aiutarlo a farsi un'idea più chiara di ciò che si ipotizza sia Dio. Lo guiderà attraverso ciò che i più importanti pensatori hanno detto di Dio: della sua natura, dei suoi attributi e del suo carattere; delle sue presunte attività (compresa quella di creare il mondo e di continuare a operare in esso); del suo progetto per la creazione (ammesso che ve ne sia uno), e così via.
Lo guiderà altresì attraverso ciò che alcuni pensatori hanno affermato in merito al tipo di argomento che può essere addotto per dimostrare l'esistenza o la non esistenza di Dio, o se sia addirittura un argomento che può essere dimostrato o confutato. Ne consegue che riflettere su ciò che si assume sia Dio e se una simile entità possa esistere porterà altre- sì il lettore a riflettere su molti altri aspetti interessanti e fondamentali: se l'uomo possiede il libero arbitrio, la natura della moralità, il rapporto tra religione e scienza, se il tempo è reale, e così via. Pertanto, qualora il lettore stia cercando di chiarirsi le idee su Dio o sia semplicemente interessato al modo in cui il concetto di Dio ha attinenza con numerose altre idee essenziali, allora questo libro fa al caso suo.
Né potrebbe esservi periodo migliore per intraprendere tale progetto. Perché nel ventunesimo secolo noi ci troviamo a un importante crocevia. La fede in Dio - o le diverse forme di tale fede - è il perno attorno al quale ruotano grandi conflitti mondiali, e in Occidente è oggetto di un dibattito pubblico sempre più acceso. Sarà possibile, alla fine, sviluppare una concezione di Dio soddisfacente e coerente?
Esiste un concetto di Dio che riconosca il valore della ragione e della scienza plaudite dagli atei pur rimanendo abbastanza vicino al concetto tradizionale di Dio da essere visto come una sua estensione? E, fattore ancora più rilevante, una qualsiasi idea di Dio potrebbe essere considerata accettabile da comunità (delle principali fedi occidentali) internazionalmente, culturalmente e politicamente diverse i cui membri si considerano credenti? Famosi pensatori hanno detto un numero sorprendente e variegato di cose su Dio negli ultimi venticinque secoli. Da qualche parte lì in mezzo ci sono forse le risorse per costruire una concezione di Dio che possa soddisfare tutte le parti, atei e teisti insieme, e, tra questi, ebrei, cristiani e musulmani?
Questi sono interrogativi filosofici profondi e importanti e vi è un unico modo per trovarvi una risposta: analizziamo che cosa dissero di Dio alcuni famosi pensatori.

INTRODUZIONE

Inizieremo nel mezzo, nel quinto secolo a.c., in un periodo che si inserisce tra gli antichi regni ebraici di Davide e Salomone (nel decimo secolo a.Ci) e la nascita di Gesù, che avverrà dieci secoli più tardi, e in una località che si situa leggermente a ovest del Mediterraneo rispetto agli altri due territori. Spesso è stato enfatizzato il rapporto tra «Gerusalemme» e «Atene», essendo il primo il luogo dove nasce simbolicamente la religione occidentale, e il secondo quello in cui di fatto incomincia la filosofia occidentale, e dove noi inizieremo, con i grandi e antichi filosofi greci: Platone (427-347 a.C,) e il suo più famoso allievo, Aristotele (384-322 a.C,). Il libro tratta essenzialmente di tale rapporto. Dal momento che le religioni occidentali - il giudaismo, il cristianesimo e l'Islam - presentarono al mondo l'idea del monoteismo (o teismo per brevità) - ovvero che esiste un unico Dio -, la filosofia occidentale ha impiegato i successivi tre millenni nel tentativo di stabilire che cosa questo significhi esattamente e se e come possa essere ragionevole credervi. Da una parte, il rapporto è stato spesso molto stretto, in quanto alcuni dei più grandi filosofi di tutti i tempi sono stati anche i più grandi interpreti e paladini delle loro rispettive confessioni. Dall' altra, tale rapporto è stato spesso imbarazzante, dal momento che i filosofi sono stati inclini a fornire interpretazioni delle loro rispettive scritture - la Bibbia ebraica (o Vecchio Testamento), il Nuovo Testamento cristiano e il Corano musulmano - estremamente divergenti da quelle sostenute dalle loro autorità religiose. Alcune opere filosofiche, nonché alcuni filosofi, sono stati persino bruciati sul rogo per questo.

Ma stiamo precorrendo i tempi.

Benché la filosofia occidentale abbia inizio con i greci, i greci non sposarono una «religione occidentale»: essi erano pagani politeisti, ovvero credevano nell' esistenza di molti dei. Ciononostante, gli scritti di Platone e di Aristotele suggeriscono chiaramente qualcosa che si avvicina al Dio monoteista, benché espresso con termini a loro propri e senza i vari particolari ideologici specifici delle tre grandi religioni monoteiste occidentali. Platone parla, per esempio, di un «artefice divino», mentre Aristotele di un «motore immobile» eterno e immutabile, un linguaggio che non troverete nella Bibbia ebraica, nel Nuovo Testamento o nel Corano. Questo naturalmente fa sorgere l'interrogativo se l'ente supremo descritto dai greci possa essere equiparato a quello che le religioni occidentali definiscono «Dio». Be', forse no. Tuttavia per tutto il primo millennio dopo Cristo le idee di Platone si ritrovano ovunque negli scritti dei teisti delle tre maggiori confessioni; e, come vedremo nella seconda parte, le idee di Aristotele alla fine saranno introiettate dai grandi pensatori medievali nelle loro concezioni di Dio, le quali diventeranno le concezioni dominanti delle loro rispettive religioni ben oltre l'era moderna. Quindi, sebbene nessuno dei due fosse un teista in quanto accettava una religione monoteista occidentale tradizionale, si può affermare che le loro idee abbiano fornito la vera essenza dell'idea teista tradizionale di Dio.

O almeno così sarebbe se vi fosse un'unica idea teista tradizionale di Dio, se vi fosse una singola concezione di Dio condivisa da tutti i pensatori religiosi, il che, come avremo modo di vedere, è da escludersi. Oltre a chiederei se l'ente supremo dei greci sia lo stesso del Dio occidentale, potremmo altresì chiederei se il Dio della Bibbia ebraica sia davvero lo stesso Dio del Nuovo Testamento e se entrambi siano paragonabili all'Allah del Corano. E se il Dio del protestantesimo sia lo stesso di quello del cattolicesimo. E se quello di una determinata religione, comunque sia denominato, sia lo stesso di un'altra fede. E così via. In sé e di per sé questi sono interrogativi filosofici ai quali il materiale di questo libro fornirà almeno gli elementi iniziali per trovare alcune risposte.

In questa prima parte vedremo come l'antico concetto di divinità costituirà la base da cui partiranno i successivi filosofi monoteisti per elaborare la loro concezione. E vedremo anche i primi accenni, nei dibattiti che dureranno secoli e arriveranno fino ai giorni nostri, sulla precisa relazione tra Dio e la moralità, e se il libero arbitrio possa conciliarsi con l'idea che Dio conosce in anticipo le nostre azioni. Quest'ultimo argomento è proposto dal grande statista e oratore romano Cicerone (106-43 a. Ci) al quale è attribuita non solo la diffusione della filosofia greca nella cultura romana, ma anche lo sviluppo, grazie alla sua bella ed elegante prosa latina, della scrittura raffinata, un'arte che forse oggi sta scomparendo.

INDICE

Ringraziamenti
Prefazione

PRIMA PARTE

Filosofia precristiana: da Platone a Cicerone
INTRODUZIONE

Platone (427-347 a.C.)
1. L'artefice divino
2. Fai la cosa giusta, qualunque cosa questo significhi

Aristotele (384-322 a.C.)
3. Il motore immobile

Cicerone (106-43 a.C.)
4. Il prezzo della libertà

SECONDA PARTE
Filosofia medievale: da Agostino a Sudrez,
INTRODUZIONE

Agostino (354-430)
5. Il «pronosticatore
6. In principio fu il principio
7. Sul vedere la luce

Boezio (ca. 480-524)
8. Il «voyeur»

Saadia (ca. 882-942)
9. Che lungo, strano viaggio non è stato
10. Due modi di essere uno

Avicenna (980-1037)
11. Dio esiste perché la tua esistenza non è necessaria
12. L'eterno processo di emanazione

Anselmo d'Aosta (1033-1109)
13. Nego l'esistenza di Dio, quindi egli esiste

al-Ghazali (1058-1111)
14. L'onnipotente incendiario

Averroè (1126-1198)
15. Conoscenza è potere
16. Loro non possono gestire la verità

Mosè Maimonide (1135-1204)
17. La chiamata è riservata a pochi
18. Parlando di Dio
19. Ed ecco, è ancora una cosa buona

Tommaso d'Aquino (1225-1274)
20. Che cosa potrebbe esservi di più semplice di un essere infinito incommensurabilmente potente, intelligente e buono?
21. Molte cose vere e distinte su Dio
22. Dio potrebbe creare una pietra tanto pesante da non riuscire a sollevarla?
23. Dio non è mai andato in vacanza dacché creò il mondo

Giovanni Duns Scoto (ca. 1270-1308)
24. Immutabilmente mutevole

Durand de Saint-Pourçain (ca. 1275-1332)
25. Quella magia che fai così bene

Guglielmo di Occam (ca. 1287-1347)
26. Peccare senza peccare
27. Non è finita finché è finita

Martin Lutero (1483-1546)
28. L'avvocato del diavolo

Luis de Molina (1535-1600)
29. Che cosa fa Gesù

Francisco Suarez (1548-1617)
30. Miracoli per omissione

TERZA PARTE 113
Filosofia moderna: da Galileo a Kant
INTRODUZIONE

Galileo Galilei (1564-1642)
31. Le apparenze possono ingannare

Thomas Hobbes (1588-1679)
32. I miracoli non sono miracoli

Cartesio (1596-1650)
33. La cosa che esiste, esiste
34. L'essere infinito non è solo una buona idea
35. Dio l'ha innescato
36. Tra il meramente inconcepibile e l'impossibile

Blaise Pascal (1623-1662)
37. Scommettere sulla vita

Baruch Spinoza (1632-1677)
38. Tu, io, quel cavallo, il cielo
39. La divinità mi ha indotto a farlo

Nicolas Malebranche (1638-1715)
40. Ho indotto la divinità a farlo
41. Onorare Dio, non i suoi ortaggi
42. Le leggi della natura l'hanno reso possibile

G.W. Leibniz (1646-1716)
43. Il migliore dei mondi possibili
44. Ho bisogno di un miracolo ogni giorno
45.L'armonizzatore

Pierre Bayle (1647-1706)
46. Una «verità» strana e letteralmente inverosimile

George Berkeley (1685-1753)
47. Ciò che vedete è ciò che ottenete
48. Non si tratta di un ingannatore

Voltaire (1694-1778)
49. Nel migliore dei casi, non è il peggiore dei mondi possibili

William Paley (1743-1805)
50. L'orologiaio cosmico

David Hume (1711-1776)
51. Se il mondo è la vostra premessa
52. Continua ad andare, andare, andare

Immanuel Kant (1724-1804)
53. Un SE piuttosto grande
54. Dovreste credere in Dio

QUARTA PARTE
Filosofia del diciannovesimo secolo: da Hegel a Nietzsche
INTRODUZIONE

G.W.F. Hegel (1770-1831)
55. L'autobiografo

Ludwig Feuerbach (1804-1872)
56. Essere umani è divino

Charles Darwin (1809-1882)
57. Il fabbricante di occhi cieco

Karl Marx (1818-1883)
58. L'oppio dei popoli

Soren Kierkegaard (1813-1855)
59. Nulla di impersonale

Friedrich Nietzsche (1844-1900)
60. Requiem per una divinità

QUINTA PARTE
Filosofia contemporanea: da James a Dawkins
INTRODUZIONE

William James (1842-1910)
61. Esprimere a parole ciò che è superfluo dire

Sigmund Freud (1856-1939)
62. Abbiamo papà a cena

Rudolf Otto (1869-1937)
63. Il tremendo mistero

Martin Buber (1878-1965)
64. Il ménage à trois

Bertrand Russell (1872-1970)
65. Che tu sia dannato se lo fai

Alfred North Whitehead (1861-1947)
66. Un'opera in fieri

Alfred Jules Ayer (1910-89)
67. Il divino iuppete oh-ah

Ludwig Wittgenstein (1889-1951)
68. Giustificare i motivi

Charles Hartshorne (1897-2000)
69. Ovunque e contemporaneamente

C.S. Lewis (1898-1963)
70. Colui che viola la legge

Martin Heidegger (1889-1976)
71 La prima Frutta sommamente buona, immutabilmente immobile

Norman Malcolm (1911-1990)
72. Se è possibile, allora è reale

KarI Rahner (1904-1984)
73. Cristiani anonimi

Harry Frankfurt (n. 1929)
74. Sognare il sogno impossibile: sollevare la pietra che non può essere sollevata

Norman Kretzmann (1928-1998)
75. L'immutabile onnisciente non è né l'uno né l'altro

Nelson Pike (n. 1930)
76. L'onnipotente ciabattino

Robert Mo Adams (no 1937)
77. Dio avrebbe potuto fare di meglio e, forse, anche di peggio

Eleonore Stump (no 1947)
78. Possa Dio concederei la serenità di accettare ciò che non può essere accettato vale a dire tutto

Alvin Plantinga (no 1932)
79. Ragionevole senza motivi

Hans Jonas (1903-1993)
80. Dio dopo Auschwitz

George Mavrodes (n. 1926)
81. Se Dio non esiste, allora tutto è lecito

William Alston (n. 1921)
82. Percepire Dio

John Hick (n. 1922)
83. Dietro a molte verità ve ne è una sola

Marilyn McCord Adarns (n. 1943)
84. Quando persino il migliore dei mondi possibili non è abbastanza buono per te

Paul Davies (n. 1946)
85. È probabile che il mondo non sia stato creato per caso

Richard Swinburne (n. 1934)
86. Onnisciente senza conoscere tutto

Michael Behe (n. 1952)
87. Il ritorno dell'artefice intelligente

Sarah Coakley (n. 1951)
88. Dio o Dea

Daniel Dennett (n. 1942)
89. E ti reggerai sulle tue gambe

Richard Dawkins (n. 1941)
90. Lo straordinario Boeing 747

Osservazioni conclusive
Fonti bibliografiche consultate dall'autore


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DIO ESISTE - Come l'ateo più famoso del mondo ha cambiato idea - IL LIBRO

Libro:
DIO ESISTE
Come l'ateo più famoso del mondo
ha cambiato idea

Dio esiste A.Flew 250antony flew 120

Encomio a "Dio esiste"

"Quanto conta oggi porsi il tema dell'esistenza di Dio? Nell'ambito culturale caratterizzato da un indifferente post-nichilismo e dal neomaterialismo riduzionista, rilanciato nelle recenti discipline delle neuro-scienze e delle scienze bio-fisiche, in cosa crede la persona che crede?
Non nascondiamoci. Affrontiamo la questione. Oggi chi crede in Dio e lo afferma è sempre più soggetto a polemiche attenzioni. Si è ritenuti dogmatici e bigotti, con tutta una serie di conseguenze sul piano etico e sociale (tradizionalista, integralista, conservatore); si è considerati immaturi ed infantili, o untuosamente pietosi e consolatori verso se stessi. Si è accusati di mancanza di "senso critico" a favore di una vuota e mielata apologetica. Oppure il credere in Dio è un'opposizione personale e, come tale, alla stessa stregua di tante altre opzioni garantite dal diritto pragmatico di convenienza del convivere sociale, il cui baricentro sembra essere la convinzione che l'individuo sia l'unica fonte creativa dei valori etici.
Forse è una storia vecchia: la fede come menzogna, superstizione e dominio delle masse. In sintesi il tema di Dio non è accessibile per la scienza, il pensiero e la ragione: per tali forme di ricerca, Dio è un ignoto, è noli me tangere.

Antony Flew è stato un esponente sui generis di rilievo della filosofia analitica inglese. È noto come la sua posizione speculativa sia stata rigorosamente atea. L'essenza della sua argomentazione si ispira e rielabora in modo originale - con il ricorso ad argomentazioni fisico- biologiche - la legge di Hume: il divieto di dedurre il dover essere (l'esistenza di Dio) dalla constatazione di fatto. Colpisce perciò la sua scandalosa apostasia. Nel libro There is a God – qui accuratamente tradotto - abiura il suo ateismo in forza di una scoperta talmente evidente e forse per questo tanto negata: avere fede nella ragione. Una ragione che nel suo legittimo e difficile interrogarsi sulla comprensione della complessità della natura ci racconta di Dio e della sua creazione poiché il creato ed il suo significato non possono reggersi sul vuoto, sul caso o tanto meno sul niente.
Flew esemplifica magnificamente tale situazione con l'allegoria di un telefono satellitare sbarcato in un'isola primitiva che, manovrato dai nativi dell'isola, emette delle voci umane. Chi emette tale voci? Gli scienziati dei nativi ne costruiscono una copia simile ed ecco sentire le stesse voci. Conclusione: le voci sono prodotte dallo stesso telefono. Ma il saggio della tribù pone la possibilità dell'esistenza reale di esseri umani che possano comunicare con l'apparecchio telefonico e forse varrebbe la pena di investigare l'esistenza di qualche misterio- sa rete di comunicazione. Il saggio viene ridicolizzato: basta rompere l'apparecchio e le voci scompaiono, quindi perché deve esistere un mondo di persone? Le voci provengono dall'apparecchio. Basta così! È il punto cruciale di rottura con la ricerca del senso del senso. Ma la ragione del saggio dell'allegoria di Flew si chiede: "Come può da metalli e da sostanze chimiche del telefono satellitare saltar fuori la voce umana?". Sintesi: Flew - come il saggio della tribù - è convinto che il senso può nascere solo dal senso. La vita, la consapevolezza, la mente e l'io possono solo provenire da una fonte che è viva, consapevole e pensante (infra, pp. 179 ss.).
La domanda posta all'inizio, «In cosa crede la persona che crede?», ha la sua risposta: «Nel divenire di Dio». Una risposta inspirata dalla fede e dalla ragione. L'apostasia dall'ateismo di Flew, lascia anche un grande interrogativo ai lividi ateisti contemporanei, molti dei quali allievi ideali dell'autore in terra anglosassone: «In cosa crede la persona che non crede"? Come diceva G. K. Chesterton, un altro grande uomo d'Inghilterra: «Forse, chi non crede in nulla crede semplicemente in tutto», ed è un credulone che si fa schiavo di tutti gli dei, creandoseli a proprio uso e consumo, nel tentativo di dissetare quel desiderio ultimo e irriducibile del proprio cuore. Del proprio cuore, certo, ma anche della propria ragione, come ben dimostra la sincera conversione di Antony Flew, raccontata in queste meravigliose pagine».
LUCA VOLONTÈ , presidente Gruppo Popolari-Cristiano Democratici Consiglio di Europa

«La clamorosa abiura dell'ateismo da parte di uno dei suoi esponenti più famosi, Antony Flew, ha suscitato scalpore all'interno della comunità scientifica poiché a far cambiare idea al filosofo inglese non è stata un'improvvisa illuminazione religiosa o una nuova argomentazione teoretica, ma le sempre più convincenti prove empiriche che sembrano dimostrare, per l'estrema complessità dell'universo e dei modi in cui si è formata la vita, il coinvolgimento di un'intelligenza superiore»
GUGLlELMO PIOMBINI , opinionista

«Il 9 dicembre 2004 una notizia viene ripresa e diffusa dall'agenzia Associated Press: all'età di 81 anni Antony Flew si è persuaso dell'esistenza di Dio. Per il Flew prima maniera, l'uomo autenticamente "ragionevole" non può affatto accettare l'esistenza di un Essere Supremo, men che meno l'idea di un Dio Creatore come lo è il Dio rivelato nella Bibbia. Autorevole e influente, lo "scandalo" che le posizioni del filosofo hanno generato è stato notevole. Tutto cominciò quando Flew cercò di confutare la plausibilità dei miracoli difesa in pubblico da C.S. Lewis (1898-1963). Oggi invece Flew si arrende e s'inchina, e afferma che la scienza - la scienza vera - spazza come pula al vento le superstizioni e le ubbie neodarwiniste».
MARCO RESPINTI , autore di Processo a Darwin(2007)

«Flew si conferma un interprete importante della cultura filosofica contemporanea. Dopo decenni di ateismo militante, vissuto nelle aule e nelle accademie più prestigiose, si arrende all'evidenza e ricomincia a credere e pensare partendo dal Creatore. Il libro Dio esiste è una straordinaria testimonianza della vitalità e della coerenza del teismo, oltre che della sua onestà intellettuale».
Giuseppe Rizza
, Università di Trento, docente di apologetica presso l'IFED di Padova


«In gioventù, l'ateo Antony Flew si affidò al principio socratico di "seguire il ragionamento fin dove ci porti". Dopo una vita passata ad esplorare l'indagine filosofica, questa mente forte e coraggiosa è giunta ora alla conclusione che il ragionamento conduce a Dio. I suoi colleghi della chiesa del fondamentalismo ateo rimarranno scandalizzati dalla sua storia ma i credenti ne saranno enormemente incoraggiati, mentre gli investigatori zelanti troveranno nel viaggio di Flew molte cose che illumineranno il loro stesso cammino verso la verità».
FRANCIS S. COLLINS , New York Times, autore de Il linguaggio di Dio.

«Una stupenda mente filosofica medita sulle più recenti scoperte scientifiche. La conclusione: c'è un Dio dietro la razionalità della natura».
MICHAEL BEHE, autore di La scastola nera di Darwin,

«Ci sarà un interesse considerevole sul resoconto chiaro e accessibile che Antony Flew presenta del "pellegrinaggio della ragione" che l'ha condotto dall'ateismo alla fede in Dio».
JOHN POLKINGHORNE
, autore di Credere in Dionell'età della scienza,


«Antony Flew è stato per gran parte della sua vita un notissimo difensore filosofico dell'ateismo. Ora ha scritto un libro molto chiaro e piacevole che ricostruisce il suo cammino verso il teismo, rivelando la sua totale apertura a nuovi ragionamenti razionali».
Richard Swinburne , autore di The Existence oj God,

“È un libro notevole sotto diversi aspetti. È sempre confortante trovare un importante pensatore che riconosca il proprio errore. Ma c'è di più. Questo libro spazia, ma senza fare digressioni. Nel capitolo Il nuovo ateismo, Dawkins e Dennett vengono messi al proprio posto da uno studioso che non possono liquidare come inferiore».
Huston Smith , autore di The Worlds Religions.

«È un resoconto affascinante e molto piacevole di come un insigne filosofo, ateo militante per gran parte della sua vita lavorativa, arrivò a credere in un disegno intelligente dell'universo e, quindi, nel deismo. Questo libro provocherà tanti dibattiti quanti ne determinarono i suoi precedenti scritti ateistici».
Professore JOHN HICK , membro dell'Istituto per la ricerca avanzata nelle arti e nelle scienze sociali, Università di Birmingham.

«Antony Flew non possiede soltanto le virtù filosofiche, ma anche quelle del filosofo. Pacato nell'argomentazione e costantemente ragionevole, la sua ricerca della verità, durata tutta la sua vita, era, implicitamente, la ricerca del Garante di tutta la verità. È giusto che lo abbia finalmente reso esplicito».
RALPH McINERNY , professoredi filosofia, Università di Notre Dame.


«Poche storie religiose hanno avuto un tale impatto. Questo sorprendente volume documenta le ragioni del cambiamento di Tony [ ... ] e rende questo piacevole libro una lettura assolutamente necessaria».
GARY HABERMAS, professore, ricercatore e presidente, dipartimento di filosofia e teologia, Università "Liberty".

«Dio esiste di Antony Flew è una testimonianza affascinante di come uno degli atei contemporanei più noti sia giunto alla convinzione che Dio esista davvero. Il racconto è una testimonianza eloquente dell'apertura mentale, dell'imparzialità e dell'integrità intellettuale di Flew. Arriverà come una scossa per coloro che una volta erano i sui colleghi atei».
NICHOLAS WOLTERSTORFF , professoreemerito di teologia filosofica, Università di Yale.

"Quando Antony Flew, con uno spirito votato alla libertà di pensiero, seguì l'evidenza dove pensava conducesse, cioè al teismo, fu denunciato esplicitamente da presunti liberi pensatori con i più severi dei termini. Aveva commesso, a quanto pareva, un peccato imperdonabile. Ora abbiamo il racconto personale del suo viaggio dall'anti-teismo al teismo. Lo raccomando a tutti i ricercatori della verità dotati davvero di una mente aperta."
WILLIAM L. CRAIG
, professore
al Talbot School of Theology


«Il libro di Antony Flew farà infuriare gli atei che sostengono (erroneamente) che la scienza dimostri che non esiste alcun Dio. Flew è un insigne filosofo la cui posizione è stata cambiata dalla forza del ragionamento sul significato delle scoperte scientifiche. Quest'affascinante retrospettiva personale sul suo pellegrinaggio filosofico mostra quanto sia pericoloso per un ateo riflettere troppo sul proprio impegno religioso ... potrebbe diventare scettico».
IAN H. HUTCHINSON , professoree capo del Dipartimento di scienza e ingegneria nucleare, MIT.

«In Dio esiste uno dei principali filosofi analitici del ventesimo secolo condivide con i lettori un pellegrinaggio intellettuale che inizia con uno scetticismo sano e di principio e culmina in un teismo basato su garanzie razionali e una disponibilità ad accettare l'evidenza come data. Forse la soddisfazione più grande che si può ricavare dalla lettura di questo saggio filosofico è l'integrità trasparente dell'autore, così consueta nel corso di una vita di realizzazioni da essere, come per Aristotele, una seconda natura. Quanto risultano striduli e incentrati solo su loro stessi i lavori contrapposti di un Dawkins o di un Dennett a confronto! Anche se utilizza una scrittura in parte diversa dal registro metafìsico dell'Apologia di Newman, l'esposizione del professor Flew sarà una fonte d'indagine meditativa per molti anni. In gioventù, era guidato dal coraggioso Socrate. Ora, più grande, servirà da modello per altri».
DANIEL N. ROBINSON
, Università di Oxford.

INDICE

Encomio a Dio esiste
Prefazione
Introduzione

PRIMA PARTE: LA MIA NEGAZIONE DEL DIVINO
1. La creazione di un ateo
2. Dove conduce l'evidenza
3. L'ateismo considerato con calma

SECONDA PARTE: LA MIA SCOPERTA DEL DIVINIO

4. Un pellegrinaggio della ragione
5. Chi scrisse le leggi della natura
6. L'universo sapeva del nostro arrivo
7. Com'è iniziata la vita?
8. E' mai nato qualcosa dal nulla?
9. Fare spazio a Dio
10. Aprirsi all'Onnipoteza

TERZA PARTE: APPENDICI
Appendice A
Il "nuovo ateismo": una valutazionecritica di Dawkiins, Dannett, Wolpert,
Harris e Stanger (Roy A. Varghese)
Appendice B
L'auto rivelazione di Dio nella storia umana: un dibattito su Gesù con N.T. (N.T. Wright)

Capitolo 1 - La creazione di un ateo

Non fui sempre ateo. Iniziai con una vita abbastanza religiosa. Crebbi in una casa cristiana e frequentai una scuola privata cristiana. Infatti, sono figlio di un predicatore.
Mio padre studiò al Merton College di Oxford, e fu un pastore della Chiesa Metodista Wesleyana, piuttosto che della Chiesa Anglicana. Nonostante il suo cuore indugiò sempre nella predicazione evangelistica e, come direbbero gli anglicani, nel lavoro pastorale, i miei primi ricordi di lui sono come insegnante universitario di studi sul Nuovo Testamento, alla scuola teologica metodista di Cambridge. Più tardi, successe al direttore della scuola per poi andare in pensione e morire a Cambridge. In aggiunta ai basilari doveri di queste cariche da studioso e insegnante, mio padre eseguì molto lavoro come referente metodista in varie organizzazioni tra diverse chiese. Prestò anche servizio per un anno come presidente sia della Conferenza Metodista che del Consiglio Federale delle Chiese Libere.

Sarei in difficoltà nell'isolare o identificare nella mia adolescenza qualche segnale delle più tarde convinzioni ateistiche. In gioventù, frequentai la Kingswood School di Bath, conosciuta in modo informale come la K. S. Era, e per fortuna lo è ancora, un collegio pubblico (quel tipo di istituto che, in qualsiasi altro posto del mondo di lingua inglese, sarebbe descritto, paradossalmente, come collegio private). Era stato creato da John Wesley, fondatore della Chiesa Metodista, per l'educazione dei figli dei suoi predicatori (dopo un secolo o più dalla costituzione della Kingswood School, fu istituita la Queenswood School per ospitare le figlie femmine in modo appropriatamente egualitario).

Entrai in quel collegio da cristiano dedicato e coscienzioso, ma indifferente. Non riuscivo mai a vedere il senso del culto e sono sempre stato troppo negato in musica per provare piacere o addirittura prendere parte al canto degli inni. Non mi avvicinai mai a nessuna letteratura religiosa con la stessa smania irrefrenabile con la quale divoravo libri di politica, storia, scienza o quasi qualsiasi altro tema. Andare in cappella o in chiesa, recitare le preghiere e seguire tutte le altre pratiche religiose, era per me una questione di dovere, più o meno noioso. Non sentii mai il benché minimo desiderio di comunicare con Dio.

Perché fossi - dai miei primissimi ricordi - disinteressato, in generale, alle pratiche e ai temi religiosi che forgiavano il mondo di mio padre, non lo so dire. Semplicemente non ricordo di aver provato alcun interesse o entusiasmo verso tali adempimenti. Non credo nemmeno di aver mai sentito la mia mente incantata o «il mio cuore inspiegabilmente riscaldato», per usare la famosa frase di Wesley, dallo studio o dal culto cristiano. Se la mancanza di entusiasmo verso la religione nella mia gioventù fosse una causa o un effetto - o entrambi -, chi lo può dire? Posso dire, però, che qualsiasi fede avessi quando entrai alla K. S. se n'era già andata quando terminai la scuola.

UNA TEORIA DI DEVOLUZIONE

Mi è stato riferito che il Barna Group, una prominente organizzazione cristiana sui sondaggi demografici, dalle sue indagini trasse la conclusione che, in sostanza, ciò in cui credi quando hai tredici anni è ciò in cui crederai fino alla morte. Che questa scoperta sia corretta o meno, so per certo che le convinzioni che maturai nei primi anni dell'adolescenza mi accompagnarono per gran parte della vita adulta.

Come e quando iniziò il cambiamento, non lo riesco a ricordare con precisione. Ma certamente, come avviene in ogni persona razionale, molteplici fattori si combinarono nella realizzazione delle mie convinzioni. Non ultimo tra questi fu ciò che Imrnanuel Kant definì «un ardore di mente non sconveniente all'erudizione», che credo avessi in comune con mio padre. Entrambi eravamo disposti a seguire il sentiero della «saggezza» così come Kant la descriveva: «È la saggezza che ha il merito di selezionare, tra gli innumerevoli problemi che si presentano, quelli la cui soluzione è importante per l'umanità». Le convinzioni cristiane di mio padre lo persuasero che non ci potesse essere niente di più «importante per l'umanità» che la delucidazione, la propagazione e la realizzazione di qualsiasi cosa fosse in realtà l'insegnamento del Nuovo Testamento. Il mio viaggio intellettuale mi portò in una direzione diversa, ovviamente, ma che non fu meno segnata dall'ardore di mente che condividevo con lui.

Rammento anche che mio padre, per mio grande vantaggio, mi ricordò in più di un'occasione che quando gli studiosi della Bibbia vogliono acquisire familiarità con qualche concetto particolare del Vecchio Testamento, non cercano di trovare una risposta semplicemente escogitandola loro stessi. Al contrario, raccolgono ed esaminano, cercando di contestualizzare il più possibile, tutti gli esempi contemporanei disponibili in cui viene utilizzato il relativo termine ebraico. Questo approccio accademico - che ancora non ho abbandonato - formò in molti modi le basi delle mie primissime indagini intellettuali di raccolta ed esame, nel contesto, di tutte le informazioni rilevanti su un dato soggetto. È ironico, forse, che fu la famiglia in cui crebbi, molto probabilmente, ad infondermi l'entusiasmo verso quell'indagine critica che mi avrebbe finalmente portato a rifiutare la fede di mio padre.

IL VOLTO DEL MALE

Ho affermato, in alcuni dei miei ultimi scritti ateistici di aver raggiunto la conclusione dell'inesistenza di Dio fin troppo rapidamente, fin troppo facilmente e seguendo quelle che, più tardi, mi sembrarono le ragioni sbagliate. Riconsiderai questa conclusione negativa a lungo e spesso ma, per quasi settant'anni, non trovai mai motivi sufficienti per giustificare qualche capovolgimento fondamentale. Una di quelle prime ragioni per la mia conversione all'ateismo fu il problema del male.

Mio padre portava me e mia madre ogni anno, per le vacanze estive, all'estero. Anche se non se le sarebbe potute permettere con lo stipendio da pastore, le rendeva possibili grazie al guadagno derivato dal lavoro come commissario agli esami di maturità che spesso svolgeva durante la prima parte dell'estate. Potevamo anche viaggiare all'estero in modo economico, poiché mio padre parlava il tedesco fluentemente, grazie a due anni di studi teologici all'Università di Marburgo, prima della I Guerra Mondiale. Riuscì così a portarci in vacanza in Germania e, un paio di volte, in Francia senza dover spendere soldi per un agente di viaggi. Era anche spesso nominato a prestare servizio come rappresentante del metodismo in svariate conferenze teologiche internazionali. A queste portava anche me, figlio unico, e mia madre come ospiti non partecipanti.

Fui molto influenzato da questi primi viaggi all'estero durante gli anni prima della II Guerra Mondiale. Ricordo in modo vivido gli striscioni e le insegne fuori dalle piccole città che proclamavano: «Qui non vogliamo ebrei». Ne rammento alcune davanti all'ingresso di una biblioteca pubblica che dicevano: «I regolamenti di questo istituto vietano di prestare qualsiasi libro agli ebrei». Assistetti a una marcia di diecimila assaltatori con le camicie marroni durante una notte d'estate bavarese. I nostri viaggi di famiglia mi esposero a plotoni di Waffen-SS nelle loro uniformi nere con i berretti con teschio e tibie incrociate.

Tali esperienze delinearono la formazione della mia vita giovanile e, per me come per molti altri, presentavano una sfida inevitabile all'esistenza di un onnipotente Dio di amore. Il grado in cui influenzarono il mio pensiero non lo posso misurare. Se non altro, queste esperienze destarono in me una consapevolezza che durò per tutta la vita dei mali gemelli dell'anti-sernitismo e del totalitarismo.

UN LUOGO MOLTO VIVACE

Crescere durante gli anni '30 e '40 in una famiglia come la nostra - schierata com'era con la confessione metodista - era come essere a Cambridge ma non appartenervi. Per iniziare, la teologia non era in quel tempo e in quel luogo accettata come "regina delle scienze", come lo era stata invece in altri istituti. é una scuola di tirocinio ministeriale era un tipo di università in voga. Di conseguenza, non m'identificai mai con Cambridge, anche se mio padre vi si sentiva piuttosto a casa. In ogni caso, dal 1936, quando iniziai a soggiornare nel pensionamento scolastico, non mi trovavo quasi mai a Cambridge durante l'anno scolastico.

Ciononostante, Kingswood era ai miei tempi un luogo molto vivace, presieduto da un uomo che sicuramente meritava di essere reputato un grande direttore. L'anno prima del mio arrivo, aveva vinto più riconoscimenti liberi a Oxford e Cambridge di qualsiasi altra scuola in cui sia presente la Headmaster's Conference1. La nostra attività non era limitata all'aula e al laboratorio.

Nessuno dovrebbe sorprendersi se, inserito in questo stimolante ambiente, iniziai a mettere in discussione la risoluta fede dei miei progenitori, una fede verso la quale non avevo mai sentito nessun intenso attaccamento emozionale. Dal tempo in cui stavo frequentando la sesta classe superiore alla K. S.2, iniziai
regolarmente a sostenere, con i compagni di classe, che l'idea di un Dio tanto onnipotente quanto perfettamente buono fosse incompatibile con i mali manifesti e le imperfezioni del mondo.
Durante il periodo alla K. S., i consueti sermoni della domenica non contenevano mai alcun riferimento a una vita futura, in paradiso o all'inferno. Quando il predicatore era il direttore, A. B. Sackett, cosa non frequente, il suo messaggio riguardava sempre le meraviglie e gli splendori della natura. In ogni modo, quando arrivai al mio quindicesimo compleanno, rifiutai la tesi che l'universo fosse stato creato da un Dio onnipresente e infinitamente buono.

Mi si potrebbe giustamente chiedere se non mi fosse mai venuto in mente di consultare mio padre, che era un uomo di chiesa, circa i miei dubbi sull'esistenza di Dio. Non lo feci mai. Per amore della pace domestica e, in particolare, per risparmiare mio padre, cercai, per il maggior tempo possibile, di nascondere la mia conversione irreligiosa a tutti, a casa. Per quanto ne sappia, vi sono riuscito per un bel po' di anni.

Tuttavia, dal gennaio del 1946, a quasi ventitre anni, il mondo fece trapelare - arrivando ai miei genitori - il fatto che fossi sia ateo che mortalista (uno che non crede alla vita dopo la morte) e che fosse improbabile un qualsiasi ripensamento. Il mio cambiamento era così totale e deciso che ritenevamo futile imbarcarci in una qualsiasi discussione sull'argomento a casa. Comunque, oggi, dopo ben più di mezzo secolo, posso dire che mio padre sarebbe enormemente lieto della mia attuale visione sull'esistenza di Dio - almeno perché la considererebbe di grande aiuto alla causa della chiesa cristiana.

UNA OXFORD DIVERSA

Dalla Kingswood, mi diressi all'Università di Oxford. Vi arrivai nel bimestre "Hilary" (da gennaio a marzo) del 1942. La II Guerra Mondiale era in corso e, in uno dei miei primi giorni da universitario diciottenne, mi fecero un esame medico e mi reclutarono ufficialmente nella Royal Air Force. In quei giorni di guerra, quasi tutti gli universitari fisicamente idonei passavano un giorno alla settimana nell'apposita organizzazione del corpo militare. Nel mio caso, si trattava della Oxford University Air Squadron.

Questo servizio militare, part-time per un anno e full-time dopo, non prevedeva alcun combattimento. Prevedeva lo studio di un po' di giapponese alla Scuola di Studi Orientali e Africani dell'Università di Londra e, quindi, la traduzione dei messaggi intercettati e decifrati delle forze aeree giapponesi, al Bletchley Park. Dopo che il Giappone si arrese (e in attesa del mio turno di essere congedato), lavorai traducendo messaggi intercettati dell'esercito di occupazione francese, da poco costituitosi, in quella che era allora la Germania dell'Ovest.

Quando feci ritorno ai miei studi a tempo pieno all'Università di Oxford, nei primi di gennaio del 1946, in previsione di discutere l'esame finale nell'estate del 1947, la Oxford in cui tornai era un luogo molto diverso. Sembrava un istituto molto più stimolante di quello che avevo lasciato quasi tre anni prima. C'era anche una maggior varietà sia di carriere del tempo di pace che di effettive carriere militari ora completate senza problemi, rispetto a quanta ce n'era stata dopo la I Guerra Mondiale. lo stesso stavo studiando per il titolo in Literae Humaniores e alcune delle mie lezioni sulla storia della Grecia classica erano tenute da veterani che erano stati attivi nell' assistere alla resistenza greca sia a Creta che nella Grecia continentale, rendendo le lezioni più romantiche e stimolanti per un pubblico di studenti.

Discussi l'esame finale nella sessione estiva del 1947. Con mia sorpresa e piacere, mi laureai a pieni voti. Dopo di ciò, tornai da John Mabbott, il mio tutor personale 'al St. [ohn's College. Gli dissi che avevo abbandonato il mio precedente obiettivo di studiare per una laurea di secondo livello alla Scuola di Filosofia e Psicologia allora da poco fondata. Avevo intenzione d'iniziare a impegnarmi per un titolo superiore in filosofia.

LA CRESCITA FILOSOFICA

Mabbott fece in modo che mi venisse assegnato un posto alla sezione di studi filosofici post-Iaurea sotto la supervisione di Gilbert Ryle, che era allora il Waynflete Professor di Filosofia Metafisica all'Università di Oxford. Ryle, nel secondo bimestre dell'anno accademico 1947-1948, era il decano delle tre cattedre di filosofia di Oxford.

Fu solo molti anni dopo che appresi, dall'affascinante libro di Mabbott Oxford Memories, che i due avevano stretto amicizia fin dal primo incontro a Oxford. Se fossi stato in un college diverso e un tutor diverso mi avesse chiesto quale dei tre possibili esperti supervisori avrei preferito, avrei sicuramente scelto Henry Price, a causa dell'interesse che condividevamo in ciò che è ora conosciuta come parapsicologia, ma che allora era ancora chiamata ricerca psichica. Ad ogni modo, il mio primo libro fu intitolato A New Approach to Psychical Research e io e Price diventammo oratori alle conferenze che riguardavano la ricerca psichica. Ma sono certo che non avrei vinto il premio universitario in filosofia in un anno straordinariamente duro, se i miei studi da laureato fossero stati supervisionati da Henry Price. Avremmo passato troppo tempo a parlare dei nostri interessi comuni.

Dopo aver dedicato l'anno accademico del 1948 a studiare per una laurea superiore in filosofia sotto la supervisione di Ryle, vinsi la borsa di studio "[ohn Locke" in Filosofia della Mente. Fui dunque nominato per quella che in ogni altro college di Oxford, tranne il Christ Church, sarebbe stata definita una carica (di prova) da Fellow3 - cioè, un lavoro da insegnante a tempo pieno. Nel vocabolario del Christ Church, tuttavia, dicevano che ero diventato uno studente (di prova).

Durante l'anno da docente, giunsero a Oxford le lezioni del noto filosofo Ludwig Wittgenstein, il cui approccio alla filosofia avrebbe influenzato il mio. Tuttavia, questi insegnamenti, più tardi pubblicati come Libro blu e Libro marrone e Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, arrivarono sotto forma di singole lezioni dattiloscritte - accompagnate da lettere di Wittgenstein che indicavano a chi potessero o non potessero essere mostrate. Un collega ed io escogitammo, senza infrangere alcuna promessa a Wittgenstein, di produrre delle copie di tutte le sue lezioni allora disponibili a Oxford, così che chiunque lo desiderasse potesse leggerle.

Questo buon fine - utilizzo qui il vocabolario dei filosofi morali di quel periodo - fu raggiunto, inizialmente, chiedendo a tutti coloro che sapevamo stessero attivamente filosofando a Oxford in quel periodo se fossero in possesso di lezioni dattilo- scritte di Wittgenstein e, se così, di quali. Quindi, dato che le fotocopiatrici ancora non esistevano, trovammo e assumemmo un dattilografo che riproducesse sufficienti copie per soddisfare la richiesta (non potevamo sapere che, facendo circolare questi dattiloscritti solo tra i membri di un'associazione e, quindi, solo sotto giuramento di segretezza, avremmo scatenato commenti da parte di persone estranee sul fatto che Wittgenstein, che fu indubbiamente un filosofo geniale, si comportasse spesso come un ciarlatano che finge di essere un genio!).

Ryle l'aveva conosciuto quando aveva fatto visita a Cambridge. In seguito strinsero amicizia e lo convinse a unirsi a lui in un'escursione a piedi al Lake District, nel 1930 o 1931. Non pubblicò mai nessun resoconto della gita o di ciò che durante questa apprese da e su Wittgenstein. Ma dopo di essa, e da allora in poi, agì da mediatore tra il filosofo e ciò che gli altri chiamava- no "il mondo esterno".

Quanto quella mediazione fu a volte necessaria lo può rivelare l'annotazione di una conversazione tra Wittgenstein, che era ebreo, e le sue sorelle, immediatamente dopo che i soldati di Hitler ebbero assunto il controllo dell'Austria. Il filosofo assicurava alle sorelle che, a causa dei loro stretti legami con «le persone e le famiglie influenti» del precedente regime, né lui né loro si trovavano in alcun pericolo. Quando più tardi diventai insegnante di filosofia di professione, fui restio a rivelare ai miei allievi che Wittgenstein, considerato da me e da molti colleghi un genio filosofico, fosse stato così ingenuo in questioni pratiche.

Personalmente, almeno una volta lo vidi in opera. Avvenne durante gli anni in cui ero studente universitario, quando fece visita alla Jowett Society. Il suo tema annunciato era Cogito ergo sum, derivato, ovviamente, dalla famosa affermazione «penso dunque sono» del filosofo francese Cartesio. La stanza era affollata. Il pubblico si aggrappava a ogni singola parola di quel grande uomo. Tuttavia, l'unica cosa che riesco a ricordare ora dei suoi commenti è che non avevano assolutamente nessun legame percepibile con il tema annunciato. Così, quando ebbe terminato, l'emerito professore H. A. Prichard si alzò. Con evidente esasperazione, chiese cosa «Herr Wittgenstein - il dottorato di Cambridge a quanto pare non era riconosciuto a Oxford! - ne pensasse del cogito ergo sum», Rispose indicando la sua fronte con l'indice della mano destra e dicendo solamente: «Coguo ergo sum. È una frase molto particolare». Allora, come adesso, pensai che la replica più adatta a quell'affermazione sarebbe stato un adattamento di una delle vignette in Men, Women and Dogs di James Thurber: «Forse non hai fascino, Lily, ma sei enigmatica».

CONFRONTO CON C. S. LEWIS

Durante il periodo come laureato specializzando sotto la supervisione di Gilbert Ryle, mi resi conto che era proprio una sua consuetudine, essendo una persona indubbiamente corretta, quella di rispondere sempre in modo diretto, faccia a faccia, a ogni obiezione mossa contro le sue opinioni filosofiche. La mia teoria, anche se lui ovviamente non la rivelò mai né a me né, per quanto ne sappia, ad altri, è che stesse mettendo in atto l'insegnamento che Platone, nella Repubblica, attribuisce a Socrate: «Seguire il ragionamento fin dove ci porta»4. Tra le altre cose, questo principio richiede che, per fare un' obiezione faccia a faccia, le persone si debbano incontrare. È un criterio che io stesso ho cercato di seguire per tutta la mia lunga e molto controversa vita.

Questa massima socratica valse anche da ispirazione al Socratic Club, un gruppo che si trovava davvero al centro di quella vita intellettuale della Oxford del periodo di guerra. Era un forum animato aperto ai dibattiti tra atei e cristiani e io partecipavo regolarmente a quegli incontri. Il suo formidabile presidente dal 1942 al 1954 era il famoso scrittore cristiano C. S. Lewis. Il circolo si riuniva ogni lunedì sera, durante l'anno accademico, nella Junior Common Room sotterranea del St. Hilda's College. Nella prefazione alla prima uscita di Socratic Digest, Lewis citò l'esortazione di Socrate a «seguire il ragionamento ovunque esso porti». Evidenziò che questa «arena votata specialmente al conflitto tra cristiani e non-credenti era una novità». Molti dei più importanti atei a Oxford si confrontarono con Lewis e i suoi compagni cristiani. L'incontro di gran lunga più famoso fu l'acclamato dibattito tra lui ed Elizabeth Anscombe nel febbraio del 1948, il quale portò il primo a rivedere il terzo capitolo del suo libro La mano nuda di Dio5, Ricordo ancora che ero un membro di un piccolo gruppo di amici che rincasavano insieme dopo il grande dibattito, camminando proprio dietro la Anscombe e i suoi sostenitori. Era esultante, come anche i suoi compagni. Subito davanti a loro, Lewis camminava solo, con passo più svelto che poteva, per andare a rifugiarsi nelle sue stanze, al Magdalen College, appena dopo il ponte che stavamo tutti attraversando. Anche se molti hanno affermato che Lewis rimase permanentemente demoralizzato dal risultato di quel confronto, la Anscombe la pensava diversamente. Più tardi scrisse:

L'incontro del Socratic Club, al quale lessi la mia relazione, è stato descritto da molti dei suoi compagni come un'esperienza orribile e scioccante che lo infastidì parecchio. Né il Dott. Harvard (che po- che settimane dopo invitò entrambi a cena) né il Prof. Jack Bennett ricordavano dei sentimenti di questo tipo da parte di Lewis [ ... l. Sono incline a interpretare i singolari resoconti della questione, da parte di alcuni sei suoi amici [ ... l, come un interessante esempio di quel fenomeno chiamato "proiezione"6.

Lewis fu sicuramente l'apologeta cristiano più valido dell'ultima parte del ventesimo secolo. Quando recentemente la BBC mi chiese se avessi confutato in modo assoluto la sua apologetica cristiana, risposi:

No. Semplicemente non pensavo ci fosse una ragione sufficiente per crederei. Ma, certamente, quando più tardi mi fermai a riflettere sulla teologia, l'argomentazione a favore della rivelazione cristiana mi parve molto forte, quando non si crede in alcuna rivelazione.

SVILUPPI ALTAMENTE POSITIVI

Durante il mio ultimo bimestre all'Università di Oxford, la pubblicazione di Linguaggio, verità e logica di A. J. Ayer aveva convinto molti membri del Socratic Club che l'eresia ayeriana del positivismo logico -l'opinione che tutte le proposizioni religiose siano prive di significato cognitivo - dovesse essere confutata. La prima e unica relazione che abbia mai letto al Socratic Club, Theologyand Falsification, fornì ciò che allora ritenevo fosse una confutazione sufficiente. Credevo di aver raggiunto una vittoria completa e di non aver lasciato spazio a ulteriori dibattiti.

Fu sempre a Oxford che conobbi la mia futura moglie, Annis Donnison. Ci presentò la sua futura cognata durante una festa del club laburista di Oxford e, da quel momento, non prestai più attenzione a nessun altro durante quella serata. Alla fine della festa mi accordai con lei per un successivo incontro: era la prima volta che uscivo con una ragazza. Le nostre condizioni sociali allora erano molto diverse. lo ero un insegnante al Christ Church, istituto maschile, mentre lei era al primo anno come allieva al Sommerville, collegio femminile che, come tutti gli altri a Oxford in quell'epoca e per ancora un decennio circa, espelleva necessariamente qualsiasi studentessa commettesse "il delitto" di sposarsi.

La mia futura suocera era comprensibilmente preoccupata del fatto che una persona di un rango accademico superiore come me uscisse con sua figlia, molto più giovane. Consultò quindi il figlio, mio futuro cognato, che le assicurò, come avrebbe potuto considerare lei stessa, che ero «innamorato o qualcosa del genere» e che mi avrebbe spezzato il cuore se mi avesse impedito di continuare a frequentarla. Ho sempre supposto che il suo desiderio fosse semplicemente che la sorella più piccola fosse libera di condurre la propria vita da sola, sapendo che era una ragazza giudiziosa e che non avrebbe mai preso decisioni affrettate.

Anche se mi ero allontanato già da molto tempo dalla fede di mio padre, manifestavo tuttavia ciò che mi era stato insegnato dai miei genitori metodisti: non tentai mai nemmeno di sedurre Annis prima del matrimonio, ritenendo sempre un tale comportamento moralmente sbagliato. Né, essendo figlio di un accademico, mi solleticò mai il pensiero di convincerla a sposarmi prima della sua laurea.
Alla fine del settembre del 1950, cessai ufficialmente di lavorare come insegnante non di ruolo al Christ Church di Oxford e, l'l ottobre di quello stesso anno, iniziai a prestare servizio come professore universitario di Filosofia Morale all'Università di Aberdeen, in Scozia.

OLTRE OXFORD

Durante gli anni ad Aberdeen, tenni diverse conferenze in radio, partecipando a tre o quattro dibattiti promossi dal Third Programme della BBC - fondato da poco ed intellettualmente impegnato - e sottoponendomi a diversi esperimenti psicologici. Per noi, le grandi attrazioni di Aberdeen erano la socievolezza di quasi tutte le persone che incontravamo, la forza e la varietà del movimento a favore dei corsi per adulti, il semplice fatto che fosse una città in Scozia e non in Inghilterra (una novità per noi) e le possibilità così diverse, che essa ci offriva, di passeggiare lungo la costa e nei Cairngorms. Non mancammo mai di unirei al Cairngorm Club in una delle sue consuete gite mensili su quelle colline.

Durante l'estate del 1954, me ne andai da Aberdeen, passando per il Nord America, per diventare professore di filosofia alla University College of North Staffordshire, che più tardi guadagnò lo status ufficiale come Università di Keele. Per tutti i diciassette anni là trascorsi, essa fu ciò che la Gran Bretagna abbia mai avuto di più simile alle università di studi umanistici statunitensi, come Oberlin e Swarthmore. Iniziai a dedicarmi a essa rapidamente e la lasciai solo quando iniziò, lentamente ma inesorabilmente, a perdere la sua peculiarità.

Dopo aver trascorso l'anno accademico 1970-1971 come visiting professar negli Stati Uniti, consegnai le dimissioni, alla fine del 1971, da quella che da allora divenne l'Università di Keele (il mio successore fu Richard Swinburne). Nel gennaio del 1972 mi spostai all'Università di Calgary, nella provincia di Alberta, in Canada. La mia intenzione inizialmente era di stabilirmi là; tuttavia, nel maggio del 1973, dopo soli tre semestri, mi trasferii all'Università di Reading, rimanendovi fino alla fine del 1982.

Prima di richiedere e ottenere il pre-pensionamento da Reading, stipulai un contratto per insegnare un semestre all'anno all'Università di York, vicino a Toronto, per i rimanenti sei anni della mia regolare vita accademica. Dopo soli tre anni, tuttavia, rassegnai le dimissioni per accettare un invito dal Social Philoso-phy and Policy Center, presso la Bowling Green State University dell'Ohio, a prestare servizio come esimio ricercatore universitario, per i rimanenti tre anni. L'invito fu poi esteso ad altri tre. Dopodiché, andai finalmente e definitivamente in pensione a Reading, dove ancora risiedo.

Questo abbozzo della mia carriera non risponde alla domanda del perché diventai filosofo. Dati i miei interessi filosofici già alla Kingswood, può sembrare che fossi pronto a diventare filosofo di professione ancora prima di iscrivermi a Oxford. Di fatto, sapevo a mala pena che esistesse una tale figura all' epoca. Anche durante i primi due bimestri a Oxford, prima di entrare nella RAF, fu durante gli incontri del Socratic Club il momento in cui più mi avvicinai alla filosofia. I miei interessi principali, al di fuori dello studio, erano politici. La situazione era ancora questa dopo il gennaio del 1946, quando le materie di studio iniziarono a includere la filosofia.

Iniziai a vedere la carriera in filosofia solo come una remota possibilità, pochi mesi prima degli esami finali del dicembre del 1947. Se i timori di essere inserito nella II classe si fossero realizzati, avrei studiato per una seconda tornata di esami finali, concentrando mi sulla psicologia, nella nuova Scuola di filosofia, psicologia e fisiologia. Invece, continuai a lavorare per l'altrettanto innovativa laurea di I livello in filosofia, sotto la supervisione di Gilbert Ryle. Fu solo nelle ultime settimane del 1949, dopo aver vinto una borsa di studio sperimentale al Christ Church, che stabilii la mia rotta (e, in effetti, mi bruciai i ponti alle spalle) rifiutando un'offerta di unirmi alla classe amministrativa della Home Civil Service7- una scelta che rimpiansi finché non arrivò l'offerta da Aberdeen.

Nei seguenti due capitoli, cerco di descrivere la tesi che, negli anni, costruii contro l'esistenza di Dio. Approfondisco prima le argomentazioni ateistiche che raggruppai e sviluppai in mezzo secolo e, dopo, nel Capitolo 3, inizio a tracciare le varie svolte e i vari cambi di direzione che prese la mia filosofia, come possono dimostrare, in particolare, i miei frequenti dibattiti sul tema dell' ateismo.

Attraverso tutto ciò, spero che si potrà osservare, come ho detto in passato, che il mio interesse di vecchia data verso la religione non fu nient'altro che di carattere prudente, morale o semplicemente curioso. Dico prudente, perché, se esiste un Dio o degli dei coinvolti nelle questioni umane, sarebbe follemente imprudente non cercare, per quanto possibile, di stare dalla loro parte. Dico morale, poiché sarei felice di trovare ciò che Matthew Arnold una volta definì «l'eterno non per noi stessi che volge alla rettitudine». Dico, inoltre, curioso, in quanto ogni persona dotata di una mente scientifica deve avere il desiderio di scoprire ciò che, se non altro, sia possibile conoscere di questi temi. Nonostante ciò, è molto probabile che nessuno rimarrà tanto sorpreso quanto me del fatto che la mia esplorazione del divino sia passata, dopo tutti questi anni, dalla negazione alla scoperta.

Dopo aver letto quanto sopra, sicuramente vorresti leggere il 2° e 3° capitolo dal titolo:
- Dove conduce l'evidenza
- L'ateismo considerato con calma...

NOTE

1. La Headmasters' and Headmistresses' Conference (HMC) è un'associazione di direttori e direttrici di 242 scuole (N.d.T)

2. La sesta superiore corrisponde al quarto anno della scuola secondaria di
secondo grado (N.d.E.).

3. Membro di un college a Oxford (N.d.T).

4. «Del resto, nemmeno io ho le idee chiare, ma dove il discorso come un
vento ci porta là intendo andare» (Repubblica, 394d, in Platone: tutti gli scritti,
a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1994, p. 1139).

5. CUVE S. LEWIS, La mano nuda di Dio: uno studio preliminare sui miracoli,
Roma, Edizioni GBU, 1987.

6. GERTRUDE E. M. ANSCOMBE, The Callected Papers aJ G. E. M. Anscambe, 2, Metaphysics and the Philasaphy aJ Mind, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1981, p. X.

7. Unità che si occupa del Pubblico Impiego (N.d.T).

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DIO ESISTE - Come l'ateo più famoso del mondo ha cambiato idea: CAPITOLO 1

DAL LIBRO:DIO ESISTE

Come l'ateo più famoso del mondo ha cambiato idea

Dio esiste A.Flew 250


antony flew 120

Capitolo 1 - La creazione di un ateo

Non fui sempre ateo. Iniziai con una vita abbastanza religiosa. Crebbi in una casa cristiana e frequentai una scuola privata cristiana. Infatti, sono figlio di un predicatore.
Mio padre studiò al Merton College di Oxford, e fu un pastore della Chiesa Metodista Wesleyana, piuttosto che della Chiesa Anglicana. Nonostante il suo cuore indugiò sempre nella predicazione evangelistica e, come direbbero gli anglicani, nel lavoro pastorale, i miei primi ricordi di lui sono come insegnante universitario di studi sul Nuovo Testamento, alla scuola teologica metodista di Cambridge. Più tardi, successe al direttore della scuola per poi andare in pensione e morire a Cambridge. In aggiunta ai basilari doveri di queste cariche da studioso e insegnante, mio padre eseguì molto lavoro come referente metodista in varie organizzazioni tra diverse chiese. Prestò anche servizio per un anno come presidente sia della Conferenza Metodista che del Consiglio Federale delle Chiese Libere.

Sarei in difficoltà nell'isolare o identificare nella mia adolescenza qualche segnale delle più tarde convinzioni ateistiche. In gioventù, frequentai la Kingswood School di Bath, conosciuta in modo informale come la K. S. Era, e per fortuna lo è ancora, un collegio pubblico (quel tipo di istituto che, in qualsiasi altro posto del mondo di lingua inglese, sarebbe descritto, paradossalmente, come collegio private). Era stato creato da John Wesley, fondatore della Chiesa Metodista, per l'educazione dei figli dei suoi predicatori (dopo un secolo o più dalla costituzione della Kingswood School, fu istituita la Queenswood School per ospitare le figlie femmine in modo appropriatamente egualitario).

Entrai in quel collegio da cristiano dedicato e coscienzioso, ma indifferente. Non riuscivo mai a vedere il senso del culto e sono sempre stato troppo negato in musica per provare piacere o addirittura prendere parte al canto degli inni. Non mi avvicinai mai a nessuna letteratura religiosa con la stessa smania irrefrenabile con la quale divoravo libri di politica, storia, scienza o quasi qualsiasi altro tema. Andare in cappella o in chiesa, recitare le preghiere e seguire tutte le altre pratiche religiose, era per me una questione di dovere, più o meno noioso. Non sentii mai il benché minimo desiderio di comunicare con Dio.

Perché fossi - dai miei primissimi ricordi - disinteressato, in generale, alle pratiche e ai temi religiosi che forgiavano il mondo di mio padre, non lo so dire. Semplicemente non ricordo di aver provato alcun interesse o entusiasmo verso tali adempimenti. Non credo nemmeno di aver mai sentito la mia mente incantata o «il mio cuore inspiegabilmente riscaldato», per usare la famosa frase di Wesley, dallo studio o dal culto cristiano. Se la mancanza di entusiasmo verso la religione nella mia gioventù fosse una causa o un effetto - o entrambi -, chi lo può dire? Posso dire, però, che qualsiasi fede avessi quando entrai alla K. S. se n'era già andata quando terminai la scuola.

UNA TEORIA DI DEVOLUZIONE

Mi è stato riferito che il Barna Group, una prominente organizzazione cristiana sui sondaggi demografici, dalle sue indagini trasse la conclusione che, in sostanza, ciò in cui credi quando hai tredici anni è ciò in cui crederai fino alla morte. Che questa scoperta sia corretta o meno, so per certo che le convinzioni che maturai nei primi anni dell'adolescenza mi accompagnarono per gran parte della vita adulta.

Come e quando iniziò il cambiamento, non lo riesco a ricordare con precisione. Ma certamente, come avviene in ogni persona razionale, molteplici fattori si combinarono nella realizzazione delle mie convinzioni. Non ultimo tra questi fu ciò che Imrnanuel Kant definì «un ardore di mente non sconveniente all'erudizione», che credo avessi in comune con mio padre. Entrambi eravamo disposti a seguire il sentiero della «saggezza» così come Kant la descriveva: «È la saggezza che ha il merito di selezionare, tra gli innumerevoli problemi che si presentano, quelli la cui soluzione è importante per l'umanità». Le convinzioni cristiane di mio padre lo persuasero che non ci potesse essere niente di più «importante per l'umanità» che la delucidazione, la propagazione e la realizzazione di qualsiasi cosa fosse in realtà l'insegnamento del Nuovo Testamento. Il mio viaggio intellettuale mi portò in una direzione diversa, ovviamente, ma che non fu meno segnata dall'ardore di mente che condividevo con lui.

Rammento anche che mio padre, per mio grande vantaggio, mi ricordò in più di un'occasione che quando gli studiosi della Bibbia vogliono acquisire familiarità con qualche concetto particolare del Vecchio Testamento, non cercano di trovare una risposta semplicemente escogitandola loro stessi. Al contrario, raccolgono ed esaminano, cercando di contestualizzare il più possibile, tutti gli esempi contemporanei disponibili in cui viene utilizzato il relativo termine ebraico. Questo approccio accademico - che ancora non ho abbandonato - formò in molti modi le basi delle mie primissime indagini intellettuali di raccolta ed esame, nel contesto, di tutte le informazioni rilevanti su un dato soggetto. È ironico, forse, che fu la famiglia in cui crebbi, molto probabilmente, ad infondermi l'entusiasmo verso quell'indagine critica che mi avrebbe finalmente portato a rifiutare la fede di mio padre.

IL VOLTO DEL MALE

Ho affermato, in alcuni dei miei ultimi scritti ateistici di aver raggiunto la conclusione dell'inesistenza di Dio fin troppo rapidamente, fin troppo facilmente e seguendo quelle che, più tardi, mi sembrarono le ragioni sbagliate. Riconsiderai questa conclusione negativa a lungo e spesso ma, per quasi settant'anni, non trovai mai motivi sufficienti per giustificare qualche capovolgimento fondamentale. Una di quelle prime ragioni per la mia conversione all'ateismo fu il problema del male.

Mio padre portava me e mia madre ogni anno, per le vacanze estive, all'estero. Anche se non se le sarebbe potute permettere con lo stipendio da pastore, le rendeva possibili grazie al guadagno derivato dal lavoro come commissario agli esami di maturità che spesso svolgeva durante la prima parte dell'estate. Potevamo anche viaggiare all'estero in modo economico, poiché mio padre parlava il tedesco fluentemente, grazie a due anni di studi teologici all'Università di Marburgo, prima della I Guerra Mondiale. Riuscì così a portarci in vacanza in Germania e, un paio di volte, in Francia senza dover spendere soldi per un agente di viaggi. Era anche spesso nominato a prestare servizio come rappresentante del metodismo in svariate conferenze teologiche internazionali. A queste portava anche me, figlio unico, e mia madre come ospiti non partecipanti.

Fui molto influenzato da questi primi viaggi all'estero durante gli anni prima della II Guerra Mondiale. Ricordo in modo vivido gli striscioni e le insegne fuori dalle piccole città che proclamavano: «Qui non vogliamo ebrei». Ne rammento alcune davanti all'ingresso di una biblioteca pubblica che dicevano: «I regolamenti di questo istituto vietano di prestare qualsiasi libro agli ebrei». Assistetti a una marcia di diecimila assaltatori con le camicie marroni durante una notte d'estate bavarese. I nostri viaggi di famiglia mi esposero a plotoni di Waffen-SS nelle loro uniformi nere con i berretti con teschio e tibie incrociate.

Tali esperienze delinearono la formazione della mia vita giovanile e, per me come per molti altri, presentavano una sfida inevitabile all'esistenza di un onnipotente Dio di amore. Il grado in cui influenzarono il mio pensiero non lo posso misurare. Se non altro, queste esperienze destarono in me una consapevolezza che durò per tutta la vita dei mali gemelli dell'anti-sernitismo e del totalitarismo.

UN LUOGO MOLTO VIVACE

Crescere durante gli anni '30 e '40 in una famiglia come la nostra - schierata com'era con la confessione metodista - era come essere a Cambridge ma non appartenervi. Per iniziare, la teologia non era in quel tempo e in quel luogo accettata come "regina delle scienze", come lo era stata invece in altri istituti. é una scuola di tirocinio ministeriale era un tipo di università in voga. Di conseguenza, non m'identificai mai con Cambridge, anche se mio padre vi si sentiva piuttosto a casa. In ogni caso, dal 1936, quando iniziai a soggiornare nel pensionamento scolastico, non mi trovavo quasi mai a Cambridge durante l'anno scolastico.

Ciononostante, Kingswood era ai miei tempi un luogo molto vivace, presieduto da un uomo che sicuramente meritava di essere reputato un grande direttore. L'anno prima del mio arrivo, aveva vinto più riconoscimenti liberi a Oxford e Cambridge di qualsiasi altra scuola in cui sia presente la Headmaster's Conference1. La nostra attività non era limitata all'aula e al laboratorio.

Nessuno dovrebbe sorprendersi se, inserito in questo stimolante ambiente, iniziai a mettere in discussione la risoluta fede dei miei progenitori, una fede verso la quale non avevo mai sentito nessun intenso attaccamento emozionale. Dal tempo in cui stavo frequentando la sesta classe superiore alla K. S.2, iniziai
regolarmente a sostenere, con i compagni di classe, che l'idea di un Dio tanto onnipotente quanto perfettamente buono fosse incompatibile con i mali manifesti e le imperfezioni del mondo.
Durante il periodo alla K. S., i consueti sermoni della domenica non contenevano mai alcun riferimento a una vita futura, in paradiso o all'inferno. Quando il predicatore era il direttore, A. B. Sackett, cosa non frequente, il suo messaggio riguardava sempre le meraviglie e gli splendori della natura. In ogni modo, quando arrivai al mio quindicesimo compleanno, rifiutai la tesi che l'universo fosse stato creato da un Dio onnipresente e infinitamente buono.

Mi si potrebbe giustamente chiedere se non mi fosse mai venuto in mente di consultare mio padre, che era un uomo di chiesa, circa i miei dubbi sull'esistenza di Dio. Non lo feci mai. Per amore della pace domestica e, in particolare, per risparmiare mio padre, cercai, per il maggior tempo possibile, di nascondere la mia conversione irreligiosa a tutti, a casa. Per quanto ne sappia, vi sono riuscito per un bel po' di anni.

Tuttavia, dal gennaio del 1946, a quasi ventitre anni, il mondo fece trapelare - arrivando ai miei genitori - il fatto che fossi sia ateo che mortalista (uno che non crede alla vita dopo la morte) e che fosse improbabile un qualsiasi ripensamento. Il mio cambiamento era così totale e deciso che ritenevamo futile imbarcarci in una qualsiasi discussione sull'argomento a casa. Comunque, oggi, dopo ben più di mezzo secolo, posso dire che mio padre sarebbe enormemente lieto della mia attuale visione sull'esistenza di Dio - almeno perché la considererebbe di grande aiuto alla causa della chiesa cristiana.

UNA OXFORD DIVERSA

Dalla Kingswood, mi diressi all'Università di Oxford. Vi arrivai nel bimestre "Hilary" (da gennaio a marzo) del 1942. La II Guerra Mondiale era in corso e, in uno dei miei primi giorni da universitario diciottenne, mi fecero un esame medico e mi reclutarono ufficialmente nella Royal Air Force. In quei giorni di guerra, quasi tutti gli universitari fisicamente idonei passavano un giorno alla settimana nell'apposita organizzazione del corpo militare. Nel mio caso, si trattava della Oxford University Air Squadron.

Questo servizio militare, part-time per un anno e full-time dopo, non prevedeva alcun combattimento. Prevedeva lo studio di un po' di giapponese alla Scuola di Studi Orientali e Africani dell'Università di Londra e, quindi, la traduzione dei messaggi intercettati e decifrati delle forze aeree giapponesi, al Bletchley Park. Dopo che il Giappone si arrese (e in attesa del mio turno di essere congedato), lavorai traducendo messaggi intercettati dell'esercito di occupazione francese, da poco costituitosi, in quella che era allora la Germania dell'Ovest.

Quando feci ritorno ai miei studi a tempo pieno all'Università di Oxford, nei primi di gennaio del 1946, in previsione di discutere l'esame finale nell'estate del 1947, la Oxford in cui tornai era un luogo molto diverso. Sembrava un istituto molto più stimolante di quello che avevo lasciato quasi tre anni prima. C'era anche una maggior varietà sia di carriere del tempo di pace che di effettive carriere militari ora completate senza problemi, rispetto a quanta ce n'era stata dopo la I Guerra Mondiale. lo stesso stavo studiando per il titolo in Literae Humaniores e alcune delle mie lezioni sulla storia della Grecia classica erano tenute da veterani che erano stati attivi nell' assistere alla resistenza greca sia a Creta che nella Grecia continentale, rendendo le lezioni più romantiche e stimolanti per un pubblico di studenti.

Discussi l'esame finale nella sessione estiva del 1947. Con mia sorpresa e piacere, mi laureai a pieni voti. Dopo di ciò, tornai da John Mabbott, il mio tutor personale 'al St. [ohn's College. Gli dissi che avevo abbandonato il mio precedente obiettivo di studiare per una laurea di secondo livello alla Scuola di Filosofia e Psicologia allora da poco fondata. Avevo intenzione d'iniziare a impegnarmi per un titolo superiore in filosofia.

LA CRESCITA FILOSOFICA

Mabbott fece in modo che mi venisse assegnato un posto alla sezione di studi filosofici post-Iaurea sotto la supervisione di Gilbert Ryle, che era allora il Waynflete Professor di Filosofia Metafisica all'Università di Oxford. Ryle, nel secondo bimestre dell'anno accademico 1947-1948, era il decano delle tre cattedre di filosofia di Oxford.

Fu solo molti anni dopo che appresi, dall'affascinante libro di Mabbott Oxford Memories, che i due avevano stretto amicizia fin dal primo incontro a Oxford. Se fossi stato in un college diverso e un tutor diverso mi avesse chiesto quale dei tre possibili esperti supervisori avrei preferito, avrei sicuramente scelto Henry Price, a causa dell'interesse che condividevamo in ciò che è ora conosciuta come parapsicologia, ma che allora era ancora chiamata ricerca psichica. Ad ogni modo, il mio primo libro fu intitolato A New Approach to Psychical Research e io e Price diventammo oratori alle conferenze che riguardavano la ricerca psichica. Ma sono certo che non avrei vinto il premio universitario in filosofia in un anno straordinariamente duro, se i miei studi da laureato fossero stati supervisionati da Henry Price. Avremmo passato troppo tempo a parlare dei nostri interessi comuni.

Dopo aver dedicato l'anno accademico del 1948 a studiare per una laurea superiore in filosofia sotto la supervisione di Ryle, vinsi la borsa di studio "[ohn Locke" in Filosofia della Mente. Fui dunque nominato per quella che in ogni altro college di Oxford, tranne il Christ Church, sarebbe stata definita una carica (di prova) da Fellow3 - cioè, un lavoro da insegnante a tempo pieno. Nel vocabolario del Christ Church, tuttavia, dicevano che ero diventato uno studente (di prova).

Durante l'anno da docente, giunsero a Oxford le lezioni del noto filosofo Ludwig Wittgenstein, il cui approccio alla filosofia avrebbe influenzato il mio. Tuttavia, questi insegnamenti, più tardi pubblicati come Libro blu e Libro marrone e Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, arrivarono sotto forma di singole lezioni dattiloscritte - accompagnate da lettere di Wittgenstein che indicavano a chi potessero o non potessero essere mostrate. Un collega ed io escogitammo, senza infrangere alcuna promessa a Wittgenstein, di produrre delle copie di tutte le sue lezioni allora disponibili a Oxford, così che chiunque lo desiderasse potesse leggerle.

Questo buon fine - utilizzo qui il vocabolario dei filosofi morali di quel periodo - fu raggiunto, inizialmente, chiedendo a tutti coloro che sapevamo stessero attivamente filosofando a Oxford in quel periodo se fossero in possesso di lezioni dattilo- scritte di Wittgenstein e, se così, di quali. Quindi, dato che le fotocopiatrici ancora non esistevano, trovammo e assumemmo un dattilografo che riproducesse sufficienti copie per soddisfare la richiesta (non potevamo sapere che, facendo circolare questi dattiloscritti solo tra i membri di un'associazione e, quindi, solo sotto giuramento di segretezza, avremmo scatenato commenti da parte di persone estranee sul fatto che Wittgenstein, che fu indubbiamente un filosofo geniale, si comportasse spesso come un ciarlatano che finge di essere un genio!).

Ryle l'aveva conosciuto quando aveva fatto visita a Cambridge. In seguito strinsero amicizia e lo convinse a unirsi a lui in un'escursione a piedi al Lake District, nel 1930 o 1931. Non pubblicò mai nessun resoconto della gita o di ciò che durante questa apprese da e su Wittgenstein. Ma dopo di essa, e da allora in poi, agì da mediatore tra il filosofo e ciò che gli altri chiamava- no "il mondo esterno".

Quanto quella mediazione fu a volte necessaria lo può rivelare l'annotazione di una conversazione tra Wittgenstein, che era ebreo, e le sue sorelle, immediatamente dopo che i soldati di Hitler ebbero assunto il controllo dell'Austria. Il filosofo assicurava alle sorelle che, a causa dei loro stretti legami con «le persone e le famiglie influenti» del precedente regime, né lui né loro si trovavano in alcun pericolo. Quando più tardi diventai insegnante di filosofia di professione, fui restio a rivelare ai miei allievi che Wittgenstein, considerato da me e da molti colleghi un genio filosofico, fosse stato così ingenuo in questioni pratiche.

Personalmente, almeno una volta lo vidi in opera. Avvenne durante gli anni in cui ero studente universitario, quando fece visita alla Jowett Society. Il suo tema annunciato era Cogito ergo sum, derivato, ovviamente, dalla famosa affermazione «penso dunque sono» del filosofo francese Cartesio. La stanza era affollata. Il pubblico si aggrappava a ogni singola parola di quel grande uomo. Tuttavia, l'unica cosa che riesco a ricordare ora dei suoi commenti è che non avevano assolutamente nessun legame percepibile con il tema annunciato. Così, quando ebbe terminato, l'emerito professore H. A. Prichard si alzò. Con evidente esasperazione, chiese cosa «Herr Wittgenstein - il dottorato di Cambridge a quanto pare non era riconosciuto a Oxford! - ne pensasse del cogito ergo sum», Rispose indicando la sua fronte con l'indice della mano destra e dicendo solamente: «Coguo ergo sum. È una frase molto particolare». Allora, come adesso, pensai che la replica più adatta a quell'affermazione sarebbe stato un adattamento di una delle vignette in Men, Women and Dogs di James Thurber: «Forse non hai fascino, Lily, ma sei enigmatica».

CONFRONTO CON C. S. LEWIS

Durante il periodo come laureato specializzando sotto la supervisione di Gilbert Ryle, mi resi conto che era proprio una sua consuetudine, essendo una persona indubbiamente corretta, quella di rispondere sempre in modo diretto, faccia a faccia, a ogni obiezione mossa contro le sue opinioni filosofiche. La mia teoria, anche se lui ovviamente non la rivelò mai né a me né, per quanto ne sappia, ad altri, è che stesse mettendo in atto l'insegnamento che Platone, nella Repubblica, attribuisce a Socrate: «Seguire il ragionamento fin dove ci porta»4. Tra le altre cose, questo principio richiede che, per fare un' obiezione faccia a faccia, le persone si debbano incontrare. È un criterio che io stesso ho cercato di seguire per tutta la mia lunga e molto controversa vita.

Questa massima socratica valse anche da ispirazione al Socratic Club, un gruppo che si trovava davvero al centro di quella vita intellettuale della Oxford del periodo di guerra. Era un forum animato aperto ai dibattiti tra atei e cristiani e io partecipavo regolarmente a quegli incontri. Il suo formidabile presidente dal 1942 al 1954 era il famoso scrittore cristiano C. S. Lewis. Il circolo si riuniva ogni lunedì sera, durante l'anno accademico, nella Junior Common Room sotterranea del St. Hilda's College. Nella prefazione alla prima uscita di Socratic Digest, Lewis citò l'esortazione di Socrate a «seguire il ragionamento ovunque esso porti». Evidenziò che questa «arena votata specialmente al conflitto tra cristiani e non-credenti era una novità». Molti dei più importanti atei a Oxford si confrontarono con Lewis e i suoi compagni cristiani. L'incontro di gran lunga più famoso fu l'acclamato dibattito tra lui ed Elizabeth Anscombe nel febbraio del 1948, il quale portò il primo a rivedere il terzo capitolo del suo libro La mano nuda di Dio5, Ricordo ancora che ero un membro di un piccolo gruppo di amici che rincasavano insieme dopo il grande dibattito, camminando proprio dietro la Anscombe e i suoi sostenitori. Era esultante, come anche i suoi compagni. Subito davanti a loro, Lewis camminava solo, con passo più svelto che poteva, per andare a rifugiarsi nelle sue stanze, al Magdalen College, appena dopo il ponte che stavamo tutti attraversando. Anche se molti hanno affermato che Lewis rimase permanentemente demoralizzato dal risultato di quel confronto, la Anscombe la pensava diversamente. Più tardi scrisse:

L'incontro del Socratic Club, al quale lessi la mia relazione, è stato descritto da molti dei suoi compagni come un'esperienza orribile e scioccante che lo infastidì parecchio. Né il Dott. Harvard (che po- che settimane dopo invitò entrambi a cena) né il Prof. Jack Bennett ricordavano dei sentimenti di questo tipo da parte di Lewis [ ... l. Sono incline a interpretare i singolari resoconti della questione, da parte di alcuni sei suoi amici [ ... l, come un interessante esempio di quel fenomeno chiamato "proiezione"6.

Lewis fu sicuramente l'apologeta cristiano più valido dell'ultima parte del ventesimo secolo. Quando recentemente la BBC mi chiese se avessi confutato in modo assoluto la sua apologetica cristiana, risposi:

No. Semplicemente non pensavo ci fosse una ragione sufficiente per crederei. Ma, certamente, quando più tardi mi fermai a riflettere sulla teologia, l'argomentazione a favore della rivelazione cristiana mi parve molto forte, quando non si crede in alcuna rivelazione.

SVILUPPI ALTAMENTE POSITIVI

Durante il mio ultimo bimestre all'Università di Oxford, la pubblicazione di Linguaggio, verità e logica di A. J. Ayer aveva convinto molti membri del Socratic Club che l'eresia ayeriana del positivismo logico -l'opinione che tutte le proposizioni religiose siano prive di significato cognitivo - dovesse essere confutata. La prima e unica relazione che abbia mai letto al Socratic Club, Theologyand Falsification, fornì ciò che allora ritenevo fosse una confutazione sufficiente. Credevo di aver raggiunto una vittoria completa e di non aver lasciato spazio a ulteriori dibattiti.

Fu sempre a Oxford che conobbi la mia futura moglie, Annis Donnison. Ci presentò la sua futura cognata durante una festa del club laburista di Oxford e, da quel momento, non prestai più attenzione a nessun altro durante quella serata. Alla fine della festa mi accordai con lei per un successivo incontro: era la prima volta che uscivo con una ragazza. Le nostre condizioni sociali allora erano molto diverse. lo ero un insegnante al Christ Church, istituto maschile, mentre lei era al primo anno come allieva al Sommerville, collegio femminile che, come tutti gli altri a Oxford in quell'epoca e per ancora un decennio circa, espelleva necessariamente qualsiasi studentessa commettesse "il delitto" di sposarsi.

La mia futura suocera era comprensibilmente preoccupata del fatto che una persona di un rango accademico superiore come me uscisse con sua figlia, molto più giovane. Consultò quindi il figlio, mio futuro cognato, che le assicurò, come avrebbe potuto considerare lei stessa, che ero «innamorato o qualcosa del genere» e che mi avrebbe spezzato il cuore se mi avesse impedito di continuare a frequentarla. Ho sempre supposto che il suo desiderio fosse semplicemente che la sorella più piccola fosse libera di condurre la propria vita da sola, sapendo che era una ragazza giudiziosa e che non avrebbe mai preso decisioni affrettate.

Anche se mi ero allontanato già da molto tempo dalla fede di mio padre, manifestavo tuttavia ciò che mi era stato insegnato dai miei genitori metodisti: non tentai mai nemmeno di sedurre Annis prima del matrimonio, ritenendo sempre un tale comportamento moralmente sbagliato. Né, essendo figlio di un accademico, mi solleticò mai il pensiero di convincerla a sposarmi prima della sua laurea.
Alla fine del settembre del 1950, cessai ufficialmente di lavorare come insegnante non di ruolo al Christ Church di Oxford e, l'l ottobre di quello stesso anno, iniziai a prestare servizio come professore universitario di Filosofia Morale all'Università di Aberdeen, in Scozia.

OLTRE OXFORD

Durante gli anni ad Aberdeen, tenni diverse conferenze in radio, partecipando a tre o quattro dibattiti promossi dal Third Programme della BBC - fondato da poco ed intellettualmente impegnato - e sottoponendomi a diversi esperimenti psicologici. Per noi, le grandi attrazioni di Aberdeen erano la socievolezza di quasi tutte le persone che incontravamo, la forza e la varietà del movimento a favore dei corsi per adulti, il semplice fatto che fosse una città in Scozia e non in Inghilterra (una novità per noi) e le possibilità così diverse, che essa ci offriva, di passeggiare lungo la costa e nei Cairngorms. Non mancammo mai di unirei al Cairngorm Club in una delle sue consuete gite mensili su quelle colline.

Durante l'estate del 1954, me ne andai da Aberdeen, passando per il Nord America, per diventare professore di filosofia alla University College of North Staffordshire, che più tardi guadagnò lo status ufficiale come Università di Keele. Per tutti i diciassette anni là trascorsi, essa fu ciò che la Gran Bretagna abbia mai avuto di più simile alle università di studi umanistici statunitensi, come Oberlin e Swarthmore. Iniziai a dedicarmi a essa rapidamente e la lasciai solo quando iniziò, lentamente ma inesorabilmente, a perdere la sua peculiarità.

Dopo aver trascorso l'anno accademico 1970-1971 come visiting professar negli Stati Uniti, consegnai le dimissioni, alla fine del 1971, da quella che da allora divenne l'Università di Keele (il mio successore fu Richard Swinburne). Nel gennaio del 1972 mi spostai all'Università di Calgary, nella provincia di Alberta, in Canada. La mia intenzione inizialmente era di stabilirmi là; tuttavia, nel maggio del 1973, dopo soli tre semestri, mi trasferii all'Università di Reading, rimanendovi fino alla fine del 1982.

Prima di richiedere e ottenere il pre-pensionamento da Reading, stipulai un contratto per insegnare un semestre all'anno all'Università di York, vicino a Toronto, per i rimanenti sei anni della mia regolare vita accademica. Dopo soli tre anni, tuttavia, rassegnai le dimissioni per accettare un invito dal Social Philoso-phy and Policy Center, presso la Bowling Green State University dell'Ohio, a prestare servizio come esimio ricercatore universitario, per i rimanenti tre anni. L'invito fu poi esteso ad altri tre. Dopodiché, andai finalmente e definitivamente in pensione a Reading, dove ancora risiedo.

Questo abbozzo della mia carriera non risponde alla domanda del perché diventai filosofo. Dati i miei interessi filosofici già alla Kingswood, può sembrare che fossi pronto a diventare filosofo di professione ancora prima di iscrivermi a Oxford. Di fatto, sapevo a mala pena che esistesse una tale figura all' epoca. Anche durante i primi due bimestri a Oxford, prima di entrare nella RAF, fu durante gli incontri del Socratic Club il momento in cui più mi avvicinai alla filosofia. I miei interessi principali, al di fuori dello studio, erano politici. La situazione era ancora questa dopo il gennaio del 1946, quando le materie di studio iniziarono a includere la filosofia.

Iniziai a vedere la carriera in filosofia solo come una remota possibilità, pochi mesi prima degli esami finali del dicembre del 1947. Se i timori di essere inserito nella II classe si fossero realizzati, avrei studiato per una seconda tornata di esami finali, concentrando mi sulla psicologia, nella nuova Scuola di filosofia, psicologia e fisiologia. Invece, continuai a lavorare per l'altrettanto innovativa laurea di I livello in filosofia, sotto la supervisione di Gilbert Ryle. Fu solo nelle ultime settimane del 1949, dopo aver vinto una borsa di studio sperimentale al Christ Church, che stabilii la mia rotta (e, in effetti, mi bruciai i ponti alle spalle) rifiutando un'offerta di unirmi alla classe amministrativa della Home Civil Service7- una scelta che rimpiansi finché non arrivò l'offerta da Aberdeen.

Nei seguenti due capitoli, cerco di descrivere la tesi che, negli anni, costruii contro l'esistenza di Dio. Approfondisco prima le argomentazioni ateistiche che raggruppai e sviluppai in mezzo secolo e, dopo, nel Capitolo 3, inizio a tracciare le varie svolte e i vari cambi di direzione che prese la mia filosofia, come possono dimostrare, in particolare, i miei frequenti dibattiti sul tema dell' ateismo.

Attraverso tutto ciò, spero che si potrà osservare, come ho detto in passato, che il mio interesse di vecchia data verso la religione non fu nient'altro che di carattere prudente, morale o semplicemente curioso. Dico prudente, perché, se esiste un Dio o degli dei coinvolti nelle questioni umane, sarebbe follemente imprudente non cercare, per quanto possibile, di stare dalla loro parte. Dico morale, poiché sarei felice di trovare ciò che Matthew Arnold una volta definì «l'eterno non per noi stessi che volge alla rettitudine». Dico, inoltre, curioso, in quanto ogni persona dotata di una mente scientifica deve avere il desiderio di scoprire ciò che, se non altro, sia possibile conoscere di questi temi. Nonostante ciò, è molto probabile che nessuno rimarrà tanto sorpreso quanto me del fatto che la mia esplorazione del divino sia passata, dopo tutti questi anni, dalla negazione alla scoperta.

Dopo aver letto quanto sopra, sicuramente vorresti leggere il 2° e 3° capitolo dal titolo:
- Dove conduce l'evidenza
- L'ateismo considerato con calma...


NOTE

1. La Headmasters' and Headmistresses' Conference (HMC) è un'associazione di direttori e direttrici di 242 scuole (N.d.T)

2. La sesta superiore corrisponde al quarto anno della scuola secondaria di
sec
ondo grado (N.d.E.).

3. Membro di un college a Oxford (N.d.T).

4. «Del resto, nemmeno io ho le idee chiare, ma dove il discorso come un
vento ci porta là intendo andare» (Repubblica, 394d, in Platone: tutti gli scritti,
a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1994, p
. 1139).

5. CUVE S. LEWIS, La mano nuda di Dio: uno studio preliminare sui miracoli,
Roma, Edizioni GBU, 1987.

6. GERTRUDE E. M. ANSCOMBE, The Callected Papers aJ G. E. M. Anscambe, 2, Metaphysics and the Philasaphy aJ Mind, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1981, p. X.

7. Unità che si occupa del Pubblico Impiego (N.d.T).

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DIO E L'EVOLUZIONE - La discussione attuale


RETROCOPERTINA

Un libro che per la prima volta, in forma articolata ed estesa, risponde a Richard Dawkins, autore di alcuni fra i lavori scientifici più conosciuti, tra cui Il gene egoista e L'orologiaio cieco, e al momento forse l'ateo più famoso nel mondo, noto per la sua visione ostile e controversa della religione.
Splendidamente argomentato, il volume prende in esame punto per punto alcuni dei concetti centrali di Dawkins, come il conflitto tra scienza e religione, la teoria evolutiva del "gene egoista" e il ruolo delle scienze nell'interpretazione del mondo, e ne dimostra brillantemente l'insostenibilità, sviluppando la discussione in uno stile godibile da chiunque, anche a digiuno di conoscenze scientifiche o religiose.

INTRODUZIONE

Il lungo dibattito sull'evoluzione

È SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI come, negli ultimi anni, il problema dell' evoluzione sia divenuto, nei paesi di civiltà occidentale, nuovamente oggetto di un dibattito appassionato o di accese controversie.
Dopo le polemiche incandescenti che, nella seconda metà dell'Sco e nei primi decenni del xx secolo, avevano visto contrapposti i darwinisti ortodossi agli oppositori dell' evoluzionismo, le scoperte della genetica classica e quelle della paleonrologia, avevano resa più accettabile sul piano scientifico l'idea fondamentale del naturalista inglese, secondo la quale le specie animali si sono gradualmente trasformate nel corso di milioni di anni, l'una nell'altra. In effetti, negli anni '30-'40 l'insieme delle conoscenze biologiche che si erano accumulate, aveva permesso ad un gruppo di studiosi di varia formazione - statistici, genecisti, zoologi, paleontologi, ecc. - di elaborare una teoria evoluzionistica che riusciva a dare ragione di un insieme molto esteso e diverso di fenomeni empirici. Questa teoria, che prese il nome di "teoria sintetica dell'evoluzione" o di "neodarwinisrno", ottenne rapidamente il consenso del mondo scientifico e divenne il paradigma dominante all'interno della comunità dei biologi.

* * *
In realtà, il problema dell'evoluzione, già nelle parole del suo ideatore e in quelle dei suoi primi sostenitori, si è presentato come un problema che oltrepassava i limiti di una pura ipotesi scientifica e invadeva ambiti di pensiero che, tradizionalmente, facevano parte della filosofia e/ o della religione. Per questo motivo l'evoluzionismo ha assunto subito il carattere di una teoria molto generale, che rivoluzionava radicalmente la concezione tradizionale della natura e dell'uomo e proponeva una nuova visione del mondo.
Come tutti sanno, già i primi sostenitori del darwinismo hanno concepito la nuova teoria come un'ipotesi che riteneva l'uomo il puro prodotto naturale della trasformazione delle specie animali e che cancellava le differenze che separavano i fenomeni non-vitali dai fenomeni vitali. È facile, infatti, constatare come nei testi di Thomas H. Huxley (1825-1895), di Ernst Haeckel (1834-1919), il darvinismo sia stato interpretato, fin dal suo primo apparire, come una teoria che concepiva l'uomo soltanto come un appartenente all'Ordine dei Primati, cioè come il mero prodotto di un processo naturale.
Le tesi di Darwin e dei suoi epigoni suscitarono immediatamente reazioni vivaci, alle quali si contrapposero le risposte dei darwinisti, cosicché nel giro di pochi anni le polemiche divamparono e divennero incandescenti. Alla base dello scontro non vi era tanto l'ipotesi - contraria alla lettera della Bibbia e anche alle opinioni scientifiche allora dominanti - che le specie viventi cambiassero nel tempo e che l'origine e la durata del mondo non fossero quelle descritte nel libro sacro, quanto l'idea che l'uomo fosse originato da una scimmia o da un altro progenitore e che, quindi, esso non fosse, in ultima analisi, niente altro che un animale. Furono appunto questi aspetti dell' evoluzionismo che provocarono verso di esso l'ostilità di molti circoli filosofici e degli ambienti religiosi.
Così, in Inghilterra, intellettuali come Benjamin Disraeli (1804-1881) ed esponenti della Chiesa anglicana, come il vescovo di Oxford Samuel Wilbeforce, avversarono fin dall'inizio l'ipotesi darwiniana, mentre negli Stati Uniti i protestanti fondamentalisti ed altre Chiese, seguendo un'interpretazione letterale del libro della Genesi, mantennero l'idea di Linneo che Dio aveva creato singolarmente ogni specie animale diversa, in sette giorni. A questo proposito è rimasto famoso il processo Scopes che, nel 1925, nel Tennessee, vide opposte due diverse fazioni: i darwinisti da un lato e dall'altro i fondamentalisti creazionisti, i quali auspicavano che nelle scuole dovesse essere insegnata soltanto l'interpretazione letterale della Bibbia.
In Italia le discussioni furono innescate da una conferenza, tenuta dallo zoologo Filippo De Filippi (1814-1867) a Torino l'Il gennaio 1864 e intitolata "L'uomo e le scimmie", Per quanto De Filippi fosse uomo sinceramente religioso e avesse tentato di conciliare l'evoluzionismo con la fede, la sua decisa adesione all'idea che l'uomo fosse "una derivazione dalle scimmie" suscitò diffuse e risentite reazioni, che si continuarono per circa un trentennio. Schematizzando, si può dire che nell'800 le reazioni al darwinismo furono di due tipi: da una parte i naturalisti misero in discussione la teoria della trasformazione delle specie, dal l' altra, letterati, filosofi e religiosi criticarono l'idea che l'uomo potesse davvero derivare dalle scimmie e misero in discussione il fatto che una teoria empirica potesse contraddire ciò che stava scritto nella Bibbia. (Continua)...


L'incontro con Dawkins:
un resoconto personale

MI SONO IMBATTUTO PER LA PRIMA VOLTA nel lavoro di Richard Dawkins nel 1977 quando lessi il suo libro più famoso Il gene egoista. Stavo completando la mia tesi di dottorato al dipartimento di biochimica dell'università di Oxford, sotto la geniale supervisione del professor Sir Gorge Radda, da poco Direttore esecutivo del Radical Research Council. Cercavo di spiegarmi come le membrane biologiche fossero in grado di svolgere la loro funzione in modo così soddisfacente aiutandomi con lo sviluppo di metodologie fisiche che ne analizzavano il comportamento.
Era più che evidente che si trattasse di un libro eccezionale, nonostante che in quegli anni Il gene egoista non avesse ancora raggiunto il cult status di cui gode oggi. Ero estasiato dal modo incredibile in cui Dawkins usava le parole e dalla sua abilità nel rendere così comprensibili concetti cruciali molto spesso complessi. Era scrittura scientifica divulgativa al suo meglio. Nessuna sorpresa, quindi, che il «New York Times» sottolineasse che era «il tipo di scrittura scientifica divulgativa che permette al lettore di sentirsi un genio».
Ci sarebbero voluti, inoltre, ancora alcuni anni prima che la reputazione di Dawkins come «il Rottweiler di Darwin» si radicasse. Eppure, anche in questo primo lavoro è possibile rilevare le tracce di una polemica marcatamente antireligiosa. Una volta, da studente, anch'io come Dawkins credevo che le scienze naturali esigessero una visione atea del mondo, ma ora non più. Ero istintivamente curioso di vedere che tipo di argomenti Dawkins avrebbe portato a supporto di quest'idea così attraente. Quello che scoprii non mi convinse del tutto. Proponeva confusi tentativi di dare un senso all'idea di «fede», senza stabilire una giusta base analitica e probante per le sue riflessioni. Ne uscii perplesso e mi prefissi di scrivere prima o poi alcune righe di risposta.
Ho amato le scienze naturali fin da quando ricordo di avere mai amato qualcosa. Intorno ai dieci anni, mi costruii un piccolo telescopio catottrico così da poter studiare le meraviglie dei cieli. Rimasi affascinato dalle tremule immagini delle lune di Giove e dei crateri della Luna ed ero incantato dalla possibilità di spiare in questo vasto, maestoso e misterioso universo, senza sentirmi per nulla sopraffatto da tale esperienza. Ad aprirmi il mondo della biologia fu un vecchio microscopio tedesco regalatomi da un prozio che una volta era stato il responsabile del dipartimento di Patologia del Royal Vietoria Hospital di Belfast. Il microscopio si trova ancora sulla mia scrivania. All'età di tredici anni ero completamente perso, non vi era dubbio su cosa avrei fatto nel resto della mia vita: avrei studiato le meraviglie della natura.
Un cambiamento di scuola, nel 1966, contribuì a dare nuova forza alla mia intuizione. A Belfast, il College Metodista aveva recentemente costruito una nuova unità di scienze, attrezzandola generosamente con gli standard attuali. Mi gettai nello studio delle scienze e della matematica, concentrando mi soprattutto in chimica e in fisica. Fu un lavoro d'amore più che ampliamente ricompensato dall'eccitamento intellettuale che mi procurava. A questo punto della mia vita era più che evidente che le scienze avevano preso il posto di Dio, rendendo il credo religioso una vana reliquia di un' età passata e, come se non bastasse, la mia visione delle cose veniva rafforzata in modo decisivo dagli eventi della fine degli anni Sessanta. (Continua)...

INDICE

Introduzione di Giovanni Federspil
L'incontro con Dawkins:
un resoconto personale
Il Gene egoista
L'orologiaio cieco:
l'evoluzione e l'eliminazione di dio?
Fede e dimostrazione: il ruolo delle prove nella scienza e nella religione
Darwinismo culturale?
La curiosa «scienza» della memetica
Scienza e religione:
dialogo o pacifìcazione intellettuale?

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DI' LA COSA GIUSTA - Aforismi per una comunicazione efficace


RISVOLTO RETROCOPERTINA

Quante volte siamo rimasti colpiti da una frase? Alcune frasi hanno il potere di toccarci in profondità, tanto da farci non solo esclamare "È vero!", ma anche individuare i nostri punti nevralgici, sciogliere nodi d'incertezza, illuminare scenari mentali prima immersi nell' oscurità e aprirei prospettive fino a quel momento invisibili. Come spiega l'autore di questo efficace prontuario, le frasi magiche appaiono universali e, nello stesso tempo, cucite su misura per noi; si tratta solo di sapere quando usarle e perché.
E qui entra in gioco Matteo Rampin che ha raccolto e opportunamente "etichettato" le 100 migliori citazioni da lui usate nella pratica professionale.
Sono citazioni da poeti, filosofi, uomini politici, film e commedie, pronte per una veloce consultazione e un uso immediato, ma anche utili da scorrere una dopo l'altra, in un ripasso, piacevole e illuminante, dei nostri meccanismi mentali e delle nostre domande e risposte su noi stessi, sugli altri e sul mondo che ci circonda. Di' la cosa giusta, dunque ... e perché no, prima di tutto a te stesso.

DUE PAROLE

Non fate come i farisei,
che moltiplicano
inutilmente le parole.
MATTEO 6, 7


Una frase strategica dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

- colpire, ossia catturare subito l'attenzione;
- spiccare, cioè permanere ben distinta dal rumore di fondo;
- attivare la fantasia parlando il linguaggio delle emozioni per sollecitare immagini, colori, sensazioni, echi, risonanze,
ricordi e molteplici collegamenti e nessi;

- essere universale, vale a dire applicabile a tutte le persone;
- essere specifica, ovvero adatta a ben determinate e concrete situazioni dell' esistenza;
- essere persuasiva, capace di far accettare facilmente il contenuto che propone;
- possedere un elevato potenziale di cambiamento con cui attivare risorse utili nel suo destinatario;
- essere fertile, cioè in grado di provocare numerosi effetti;
essere memorabile, imprimersi nel ricordo.

In poche parole, a una frase strategica si richiede di essere pregnante.
Si può essere pregnanti parlando di frasi pregnanti?
Pascal riesce a usare poche parole per dire che conviene usare poche parole:

Ti ho scritto questa lettera così lunga, perché non ho avuto il tempo di scrivertela breve.

Mark Twain, prendendolo alla lettera, ci riesce con meno parole:

In due giorni, trenta pagine. Per due pagine, trenta giorni.

Ma Robert Browning si spinge ancora oltre:

Meno è di più.

Ispirandoci a tali esempi, nelle prossime pagine cercheremo di limitare gli sprechi di parole, convinti che la pregnanza nella comunicazione sia una necessità, oggi più che in passato. Questo per tre ragioni.
In primo luogo, la pletora di informazioni che attualmente ci subissa, all'insegna del «sapere molto su tutto», non garantisce affatto di conoscere tutto, né di capire molto. Inoltre, l'idea che il «dialogo» sia la panacea per risolvere tutte le controversie - un'utopia, perché se un generico «parlare» fosse sufficiente le controversie non esisterebbero affatto - alimenta l'abitudine di parlare molto per dire poco. Infine, come sostiene Harry Kissinger, quella attuale è l'era degli esperti, persone che dettano tendenze, elargiscono consigli, raccomandano stili di vita, benché spesso si tratti di individui che «danno a intendere di intendersene» (nella definizione di intenditore proposta da Alessandro Morandotti) o che «sanno sempre di più su sempre di meno» (frase attribuita a Nicholas M. Butler e ad Arthur Bloch).
Come conseguenza della babelica confusione generata da questi tre fattori, non ascoltiamo, non capiamo e non ricordiamo la gran parte di ciò che ci viene detto. Se ricordiamo qualcosa, si tratta di eccezioni: frasi particolari, dense di significato. Peraltro, alcune di queste frasi particolarmente pregnanti sono capaci di imprimere svolte radicali nell'esistenza: ciascuno sperimenta in questo preciso istante l'effetto di scelte innescate da poche parole «forti» (nel bene o nel male) ascoltate in un momento significativo. Al contrario, nel momento del bisogno raramente sono utili le stantie parole dei guru alla moda («cerca in te stesso», «scopri il tuo vero io», «credi in te» ecc.) e quelle logore di chi, con poca fatica, consiglia «sii forte», «tirati su», «fatti coraggio», «cerca di cambiare» ecc.
In questo libriccino abbiamo raccolto cento detti memorabili, dei quali abbiamo constatato direttamente l'efficacia. Nel corso degli anni abbiamo selezionato frasi pronunciate da personalità storiche, scartando quelle poco efficaci; il processo di selezione è stato spietato, perché condotto nell' ambito della cura della sofferenza mentale: un contesto in cui vi è spazio solo per la massima efficacia. Ciascuna delle frasi sopravvissute alla selezione è stata da noi proposta migliaia di volte, e ne abbiamo sempre constatato la capacità di aiutare a superare i problemi, favorendo visioni della realtà più sane.
Abbiamo qui anteposto a ciascuna frase la sintetica descrizione di un problema, un conflitto o una necessità di cambiamento per, i quali, stando a quanto abbiamo empiricamente constatato negli anni, quella particolare frase è indicata: quasi una sorta di «terapia verbale» per situazioni specifiche dell' esistenza.
Il libro è stato pensato come strumento per chi intenda avvalersi, professionalmente o nella vita di ogni giorno, di una comunicazione efficace per migliorare la situazione altrui.
Nulla vieta, però, che si possano applicare anche a se stessi gli insegnamenti che queste parole ci trasmettono.

INDICE

Due parole

1. Obiettivi
2. Possibile & impossibile
3. Timore dell'insuccesso
4. Vincoli mentali
5. Angustia percettiva
6. Metodo
7. Fato avverso
8. Sicurezza & insicurezza
9. Conoscenza
10. Razionalità
11. Informazioni
12. Vantaggi/svantaggi
13. Ipotesi
14. Investimenti & perdite
15. Esperienza
16. Regole
17. Inizio
18. Tempo
19. Distanza del traguardo
20. Pazienza & impazienza
21. Autostima (1)

22. Autostima (2)
23. Concretezza & utopia
24. Ne vale davvero la pena?
25. Utopia & realismo
26. Immobilità
27. Pigrizia mentale
28. Contrattempi
29. Crisi
30. L'attimo (1)
31. L'attimo (2)
32. Scoraggiamento
33. Caos
34. Rapidità
35. Coerenza
36. Elasticità
37. Perfezione & imperfezione
38. Pericoli della vittoria
39. Realismo
40. Utilità dei nostri sforzi
41. Riuscita
42. Fallimento dell' obiettivo
43. Cambiamenti apparenti
44. Punti di vista
45. Negatività
46. Ansia
47. Timore della sofferenza
48. Sintomi
49. Valore del singolo
50. Autovalutazione
51. Coraggio & paura
52. Forza & debolezza
53. Muscoli & cervello
54. Autorità
55. Invidia
56. Interlocutori
57. Approvazione
58. Delusioni
59. Sapere
60. Delusione dagli altri
61. Mantenere il segreto
62. (Auto )inganni
63. Troppo bello
64. Odio
65. Liti
66. Offese
67. Calunnie
68. Noie quotidiane
69. Nemici
70. Rimpianti
71. Rimpianti anticipati
72. Vivere pienamente
73. Talenti
74. Educazione
75. Conflitti generazionali
76. Buona fede
77. Giochi di potere
78. Donne & uomini
79. Durata della coppia
80. Ozio
81. Il lavoro è per l'uomo
82. Possesso
83. Ricchezza
84. Soldi e felicità
85. Piacere
86. Ricerca del piacere
87. Desiderio
88. Fama
89. Libertà & schiavitù
90. Diversioni
91. Egoismo & altruismo
92. Vizi & virtù
93. Bontà & cattiveria
94. Pregi & difetti
95. Bellezza & bruttezza
96. Abilità sociali
97. Amicizia
98. Irreversibilità
99. Condizione umana
100. Senso della vita

Istruzioni per l'uso
Postilla
Conclusioni

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DARWIN - Viaggio di un naturalista intorno al mondo

charles-darwin-120 L'Autore Charles Darwin nacque nel 1809 a Shrewsbury da una famiglia legata per tradizione professionale alle scienze naturali. Studiò medicina a Edimburgo e teologia a Cambridge, finché nel 1831, superando le resistenze del padre, riuscì a imbarcarsi come naturalista a bordo del Beagle per un viaggio durato cinque anni che costituì l'avvenimento più importante della sua formazione. Nel 1838 la lettura del Saggio sui principi della popolazione di Malthus gli fornì l'idea per quella teoria della «selezione naturale» che tanto peso avrebbe avuto sul pensiero scientifico e filosofico. Morì nel 1882.
Di Darwin la Newton Compton ha pubblicato L'origine delle specie, L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, Viaggio di un naturalista intorno al mondo e il volume unico L'origine delle specie, L'origine dell'uomo e altri scritti sull'evoluzione.


RETROCOPERTINA

Nel 1831, Charles Darwin si imbarcò, in qualità di naturalista, a bordo del brigantino Beagle per partecipare a una spedizione che, per citare le sue stesse parole, «ha determinato la mia intera carriera». Viaggio di un naturalista intorno al mondo descrive la sua spedizione di cinque anni - in particolare lungo le acque costiere del Sud America.
     Mentre viaggiava attraverso Paesi inesplorati raccogliendo esemplari di piante e animali, Darwin iniziò a formulare le teorie dell'evoluzione e della selezione naturale, sviluppate in modo definitivo nella sua opera principale, L'origine delle specie. Affascinante resoconto di un'avventura straordinaria e insieme agile manuale scientifico, Viaggio di un naturalista intorno al mondo è una vivida introduzione alle idee di uno dei più autorevoli pensatori della storia.

PREFAZIONE DI CHARLES DARWIN

Ho già scritto nella prefazione alla prima edizione di quest'opera e nella Zoology of the Voyage of the Beagle che è stato a seguito del desiderio espresso dal capitano Fitz Roy di avere una persona edotta in scienza a bordo, accompagnato dalla proposta di cedere parte del suo alloggio, che ho offerto spontaneamente i miei servigi, ricevendo, grazie alla gentilezza dell'idrografo capitano Beaufort, l'approvazione dei Lord dell' Arruniragliato. Poiché penso che l'opportunità di studiare la storia naturale dei differenti paesi che abbiamo visitato sia dovuta interamente al capitano Fitz Roy, spero mi sia permesso in questa sede di rinnovare la mia gratitudine nei suoi confronti; e aggiungere che, nei cinque anni in cui abbiamo viaggiato insieme, ho ricevuto da lui la più cordiale amicizia e la più continua assistenza. Sarò sempre riconoscente al capitano Fitz Roy e agli ufficiali del Beagle1 per la costante cortesia con cui mi hanno trattato nel corso del nostro lungo viaggio.    
Questo volume contiene, in forma di diario, la storia del nostro viaggio, e una serie di osservazioni di storia naturale e geologia che penso possano essere di qualche interesse per il lettore comune. In questa edizione ho alquanto ridotto e corretto alcune parti, e ne ho ampliate altre, al fine di rendere il libro più adatto al lettore non specialista. Spero che i naturalisti ricordino che per maggiori informazioni dovranno riferirsi a pubblicazioni più ampie, in cui sono esposti i risultati scientifici della spedizione. La Zoology of the Voyage of the Beagle include resoconti sui mammiferi fossili, ad opera del professor Owen; sui mammiferi viventi, di Mr. Waterhouse; sugli uccelli, di Mr. Gould; sui pesci, del reverendo L. Jenys; e infine sui rettili, di Mr. Bell.
Ho aggiunto alla descrizione di ciascuna specie una parte relativa alle loro abitudini e all'ambito di diffusione. Questi scritti, che io devo al notevole talento e all'impegno disinteressato degli insigni autori sopraddetti, non sarebbero stati possibili senza la generosità dei Lord commissari del Tesoro di Sua Maestà, che per tramite dell'onorevole cancelliere dello Scacchiere sono stati lieti di offrire la somma di 1000 sterline per coprire parte delle spese di pubblicazione. lo stesso ho pubblicato testi separati, dal titolo Structure and Distribution of Coral Reefs, Volcanic Islands visited during the Voyage of the Beagle e Geology ojSouthAmerica. Il sesto volume delle «Geological Transactions» include due miei articoli, riguardanti rispettivamente i massi erratici e i fenomeni vulcanici in Sud America. I signori Waterhouse, Walker, Newman e White hanno pubblicato diversi e competenti articoli sugli insetti che sono stati raccolti nel corso del viaggio, e spero che molti altri seguiranno. Le piante delle regioni meridionali d'America saranno trattate dal dottor J. Hooker nella sua grande opera dal titolo Botany of the Southern Emisphere. La flora delle Galàpagos è oggetto di un suo specifico articolo, incluso nelle «Linnean Transactions».
Il reverendo professor Henslow ha pubblicato un elenco di piante da me raccolte nelle isole Keeling; mentre il reverendo J. M. Berkeley ha descritto le mie piante crittogame. Ho qui il piacere di testimoniare il grande aiuto che ho ricevuto da numerosi altri naturalisti, nel corso di questo e dei miei altri lavori; ma mi sia consentito di rinnovare i miei più sinceri ringraziamenti al reverendo professor Henslow che, quando ero studente a Cambridge, è stato uno dei principali artefici del mio interesse per la storia naturale; che, durante la mia assenza, si è preso cura delle collezioni di piante, animali e vegetali che spedivo in Inghilterra e che ha diretto al meglio i miei sforzi; e che, infine, dopo il mio ritorno, mi ha costantemente dato tutto l'aiuto che può offrire l'amico più caro.

Down, Bromley,
Kent Giugno 1845

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1. Colgo l'opportunità per rinnovare i miei ringraziamenti più sinceri a Mr. Bynoe, il medico di bordo del Beagle, per le sue attente cure quando sono stato malato a Valparafso.

 

INDICE

 

    7    Al di là dell' orizzonte. Introduzione di Pino Cacucci
 16     Nota biobibliografica

VIAGGIO DI UN NATURALISTA INTORNO AL MONDO

25       Prefazione di Charles Darwin

27       1. Santiago. Isole di Capo Verde
44       2. Rio de Janeiro
62       3. Maldonado
84       4. Dal Rfo Negro a Bahìa BIanca
101     5. Bahfa Bianca
124     6. Da Bahia BIanca a Buenos Aires
140     7. Buenos Aires e Santa Fé
158     8. Banda Oriental e Patagonia
190     9. Santa Cruz, Patagonia e isole Falkland
215   10. Terra del Fuoco
240   11. Stretto di Magellano. Clima delle coste meridionali
260   12. Cile centrale
279   13. Chiloé e le isole Chonos
296   14. Chiloé e Concepcién: grande terremoto
316   15. Passaggio della Cordigliera
338   16. Cile settentrionale e Peni
371   17. Arcipelago delle Galàpagos
398   18. Tahiti e Nuova Zelanda
425   19. Australia
444   20. Isole Keeling. Formazioni coralline
473   21. Da Mauritius all'Inghilterra

495         Indice analitico

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DARWIN - Origine dell'uomo e la selezione sessuale


RETROCOPERTINA

Nel corso dello sviluppo della civiltà, l'uomo acquistò una posizione di predominio sulle creature compagne del regno animale, ma non contentandosi di una tale supremazia, prese a scavare un abisso tra la sua natura e la loro ( ... ) Le ricerche di Charles Darwin e dei suoi collaboratori ( ... ) posero fine a questa presunzione umana», ha scritto Freud.
La grandezza e l'importanza de L'origine dell'uomo e la selezione sessuale appare chiaramente proprio oggi che l'uomo è impegnato nella ricerca di una nuova armonia con le leggi naturali. La grande opera che ha permesso all'uomo di riscoprirsi parte della Natura, «animale» tra gli altri animali.

INTRODUZIONE DELL'AUTORE

La natura della seguente opera sarà meglio compresa attraverso un rapido accenno a come è stata scritta. Per molti anni ho raccolto appunti sull'origine o la discendenza dell'uomo, senza nessun intento di pubblicazione al riguardo, ma piuttosto con la determinazione di non pubblicare, in quanto
pensavo che altrimenti avrei solo aggiunto pregiudizi contro le mie opinioni. Mi sembrava sufficiente aver indicato, nella prima edizione della mia Origine delle specie, che da questa opera si sarebbe irradiata luce «sull'origine dell'uomo e sulla sua storia», il che implica che l'uomo deve essere incluso con gli altri esseri viventi in qualsiasi conclusione generale, per quanto riguarda il modo di comparire sulla terra. Ora la situazione si presenta in modo del tutto differente.
Quando un naturalista come Cari Vogt si avventura a dire nel suo discorso di presidente della Società Nazionale di Ginevra (1869): «Nessuno, almeno in Europa, osa più sostenere la creazione indipendente sia dei tipi che delle specie», è chiaro che almeno un gran numero di naturalisti è costretto ad ammettere che le specie siano i discendenti mutati di altre specie; e ciò è considerato valido particolarmente dai più giovani ed eminenti naturalisti. I più accettano il fattore della selezione naturale; tuttavia qualcuno sostiene che ho troppo esagerato la sua importanza, del che renderà giustizia il futuro. Sfortunatamente molti dei più vecchi ed eminenti esponenti delle scienze naturali sono ancora contrari alla teoria dell'evoluzione sotto qualsiasi forma.

In seguito alle opinioni ora adottate dalla maggioranza dei naturalisti e che alla fine, come sempre, saranno seguite da altri che non sono scienziati, sono stato spinto a riunire i miei appunti, per vedere fino a che punto le conclusioni generali raggiunte nelle mie prime opere fossero applicabili all'uomo. Questa mi sembrava la cosa migliore, in quanto non avevo mai deliberatamente applicato queste teorie alle specie prese singolarmente. Quando rivolgiamo la nostra attenzione alla singola forma siamo privati del complesso di argomenti dedotti dalla natura delle affinità che collegano interi gruppi di organismi, cioè la distribuzione geografica nel passato e nel presente, e la successione geologica. Rimangono da considerare la struttura omologa, lo sviluppo embrionale e gli organi rudimentali di una specie, sia dell'uomo che di qualsiasi altro animale, cui si debba rivolgere la nostra attenzione; ma queste grandi classi di fatti offrono, per lo meno mi sembra, un'ampia e decisiva prova in favore del principio dell'evoluzione graduale. Il forte appoggio fornito da altri argomenti dovrebbe tuttavia essere sempre tenuto presente.
Il solo scopo di questo lavoro è di considerare, in primo luogo, se l'uomo, come ogni altra specie, sia disceso da qualche forma preesistente, in secondo luogo, il modo di questo sviluppo, ed in terzo luogo il valore delle differenze tra le cosiddette razze umane. Poiché mi limiterò a questi punti, non sarà necessario descrivere particolareggiatamente le differenze tra le diverse razze - argomento enorme, già pienamente trattato in molte opere pregevoli. La remota antichità dell'uomo è stata dimostrata dai lavori di una quantità di eminenti studiosi, a cominciare da Boucher de Perthes, ed è base indispensabile per comprendere la sua origine. Prenderò perciò queste conclusioni per buone e rimanderò i miei lettori agli ottimi trattati di Sir Charles Lyell, di Sir John Lubbock ed altri. Né avrò altro da fare se non allusioni al complesso di differenze tra l'uomo e le scimmie antropomorfe; infatti il prof. HuxIey, secondo il parere dei giudici più competenti, ha definitivamente dimostrato che l'uomo in ogni carattere visibile differisce dalIIe scimmie superiori meno di quanto queste differiscano dai membri inferiori dello stesso ordine di primati.
Quest'opera contiene solo qualcosa di originale riguardo all'uomo; ma, poiché le conclusioni cui sono giunto dopo aver tratteggiato un primo abbozzo jni sono parse interessanti, ho pensato che potessero interessare anche altri. E stato spesso e fiduciosamente asserito che l'origine dell'uomo non potrà mai essere conosciuta; ma l'ignoranza genera, più spesso della conoscenza, certe convinzioni: coloro che sanno poco e non quelli che sanno molto asseriscono tanto fermamente che questo o quel problema non sarà mai risolto dalla scienza. La conclusione che l'uomo ha l'origine in comune con qualche antica, infima ed estinta forma non è in nessun grado nuova. Lamarck giunse molto tempo fa a questa conclusione che è stata sostenuta da parecchi eminenti naturalisti e filosofi; per esempio da Wallace, HuxIey, Lyell, Vogt, Lubbock, Buchner, Rolle1 e specialmente da Hàckel, Quest'ultimo naturalista, oltre alla sua grande opera Generelle Morfologie (1866) ha recentemente pubblicato (1868, con una seconda edizione del 1870) Natùrliche Schopfungsgeschichte in cui discute a fondo la genealogia dell'uomo.
Se questo lavoro fosse apparso prima che scrivessi il mio saggio, probabilmente non lo avrei mai completato. Ho trovato confermate da questo naturalista, la cui conoscenza in molti punti è più completa della mia, quasi tutte le conclusioni cui sono pervenuto. Ovunque abbia aggiunto fatti o opinioni tratti dagli scritti del prof. Hackel, lo cito nel testo; ho lasciato altri particolari come stavano originariamente nel mio manoscritto, richiamandomi occasionalmente nelle note alla sua opera, come conferma di punti più dubbi o interessanti.
Per molti anni mi è sembrato assai probabile che la selezione sessuale avesse avuto una parte importante nel differenziare le razze umane; ma nel mio Origine delle specie (prima edizione, pag. 199) mi sono accontentato di accennare soltanto a questa opinione. Quando sono giunto ad applicare questa teoria all'uomo, ho trovato indispensabile trattare l'argomento completo in tutti i particolari2. Di conseguenza la seconda parte della presente opera, che tratta la selezione sessuale, si estende sproporzionatamente rispetto alla prima parte, ma ciò non si poteva evitare.

Avevo intenzione di aggiungere a questo volume un saggio sull'espressione delle diverse emozioni nell'uomo e negli animali inferiori. La mia attenzione era stata richiamata su questo argomento molti anni fa dalla pregevole opera di Sir Charles Beli. Questo illustre anatomista sostiene che l'uomo è dotato di certi muscoli solo per esprimere le sue emozioni. Poiché tale opinione è ovviamente opposta a quella per cui l'uomo è derivato da qualche altra forma inferiore, era per me necessario considerarla. Parimenti desideravo accertare quanto le emozioni fossero espresse nella stessa maniera dalle diverse razze di uomini. Ma per la lunghezza del presente lavoro ho pensato che fosse meglio riservare il saggio per una pubblicazione separata.

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1. Poiché le opere degli autori nominati per primi sono ben conosciute, non è necessario che ne riporti i titoli. Darò quelli degli ultimi, meno noti in Inghilterra: Sechs Voriesungen ùber die Darwin 'sche Theone, Il edizione 1868 del dott. L. Buchner; trad. francese, Conférences sur la Théorie darwinienne 1869. Der Mensch, im Lichte der Darwin' sche Lehre, 1865 del dott. P. Rolle. Non cercherò nemmeno di citare tutti gli autori che hanno assunto la medesima posizione nei confronti del problema. Cosi G. Canestrini ha pubblicato (Annuario della Soc. d. Nat., Modena 1867, p. 81) uno scritto molto singolare sui caratteri rudimentali, in merito all'origine dell'uomo. E stata pubblicata dal don. Francesco Barrago un'ulteriore opera (1869) che in italiano si intitola L'uomo, [atto a immagine di Dio, fu anche] atto a immagine della scimmia.
2. Il prof. Hackel fu il solo autore che, quando apparve questa opera per la prima volta jabbia discusso l'argomento della selezione sessuale, e abbia individuato la sua piena importanza fin dalla pubblicazione dell'Origine; e lo fece nelle sue diverse opere molto abilmente.

INDICE

7 Introduzione eli Giuseppe Montalenti
17 Nota biobibliografica

L'ORIGINE DELL'UOMO E LA SELEZIONE SESSUALE

23 Introduzione dell' Autore
26 Parte prima. La discendenza od origine dell'uomo
162 Note sulla rassomiglianza e sulla differenza nella struttura e nello sviluppo del cervello negli uomini e nelle scimmie (del pro! Huxl membro della Royal Society)
169 Parte seconda. La selezione sessuale
419 Parte terza. Selezione sessuale in relazione all'uomo e conclusione

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DARWIN - L'origine delle specie


RETROCOPERTINA

L''idea che gli esseri viventi abbiano trovato origine in forme elementari primordiali, dalle quali si sarebbero poi sviluppate per gradi le specie attuali, si ritrova, variamente abbozzata, nella storia del pensiero dai Greci in poi: ma solo con Charles Darwin questa intuizione raggiunge una struttura sistematica e una fisionomia definita. Sulla base di un numero imponente di dati, osservazioni, raffronti sulla flora e la fauna di differenti latitudini, il giovane naturalista inglese giunse a conclusioni sconvolgenti e rivoluzionarie circa l'origine della vita, che ancora oggi suscitano dibattiti e controversie.
La pubblicazione, nel 1859, dei risultati delle sue ricerche procurò a Darwin la notorietà, la gloria e il biasimo a un tempo. Con quest'opera rigorosa e straordinaria, Darwin scardinava la tradizione biblica della creazione del mondo, introducendo il concetto di una lenta evoluzione delle specie animali e vegetali che nel corso del tempo si sono profondamente diversificate dai loro antenati.


INDICE

Introduzione di Pietro Omodeo

Nota biobibliografica

L'ORIGINE DELLE SPECIE

Disegno storico sull'evoluzione del concetto di origine delle specie (fino alla pubblicazione del presente lavoro)

Introduzione

1. La variazione allo stato domestico
Cause della variabilità. Conseguenze dell'abitudine. Rapporti di crescita. Eredità. Carattere delle varietà domestiche. Difficoltà di distinguere le varietà e le specie. Origine delle varietà domestiche da una o più specie. Colombi domestici, loro differenze ed origini. Sistemi di selezione applicati in passato e loro effetti. Selezione metodica e selezione inconscia. Origine ignota dei nostri prodotti domestici. Circostanze favorevoli al potere di selezione dell'uomo.

Varianti della sesta edizione al capitolo 1.

2. La variazione in natura
Variabilità. Differenze individuali. Specie incerte. Le specie più diffuse e comuni variano maggiormente. In tutti i paesi le specie appartenenti a generi più vasti variano maggiormente delle specie appartenenti a generi più piccoli. Molte specie appartenenti ai generi più grandi rassomigliano a varietà, essendo molto strettamente collegate tra di loro, sia pure in misura ineguale, ed avendo areali limitati.

Varianti della sesta edizione al capitolo 2.

3. La lotta per l'esistenza
Sua importanza per la selezione naturale. il termine è usato in senso lato. Capacità di moltiplicazione in progressione geometrica. Rapido aumento numerico degli animali e delle piante naturalizzati. Natura degli ostacoli a tale aumento. Concorrenza universale. Effetti del clima. Protezione contro l'eccessivo numero di individui. Complessità di rapporti fra tutti gli animali e tutte le piante nell'intero ambito della natura. La lotta Der la vita è più aspra fra ali individui stesso genere. Il rapporto fra organismo e organismo è il più importante di tutti i rapporti.

Varianti della sesta edizione al capitolo 3.

4. La selezione naturale
La selezione naturale. Suo potere in confronto alla selezione umana. Suo potere sui caratteri di minima importanza. Suo potere su tutte le età e su entrambi i sessi. Selezione sessuale. Generalità sugli incroci tra individui della stessa specie. Circostanze favorevoli e sfavorevoli alla selezione naturale, e precisamente incroci, isolamento, numero di individui. Azione lenta. Estinzione provocata dalla selezione naturale. Divergenze nei caratteri correlate con la densità degli abitanti di qualsiasi piccola area e con la naturalizzazione. Azione della selezione naturale, tramite la divergenza dei caratteri e l'estinzione, sui discendenti di un progenitore comune. Essa spiega i raggruppamenti di tutti gli esseri viventi.

Varianti della sesta edizione al capitolo 4.

5. Le leggi della variazione
Effetti delle condizioni esterne. Uso e disuso, combinati con la selezione naturale, organi del volo e della visione. Acclimatazione. Rapporti di svilluppo. Compensazione ed economia dello sviluppo. False correlazioni. Strutture variabili multiple, rudimentali ed a basso livello di organizzazione. Le parti sviluppate in modo inusitato sono fortemente variabili: i caratteri specifici SO"" più variabili dei caratteri generici: i caratteri sessuali secondari sono variabili. Le specie di uno stesso genere variano in maniera analoga. Reversione a caratteri perduti da lungo tempo. Sommario.

Varianti della sesta edizione al capitolo 5.

6. Difficoltà della teoria
Difficoltà della teoria della discendenza con modificazioni. Transizioni. Assenza o rarità delle varietà di transizione. Transizioni nelle abitudini di vita. Diversificazione delle abitudini nella stessa specie. Specie con abitudini fortemente differenti da quelle delle forme affini. Organi dotati di estrema perfezione. Modi di transizione. Esempi di difficoltà: N atura non facit saltum. Organi di modesta importanza. Organi non assolutamente perfetti in tutti i casi. Legge dell'unità del tipo e delle condizioni di esistenza presa in considerazione dalla teoria della selezione naturale.

Varianti della sesta edizione al capitolo 6.

7. Istinto
Gli istinti sono paragonabili con le abitudini, ma sono di origine differente. Graduazione degli istinti. Afidi e formiche. Variabilità degli istinti. Istinti domestici, loro origine. Istinti naturali del cuculo, dello struzzo e delle api parassite, Formiche schiaviste. L'ape mellifera, suo istinto fabbricatore di cellette.
Difficoltà nella teoria della selezione naturale degli istinti. Insetti neutri o sterili. Riassunto.

Varianti della sesta edizione al capitolo 7.

8. Ibridismo
Distinzione fra la sterilità al primo incrocio e quella degli ibridi. L'incrocio fra individui molto affini produce la sterilità di varia entità e non assoluta che può essere eliminata dall'addomesticamento. Leggi che regolano la sterilità degli ibridi. La sterilità non è una qualità specifica, ma consegue ad altre differenze. Cause della sterilità dei prodotti del primo incrocio e degli ibridi. Parallelismo tra gli effetti del mutamento delle condizioni di vita e dell'incrocio. La fecondità delle varietà quando si incrociano e dei loro prodotti bastardi non è assoluta. Confronto fra ibridi e bastardi a prescindere dalla loro fecondità. Riassunto.

Varianti della sesta edizione al capitolo 8.

9. Imperfezione della documentazione geologica
Attuale assenza di varietà intermedie. Natura delle varietà intermedie estinte; loro numero. Enorme durata temporale dedotta dalla velocità di formazione ed erosione dei depositi. Povertà delle nostre raccolte paleontologiche. Intermittenza delle formazioni geologiche. Assenza di varietà intermedie fra le formazioni. Loro improvvisa comparsa nei più antichi strati fossiliferi conosciuti.

Varianti della sesta edizione al capitolo 9.

11. Successione geologica degli organismi viventi
La comparsa delle nuove specie è lenta e progressiva. Diversità della loro velocità di mutamento. Le specie estinte non ricompaiono. I gruppi di specie seguono, nella loro comparsa e scomparsa, le stesse regole generali seguite dalle singole specie. L'estinzione. Mutamenti simultanei delle forme viventi in tutto il mondo. Affinità delle specie estinte fra di loro e con le specie viventi. A proposito dello stato di sviluppo delle forme antiche. Successione degli stessi tipi nell' ambito di una stessa regione. Riassunto di questo capitolo e del precedente.

Varianti della sesta edizione al capitolo 10.

11. Distribuzione geografica
La distribuzione attuale non può essere spiegata con le differenze delle condizioni fisiche. Importanza delle barriere. Affinità delle produzioni dello stesso continente. Centri di creazione. Mezzi di dispersione: cambiamenti di clima e di livello delle terre, altri mezzi occasionali. Dispersione durante l'era glaciale estesa a tutto il mondo.

Varianti della sesta edizione al capitolo 11.

12. Distribuzione geografica (continuazione)
Distribuzione dei prodotti di acqua dolce. A proposito degli abitanti delle isole oceaniche. Assenza di anfibi e di mammiferi terrestri. Rapporti fra gli abitanti delle isole e quelli del continente più vicino. Sulla colonizzazione dalle regioni vicine con conseguenti modificazioni. Riassunto di questo capitolo e di quello precedente.

Varianti della sesta edizione al capitolo 12.

13. Affinità reciproche fra gli esseri viventi. Morfologia; embriologia; organi rudimentali
Classificazione: gruppi subordinati ad altri gruppi. Sistema naturale. Regole e difficoltà della classificazione, loro spiegazione in base alla teoria della discendenza con modificazioni. Classificazione delle varietà. Nella classificazione si impiega sempre il concetto di discendenza. Caratteri analogici o di adattamento. Affinità: generiche, complesse e ramificate. L'estinzione separa e definisce i gruppi. Morfologia fra i membri di una stessa classe, fra le parti di uno stesso individuo. Embriologia, e sue leggi spiegate attraverso la comparsa di variazioni in età precoce, variazioni che vengono ereditate in un' età corrispondente. Organi rudimentali, spiegazione della loro origine. Riassunto.

Varianti della sesta edizione al capitolo 13.

14. Ricapitolazione e conclusione
Ricapitolazione delle difficoltà riguardanti la teoria della selezione naturale. Ricapitolazione delle circostanze generali e speciali a suo favore. Cause della diffusa credenza nell'immutabilità della specie. Estremi ai quali può essere estesa la teoria della selezione naturale. Effetti della sua adozione sullo studio della storia naturale. Note conclusive.

Varianti della sesta edizione al capitolo 14.

433 Glossario dei principali termini scientifici usati nel volume.

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CREAZIONE o EVOLUZIONE


RETROCOPERTINA

Ogni essere umano si interroga sulle sue origini, ponendosi alcune domande le cui risposte dipendono da presupposti filosofici, teologici e scientifici.
La lettura e lo studio di questo libro scritto con rigore scientifico ma con stile chiaro e piacevole, faciliterà la ricerca di risposte soddisfacenti a questa appassionante questione.

Un'opera che presenta un confronto tra due visioni del mondo alla luce delle attuali conoscenze scientifiche.
A partire dai fatti e dai dati della geologia, della paleontologia e della biologia, il lettore potrà apprezzare il valore delle prove citate e soprattutto acquisire elementi per sviluppare un proprio criterio di scelta nei confronti della teoria dell'evoluzione.
Conoscere le nostre origini significa capire chi siamo e cosa possia­mo diventare, e costituisce la premessa per consolidare i nostri presupposti etici e adottare un nuovo proficuo stile di vita.

PREFAZIONE


CREAZIONE O EVOLUZIONE? appare come un'opera nuova, ampia e accuratamente rivista e attualizzata. La prima versione, in francese, uscì nel 1973.

Era il frutto di una ricerca, di un'indagine onesta e rigorosa intorno a un tema complesso, importante e discusso. I suoi autori lo affrontarono con rigore ammirevole e inattesa apertura mentale. Il tempo da allora trascorso non solo non ha svalutato il loro lavoro ma ha confermato e rivalutato le loro tesi.

In questa opera ci vengono presentati due concetti contrapposti sulle origini della vita, di fronte ai quali ognuno dovrebbe prendere posizione, una volta raccolte tutte le informazioni necessarie su questo tema. Alla luce dei dati scientifici che gli autori ci offrono, infatti, ogni lettore potrà riflettere e valutare il peso di ciascun concetto, per poi formarsi un proprio criterio personale.

CREAZIONE O EVOLUZIONE? ci presenta fatti scientifici relativi al problema dell'apparizione ed evoluzione della vita e alle sue possibili interpretazioni.

Fuggendo dai dogmatismi, quest'opera ci offre risposte alternative ai vecchi interrogativi che l'essere umano, individualmente e collettivamente, si è da sempre posto: domande sulle proprie origini, sul presente e sul futuro della nostra specie.

Non tutti, né sicuramente tutti gli scienziati, offrono le stesse risposte a domande tanto trascendentali, quanto metafisiche. Un 'ottica teista, per esempio, risulterà ben diversa da una prospettiva panteistica, agnostica o atea. E anche all'interno della stessa corrente teista, c'è più di una risposta. Di fatto, sono grandi e profonde le discrepanze che separano un creazionista ortodosso da un evoluzionista teista, anche quando entrambi reclamano l'esistenza di un medesimo creatore.

Jean Fiori e Henri Rasolofomasoandro propongono per questo dilemma (evoluzione o creazione) risposte consistenti in un ambito cristiano, senza falsare i fatti scientifici. Sostengono che la loro è, quanto meno, un 'interpretazione tanto plausibile quanto quella che offre la scienza ufficiale. Tuttavia non intendono spazzar via quest'ultima con un colpo di piuma. Procedono, invece, come si vedrà, a un'analisi minuziosa delle teorie vigenti alla ricerca delle origini della vita sulla terra. Lo fanno cercando di offrire elementi di riflessione non solo allo specialista ma anche a tutti quelli che, seppure con un minimo grado di informazione, provano un interesse particolare per i problemi qui trattati.

Non è argomento di poco conto cercare di dare una risposta razionale e ragionevole agli interrogativi sulle nostre origini. Da questa dipende la nostra visione del mondo, il nostra rapporto con l'ambiente e la convivenza con le persone che vivono intorno a noi.

Per afferrare la profonda verità di queste affermazioni, è sufficiente pensare alle molteplicità delle opinioni e degli stili di vita che vigono sulla faccia della terra, e capire che sono il prodotto di differenti visioni sulle origine cosmiche e umane.

Per esempio, ci sono popoli in cui le vacche sono sacre, per altri invece non sono altro che un mezzo di sostentamento, e infine c'è chi vede in esse un importante anello della catena ecologica. Da ognuno di questi punti di vista deriva il diverso atteggiamento nei confronti di questi animali. A loro volta, tali punti di vista presuppongono convinzioni distinte nei confronti della realtà e delle sue origini. Per esempio, le visioni panteiste e politeiste tendono a divinizzare ogni essere nella misura in cui collocano l'energia creatrice nelle creature.


Altrettanto diverse saranno le conseguenze pratiche derivate da un'impostazione evoluzionista piuttosto che da una base creazionista. Non è la stessa cosa credersi oggetto di una creazione speciale da parte di Dio, che considerarsi frutto di una grande evoluzione mossa dal caso e dalla selezione naturale.

Questo è comunemente riconosciuto tra coloro che riflettono su questo argomento. Per esempio, Diego Nùnez, docente di filosofia dell'università autonoma di Madrid, lo dice chiaramente:

"Legittimamente o meno, la teoria [evoluzionista] solleva di fatto, tanto nel passato come nel presente, implicazioni filosofiche, sociologiche, etiche e politiche"1.

Ognuno può immaginare le conclusioni che si possono trarre dall'una o dall'altra prospettiva (evoluzionista e creazionista.

Il partito della tesi darwiniana può argomentare che non c'è niente di male nel ritenersi il culmine, biologico e culturale, di tutta una lunga catena evolutiva. E il creazionista biblico stimerà di maggior valore per la dignità umana essere stato creato direttamente da un Dio intelligente e personale.

Gli autori non entrano in questa questione, fondamentalmente etica. Da parte nostra ci limiteremo ad aggiungere che dalle loro analisi ed esposizioni il lettore potrà ottenere le chiavi e il sostegno per un Nuovo Stile di Vita. Un vantaggio che, unito al fattore strettamente scientifico, garantisce l'enorme valore di questa opera.

GLI EDITORI2

NOTE

1. "Retorno critico al Darwin originario", Revista de Libros, n. 35, novembre 1999.
2. Siamo lieti di poter pubblicare la traduzione italiana dell'edizione spagnola che ha rinnovato e completamente attualizzato l'edizione originale francese. Desideriamo manifestare il nostro gradimento a quanti hanno contribuito alla sua pubblicazione e in particolare: agli autori, al revisore scientifico, a tutti quelli che hanno collaborato professionalmente o in altro modo, e ad Antonio Cremades, dottore in Scienze Biologiche, professore universitario in Argentina, il quale ha esaminato il manoscritto e fatto osservazioni attinenti per il miglioramento del testo stesso.

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INTRODUZIONE


Nel 1973 apparì in Francia la prima edizione di EVOLUTlON OU CRÉATlON? seguito un anno più tardi da una seconda edizione rivista e corretta.

Considerando che il tema abbordato è stato da sempre oggetto di dibattiti in determinati circoli intellettuali e in ambienti più vasti, il volume fu generalmente ben accolto in quanto fu una delle prime opere serie che suscitò la riflessione dei credenti - e di molti non credenti - sulla teoria dell'evoluzione e allo stesso tempo sull'interpretazione della Bibbia.

Il successo del libro oltrepassò le frontiere e la prima versione spagnola vide la luce nel 1979, seguita poi da una seconda edizione nel 1986. La richiesta si è mantenuta costante per cui si è imposta la pubblicazione di questa quinta edizione (la prima in italiano).

In un campo però come quello abbordato da questo libro, in cui intervengono diverse discipline scientifiche, non era sufficiente una semplice riedizione o un'edizione con piccoli ritocchi. La scienza ha fatto grandi passi avanti da quando le prime edizioni furono pubblicate. Si è quindi imposta una vera attualizzazione.

Ritengo che questa attualizzazione sia stata concretamente realizzata dall'Editorial Safeliz; in quanto, pur mantenendosi completamente fedele all'impostazione originale degli autori, la revisione scientifica ha tenuto conto delle più recenti ricerche e scoperte.

Per esempio ci sono aggiunte in tema di:

La tettonica delle placche .
La fauna di Burgess Shale .
La teoria degli equilibri punteggiati.
Il celacanto .
Le mutazioni.
La biologia molecolare .
La speciazione .
Il diluvio .
L'estinzione dei dinosauri.
La glaciazione .
Gli uomini preistorici .
I metodi di datazione più recenti che hanno comportato investigazioni e dati di massima attualità.

Alcune nuove scoperte confermano le proposte degli autori, dimostrando che nonostante gli avanzamenti della scienza, la teoria dell'evoluzione continua a sollevare gli stessi problemi. La paleontologia, mia specializzazione, è una buona dimostrazione di ciò.
Gli autori, in base ad altre scoperte, hanno in parte rivisto alcune idee iniziali. Tale è il caso, per esempio, dell'accettazione meno incerta di una vera speciazione, vale a dire della formazione di nuove specie, che al giorno d'oggi risulterebbe difficile negare e alla quale, certamente, nemmeno la Genesi si oppone.
Bisogna rilevare lo sforzo fatto per attualizzare e migliorare le referenze bib/iografiche. La citazione di autori, che attualmente sono ineludibili nello sviluppo del dibattito sull'evoluzione, come S.J. Gould, V Courtillot, L. W Alvarez, M. Dento, PP Grassé, C. Devillers, J. Cha/ine, R. Fondi e M.J. Behe, era doverosa. Queste nuove citazioni completano e attua/izzano il lavoro di ricerca, già considerevole, che gli autori realizzarono all'interno di una letteratura specialistica di quel momento.
Gli autori Jean Fiori e Henri Rasolofomasoandro hanno in comune una mentalità scientifica che esige rigore e onestà, e una fede «intelligente» nel Creatore, che ha loro permesso di mantenere una visione chiara, e insieme prudente e aperta, delle Scritture, senza però rinunciare alle loro convinzioni.
Sono stato collega del primo e alunno e collega del secondo. E sono proprio loro, che con il loro libro, hanno contribuito in maniera decisiva al mio amore per la paleontologia.
Sono convinto che anche il lettore sarà conquistato da questa nuova edizione; però questo non esclude che essa, a sua volta, sia un giorno rivista. Il fatto è che il dibattito su un tema tanto complesso è lungi dall'essere concluso e richiede tanta perseveranza quanto umiltà.

JACQUES SAUVAGNAT
Dottore in Paleontologia
Direttore dell'Istituto geoscientifico di ricerca
in Europa

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INDICE

Prefazione
Introduzione
1. Evoluzione e trasformismo

PRIMA PARTE: GEOLOGIA EVOLUZiONISTiCA
2. L'attualismo
3. La Terra: natura e struttura
4. Le rocce della Terra
5. Il carbon fossile e il petrolio
6. Continenti alla deriva
7. La formazione delle montagne e la loro erosione
8. La stratigrafia e i suoi problemi
Geologia evoluzionistica: conclusioni

SECONDA PARTE: PALEONTOLOGIA EVOLUZIONISTICA
9. I fossili provano l'evoluzione?
10. Dal semplice al complesso
11. Serie evolutive e anelli intermedi
12. Gli enigmi della paleontologia
Paleontologia evoluzionistica: conclusioni

TERZA PARTE: BIOLOGIA EVOLUZIONISTICA
13. Il lamarckismo
14. Il darwinismo
15. Il mutazionismo
16. L'origine della vita
17. Gli argomenti biologici: citologia, biochimica e anatomia comparata
18. Gli argomenti biologici: prove embriologiche e convergenze
19. Sistematica. Nozione di specie
20. La teoria sintetica
Biologia evoluzionistica. Conclusioni
Il modello evoluzionista: Conclusioni generali

QUARTA PARTE: MODELLO ALTERNATIVO
21. Bibbia ed evoluzione
22. Il racconto del diluvio
23. L'opera del Creatore
24. Diluvio e geologia
25. Paleontologia e catastrofismo
26. Il mondo dopo il diluvio
27. Gli uomini preistorici
Modello alternativo: conclusioni

QUINTA PARTE: I METODI DI DATAZIONE
28. I metodi di datazione assoluta
29. Il diluvio e le datazioni
30. Metodi di datazione non radioattivi.
Metodi di datazione: conclusioni

Conclusioni finali:
Fonti iconografiche

Indice alfabetico

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